LE RELIGIOSE IN UN MONDO DALLE MOLTE RELIGIONI
Intervento
su: Le Religioni Orientali
Padre Franco Cagnasso
E' impossibile offrire
anche soltanto una sintesi schematica sulle spiritualità, le idee, le
tradizioni, i riti, gli stili delle così dette Religioni orientali
in 20 minuti. Esse sono praticate dagli sterminati popoli dell'India,
della Cina, del Sud Est asiatico, del Giappone; hanno tradizioni
millenarie molto diverse fra loro; si trovano in situazioni sociali,
politiche ed economiche differenti.
Mi propongo piuttosto
di interrogarmi su alcuni modi di pensare e di percepire le Religioni
orientali che sono diffusi nell'opinione pubblica occidentale. Non
verifico se questi modi siano corretti, cioè se nascono da ciò che le
religioni orientali sono, o da ciò che noi pensiamo che siano. Accetto
come dato di fatto che esse siano viste in un certo modo, e faccio
qualche commento.
Il primo spunto mi
viene offerto dalla stessa scelta operata dalle organizzatrici di questa
Assemblea. Esse hanno riunito sotto l'unica voce "Religioni
orientali" religioni varie e profondamente diverse come
il Buddismo, l'Induismo, lo Scintoismo, il Confucianesimo. E' un errore?
Una generalizzazione indebita?
In un certo senso sì,
tuttavia è una generalizzazione normalmente accettata, percepita come
giusta, o almeno non del tutto arbitraria. Come mai?
Perché storicamente
queste religioni sono lontane da noi, molto più lontane dell'Ebraismo -
di cui siamo figli e che ci è perciò vicinissimo - e dell'Islamismo.
L'Europa, mentre ha avuto per secoli incontri, scontri e frizioni con i
Musulmani, e ha conosciuto la presenza ininterrotta al suo interno di
comunità ebraiche, con le "Religioni orientali" ha
avuto invece contatti rari, sporadici. Erano viaggiatori, studiosi,
commercianti, missionari che riferivano e narravano, spesso creando un
clima favoloso e un senso di esoticità e di mistero. Solo l'epoca
coloniale, relativamente recente, ha portato in Asia militari,
commercianti, funzionari in numero più alto. E' infatti questa l'epoca
in cui cresce l'interesse per le culture e le religioni asiatiche.
Le quali però, anche
in epoca coloniale restano pur sempre molto lontane.
Queste religioni sono
raccolte sotto il termine comune di "Religioni orientali"
non solo per evidenti motivi geografici (cioè perché sono sorte ed
esistono soprattutto in oriente), ma anche perché la distanza sfuma i
confini, non permette di cogliere i particolari, toglie il senso della
profondità, appiattisce e genera, di conseguenza, la sensazione che
queste religioni abbiano qualcosa di molto comune. Sono spesso percepite
come un tutt'uno affascinante benché lontano, irraggiungibile.
Non si tratta soltanto
di una credenza popolare. Studiosi, storici, sociologi, filosofi si sono
interrogati e s'interrogano su quanto vi sia o non vi sia di specifico e
caratteristico in Oriente e in Occidente, sulle "anime" di
questi due mondi.
Spesso si accetta una
schematizzazione che risale ad un passato ormai lontano e che ha fatto
breccia: l'Occidente è tecnologico, pragmatico, logico, aggressivo,
spesso agnostico o ateo; l'Oriente è contemplativo, tollerante,
intuitivo, passivo. L'Occidente fa, l'Oriente contempla; l'Occidente
pensa, l'Oriente intuisce; l'Occidente divide e distingue, l'Oriente
unisce e ingloba, anziché contrapporre compone…
Sembra esserci, fra
questi due mondi (al loro interno complessi e diversificati…
all'infinito) come un moto di attrattiva e di repulsione insieme, di
ammirazione e di timore o sospetto.
Quanto siano vere
queste descrizioni è difficile dirlo. Si potrebbe dibattere per ore. E'
comunque evidente che si tratta di semplificazioni, e come tali
da prendere con molta cautela. Allo stesso tempo, proprio perché
semplici, sono facili da ritenere, incidono profondamente sul modo di
pensare e di vedere.
***
Con questo primo
approccio, ho già indicato qualche elemento che può entrare in gioco
nel rapporto fra Occidentali e Religioni d'Oriente.
Tutti sappiamo che
l'Occidente sta attraversando un'epoca di smarrimento. Si corre
freneticamente verso il nuovo, fino a teorizzare la necessità di
lasciare del tutto da parte la storia, il passato, e perciò si guarda
con sospetto anche alla religione organizzata, che viene dal passato.
D'altra parte, ci si
interroga con paura sul futuro della modernità, della tecnologia, sugli
stili di vita, sulla nostra capacità di manipolare la natura e l'uomo.
Ma spesso anche chi
teme la folle corsa verso il futuro non si sente di appoggiarsi ad una
religione organizzata. Si parla di "pensiero debole"
che rifiuta la metafisica, la fede appare come impossibile, le religioni
come complici di quegli errori che ci hanno condotto in un vicolo cieco.
C'è chi confessa di invidiare i credenti eppure non riuscire ad
imitarli, perché siamo nell'epoca del dubbio.
In queste condizioni,
percepire - anche se indistintamente e confusamente - che da qualche
parte, nel "lontano Oriente" persiste un modo di vivere
del tutto diverso, guidato da criteri e valori che qui non ci sono mai
stati o si sono smarriti, e che sono capaci di riportare a ritmi di vita
più umani, a rapporti sociali più rispettosi, a una vita interiore
pacificata, significa provare simpatia e desiderio per questo
mondo lontano, significa sognarlo.
Ecco allora studiosi e
viaggiatori del mondo anglosassone prima, poi i giovani del '68, che
hanno preso la via dell'Oriente, seguiti, più recentemente, da altre
categorie - in generale benestanti, rappresentate anche da attori
famosi, qualche uomo o donna d'affari, sportivi…
Questa ricerca è
spesso stata delusa. Non si saprà mai quanti sono letteralmente
scomparsi in India, Tailandia e altri paesi d'Oriente. Nel 1978 il
Console italiano a Bombay mi diceva che il lavoro principale del
Consolato consisteva nel rimpatriare connazionali ridotti in miseria,
derubati, rovinati dalla droga, squilibrati da pratiche strane nelle
quali spesso avevano tentato di unire libertà sessuale e di uso delle
droghe con ricerca religiosa e pratiche ascetiche anche molto dure
comandate da un maestro la cui voce era inappellabile. Persone fragili,
per lo più, che si spezzavano del tutto a contatto con esperienze
traumatiche.
Ma non è tutto qui. C'è
chi ha abbracciato l'Induismo o il Buddismo, chi ha ritrovato Cristo e
una fede cristiana viva, iniziando a viverla con intensità, chi è
rimasto sostanzialmente com'era, agnostico, indaffarato, ma tiene nel
cassetto un libro di yoga e ogni tanto si propone di riprenderne la
pratica, e anche chi ha fatto una sua personale sintesi religiosa
sincretistica.
L'attrattiva
dell'Oriente, si è resa più concreta anche grazie alla presenza di
Orientali che si sono trasferiti in Europa e in Nord America per
proporre sistemi di meditazione, yoga, metodi di medicina alternativa,
filosofie orientali. Spesso abbiamo assorbito mentalità e idee che ci
arrivavano in realtà attraverso l'America, ricca di movimenti religiosi
orientaleggianti in quanto ispirati all'Oriente oppure, nati da
orientali, sono stati profondamente rielaborati e rimaneggiati.
L'idea della
reincarnazione non è più vista come una stranezza che si attribuiva a
popoli antichi, ma è un diffuso modo di pensare, spesso un'istintiva
alternativa ai dubbi sulla sopravvivenza dell'anima (paradiso e inferno)
o sulla resurrezione dei corpi. Le pratiche yoga sono anch'esse diffuse
in mille modi, con e senza significato religioso, addirittura come pura
ginnastica, affiancata da molte altre pratiche che cercando di
armonizzare corpo e spirito, vita interiore e salute fisica.
***
Senza
pretendere di suddividere le cose buone e quelle non buone fra le molte
che vengono dalle Religioni orientali o dall'Oriente in genere, mi
chiedo: che cosa spinge verso queste religioni o filosofie? Che cosa si
cerca in esse?
Spesso
ci si rivolge verso Oriente come sbocco per un bisogno di personalizzare
la propria ricerca religiosa.
Si ha del cristianesimo
una visione esteriore, superficiale e di massa.
Molti occidentali sono
"vaccinati" contro il cristianesimo. La vaccinazione consiste
nell'inoculare quel tanto di agenti patogeni che - senza danneggiare
l'organismo - lo costringono a produrre gli anticorpi che lo
difenderanno per sempre dalla malattia. Molti prendono dal catechismo e
dalla sacramentalizzazione quel tanto che, senza cambiare la loro vita,
li persuade di conoscere il cristianesimo e di non potervi trovare
risposte alle loro esigenze. Così sono "immuni"
dall'evangelizzazione.
Tuttavia rimane un
bisogno religioso inappagato, e allora ecco l'Oriente, con il fascino di
un viaggio verso l'ignoto, dove si è soli a decidere, senza preti né
l'obbligo di andare a Messa o di stare insieme alle riunioni,
l'attrattiva di una profondità di cui si ha nostalgia.
Stanchi, per ragioni più
o meno valide, della loro blanda esperienza di vita cristiana, alcuni
temono le risposte troppo sicure, le parole già udite, gli inviti
morali già imparati e forse non seguiti. Vogliono sondare, provare,
cercare senza dovere subito dire "sì" oppure "no",
senza un immediato appello ad un impegno percepito come gravoso.
L'Oriente si presenta
meno dogmatico, più duttile ed esperienziale.
Ciò che attira non è
un complesso dottrinale che si ritiene più vero del catechismo
cristiano. Si conoscono forse elementi dottrinali sparsi che attirano
perché sembrano meglio rispondere a certe sensibilità di oggi (come ad
esempio il rispetto per la natura e la vita come si pensa praticato
dall'Induismo e dal Buddismo, la non violenza, tolleranza, ecc.), ma
soprattutto ci si sente attratti da una proposta di fare esperienza di
ciò che un maestro ha fatto.
Si impara a
familiarizzarsi con il silenzio, con il proprio corpo, con la vita
interiore e gradualmente, in parallelo, si acquisiscono le posizioni
dottrinali che stanno alla base di queste esperienze. Prima si fa, poi
si teorizza.
Il Maestro appare
autorevole e profondo, anziché autoritario e rigido come spesso appare
il prete, disponibile e accogliente anziché indaffarato ed esigente. La
comunità piccola, familiare, motivata, anziché anonima e fredda.
L'Oriente sembra
particolarmente adatto ad una cultura come la nostra che ha paura della
fede, e spesso la identifica con il fanatismo, il fondamentalismo,
l'aggressività. Non propone una fede nell'Altro, ma
un'esperienza per se stessi.
Si è polemizzato circa
le opinioni espresse dal Papa nel suo libro "Varcare le soglie
della speranza" a proposito del Buddismo. C'è chi ritiene che
dire che il Buddismo è ateo sia offensivo.
Non entro in merito
alla specifica questione, ma è comunque innegabile che il Buddismo non
ti dice che devi credere in Dio, tanto meno ti descrive il Dio in cui
credere. L'anno scorso su un giornale indiano leggevo un dibattito fra
lettori proprio a proposito della possibilità di essere buddisti pur
avendo opinioni diverse circa l'esistenza di Dio e di una vita dopo la
morte. Nessuno poneva in dubbio tale possibilità.
Spesso ci si accosta
all'Oriente fidandosi di un maestro che si presenta come rispettoso di
qualsiasi posizione abbia il discepolo, che non vuole cambiare le sue
convinzioni o toglierlo dai suoi dubbi, ma portarlo - così come è - a
sperimentare la pace interiore, un rinnovamento "morbido".
I figli della nostra
società sempre più individualista si sentono attratti da una proposta
che non fa aderire ad una comunità ma percorrere un cammino
personale; che non propone dogmi ma esperienze; che non chiede di
rinnegarsi ma di ritrovarsi, liberandosi dagli affanni e dal dolore.
Il cristianesimo appare
a molti prima di tutto con le sue esigenze etiche. Addirittura, spesso
si conoscono (male) soltanto alcune di esse: morale sessuale
specialmente, e obblighi di pratica religiosa. Oppure, se si è più
informati e addentro, si identifica la vita cristiana con l'impegno
caritativo, sociale. Magari lo si ammira, ma se ne costata anche
l'inadeguatezza a risolvere i problemi del mondo e della nostra società.
A fronte di una
religione volontaristica, si pone la proposta di qualcosa che impegna
soltanto te, che ti accompagna gradualmente, che puoi lasciare se non ne
sei convinto. Qualcosa che si propagherà impercettibilmente, senza
rotture e conflitti, portando finalmente te alla pacificazione
interiore, e poi la società e il mondo intero.
Il Budda raffigurato
con un impercettibile sorriso, che promette distacco e calma interiore,
o il "Budda che ride" come è raffigurato spesso in
Cina, circondato da bimbi festosi che giocano su di lui sembra più
attraente, più accostabile, più umano dell'Uomo sofferente sulla croce
e del suo duro invito a seguirlo.
Torno a dire: si tratta
di semplificazioni.
Tra l'altro bisogna
ricordare che ci sono non soltanto varie religioni in Oriente, molto
diverse fra loro, ma che all'interno di ciascuna esistono varianti
notevolissime e addirittura opposizioni fino a costituire quasi
religioni in sé. Tre sono le vie principali nell'Induismo, ad esempio;
e se la via della bhakti viene giudicata più vicina alla
mentalità cristiana per il suo discorso sull'amore, quella dell'advaita
può far comprendere meglio la trascendenza e quindi la non definibilità
di Dio. Il Buddismo a sua volta si divide nei famosi "piccolo
veicolo" e "grande veicolo", il primo più
facilmente qualificabile come ateo o non teista, il secondo invece colmo
di divinità e devozioni. Ma oltre a queste ci sono scuole, correnti,
metodi diversi. In Occidente la presenza delle Religioni orientali
riflette questa varietà e addirittura l'accresce, perché tutte, specie
quando possono contare membri di origine e cultura occidentale, sono
reinterpretate e riespresse, a volte con profondi mutamenti, all'interno
di questa cultura e mentalità.
***
Come situarci di
fronte a queste realtà nuove, che solo pochi anni fa ci erano
sconosciute o note soltanto per qualche lettura scolastica?
Non ho ricette. Credo
però che un contatto, e anche un confronto sereno e aperto con esse
possa essere ricchezza per entrambe le parti se sa cercare allo stesso
tempo ciò che unisce, ciò che si può imparare, e ciò che è diverso,
ciò che fa essere se stessi nella propria identità.
Non bisogna pretendere
di uniformare tutto, di sentirsi bene solo se tutto è uguale, né
sentire il bisogno di distinguersi e di eccellere a tutti i costi, come
se il bene che trovo nell'altro fosse rubato a me.
Al Sinodo per
l'Asia tenutosi in Vaticano nel 1998, è risuonato con insistenza
l'appello dei Vescovi cattolici perché in Asia si annunci un
cristianesimo che sia più una "via" verso la vita che non
l'esposizione di una verità. Il maestro orientale sembra dire: "Io
ho fatto così, se vuoi seguimi", anziché "si deve
credere questo e fare così". L'accesso alla religione è
progressivo e accompagnato.
Il cristianesimo,
secondo i Vescovi che sono intervenuti, deve trovare un approccio
analogo, che non è rinuncia alla verità nella sua interezza, ma
introduzione progressiva e sperimentale ad essa, una pedagogia che tiene
conto anche di un certo diverso ordine d'importanza delle cose da
credere e da praticare. Occorrono apostoli che sappiano far percorrere
un cammino, che rispettino tempi e situazioni diverse delle persone.
I Vescovi parlavano di
un'esigenza dell'Asia, dando per scontato che per l'Occidente va bene un
approccio più intellettuale e catechetico. "Ma è proprio così?
- mi domandavo e mi domando - o non è forse l'accostarsi di molti
occidentali alle religioni orientali un segno che anche qui si cerca
un'evangelizzazione che parte dal cuore e dalla vita, dal rapporto
personale e dal rispetto della libertà?".
D'altra parte, la
prassi catecumenale dei primi secoli era simile a quanto sembra essere
esigenza di oggi: un'introduzione ad una vita nuova e ad una comunità,
più che un'esposizione dottrinale. Il Nuovo Catechismo degli Adulti
sembra richiedere gli stessi criteri, i quali però possono essere
applicati solo se c'è un notevole cambiamento di mentalità, se si
formano maestri e creano ambienti capaci di accompagnare questi cammini.
Ci sono, anche da noi,
ambienti che propongono tempi di preghiera, silenzio o servizi di carità
in maniera che definirei "de-strutturata", così da permettere
a chi li accosta di sperimentare, di percorrere comunque un pezzo di
strada. Forse ne occorrono molti di più.
Ricordo un bel libro
pubblicato anni fa da un missionario francese in Taiwan intitolato
"La profondeur de Dieu" di Yves Raguin. Stimolato dal
contatto con il Buddismo, l'Autore proponeva di fare esperienza di Dio
anzitutto in se stesso, nella profondità della propria esistenza
personale. Dopo di lui molti altri hanno ripreso e stanno riprendendo
questo modo di accostarsi al Dio di Gesù Cristo, tuttavia resta
dominante nella percezione cristiana l'idea di Dio come esterno a me,
spesso è ancora visto soprattutto come un Giudice, un controllore che
dall'alto verifica i comportamenti morali dell'uomo.
L'argomento andrebbe
molto approfondito.
La fede cristiana,
vicinissima alle fedi ebraica e islamica, crede nella "alterità"
di Dio, lo invoca come "Padre che sei nei cieli".
D'altra parte, essa
presenta anche i temi affascinanti dell'unità profonda che - in Cristo
- ci rende partecipi della vita trinitaria. Ci chiede di uscire per
incontrare l'Altro, ma ci dice che questo Altro è "più intimo
a me di me stesso" (S. Agostino). Non è forse S. Paolo a
scrivere che la preghiera è il grido dello Spirito dentro di noi? A
presentarci la vita di fede come una fusione sempre più intima tra il
nostro spirito e lo Spirito di Cristo?
Un Dio interiore
all'uomo non è affatto estraneo alla tradizione dei mistici cristiani,
come non lo è nemmeno a molte esperienze di religiosità semplice,
popolare.
Il cristianesimo
compone trascendenza e immanenza di Dio proprio nei suoi due misteri
fondamentali: la Trinità e l'Incarnazione. Accolto nella sua
completezza supera il rischio di sottolineare solo un aspetto,
l'inaccessibilità di Dio o la sua confusione con il mondo e l'uomo,
oppure la divinizzazione dell'io quando, rientrando in se stessi, non
s'incontrasse altro che se stessi nella propria impermanenza avvolta dal
buio fitto e silenzioso del nulla.
Sembrano discorsi da
specialisti in teologia o in mistica, invece possono essere vissuti e di
fatto lo sono dal credente più semplice che accoglie il Vangelo con
tutta la concretezza umana di Gesù che prende in braccio i bambini,
piange per la morte di un amico, viene tentato dal demonio… eppure si
proclama "Io sono".
Il Buddismo giunge su
una soglia (o forse varca un confine) dove nulla e tutto sembrano avere
lo stesso nome, dove l'io si ritrova completamente perdendosi.
Se è vero che il
Vangelo ci insegna, e lo Spirito ci ispira a chiamare Dio con il nome
familiare di Padre, è anche vero che noi siamo chiamati ad avere un
profondo rispetto di Colui che nessuno ha mai visto.
Lo smarrimento del
credente di fronte alla maestà di Dio, al suo silenzio, lo stare a
bocca chiusa davanti al suo mistero non sono esperienze estranee al
cristianesimo!
Ci sono nomi diversi,
certo anche contenuti diversi, ma risonanze simili, che possono
permettere almeno in una certa misura di comprendere l'esperienza
religiosa dell'altro e di apprezzarla.
Credere in Cristo e
fare di lui il solo Maestro non significa negare automaticamente tutto
quanto altri insegnano. Ci sono Buddisti convertiti al Cristianesimo che
vedono la loro adesione a Cristo come il compimento pieno di ciò che
cercavano e a cui non rinunciano.
Cristo è Unico perché
solo lui è salvezza, solo Lui è maestro nel senso che è criterio per
ogni altra realtà. Tuttavia altre realtà esistono e hanno valore, come
i santi che vanno imitati e venerati in riferimento a Cristo, ma non
annullati o negati.
Cristo è
discriminante, specialmente con la sua croce che era ed è tuttora
scandalo e follia.
Non può non esserlo,
però stiamo attenti che non diventi banalità o caricatura, come spesso
avviene. In molti di quei cristiani "vaccinati" contro il
cristianesimo di cui parlavo ci sono immagini e idee che identificano la
vita cristiana solo con l'idea di sacrificio, disciplina, sofferenza. La
croce per loro non è l'incredibile amore di Dio che si carica delle
nostre pene per liberarcene, e che ci attira proprio perché così
carica di amore e di speranza, ma è il castigo di un Dio terribile e
incomprensibile.
Non possiamo
dimenticare l'invito a "prendere la croce" per seguire
il Maestro. Né possiamo cercare una via che ci anestetizzi contro la
sofferenza e i turbamenti della vita. L'invio missionario di Gesù, come
le beatitudini, sono bellissimi ma carichi di dramma, il dramma del
rifiuto, delle lacrime, della persecuzione e della sconfitta.
Cristo porta la spada,
e la sua pace non è quella che dà il mondo. E' una pace che è dono
quando noi accettiamo di perdere la nostra vita nel suo nome piuttosto
che salvarla ad ogni costo.
Allo stesso tempo però
dobbiamo renderci conto che queste realtà possono diventare alienazione
se non sono capite nella loro profondità, se sono poste sulle spalle
senza che si insegni ad accostarci a Cristo "mite e umile di
cuore" per avere ristoro e conforto. La nostra morale e la
nostra dottrina appaiono a volte come un carico pesante, e la croce come
una sofferenza in più "inventata" da Dio per punirci.
La croce invece non è
condanna per chi non ce la fa, è salvezza anche per il ladro crocifisso
che nella vita ha sbagliato tutto e fallito. Essa non è proprietà dei
credenti o dei buoni, ma segno levato sulle nazioni, tutte, perché
tutte in qualche modo possano essere raggiunte dal torrente salvifico
del sangue di Cristo.
Presentiamola dunque
con coraggio, ma anche con estrema umiltà e concretezza.
Umiltà, perché non è
merito nostro e perché anche noi ne abbiamo paura, la fuggiamo tanto
spesso. Concretezza, perché essa è la dolente "lettura"
della realtà umana. Cristo innalzato sulla Croce raccoglie in sé la
sofferenza del mondo, ci ricorda che questa è la sorte di ogni essere
vivente a causa della sua condizione mortale e di peccato, del suo
egoismo, dell'avarizia e della sete di potere. "Cristo non è
salito sulla sua, ma sulla nostra croce" dice S. Ambrogio.
Allora diventa più
luminoso anche l'invito alla carità interiore e a quella attiva,
dinamica. Non è detto che la forma di "carità organizzata"
che caratterizza l'Occidente cristiano degli ultimi secoli sia l'unica né
la migliore, anche se ha indubbiamente un grande valore. Tuttavia
l'amore deve trovare forme per esprimersi, per essere concreto. Esso è
la lotta "contro" la croce, nel senso che accetta la croce per
combattere il male che corrode il mondo e che inchioda innumerevoli vite
su innumerevoli croci. Così ha fatto Gesù, che ha accettato la morte
per vincere la morte, non perché l'amava.
Il cristiano guarda con
rispetto alle vie che conducono a personalizzare la ricerca religiosa,
che guidano in un cammino di interiorizzazione, che cercano la pace e
l'equilibrio interiore ed esteriore - cose tutte che possono rendere
migliori. Non solo, ma ha tanto da imparare da queste vie. Prima di
tutto ritrovando nella propria tradizione dimensioni perdute o
trascurate eppure presenti e forti; e poi anche accogliendo metodi,
stimoli, richiami ed esperienze che sono compatibili con il Vangelo.
Stando attento a non
cadere nella presunzione di salvarsi con la propria scienza e con la
propria ascesi, pone su tutto la luce che la grazia gli dona. Luce di un
Dio misterioso e invisibile che si apre a noi e si comunica come fragile
bimbo, come appassionato predicatore del Padre, come Fratello che muore
per potere attirare e abbracciare tutti traendoli dalle profondità
oscure della sofferenza e del peccato che spesso appaiono invincibili.
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