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Padre Georges Cottier
(Ebraismo)
Sono qui per parlarvi
dell'Ebraismo, del popolo ebraico o ebreo, delle differenze fra le due
parole, e dei nuovi cristiani.
Il problema dei
rapporti fra il popolo ebreo e il giudaismo, ha conosciuto una svolta
decisiva col Vaticano II. Parlo si svolta, ma si potrebbe anche parlare
di inizio. La prima intenzione del documento (che è stato uno dei
documenti più travagliati del Concilio) era la condanna
dell'antisemitismo da parte della Chiesa, dopo il dramma terribile della
Shoà. Ma sono state tante resistenze e tante discussioni che hanno
portato a grandi modifiche del testo che è divenuto, malgrado le
intenzioni primarie, la dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con
le religioni non cristiane. Dico subito che, a mio avviso, questo
cambiamento è stato provvidenziale. Ma questo non significa che
l'intenzione iniziale sia stata tradita. Come sapete, "Nostra
Aetate" parla delle religioni e delle relazioni della Chiesa con le
religioni chiamate "non cristiane". Il Cap.4 tratta, a partire
dal Mistero della Chiesa, il legame che unisce spiritualmente il popolo
del Nuovo Testamento (Chiesa) con la discendenza di Abramo. Questo
capitolo 4° contiene gli elementi essenziali che ha la teologia
d'Israele. Ampliando il tema, il capitolo 5° afferma la fraternità
universale di tutti gli uomini e la loro uguaglianza. Quindi, condanna
ogni discriminazione. Dopo il Concilio le cose si sono sviluppate e
hanno veramente avuto inizio. E’ significativo che la Commissione
Religiosa per il Giudaismo sia stata affidata al Consiglio per l'unità
dei cristiani, non al Consiglio per le relazioni o per il dialogo con le
religioni; e questa differenza è molto significativa. Questa
Commissione ha pubblicato due documenti importanti: il primo del 1974 su
l'applicazione di "Nostra Aetate". Il secondo del 1985 sulla
presentazione corretta degli ebrei e del giudaismo nella predicazione e
nella catechesi. Il Santo Padre (penso che sarà uno dei contributi di
questo Pontificato fra i più significativi) ha fatto fare dei passi
avanti importantissimi in molti interventi, coi discorsi, con i gesti,
la visita alla Sinagoga di Roma, la preghiera al Muro del Pianto e
Gerusalemme. Ha avuto delle parole molto incisive sul tema delle nostre
relazioni con quelli che ha chiamato i nostri "fratelli
maggiori". Abbiamo organizzato con la Commissione teologico storica
del Grande Giubileo, un Simposio sulle radici del antigiudaismo in
ambiente cristiano. Era un discorso intraecclesiale, ed è stato
pubblicato da Ed. Vaticane, per chi volesse leggerlo. Questo Simposio è
stato un elemento di preparazione per la domanda di perdono del 12 marzo
dell’anno giubilare. Nel libro c’è una introduzione di padre Marcel
Du Bois, che vive da molti anni in Israele, e che segue molto
attentamente il problema.
Ma chi sono i nostri interlocutori?
Immagino che il problema sia lo stesso con tutte le religioni, ma con
l'ebraismo la questione deve essere molto sottolineata. Ho parlato del
popolo "ebraico" oppure "ebreo", e anche della
religione ebraica. La differenza deve essere fatta perché forse la
maggioranza, o almeno una grande percentuale di ebrei che vivono oggi
sono, come nel nostro Occidente, marcati dal secolarismo, hanno perso la
fede di patria: si sono "secolarizzati". E questo crea alcuni
probemi perché dato che la Bibbia per loro non ha più funzione di
riferimento religioso, cercano altri punti di riferimento e qualcuno ha
potuto fare a meno della religione prendendo come riferimento il Shoà,
come se il nodo centrale fosse questo terribile dramma del passato.
Quindi c'è un dialogo, ma un dialogo dove gli elementi religiosi sono
pochissimi, per lo più sul livello di coscienza storica davanti ai
drammi storici ed eventuali responsabilità dei cristiani.
L'antigiudaismo è in opposizione alla religione ebraica, ma in molte
popolazioni cristiane ha molto indebolito la resistenza cristiana
davanti l'antisemitismo moderno di radici pagane (Hitler, il nazismo e
la religione pagana sono anticristiane). Ma perché occuparsi anche dei
primi non credenti? Perché non trattarli come tutti i non credenti? Perché
appartengono al popolo ebraico. E questo popolo è il popolo dei nostri
antenati spirituali, dei nostri fratelli maggiori, e lo rimangono anche
quando non hanno più fede. Ma quello che ci interessa, e dovrebbe
interessarci di più, è il contatto, il dialogo con il giudaismo. La
prima osservazione da fare è che ci sono molte correnti del giudaismo,
non è una realtà omogenea: e qualche volta il fatto di parlare al
"gruppo", si chiude la porta al "singolo" da parte
nostra che dobbiamo ricercare il dialogo con tutti. Ma alcuni sono più
vicini, altri più lontani, alcuni rifiutano il dialogo. La pluralità
delle posizioni è il primo fatto fa affrontare. Il secondo è che
quando si tratta della realtà sia del popolo ebraico, sia del giudaismo
c'è un legame molto profondo, radicale fra tre realtà: il popolo e la
religione. La religione ebraica non si capisce senza il popolo
ebraico e la sua storia. Questo popolo e questa religione sono
poi attaccati ad una terra, la Terra Santa. Noi cristiani abbiamo
devozione per una "terra di Gesù", ma non abbiamo una
"terra cristiana". La Terra Santa per loro è veramente un
centro religioso, un punto di partenza. A questo si sovrappone la
creazione dello Stato di Israele. Il mondo ebraico è formato da una
grande parte che è secolarizzata, ma quello che ci interessa sono i
religiosi. Come ho detto i religiosi sono gli ebrei religiosi, ma
religiosi che vivono della religione ebraica. Si dividono in molte
correnti che dipendono della loro storia, origine. C'è tutta una gamma
di situazioni molto differenziata: abbiamo dei fatti nuovi (ad esempio
ho incontrato dei cattolici che si chiamano "ebrei cattolici",
che desiderano che la loro origine, la loro stirpe ebraica non sia
dimenticata). Come? E' un problema che teologicamente dobbiamo
affrontare. Abbiamo anche i "messianici", un movimento che si
sviluppa negli Stati Uniti e che è anche presente in Israele. Sono
ebrei che riconoscono Gesù come Messia, per alcuni di loro il Messia è
anche figlio di Dio, ma si considerano non convertiti al cristianesimo:
"siamo ebrei e abbiamo trovato il nostro Messia". E perché il
contatto è tanto difficile con i cristiani? Perché hanno la memoria di
tante persecuzioni, tante sofferenze. Mi ricordo l'incontro con un
giovane in Israele, che veniva dall’America, dagli Stati Uniti. Mi
raccontò che suo padre trascorse la guerra nascosto, senza sostegno
alcuno. Insegnò al figlio a fare un giro largo quando vedeva una chiesa
cristiana, non doveva passarci davanti. Questo giovane io l'ho
incontrato al monastero dei cattolici: aveva fatto un cammino
straordinario per arrivare a superare la "repulsione" ai
cattolici che gli era stata insegnata. Ne dobbiamo tenere conto, perché
il loro non è un pregiudizio, ma la traduzione in fatti della
tristissima persecuzione che hanno subìto. Il dialogo con gli ebrei
deve essere molto personalizzato. La cosa che mi colpisce di più è l’inquietudine
della gente ebraica. Penso che Dio non li lasci mai tranquilli. Molti di
loro sono traumatizzati. Questo giovane di cui dicevo prima, mi
raccontò che i suoi nonni, che vivevano in Germania, fuggirono in
Belgio; ma quando Hitler iniziò le sue rappresaglie, vennero in
Svizzera (io sono Svizzero), e sappiamo che la Svizzera non è stata
proprio "edificante" nei suoi atteggiamenti: il Governo chiuse
le frontiere al flusso di immigrati. Così, la Gestapo li arrestò, e
morirono ad Auschwitz. Molti ebrei hanno lo stesso tipo di ferite,
dunque dobbiamo stare attenti a queste cose nell’avere un dialogo con
loro. La via primordiale del dialogo è, da parte nostra, la
preparazione e la conoscenza delle loro traduzioni, del loro modo di
interpretare la Bibbia. Ma la cosa principale è l’amicizia. Essa apre
molte porte nei cuori, a partire dal nostro.
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