XLVIII Assemblea Nazionale
USMI
Roma 19-21 aprile 2001
LE RELIGIOSE IN UN MONDO DALLE MOLTE
RELIGIONI
(Sr. Teresa Simionato
Presidente Usmi Nazionale)
PREMESSA
1. UNO SGUARDO AL
CONSTESTO SOCIO-RELIGIOSO ITALIANO
1. 1 Fenomeni che stanno
cambiando il volto dell’Italia
1. 2 Mosaico di culture e
di religioni nelle nostre città
1. 3 Dalla tolleranza
alla cultura del riconoscimento
2. LE RELIGIOSE IN
DIALOGO INTERRELIGIOSO
2.1 Fondamenti
biblico-teologici essenziali
2. 2 Caratteristiche del
dialogo interreligioso
2. 3 Comunità
religiosa luogo e segno di "dialogo di vita"
3. LE RELIGIOSE IN
CONTESTI PLURIRELIGIOSI
3. 1 Essenzializzare la
nostra presenza
3. 2 Dialogare con la
vita: liberare l’amore che vince la paura e il
pregiudizio
3. 3 Conoscere le diverse
culture e religioni
3. 4 Diffondere la cultura
dell’amore
4. A PICCOLI PASSI
LE RELIGIOSE IN UN MONDO DALLE MOLTE
RELIGIONI
madre Teresa Simionato
PREMESSA
La scelta del tema
Il tema del "dialogo
interreligioso" era stato annunciato al termine dell’Assemblea
Nazionale dello scorso anno. Non si sapeva, allora, del-l’imminente
pubblicazione della Dichiarazione Dominus Jesus, emanata dalla
Congregazione per la Dottrina della Fede, ma forse se ne avvertivano le
premesse.
L’argomento, già importante in se
stesso, si impone ancor più per l’accele-razione dei mutamenti
socio-religiosi che si stanno verificando nel nostro Paese.
Di fronte ad essi ci sentiamo
fortemente provocate, interpellate, ... sollecitate dallo Spirito a
cogliere, in questo tratto di cammino dell’umanità, i
"segni del Verbo"; a vincere la tentazione, forse
inconscia, ma sempre presente di rinchiuderci nelle nostre sicurezze,
rimanendo così ai margini di quella profezia, che è l’essenza
della vita religiosa.
Da alcuni mesi, come Usmi, stiamo
riflettendo su tale tema per entrare in questa delicata realtà non come
tecnici o specialisti del dibattito teologico o sociologico, non ne
abbiamo la competenza specifica, né corrisponde al nostro compito
primario, ma ponendo attenzione a quel "dialogo di vita",
indicatoci dal Papa, quale impegno che scaturisce dalla carità della
verità e dalla condivisione della vita altrui
In continuità con le precedenti
Assemblee
La formulazione del tema "Le
religiose in un mondo dalle molte religioni" puntualizza sia la
continuità di un cammino particolare, sia un "passo oltre
".
Continuità nel riproporre
la Vita religiosa (le religiose) come soggetto della propria storia, nel
sollecitarci mutuamente a essere sempre più soggetto nella storia
della Chiesa e a ritessere con la grazia dello Spirito una vita
interiore più solida, più teologale.
I contenuti delle Assemblee di questi
ultimi anni, letti nella loro succes-sione, richiamano la profondità e
l’espansione dell’itinerario spirituale che ca-ratterizza la vita
religiosa:
la contemplazione:
"Rivolti al Padre per amare
il mondo. La vita religiosa femminile verso nuove solidarietà (1999);
l’esperienza:
"Quello che abbiamo visto e
udito.. noi lo annunciamo anche a voi. Qualità e futuro della vita
religiosa." (2000);
la testimonianza:
" Le religiose in un mondo
dalle molte religioni"(2001).
Un passo oltre
Di fronte ai processi e ai fenomeni
che stanno cambiando il volto del nostro Paese, non possiamo restare
semplici spettatrici.
Religioni e culture diverse si
incrociano nella vita di tutti i giorni, nel territorio in cui siamo
inserite, a scuola, negli ospedali, in fabbrica, nei convegni
interna-zionali… Abbastanza di frequente, e a livelli diversi, gli
studiosi si ritrovano per trattare argomenti religiosi e non sono pochi
i capi di religioni non cristiane che si recano in visita dal Papa. Non
bastano tuttavia le occasioni ufficiali e solenni per realizzare il
dialogo tra le diverse religioni; esso domanda un "incontro tra
persone", calato nel quotidiano.
Proprio a questo livello - quello
dell’incontro tra persone - di diversa estrazione culturale e
religiosa, si inserisce il nostro impegno di donne consacrate,
poiché Colui che ci ha scelte nell’amore ci chiama all’universalità
dell’amore.
1. UNO SGUARDO AL CONTESTO
SOCIO-RELIGIOSO ITALIANO
1. 1 Alcuni fenomeni
stanno cambiando il volto dell’Italia
Forse solo in questi ultimi tempi
stiamo prendendo una più profonda coscienza, del diffuso pluralismo
religioso che si sta verificando in Italia, conseguenza sia del forte
cambiamento culturale, sia di un’immigrazione sempre più massiccia da
Paesi non cristiani.
Siamo immersi in alcuni processi per
molti aspetti irreversibili, quali la globalizzazione, la mobilità
etnica, la crisi delle vie tradizionali di trasmissione della fede
(famiglia parrocchia). Ad essi si aggiungono l’invecchiamento della
popolazione del Paese e il conseguente bisogno di nuova forza lavoro.
Anche in ambito ecclesiale si guarda
con attenzione al fenomeno del pluralismo religioso; fenomeno
ambivalente che, se non bene orientato, può causare l’indebolimento
dell’identità culturale del singolo e della collettività,
incentivare posizioni fondamentaliste o di indifferenza, ingenerare tra
la gente atteggiamenti di difesa o di paura. Il problema diventa più
rilevante, quando affiorano anche alcuni nodi legati alla vita concreta:
presenze plurietniche e religiose nelle scuole, matrimoni misti, e altri
aspetti legati alla ferialità, quali: orari di lavoro, tradizioni,
cibi, ... .
E’ certo comunque che il passaggio
"dalla religione degli italiani all’Italia delle
religioni" non sarà indolore per nessuno. Potrà significare
anche una grande rottura culturale, con inevitabili riflessi nel sociale1.
1. 2 Un mosaico di culture e di
religioni nelle nostre città
La realtà del pluralismo
etnico-culturale-religioso è sempre più visibile e ‘connotata’
nelle nostre città, alcune delle quali sono divenute un vero mosaico di
culture e di religioni. Tale fenomeno ci avvicina alla maggior parte dei
Paesi Europei, storicamente segnati dalla convivenza di comunità di
fedi differenti.
Negli ultimi trent’anni sono giunti
nell’Europa occidentale sette-otto milioni di persone originarie da
Paesi musulmani; gli stessi buddisti anche se non confrontabili
numericamente sono di fatto in crescita: si parla, di circa cen-tomila
presenze2.
Secondo il Dossier Caritas 2000,
presentato al Seminario di Studio della Fondazione Migrantes, l’Italia
(dopo la Germania, Francia, Gran Bretagna) è oggi il quarto Paese dell’Unione
Europea per il numero di immigrati; in dieci anni la quota si è
raddoppiata e corrisponde al 2,5% dei residenti. Riguardo alla
provenienza, troviamo, al primo posto, i marocchini, ma in termini di
per-centuali sono in continuo aumento le immigrazioni dall’Est europeo
(soprattutto Albania, Yugoslavia e Romania), dalla Cina e dalla Nigeria.
Questo avrà una forte incidenza sulle
realtà istituzionali civili ed ecclesiali e sulla nostra cultura
occidentale.
1. 3 Dalla tolleranza alla cultura del
riconoscimento
Particolarmente eloquente e
incoraggiante è l’iniziativa della chiesa ambrosiana: in
collaborazione con i Frati minori e la Comunità di S. Egidio, essa ha
proposto ai leader ebrei, musulmani e buddisti delle Organizzazioni
religiose presenti a Milano di iniziare un cammino di dialogo e di
collaborazione.
All’inizio di questo cammino il
Cardinal Martini ha rivolto ai cittadini, alle istituzioni, alle
comunità etniche ed ecclesiali, ai gruppi sociali un appello firmato da
tutti i rappresentanti delle diverse religioni presenti sul territorio:
"alla città di Milano, crocevia di culture e tradizioni diverse,
ma soprattutto luogo di persone di ogni dove, affinché voglia essere
pienamente partecipe dell’impegno a garantire vivibilità, accoglienza
e pace"3.
L’accoglienza degli stranieri non è
semplicemente un’azione di contenimento
a livello sociale; essa può diventare
una forza trasformatrice a livello umano e spirituale.
"Chiunque accoglie subisce un
certo passaggio, una maturazione. E chi viene accolto non è nella
condizione di prima. Qualcosa accade, e ciò che accade è la verità
dell’uomo che si realizza, la verità dell’uomo fatto ad immagine
della Trinità e che vive se stessa in pienezza se si fa partecipe nelle
relazioni"4.
L’accoglienza rispettosa e attenta
nei confronti dell’altro, del "diverso" è il primo passo
per promuovere la cultura del riconoscimento, nei nostri
ambien-ti. Non di rado le singole culture sono tentate di assolutizzare
i propri valori, correndo il rischio di chiudersi, fossilizzarsi, di
ritenersi compiute in se stesse e considerando l’altro, di cultura
diversa, come una minaccia o un concor-rente, da tenere sotto controllo.
Al contrario, la vera cultura, è
fondata sulla condivisione e sulla comu-nicazione; potremmo dire che ha
in se stessa una dimensione profondamente spirituale. Pertanto, una
persona che vuole rimanere culturalmente viva deve coltivare in sé l’atteggiamento
spirituale del riconoscimento dell’altro.
La persona spirituale instaura verso
gli altri lo stesso atteggiamento di attenzione interiore che ha verso
lo Spirito Santo.
Il cuore della cultura si rivela
attraverso questo atteggiamento religioso che, attingendo alla forza
dell’amore che sgorga dal "centro", muove la persona a
comunicare5.
2. LE RELIGIOSE IN DIALOGO INTERRELIGIOSO
2. 1 Alcuni fondamenti
biblico-teologici essenziali
Possiamo introdurci nella riflessione
sul dialogo interreligioso come "dialogo di vita",
rievocando la risposta che Madre Teresa di Calcutta diede a chi le
chiedeva come si ponesse di fronte alle altre religioni: "Amo tutte
le religioni, ma sono innamorata della mia".
In questa risposta sono evidenti due
atteggiamenti di Madre Teresa: l’amore per ogni persona più che per
la religione professata, e il suo essere inna-morata del Signore Gesù.
La persona è al di sopra della sua
religione e va accolta come tale.
Accoglienza e ospitalità, sono i
termini biblici più ricorrenti, a riguardo dei ‘popoli’ e al ‘forestiero’.
"Non dimenticate l’ospitalità;
alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo" (Eb
13,2).
E’ chiaro il
riferimento ad Abramo che invita i "tre uomini" a sostare
presso di lui (Gn 18,1-15).
"Quando un
forestiero dimorerà presso di voi nel vostro paese, non gli farete
torto. Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è
nato fra di voi; tu l’amerai come tu stesso perché anche voi siete
stati forestieri nel paese d’Egitto. Io sono il Signore vostro
Dio." (Lv 19, 33-34)
"Quando mieterete la
messe della vostra terra, non mieterete fino al margine del campo e non
raccoglierai ciò che resta da spigolare del tuo raccolto; lo lascerai
per il povero e per il forestiero. Io sono il Signore vostro Dio"
(Lv
23, 22).
Questo ultimo brano ci richiama la
figura di Rut, la moabita. Dopo la morte del marito ebreo che, a causa
della carestia era emigrato nella campagna di Moab, pur se esortata
dalla suocera a rimanere nella sua terra e presso le sue divinità,
insiste per andare nel paese del marito, cioè a Betlemme. Splendide le
sue parole a Noemi che la spingeva a tornare nella casa della madre:
"Non insistere con me perché ti abbandoni e torni indietro senza
di te; perché dove andrai tu andrò anch’io; dove ti fermerai tu mi
fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio
Dio" (Rut 1, 16). Rut, dunque accompagna Noemi a Betlemme, dove
diventerà la moglie di Booz, dalla cui stirpe nascerà Davide e poi
Gesù.
" La storia della salvezza ha
conosciuto imprevedibili e misteriose integrazioni di popoli, di culture
e razze. Anche per l’avvenire vogliamo restare aperti a quel piano di
Dio "la cui provvidenza, testimonianza di bontà e disegno di
salvezza si estendono a tutti, ..."6.
Per quanto ci riguarda da vicino,
il cristianesimo non è una "religione" che implica
semplicemente delle idee sulla Divinità, stabilisce una
regolamen-tazione del culto, propone una legge morale; primariamente il
cristianesimo - esso solo - è una Persona che si può accogliere o
rifiutare.
Uno dei primi discepoli di Gesù così
scriveva a una comunità di ebrei convertiti:
"Dio che aveva già
parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per
mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per
mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo
del quale ha fatto anche il mondo"
(Ebrei 1, 1-2)
La fede cristiana
è un arrendersi a questo evento che salva, un lasciarsi convertire e
rigenerare da ciò che è avvenuto e che ci ha raggiunto.
L’esperienza che noi abbiamo di Dio
è la "salvezza"; professare questo
credo non ci contrappone al fratello di fede diversa, poiché
professiamo l’amore che Dio ha per tutti gli uomini.
Il legame tra l’uomo e Dio è l’amore.
"...che è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito
Santo che ci è stato dato." (Rm 5, 5)
Il Dio che noi conosciamo è il Dio
grande nell’amore, che liberamente aderisce a noi e non ci costringe a
rispondere a questo suo dono; e tale esperienza ci rende liberi verso
gli altri.
Quando l’amore e la verità
combaciano non c’è il rischio dell’ideologia. Essa nasce quando
separiamo la verità dall’amore, quando proponiamo questa verità
non come strada di una libera adesione, così come noi stessi abbiamo
sperimentato, ma come un’imposizione.
Quello che rende possibile il dialogo
è la disposizione a cercare Dio e l’uomo, prima che confrontare il
nostro concetto di religione.
Si verifica, infatti, il caso che
alcune questioni di carattere morale, sociale e politico, sulle quali
talvolta si scontrano persone di religioni diverse, prendendo
ispirazione dalla propria religione e dal proprio credo, trovano nel
servizio alla vita l’unica possibilità di incontro e di convergenza.
Ciò non significa, per noi, adombrare
la realtà di Cristo, come unica via di salvezza;
per questo il dialogo non esclude la missionarietà.
La forza di questa verità non sta nel
dimostrare a priori la superiorità del cristianesimo, - la verità come
tale è sempre "superiore" -, ma ciò che svela la verità di
Cristo nella sua essenza è che essa è sempre "servizio all’uomo";
è la verità di Colui che dà la vita per gli uomini, per farli entrare
definitivamente nell’amore di Dio7.
La grazia di Dio agisce anche nei non
credenti. Fra loro, infatti, si trovano molti spiriti religiosi
paragonabili ai santi cristiani e molte persone in sincera ricerca di
Dio.
Non è la nostra eloquenza che tocca i
cuori, ma il Paraclito.
Per essere fedele al "senso della
Chiesa", il dialogo interreligioso, richiede l’umiltà di
Cristo e la trasparenza dello Spirito Santo8.
2. 2 Alcune caratteristiche del
dialogo interreligioso
Il cammino ecclesiale di questi anni
ha evidenziato diverse modalità di dialogo.
Colui che segue Cristo, in forza della
sua vocazione umana e cristiana, è chiamato a vivere il dialogo nella
vita quotidiana, sia che si trovi in situazione di maggioranza, sia che
sperimenti una condizione di minoranza.
Si tratta di infondere il sapore
evangelico in ogni ambiente in cui si vive e opera: quello familiare,
sociale, educativo, artistico, economico, politico, ecc.., promuovendo
un vero dialogo di vita.
Un ulteriore aspetto, a questo
proposito, riguarda il dialogo delle opere e la collaborazione
attorno a obiettivi di carattere umanitario, che tendono alla promozione
dell’uomo.
Molto seguito e di particolare
interesse è il dialogo interreligioso a livello di esperti;
esso è necessario sia per confrontare, approfondire e arricchire i
rispettivi patrimoni religiosi, sia per applicarne le risorse ai
problemi che si pongono all’umanità nel corso della sua storia9.
Costruttivo, ma ancora riservato più
alle sedi accademiche che a luoghi di vita, è il dialogo dottrinale.
Impegnarsi a comprendere meglio la dottrina di una religione diversa
dalla propria, senza che vi sia un indebolimento dell’adesione ai
principi della propria religione, è un compito arduo10.
Da parte sua, la vita religiosa ha in
se stessa delle componenti spirituali e ascetiche che possono introdurre
e abilitare al dialogo con persone di diverse religioni. Il suo
approccio, infatti, non è fondato sulla dialettica, ma sulla relazione
interpersonale e fraterna.
2. 3 La comunità religiosa, luogo e
segno di "dialogo di vita"
Sempre in ordine al dialogo
interreligioso, il segno della "vita fraterna in comunità",
è di notevole importanza e significato: esso rivela l’origine divina
del messaggio cristiano e possiede la forza di aprire i cuori alla fede.
Per questo "la fecondità della vita religiosa dipende dalla
qualità della vita fraterna in comune".
Vivere la propria consacrazione
"nella vita fraterna in comunità", implica considerare e
scegliere l’altro come mediazione "sacramentale" del
progetto di Dio nella mia vita.
La vita in comunità è una scelta
determinante l’opzione di vita di una persona. Per una religiosa, è
un luogo di missione per eccellenza; infatti, disporsi a vivere in
comunità, accettare di non scegliere coloro con cui vivere, il posto in
cui operare, è aprirsi all’esperienza evangelica del Signore Gesù,
che è venuto per tutti, ha accolto tutti coloro che si rivolgevano a
Lui, ha cercato coloro che non si ritenevano degni della Sua vicinanza.
Questi aspetti che non sempre appaiono
in una vita fraterna, ma che comunque la rendono possibile, sono le
dimensioni che fanno di questa esperienza il luogo e il segno di un vero
"dialogo di vita".
"In mezzo alle
diverse società del nostro pianeta, percorse da passioni e da interessi
contrastanti che le dividono, desiderose di unità ma incerte sulla via
da prendere, la presenza di comunità ove si incontrano come fratelli o
sorelle persone di differenti età, lingue e culture, e che rimangono
unite nonostante gli inevitabili conflitti e difficoltà che una vita in
comune comporta, è già un segno che attesta qualche cosa di più
elevato che fa guardare più in alto"11.
"La prima forma di
evangelizzazione nei confronti di fratelli e sorelle di altra religione
sarà la stessa testimonianza di una vita povera, umile e casta,
permeata di amore fraterno per tutti . Nel medesimo tempo, la libertà
di spirito che è propria della vita consacrata, favorirà quel
"dialogo di vita", in cui si attua un modello fondamen-tale di
missione e di annuncio del Vangelo di Cristo"12.
3. LE RELIGIOSE IN CONTESTI PLURIRELIGIOSI
3.1 Essenzializzare la nostra
presenza
Siamo chiamate a vivere, oggi, la
nostra identità e a compiere la missione in un contesto in cui il
pluralismo religioso è inevitabile. Questa realtà ci man-tiene in
situazione di confronto, riduce da parte nostra, posizioni di
esclusività o di supremazia, espresse a volte nell’organizzazione dei
nostri servizi, nell’imponenza di alcune strutture o nella
molteplicità delle opere.
I gruppi etnici che popolano le
nostre città, sono tra i nuovi areopaghi della missione della vita
religiosa; costituiscono spazi di vita da accostare, con attenzione e
discreta carità, per impedire che si instauri da ambo le parti
la cultura del ghetto.
Cambia il volto dei nostri paesi e
delle nostre città..., e questo obbliga noi religiose a mutare la
logica dei nostri servizi, a ripensare la nostra presenza e il rapporto
con l’ambiente in cui siamo inserite.
E’ un cambiamento che interrompe una
certa routine e urta contro lo stile del bene-stare. Siamo provocate a
non lasciare soli questi nuovi fratelli, a stare al loro passo, a
metterci accanto perché, in un ambiente ancora loro estraneo, possano
"riconoscersi" a motivo di quella lingua universale che è l’amore.
Siamo chiamate a passare da una vita
consacrata che possiede la missione a una vita consacrata che la serve.
La santità di una vita radicalmente
donata, la comunicazione di una fede
che non si impone, ma si fa compagna
di strada, la maturazione dei carismi di tutti, perché ciascuno metta il suo
dono a servizio dell’unità: sono atteggiamenti di un lento ma reale
cammino che apre all’incontro e all’universalità.
In un Continente, come l’Europa,
segnato da una crescente povertà spirituale e da una religiosità debole, la
presenza di religioni che esprimono con fierezza la propria cultura
totalizzante e una forte identità personale e collet-tiva, diventa una
sfida storica che pone di fronte alla necessità di un ritorno più
genuino al centro della propria vita e della propria fede.
Anche noi religiose, dobbiamo imparare
a cogliere nel "diverso" che ci è prossimo, l’opera dello
Spirito Santo che tutto conduce verso l’accoglienza e la
riconciliazione; a riappropriarci della nostra fede e a
testimoniarla con quello zelo che deriva dalla forza di un Amore
conosciuto e sperimentato più che dal bisogno di aumentare le fila;
a cercare o creare occasioni di autentico incontro, anche per smentire
chi sostiene che la differenza di cultura e di religione è alla base di
conflitti e di guerre.
3. 2 Dialogare con la vita: liberare l’amore che
vince la paura e il pregiudizio
La realizzazione del dialogo
interreligioso suppone che esso sia veramente "religioso",
ossia dialogo tra persone e non tra sistemi di dottrine. La religione ci
mette dinanzi all’ "ineffabile mistero che circonda la nostra
esistenza, donde noi traiamo la nostra origine e verso cui
tendiamo"13 .
La consapevolezza di essere avvolti
dalla luce di una verità che è sempre più grande del cuore e della
mente può aiutare a rendere gli interlocutori del dialogo
interreligioso discreti e non pretenziosi, e a maturare l’intuizione
che non siamo noi a dover difendere la verità, ma la verità ci difende
e ci rende liberi14.
É facile, infatti, incorrere nel
rischio di sentirci proprietari della verità, al punto da percepire
coloro che non professano lo stesso nostro credo come persone che
possono defraudare o impoverire le nostre certezze.
E’ la spia di un desiderio più o
meno conscio di dominio, che può anche degenerare in un certo
fondamentalismo e nell’intolleranza.
Accanto ai rischi appena richiamati,
altri impedimenti ostacolano l’auten-ticità del dialogo: il
pregiudizio frutto di ignoranza, di una conoscenza insufficiente o
erronea circa le credenze e osservanze delle altre religioni; il sincretismo
che intacca e compromette l’identità delle singole religioni; lo spirito
polemico e l’approccio negativo nei confronti degli altri; le
idee sbaglia-te che ci possiamo fare circa la finalità e le
motivazioni delle stesso dialogo.
L’esperienza di sgomberare
pregiudizi e paure, liberarci e liberare da false immagini di Dio e
della religione, dalla prevaricazione e dal proselitismo, do- manda di
passare attraverso itinerari di sensibilizzazione e di formazione
per acquisire le disposizioni necessarie al dialogo, in particolare
quella trasparenza di vita, che viene dall’adesione a Dio, non a
partire da criteri personali, ma secondo il cammino della Chiesa. E’
questa la dimensione mistica dell’annuncio.
"Se
mi capitasse un giorno ( e potrebbe essere anche oggi) di essere vittima
del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che
vivono in Algeria mi piacerebbe che la mia comunità, la mia Chiesa, la
mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo
Paese" (dal
testamento del p. Christian de Chergé, priore del monastero di
Notre-Dame de l’Atlas-Tibhirine, 1 gennaio 1994).
3. 3 Conoscere le diverse culture e
religioni
La realizzazione di un vero dialogo
esige che ci sia qualcosa di proprio da comunicare e, nello stesso
tempo, si ritenga che anche gli altri abbiano qualcosa da insegnarci.
Tutti abbiamo da apprendere da un
" dialogo di vita".
Religiosi o laici, dediti a volte
affannosamente alle opere sociali, al lavoro… possono certamente
imparare qualcosa dallo spirito di preghiera dei monaci buddisti, come
pure dall’assenza di rispetto umano che si riscontra in molti
musulmani; altri, forse troppo individualisti, potrebbero prendere
esempio dalla solidarietà delle popolazioni animiste. Nessuno può
negare l’influsso positivo esercitato sui cristiani dalla dottrina
della non violenza di Gandhi, che pure era un indù.
Aprirsi all’altro e conoscere la sua
cultura e il suo credo è un impegno urgente. Si tratta di prendere
sempre più coscienza della necessità di investire, anche in
questo campo, nello studio e nella formazione personale e comunitaria;
di prendere coscienza dell’importanza del dialogo interreligioso in
vista del lavoro apostolico delle nostre comunità, in un prossimo
futuro.
Ciò significa intraprendere il
cammino indicatoci dal Papa Giovanni Paolo II nel documento Vita
consecrata e nel Messaggio di Pace del 1 gennaio 2001.
"Questi e altri
impegni delle persone consacrate a servizio del dialogo interreligioso
esigono un’adeguata preparazione nella formazione iniziale e nella
formazione permanente, come pure nello studio e nella ricerca, dal
momento che in questo non facile settore occorre profonda conoscenza del
cristianesimo e delle altre religioni, accompagnata da fede solida e da
maturità spirituale ed umana15
3. 4 Diffondere la cultura dell’amore
Lo Spirito Santo conferma il
nostro cuore che la strada dell’amore è la strada della vita.
Celebrare la testimonianza dell’amore
è costruire il volto di Cristo; infatti chi viene toccato dall’amore
riconoscerà il volto di un Dio che è Padre16.
Il dialogo tre le culture,
strumento privilegiato per costruire la civiltà dell’amore, poggia
sulla consapevolezza che vi sono valori comuni ad ogni cultura,
perché radicati nella natura stessa della persona. In tali valori l’umanità
esprime i suoi tratti più veri e qualificanti. Lasciando alle spalle riserve ideologiche ed egoismi di
parte, occorre coltivare negli animi la consapevolezza di questi
valori, per alimentare quell’humus culturale di natura universale che rende possibile lo
sviluppo fecondo di un dialogo costruttivo. Anche
le differenti religioni possono e devono portare un contributo decisivo
in questo senso17.
"Un ambito specifico
di collaborazione con uomini e donne di diversa tradizione religiosa è
costituito dalla comune sollecitudine per la vita umana, che va
dalla compassione per la sofferenza fisica e spirituale, all’impegno
per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato. In questi
settori saranno soprattutto gli Istituti di vita attiva a cercare l’intesa
con i membri di altre religioni, in quel "dialogo delle opere"
che prepara la via ad una condivisione più profonda.
Un campo particolare di
incontro operoso con persone di altre tradizioni religiose è pure
quello della ricerca e della promozione della dignità della donna,
Nell’ottica dell’uguaglianza e della giusta reciprocità tra uomo e
donna, un servizio prezioso può essere reso soprattutto dalle donne
consacrate"18.
La donna è presente nei movimenti di
risveglio dei popoli, quale soggetto di attiva collaborazione. La sua
attitudine alla relazione la rende particolarmente aperta all’altro e
all’accoglienza della diversità. L’approccio della sua sensibilità
tollerante, paziente, che valorizza il piccolo, la minoranza, giova a
superare con spirito di libertà pregiudizi e malintesi.
Nei paesi islamici è particolarmente
la donna ‘missionaria’ che riesce a intrecciare il dialogo
interculturale senza difficoltà.
Non è fuori luogo parlare in questo
contesto di dialogo interreligioso al "femminile".
La donna ha maturato, oggi, una più
forte coscienza di sé e dei suoi carismi. Ciò, da un lato, ha permesso
un ritorno alla fede con una modalità più approfondita e
personalizzata, dall’altro ha fatto sì che essa sia un punto di
riferimento per un dialogo pastorale più umile ed equilibrato.
Impegnarsi, al femminile, sulle
frontiere del dialogo con le religioni, significa in ultima analisi,
restituire il primato all’amore, all’attenzione e al servizio all’altro,
al riscatto della dignità della persona; valorizzare e promuovere la
comunione tra i singoli e tra i popoli al di là di ogni sistema e
ideologia.
Nel dialogo interreligioso siamo
chiamate a giocare in modo totale l’essere "religioso",
ossia la nostra identità chiaramente connotata dall’esperienza forte
di Dio e la capacità di irradiarla.
4. A PICCOLI PASSI
A piccoli passi abbiamo percorso le
strade del nostro Paese e sostato su alcuni problematiche.
In questo percorso mi si sono
ripresentate due immagini bibliche: i discepoli di Emmaus e la
Samaritana.
Di fronte all’estendersi del
pluralismo religioso nel nostro Paese, ci può sorprendere lo stato d’animo
dei discepoli di Emmaus. Non era quella la vittoria di Gesù, che si
aspettavano!
L’incontro di Gesù con la
Samaritana è veramente emblematico per un "dialogo di vita",
per accogliere e dialogare con tanti nostri fratelli di fede diversa.
Dobbiamo abituarci a leggere i segni
nuovi della storia per poter dialogare con l’uomo d’oggi.
Percorriamo anche noi come i discepoli
di Emmaus la strada di ritorno a Gerusalemme.
E’ importante per noi religiose
rivisitare la nostra fede, superare l’atteggia-mento di tolleranza,
vivere l’accoglienza biblica, conoscere in modo appro-fondito
le altre religioni, instaurare un clima di dialogo che promuova l’amici-zia,
il rispetto e la collaborazione tra appartenenti a religioni diverse, in
spirito di umiltà e con uno sguardo soprannaturale:
"Né colui che pianta è qualche cosa, né colui che irriga, ma
solo Dio che fa crescere" (1Cor 3,7)
Questo è compito di ciascuna di noi,
di ogni Congregazione, ma sarà anche impegno dell’Usmi, sostenere
questi itinerari, attraverso qualche convegno di approfondimento sulle
"religioni" e continuando il cammino intrapreso per
qualificare la nostra vita consacrata con una solida spiritualità
teologale.
1
Cf P.
Naso, Il mosaico della fede, ed B & C, 2000, p.238 - 239.
2 Cf P. Naso, o. c.
, p.30.
3
Notiziario dell’Ufficio Nazionale Cooperazione missionaria tra le
Chiese, 13, febbraio 2001, pp.
50-55
4
M.J.
Rupnik, Cerco i miei fratelli, ed Lipa, p. 107
5
cf M. J.
Rupnik, Nel fuoco del roveto ardente, ed. Lipa, 1998, pp. 68 e
ss.
6 Cf C.M. Martini,
Sogno un’Europa dello Spirito, ed. Piemme, p. 199
7 Cf "Il cristianesimo e le religioni,
coll. Magistero, ed Paoline, n.104
8 Ib. n.116
9 Cf EV 9 /1015-1020
10 A.R. CROLLIUS, Dialogo interreligioso.
Distanze convergenti verso orizzonti infiniti. Dattiloscritto, marzo
2001
11
VFC n.
56
12 VC n. 102
13 NA 1
14
cf A.R.
Crollius, "Dialogo interreligioso. Distanze convergenti verso
orizzonti infiniti. Dattiloscritto, marzo 2001
15 VC 102
16
Cf
C.E.I. Evangelizzazione e testimonianza della carità. Orientamenti
Pastorali per gli anni 90., nn 9-11.
17
Messaggio di Giovanni Paolo II, nella giornata mondiale della pace,
2001, n. 16
18 VC 102
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