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Più
ci conosciamo in profondità e più ci diventa evidente la complessità
delle nostre distorsioni interiori. Più ci osserviamo con onestà e più
intricata ci appare la matassa emotiva delle nostre paure, delle nostre
ostilità, e dei nostri mascheramenti. Più acquistiamo un certo distacco
da noi stessi e dalle immagini di perfezione che ci illudiamo di
rivestire, e più vediamo con crescente chiarezza in quante occasioni e
quanto sottilmente noi non siamo autentici, né spontanei, ma agiamo e ci
rapportiamo agli altri in modo falso e forzato, ostile anche se magari
formalmente corretto, violando la nostra integrità e avvelenando il
nostro cuore.
Questo esercizio di
autoosservazione è la vera dinamo di ogni esperienza spirituale matura e
realmente efficace, tesa cioè a un processo di trasformazione delle
nostre profondità. Si tratta in sostanza di quel continuo esame di
coscienza, che oggi va rinnovato e approfondito, portando la luce della
consapevolezza ben al di là di tutto ciò che io posso immediatamente
sapere di me stesso. Anzi, è proprio questo nostro io ordinario, questo
modo di essere me stesso che finora ha dominato la mia vita, che adesso,
a ogni nuova ora della mia giornata terrena, debbo imparare a vedere
nelle sue più profonde e radicali distorsioni e, quindi, mettere in
crisi.
Se ogni giorno non
riconosco qualche nuovo tratto del mio abituale io distorto, se ogni
giorno non identifico sempre meglio le mie molteplici strategie di
attacco e di difesa, le mie chiusure interiori, le mie false
accondiscendenze e vere esclusioni e condanne, come potrà mai fiorire in
me la nuova figura di umanità che vuole appunto trans-figurarmi, e cioè
ridisegnarmi in bella?
La vera pace non sgorga
se non da questo reiterato confronto con tutte le forme di guerra che io
continuo a produrre, spesso senza nemmeno rendermene conto. La vera pace
è l’altro me che Dio sta estraendo dalle macerie di tutte le mie
menzogne.
Ecco perché Gesù
parlava della necessità, per entrare nel Regno di Dio, e quindi nella
pace come ordine delle cose e delle persone in comunione, di una vera e
propria rinascita “dall’alto”, di una ri-generazione a opera dello
Spirito; ma a volte sembra che abbiamo dimenticato la radicalità di
questo messaggio iniziatico, trasformando il mistero del (mio)
ricominciamento da Dio in una rappresentazione estrinseca, in un teatro
della rinascita sempre più insipido e, alla fine, del tutto
incomprensibile.
Dovremmo, viceversa,
riscoprire con forza e riannunciare con audacia che l’iniziazione
cristiana non consiste primariamente nell’indurre il nostro io ad azioni
più buone. Non si tratta cioè di un perfezionismo morale, spesso ancora
più deleterio e falsificante della nostra ordinaria follia, ma di
aprirci al miracolo della ri-generazione della nostra più profonda
identità. La conversione autentica opera, cioè, sulla nostra forma
mentis alla radice (meta-noia), dissolvendo progressivamente gli strati
di paura, di odio, e di ignoranza di cui il nostro io (o uomo vecchio) è
impastato.
Ma questa mirabile
operazione dello Spirito santo, che distrugge e ricrea la nostra
umanità, avviene e procede solo se noi vi collaboriamo liberamente e
consapevolmente. Noi siamo chiamati, perciò, ogni giorno a riconoscere,
alla luce dello Spirito, le forme radicatissime e molteplici del nostro
mentire, a identificarle con cura per disidentificarci dal loro
automatismo, affinché lo Spirito di Verità ci ispiri proprio lì la nuova
parola, il nuovo lineamento del nostro essere, la piccola o grande
risposta inedita e libera alle quotidiane provocazioni della vita.
Dio dissolve solo le
maschere che riconosciamo come tali.
Dio ci assolve soltanto
dei peccati che riusciamo a vedere.
Dio ci guarisce
soltanto delle malattie cui diamo il giusto nome.
Ecco perché è l’autoosservazione
alla luce dello Spirito il punto di partenza cui ritornare ogni giorno,
sempre più umili e poveri e felici. Santa Teresa scrive a tal proposito
nel Castello interiore: «È assai utile, – anzi, utile in modo assoluto –
che prima di volare alle altre mansioni, si entri in quelle del proprio
conoscimento, che sono le vie per andare a quelle (…). Ma credo che non
arriveremo mai a conoscerci, se insieme non procureremo di conoscere
Dio». Conoscere se stessi e conoscere Dio sono, infatti, lo stesso
itinerario di trasformazione in Dio, in quanto solo in Dio posso
conoscere sempre meglio chi io sono, e parimenti solo diventando ciò che
io sono, e cioè un figlio, una figlia, divino/a di Dio, io posso
divenire capace di conoscere Dio, divenendo simile a Lui (1Gv.3,2), come
precisa anche santa Caterina da Siena, quando, proprio all’inizio del
suo Dialogo dice che si voleva abituare «ad abitare nella cella del
conoscimento di sé, per meglio conoscere la bontà di Dio dentro se
stessa, poiché dal conoscere segue l’amore, e l’anima amante cerca di
progredire e di vestirsi della verità».
Dobbiamo infine
ricordare che l’autoconoscimento più profondo richiede paradossalmente
una grande accettazione di se stessi, un clima interiore di benevolenza
e di dolcezza estrema, di ascolto misericordioso e di accoglienza
materna. Dobbiamo imparare ad accogliere con amore le nostre parti
infantili, immature e ferite, piene di paura e di vergogna e di sensi di
colpa, altrimenti esse non si faranno mai vedere, continueranno a
nascondersi e noi continueremo a mascherarci di false virtù, sempre più
rigide e glaciali. Dobbiamo invece imparare ad amare veramente i tanti
peccatori in noi, le prostitute e i ladroni che abitano dentro di noi.
Solo così li potremo riconoscere senza paura come parti di noi da
affidare al Signore, che ama i peccatori, perdona i nostri malfattori
interiori, mangia con i nostri ladri e assassini, e guarisce tutte le
nostre lebbrose abbandonate.
Ecco perché l’autoconoscimento
richiede un cuore sempre più dilatato e materno, che solo un’intensa
pratica meditativa, alimentata dallo Spirito dolcissimo e tenerissimo
della Consolazione, può ogni giorno ricreare in noi.
Marco Guzzi
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