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La
comunità religiosa in parrocchia
Il
dibattito sulla comunicazione del Vangelo – in questa società che tende
a cambiare celermente – che nella Chiesa italiana si sta svolgendo a
vasto raggio in quest’ultimo periodo, sia a livello teologico sia a
livello pastorale pone, anzitutto, l’interrogativo sulla parrocchia e
sul suo futuro. Non ci si può certo esimere, in questa vivacità di
confronti e dibattiti, dal domandarci quale ruolo all’interno della vita
parrocchiale dovranno avere le religiose e come saranno chiamate a
svolgere il loro ministero nella vita della Chiesa del terzo millennio.
L’obiettivo da
raggiungere per la vita parrocchiale appare chiaro: formare cristiani
adulti nella fede, attraverso l’esperienza di itinerari di fede da
viversi in maniera comunitaria. In altri termini: «cristiani con fede
adulta, costantemente impegnati nella conversione, infiammati dalla
chiamata alla santità, capaci di testimoniare con assoluta dedizione,
con piena adesione e con grande umiltà e mitezza il Vangelo»1.
Per questo si sta
cercando di trovare per la parrocchia, nell’attuale situazione
socio-ecclesiale, un’evangelizzazione che persegua una proposta di
Chiesa in missione. Una pastorale missionaria richiede
un’evangelizzazione nuova, non attualizzando gli schemi evangelizzativi
delle terre in cui si sta proponendo il Vangelo, ma un’evangelizzazione
in cui la comunità parrocchiale cerca di incontrare gli uomini e le
donne nei luoghi non comunemente facenti parte dell’attuale azione
pastorale. In altri termini, bisogna superare la staticità di una
parrocchia chiusa in sacrestia, per diventare una comunità che incarna
il messaggio profetico di Gesù obbediente, povero e trasparente. La
parrocchia diventa comunità se è obbediente al territorio, alle sue
problematiche e raggiunge, soprattutto, quei nuclei familiari che
restano ai suoi margini; diventa povera se opta per gli ultimi e per gli
esclusi, tanto da entrare nella logica della con-divisione e
con-partecipazione da parte di tutti; è trasparente, se in essa si
coniuga la fede con la vita.
La parrocchia va in
missione?
L’annuncio del Vangelo
è la “vera” missione della Chiesa. «Predicando il Vangelo, la Chiesa
dispone gli uditori alla fede e alla confessione della fede, li prepara
al battesimo, li sottrae alla schiavitù dell’errore e li incorpora al
Cristo, perché mediante la carità abbiano a crescere in lui fino alla
pienezza. Con la sua attività fa sì che ogni germe di bene che si trova
nel cuore e nella mente degli uomini o nei riti e nelle culture proprie
dei popoli, non solo non vada perduto, ma sia purificato, elevato e
portato a compimento per la gloria di Dio»2.
Tuttavia, nella situazione attuale la parrocchia rischia di dimenticare
che il destinatario della missione è l’umanità strettamente legata alle
vicende del mondo. «La crisi oggi, prima che morale o dei valori, è
antropologica, riguarda l’uomo. L’uomo contemporaneo detto postmoderno,
coltiva e teorizza il pensiero debole: la verità oggettiva non c’è o non
è raggiungibile, ognuno ha la sua verità e con questa deve vivere e
agire»3.
La Chiesa tende a difendersi piuttosto che a proporre; ad attendere
piuttosto che ad essere in stato di missione e a rischiare
nell’evangelizzazione. Alcune situazioni appaiono comuni:
•
un laicato che rischia di scivolare nel clericalismo (dimenticando che
il suo ruolo e la sua santificazione passano per le realtà umane), tanto
da trovarsi di fronte a figure laicali che si limitano a semplici
attività di culto;
• una dicotomia con il mondo sociale,
culturale ed economico, soprattutto dovuta all’indifferenza religiosa
che attualmente si vive nelle famiglie4;
• una fede tutta concentrata sulla
sacramentalizzazione che non prevede itinerari di fede differenziati per
età, ma si limita a scadenze determinate, secondo modelli scolastici e
senza alcun rapporto con una pastorale delle famiglie;5
• una partecipazione delle religiose
viste con un ruolo di supplenza e non di parte integrante nella vita
quotidiana della parrocchia.
La
parrocchia, così com’è attualmente strutturata, è notevolmente distante
da una ipotesi di comunità in missione in cui emerga un lavoro sinergico
tra presbiteri, laici e religiosi/e. Appare in larga misura solo
un’agenzia di sacramenti in cui, alcuni più volenterosi, preparano agli
stessi. Al contrario, la parrocchia deve diventare una comunità di fede
per tutti i credenti. «La fede realizza una sempre più intensa
condivisione tra i credenti. Infatti è soltanto nella comunità – luogo
privilegiato di questa condivisione, spazio predisposto da Dio per la
salvezza – che la realtà del mondo può davvero venire trasformata e che
i rapporti sociali possono davvero essere cambiati. E’ dunque essenziale
per la fede cristiana che i singoli credenti non vivano isolati tra
loro, ma uniti a formare un corpo. Potranno così intrecciare tutte le
loro doti e possibilità, sottoporre nelle assemblee tutta la loro vita
al giudizio del regno di Dio già presente, lasciarsi donare l’unanimità
dell’agape. Allora la comunità sarà veramente il luogo in cui i
segni messianici, promessi al popolo di Dio, possono risplendere ed
esprimere la loro efficacia»6.
Infatti la parrocchia
deve sempre più assumere il ruolo di “Chiesa di frontiera”. Attraverso
di essa la gente accede alla fede e può fare l’esperienza della vita
comunitaria. Si tratta di fare un grosso passo: da una Chiesa di
massa ad una Chiesa di comunità. «La Chiesa di massa è
definita dalla rilevanza attribuita alle strutture e dall’attenzione a
quell’area costituita da coloro che in qualche modo si dicono credenti,
pur senza un sostanziale impegno con la vita ecclesiale. … La Chiesa
di comunità invece, si propone con note specifiche quali la libera
adesione nella decisione di fede e l’umanità, intesa come stile di
rapporti nel segno della fraternità, scevra da autoritarismi e aliena da
ogni struttura di dominio. Si propone perciò come luogo della libertà e
impegno di emancipazione, in una fondamentale apertura a tutte le
categorie di persone».7
Si tratta di trovare un nuovo modo di fare parrocchia, perché possa
diventare una comunità e deve essere inquadrata in una struttura diversa
da quella attuale, per collocarla a pieno titolo nella situazione della
società attuale. La parrocchia non si rinnova con gesti straordinari o
raduni assembleari, ma rivalutando la vita della comunità attraverso una
serie di itinerari di fede, che siano in grado di far superare la logica
dell’attuale sacramentalizzazione.
Gli itinerari di fede
possono essere il modo con cui fondare la missione della Chiesa nella
società attuale, sia attraverso una prima evangelizzazione, da
attuarsi come risposta a quell’indifferenza religiosa penetrata
metasticamente nelle famiglie, facendo si che spingessero la fede nella
sfera del privato e del soggettivismo religioso, sia per una
progettualità di nuova evangelizzazione, che sebbene,
attualmente, non trova dei veri e propri riscontri nell’azione
pastorale, tuttavia si propone di inserire più marcatamente la
parrocchia nel tessuto territoriale e nelle situazioni vitali di ogni
giorno8.
La parrocchia ha il compito di coniugare all’interno del territorio sia
la dimensione dell’evangelizzazione, sia la dimensione socio-culturale.
Tutto ciò non fa altro che ribadire come la parrocchia non debba più
essere né solamente una comunità di culto, né una super agenzia della
carità, poiché essa crea una serie di relazioni quotidiane per la sua
collocazione sia nel vicinato, sia per una serie di circostanze legate
alla comunicazione della fede, alla celebrazione dei sacramenti e alla
testimonianza della carità9.
Infatti, il ruolo della
parrocchia non è quello della semplice organizzazione dei “vicini”, ma
quello di raggiungere soprattutto i lontani, rivalutando la presenza
attiva di Gesù nella storia10.
Da una pastorale organica
a una pastorale d’insieme
La pastorale per la
Chiesa-comunità deve far sintesi tra la pastorale d’insieme e quella
organica. Poiché è immane ai nostri giorni il compito che è
chiamata ad assolvere, non può certo bastare la parrocchia da sola. Per
il rinnovamento delle parrocchie e per meglio assicurare la loro
efficacia operativa si potrebbe pensare di favorire anche forme
istituzionali di cooperazione tra le diverse parrocchie di un medesimo
territorio.
L’agire pastorale non
va inteso così in senso meccanico. Non riguarda solo il modo di
riprogrammare le strutture, ma richiede una testimonianza che le animi.
In tal modo è possibile tentare di superare il binomio Chiesa-mondo.
Attualmente è presente
nella Chiesa una confusione tra i compiti da svolgersi sul territorio e
quelli propriamente parrocchiali, che impediscono alla stessa parrocchia
di essere profeticamente al servizio della società.
Questo significa che è
necessario prospettare con chiarezza il ruolo della parrocchia
all’interno della realtà sociale, se si vuole frenare l’attuale
dispersione di energie e di impegni ecclesiali.
La pastorale d’insieme,
unita a quella organica, deve offrire sul territorio “itinerari
educativi” che aiutino a costruire opportune gerarchie nei bisogni
umani; provocare in ciascuno motivazioni, significati e valori perché la
parrocchia divenga protagonista nel rispondere ai propri e agli altrui
bisogni; produrre attraverso segni profetici evangelici la crescita del
senso di appartenenza alla comunità locale e, inoltre, elaborare
strategie organizzative in risposta a particolari problemi della persona
umana.
Perché si attui la
sintesi tra la pastorale organica e la pastorale d’insieme sul
territorio è fondamentale la comunione ecclesiale. Quest’ultima si
configura più precisamente come una comunione organica, analoga a quella
di un corpo vivo e operante. Essa è caratterizzata dalla competenza
della diversità e della complementarità delle vocazioni e delle
condizioni di vita, dei ministeri, dei carismi e delle responsabilità.
Una più dettagliata ricerca rivela la non auto-sufficienza di molte
comunità parrocchiali e l’esigenza che esse vivano di relazioni
intraecclesiali feconde. L’unità è espressione non di fissità e fedeltà
immobile, ma di dinamismo.
«Se è vero che la
Chiesa è una comunione santa di uomini peccatori [e donne peccatrici]
che tentano di vivere da fratelli [e sorelle] (e, quindi,
comunitariamente) riuscendoci sempre poco, allora la parrocchia deve
essere vista come una comunione trascendente (fondata sulla fede, sul
battesimo, su di un minimo di appartenenza al corpo di Cristo dei suoi
componenti), che si sforza – si deve sforzare – di diventare sempre più
comunità, anche socialmente percepibile. La vitalità e il pregio
di una parrocchia, delle sue domeniche, delle sue celebrazioni
eucaristiche saranno desumibili dall’ampiezza, dall’efficacia, dalla
generosità delle sue esperienze comunitarie»11.
Una proposta
Si tratta di una
proposta che trova fondamento nei documenti conciliari, per attuare un
modello di ecclesiologia di comunione della LG e in dialogo con il mondo
della GS, perché ci sia un’attuazione di una comunità parrocchiale12
di stile missionario13.
Non si tratta di “unità
pastorale”14,
quanto piuttosto di ripensare a una comunità parrocchiale in stato di
missione con queste caratterizzazioni:
-
unica (superando la frantumazione delle parrocchie);
-
incarnata nel territorio, anche se possono prevedersi più luoghi di
culto (ma non votata esclusivamente alla sacramentalizzazione);
-
organica, perché caratterizzata dalla valorizzazione dei capisaldi
della pastorale e dai diversi carismi degli uomini15.
Questa dimensione
pastorale, in cui la comunione è al centro di tutto, prevede un’unica
parrocchia dislocata sul territorio, con più luoghi di culto, e guidata
da un parroco in stretta collaborazione con altri sacerdoti, laici e
religiosi/e.
L’ideale sarebbe se un
sacerdote più giovane coordinasse il lavoro delle fasce di
pre-adolescenti, dei giovani e dei diversi settori di carità e un
sacerdote più anziano che aiutasse entrambi (parroco e viceparroco)
nell’esperienza e nella direzione spirituale.
Secondo tale progetto,
non ci sarebbe un aumento delle parrocchie, ma un lavoro diviso e
coordinato su un determinato territorio, senza cadere nel rischio di
impiantare movimenti che animino le supplenze sacerdotali.
In questo tipo di
pastorale (che coniuga quella organica a questa d’insieme) è importante
l’apporto che possono fornire “le comunità religiose” (maschili e
femminili) che hanno l’opportunità di valorizzare il proprio carisma. I
religiosi e le religiose, inserendosi in questa pastorale d’insieme,
possono vivere lo specifico della vita religiosa come un vero ministero,
rendendosi disponibili soprattutto verso i “più lontani” dalla comunità16.
Questo progetto è
realizzabile da parte di tutti coloro che non intendono puntare
esclusivamente sulla sacramentalizzazione, ma intendono far sintesi
nell’agire pastorale, sia attraverso il metodo biblico, sia attraverso
quello empirico-critico17.
Potrebbe essere
applicato sia in aree urbane ben definite, sia in grossi centri di
paese, sia in più paesi vicini tra loro, perché la parrocchia non sia un
contenitore dei gruppi, ma una comunità aperta a Dio sul territorio.
Una Chiesa ministeriale e
carismatica
La proposta di una
Chiesa-comunità parrocchiale diventa il campo reale dove le religiose
devono e possono inserirsi a pieno titolo, senza tradire i carismi dei
rispettivi fondatori o fondatrici. Superando il binomio gerarchia/popolo
e acquisendo quello di Chiesa/ministeri, si comprende come il ministero
femminile della religiosa nella vita parrocchiale va vissuto e
realizzato come un dono. Questo dono deve mirare a creare il senso della
fraternità dell’intera comunità parrocchiale e nello stesso tempo essere
una proposta alternativa. «Per le origini cristiane l’essere
alternativi al mondo non è frutto di orgoglio e di disprezzo, ma di
quella coscienza escatologica per la quale il popolo di Dio degli ultimi
tempi deve risplendere come l’Israele messianico, per attrarre a sé il
pellegrinaggio dei popoli»18.
La comunità
parrocchiale è ministra dell’uomo nelle diverse realtà. L’idea di
proporre esclusivamente il proprio carisma come modello di Chiesa è
diametralmente opposto alla linea conciliare. Il carisma diventa
l’espressione dell’agire in comunione con tutti i battezzati. «Il
messaggio e la testimonianza che la Chiesa è chiamata a dare al mondo
sono proprio quelli della comunione, della fraternità, della pace. E’
così che la Chiesa sarà segno sensibile e strumento efficace della
presenza e dell’azione redentrice di Cristo, che ha tanto amato dando
tutto se stesso e ha chiesto ai suoi discepoli di amarsi non solo
come se stessi, bensì come Lui ci ha amato, amando gli altri
più di noi stessi. Gesù ha così rivelato la vita intima di Dio,
che è Uno perché Trino: Tre Persone talmente donate l’una all’altra da
adorare come un solo Dio»19.
Le religiose sono
chiamate ad attuare nel territorio il proprio carisma interagendo con i
singoli battezzati per formare una Chiesa tutta ministeriale e
carismatica. Gli stessi carismi sono doni di Dio alla comunità. Vanno
riscoperti e riattualizzati continuamente attraverso le singole
peculiarità. La diversità dei carismi permette a ciascuno di dare vita a
una comunità più in stretta sintonia con le problematiche del territorio
e a ridonare profeticità al Vangelo. Si dovrebbe finalmente spostare
l’attenzione più decisamente sulla missione, sulla finalità della
Chiesa, per evidenziare il binomio incarnazione-trascendenza20.
Non è sufficiente essere presenti nelle diverse realtà, ma è urgente
fare della realtà il luogo dove realizzare il regno di Dio, affinché
ogni comunità parrocchiale diventi sintesi di tutte le forme di
realizzazione dell’ecclesialità. Nessuno nella comunità, e tantomeno le
religiose, è una classe “a parte”. Al contrario, nell’epoca dei
fondamentalismi, la comunione ecclesiale deve essere esempio concreto
della pastorale missionaria, oggi tanto invocata dai vescovi italiani21.
E’ necessario perciò
che ogni religiosa faccia emergere nella parrocchia tre elementi
indispensabili :
- la femminilità;
- la maternità;
- la dolcezza.
La femminilità è
indispensabile perché le religiose facciano emergere i tratti del loro
essere donne, soprattutto negli ambienti poveri, dove la pastorale
missionaria è di fondamentale urgenza. Le molte religiose che lavorano
nei quartieri periferici delle nostre metropoli sono chiamate a
progettare un’evangelizzazione concentrata sulla figura di Gesù. La
centralità di Gesù Cristo è fondamentale, perché una comunità realizzi
un itinerario di fede. Gesù è il Cristo, l’Unto, il mandato dal Padre
che per mezzo del suo cruento sacrificio si è donato completamente agli
uomini salvandoli indistintamente. La salvezza realizzata sulla croce,
che si perpetua come memoriale nell’Eucaristia, non è un dono concesso a
una “elite”, bensì è un dono per tutti. Dall’Eucaristia nasce la
missione, poiché come è un dono il sacrificio di Gesù sulla croce, così
l’oblazione, che diventa memoriale sull’altare, è un dono da realizzare
per gli altri.
Questo perché le stesse
religiose contribuiscano a creare comunità in stato di missione. Anzi,
questa è la chiamata prioritaria per la comunità parrocchiale in questo
primo scorcio del terzo millennio: l’annuncio di Gesù Cristo, Salvatore
di tutti, va riproposto con strategie che siano in sintonia con i tempi.
Per questo la comunità è con-vocata da Gesù e inviata per
l’annuncio della salvezza in virtù del battesimo ricevuto. La Chiesa
diventa davvero comunità parrocchiale quando decide di non attendere più
i suoi parrocchiani, ma di incontrarli nei loro ambienti, nelle loro
case, per le loro strade, con i loro tempi, con le loro sensibilità...
Per ciascuno indica un itinerario di fede e lo propone sempre, perché
sia vivificata l’esperienza cristiana a partire dal Vangelo.
La maternità è
indispensabile perché le religiose sono chiamate a generare e fecondare
la vita, soprattutto con l’attenzione verso i ragazzi e le nuove forme
di povertà femminili. E’ in questa linea che si devono porre le numerose
comunità religiose che devono lavorare in simbiosi con le parrocchie. La
comunità cristiana sul territorio deve rimanere unica, senza tradire i
carismi specifici di ciascuno.
La dolcezza è
necessaria, perché le religiose contribuiscano al coordinamento della
vita della comunità parrocchiale nell’essere ponte tra il parroco e la
gente. Infatti, nel programmare la sintesi tra la pastorale organica e
quella d’insieme, si può vivere la missione per proporre il Vangelo non
con atteggiamenti sentimentalistici, ma reali.
Conclusione
La pastorale integrata
a cui la Chiesa italiana si richiama, per superare la disaffezione alla
fede e programmare la parrocchia in prospettiva missionaria, stimola
tutti ad essere una “Chiesa con i piedi per terra” e, quindi, a
camminare verso gli altri, vicini o lontani che siano. Il compito delle
religiose, così, appare diverso da quello del passato. Fuori dalle
grandi case e dai luoghi considerati istituzionalmente storici, le
religiose dovranno, seppur rischiando, collaborare strettamente alla
riuscita della vita comunitaria parrocchiale, rivalutando il senso del
cammino cristiano e sforzandosi di essere testimoni coerenti del
Vangelo. E’ la parrocchia che diventa comunità, che può generare anche
le vocazioni alla vita consacrata e può aiutare a riattualizzare i
carismi.
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