La
nostra libertà è “situata” nei molti condizionamenti interni ed esterni:
il nostro temperamento e carattere, le difficoltà emotive ed affettive,
i blocchi nelle relazioni interpersonali; la nostra età, il fattore
tempo, l’ambiente da cui proveniamo, la famiglia di origine, gli studi e
la formazione ricevuta, l’ambiente in cui siamo inserite nell’oggi…
Le scienze umane
possono contribuire alla comprensione della libertà della nostra
persona: ecco il valore dell’apporto della psicologia.
L’antropologia
cristiana ci ricorda, tuttavia, che si tratta di una “libertà
liberata” (cfr. Gal 5,1), che ha continuamente bisogno di
liberazione mediante la vita della carità. Un pedagogista francese
diceva: «Siamo liberi di liberarci» (Laberthonier).
E’ l’azione
dello Spirito che dona la vera libertà: nella linea dell’Incarnazione,
il Signore ci chiede di collaborare con Lui e con la Sua Grazia.
Possiamo, quindi, intervenire attivamente per aumentare o diminuire la
libertà che ci è stata data come esseri umani (=
libertà ontologica): si tratta di collaborare perché cresca la
capacità di fatto di realizzare le varie scelte con cuore libero. Da
parte nostra possiamo diminuire i fattori principali di blocco della
libertà effettiva: tra questi possiamo
segnalare la conoscenza oggettiva e il possesso dei valori cristiani, ma
soprattutto la capacità di lasciarci attirare affettivamente da essi
(tra la conoscenza di un valore e la volontà di viverlo, c’è lo spazio
importante del sentirsi attirate emotivamente a viverlo: allora possiamo
dire «è bello vivere così, lo desidero nel profondo e con tutta me
stessa!»)
Spesso, però,
dobbiamo fare i conti con alcuni nostri conflitti psicologici,
difficoltà di carattere, blocchi nelle relazioni con gli altri; ancora,
con la nostra fragilità e debolezza umana… tutto questo riduce la nostra
possibilità di rispondere alla vocazione all’Amore e di impegno
richiesto dalla vita cristiana e religiosa.
Ci è chiesto di
crescere nella libertà di andare al di là di noi stesse nelle scelte
concrete per vivere atteggiamenti e comportamenti di effettivo dono
totale di sé a Dio. Occorre però l’umiltà di usare gli strumenti che ci
servono per essere aiutate in questo cammino di crescita1.
Alcuni
aspetti del contesto contemporaneo
In Italia, come
in altri Paesi della parte del mondo “più sviluppata”, siamo immersi
nella cosiddetta società post-moderna.
Accanto a
un’esaltazione dell’autonomia umana, fondata sulla ragione e sulla
libertà, c’è una forte tendenza allo sganciamento da qualsiasi vincolo a
una verità oggettiva. Se esistono ancora dei valori, sono soltanto
soggettivi…
Alcune
concezioni soggettivistiche rifiutano radicalmente, e in modo nuovo,
l’antropologia cristiana dell’unità della persona e la visione della
vita in Cristo (cfr. nuovi dualismi): la persona, per essere libera,
dovrebbe negare qualsiasi dipendenza da Dio, dall’ordine della creazione
e quindi anche dalla sua realtà corporea. Il rapporto tra la libertà
della persona e la legge di Dio viene visto in modo conflittuale,
anziché armonico.
In molte analisi
sociologiche2
si parla di precarietà, transitorietà e vulnerabilità in quasi tutti gli
ambiti della vita post-moderna; legami e unioni vengono vissute come
“cose da consumare”; assistiamo alla crisi dell’idea di durata e di
immortalità, alla caduta dei sistemi di valori di un tempo (p. e. la
fedeltà non è più considerata un valore); frammentazione e soggettivismo
caratterizzano la nostra vita…
Ricaduta sulla vita consacrata e sul vissuto dei voti
E’ urgente
lasciarci interpellare da questo contesto, in cui siamo immerse anche
noi, e le più giovani provengono proprio da quel mondo.
Sorge una
domanda: ha ancora senso una scelta per sempre, fondata su valori
oggettivi?
Sembra che la
scelta di fede cristiana, e ancor più della vita consacrata, sia sempre
più controcorrente. La forza e il centro di tutto è per noi il Signore,
che ci rivela e ci regala dei valori che non ci siamo inventate noi. Ce
li ha donati perché siamo felici e abbiamo la vita in abbondanza.
Occorre però
trovare un nuovo linguaggio per comunicare proprio al mondo di oggi ciò
che abbiamo ricevuto e in cui crediamo, ciò per cui abbiamo rischiato la
vita!
«Rimanete nel mio amore»
(Gv. 15)
•
L’amore “folle” di Gesù. - Vorrei esprimere l’amore totale di Gesù,
denominato da Maritain «amore folle», con una bella poesia di un anonimo
brasiliano, che esprime il mistero della salvezza secondo la creatività
unica dell’Amore. Anche se si parla di “uomo”, al maschile, è
applicabile a ciascuna persona, uomo e donna che sia. Si intitola: La
leggenda dell’Amore.
C’era una volta l’Amore…
L’Amore abitava in una casa pavimentata di stelle
e adornata di sole.
Un giorno l’Amore pensò ad una casa più bella.
Che strana idea quella dell’Amore!
E fece la terra, e sulla terra, ecco fece la carne
e nella carne ispirò la vita
e nella vita impresse l’immagine della somiglianza.
E la chiamò: uomo!
E dentro l’uomo, nel suo cuore,
l’Amore costruì la sua casa: piccola, ma palpitante,
inquieta, insoddisfatta come l’Amore.
E l’Amore andò ad abitare nel cuore dell’uomo
e ci entrò tutto là dentro perché il cuore dell’uomo è fatto di
infinito.
Ma un giorno… l’uomo ebbe invidia
dell’Amore.
Voleva impossessarsi della casa dell’Amore, la voleva tutta per sé,
voleva per sé la felicità dell’Amore,
come se l’Amore potesse vivere da solo.
E l’Amore fu scacciato dal cuore dell’uomo.
L’uomo allora cominciò a riempire il suo cuore,
lo riempì di tutte le ricchezze della terra, ma era ancora vuoto.
Lo riempì di tutti i tesori della terra, ma era ancora vuoto.
L’uomo, triste, si procurò il cibo col sudore della sua fronte,
ma era sempre affamato e restava con il cuore terribilmente vuoto.
Un giorno l’uomo…
decise di condividere il suo cuore con le creature della terra.
L’Amore venne a saperlo…
si rivestì di carne e venne anche lui a ricevere il cuore dell’uomo.
Ma l’uomo riconobbe l’Amore e lo inchiodò sulla croce.
E continuò a sudare per procurarsi il cibo.
L’Amore allora ebbe un’idea: si rivestì di cibo
si travestì di pane e attese silenzioso.
Quando l’uomo affamato lo mangiò,
l’Amore ritornò nella sua casa, nel cuore dell’uomo.
E il cuore dell’uomo fu riempito di vita,
perché la vita è AMORE.”
•
La libertà dell’amore vero. - Con i voti di povertà, castità ed
obbedienza, abbiamo confermato la nostra scelta battesimale di seguire
il Signore Gesù con una consacrazione speciale. Siamo chiamate a vivere
una relazione d’amore: è un sì all’Amore Infinito e questo
richiede una libertà del cuore progressiva. Non si tratta innanzitutto
di una rinuncia a qualcosa, ma una chiamata a tenerci libere e
disponibili3:
per Dio, il prossimo e la creazione.
Gesù ci chiede
di essere attirate dal suo stile di vita: non è qualcosa di pratico
in vista di un’attività apostolica precisa, ma di un modo di vivere,
manifestare, testimoniare, tradurre nella nostra vita quotidiana la
stessa vita della Trinità.4
Gesù ci invita a
“rimanere”: per poter “restare” occorre pazienza, tempo… è un verbo che
ci dice durata, capacità di essere presenti con tutte noi stesse, per
questo occorre imparare a stare con le nostre emozioni e i nostri
sentimenti, in silenzio.
•
Accettare ed integrare le emozioni. La preghiera del cuore. -
Quando stiamo in silenzio sentiamo di più tutto quello che vibra in noi:
ecco emergere ciò che abbiamo vissuto in quel giorno, a volte ritornano
dei ricordi sia di gioia sia di sofferenza e questo fa risentire le
nostre ferite… Come donne poi, facilmente il nostro cuore è una cassa di
risonanza: spesso è proprio la fatica ad affrontare tutto ciò che il
silenzio provoca in noi a portarci ad abbreviare il tempo della
preghiera, oppure a riempirlo di tante parole o di letture.
Un bel libro di
Anna Bissi, intitolato Il battito della vita. Conoscere e gestire le
proprie emozioni5,
ci può aiutare a cambiare innanzi tutto la nostra valutazione sulle
emozioni: non sono soltanto segno della nostra fragilità, non ci sviano
necessariamente dagli ideali e dal vivere i valori, non ci portano a
vivere superficialmente… Possono essere, appunto, “il battito della
vita”, una ricchezza che dà profondità e spessore al nostro vivere
quotidiano, alle nostre relazioni interpersonali e quindi anche al
nostro rapporto con il Signore Gesù.
Possiamo essere
aiutate in questo dalla contemplazione dell’umanità di Gesù. Sant’Ignazio
di Loyola definisce così la contemplazione: «Guardare Gesù amandolo».
In questa
linea, padre Arrupe, allora Superiore Generale dei Gesuiti, scriveva
così in una sua preghiera6:
«Insegnami ad avere compassione di coloro che soffrono (…); mostrami
come manifestavi le tue emozioni profondissime quando stavi per piangere
o quando hai provato quell’angoscia che ti ha fatto sudare sangue
nell’orto degli ulivi. Soprattutto voglio imparare il modo con cui hai
espresso il tuo dolore supremo sulla croce, sentendoti abbandonato dal
Padre».
Noi facciamo
fatica nel vivere bene le nostre emozioni7,
perché di solito ci spaventiamo di fronte alla loro potenza: così scatta
in noi, senza volerlo, la difesa della rimozione, che sposta nel
profondo di noi le emozioni, le toglie dalla nostra consapevolezza,
soprattutto quelle emozioni che ci danno fastidio (vedi aggressività e
ansia) oppure quelle che sono troppo intense. Però queste emozioni
rimosse non possono essere eliminate e continuano a sopravvivere nel
profondo di noi (inconscio). Quando meno ce l’aspettiamo fuoriescono in
azioni esagerate, incontrollate e forti, che ci lasciano senza parole:
si tratta di acting-out, cioè di espressione senza controllo
(capita soprattutto nell’ambito dell’aggressività e della sessualità).
Ciò che ci aiuta
nell’accettazione ed integrazione delle emozioni, invece, è
l’espressione con controllo: avviene attraverso un processo a
tappe successive. Inizia con la domanda che siamo invitate a porci: «Che
cosa sto provando?». Con questa domanda cerchiamo di dare un nome alle
diverse emozioni, impariamo a riconoscerle e a non stupirci della loro
presenza in noi, a non innervosirci e arrabbiarci, né svalutare noi
stesse, perché le stiamo provando (spesso le emozioni sono
irrazionali!). Quest’atteggiamento ci porta, poco per volta, a prendere
coscienza di noi stessi e delle nostre emozioni, ad accettarle, a
permettere loro di “abitare” in noi.
Di solito non si
segue questo iter, perché nel momento del riconoscimento della presenza
di una emozione in me, la sento di più e allora ho paura che continui a
crescere. La legge delle emozioni, invece, è diversa da questa
previsione: dopo il primo momento di apparente amplificazione, si riduce
un po’ e mi permette, allora, di essere più libera e di potermi
domandare: «Che cosa faccio ora di questa emozione che sto provando?».
In questo momento posso confrontarmi con i Valori in cui credo e cresce
la libertà di esprimere o meno l’emozione che provo e di trovare il modo
più efficace per agire.
Questo lavoro
emotivo dentro di noi e nella nostra vita aumenterà la nostra capacità
di «rimanere nel Suo amore», di collaborare all’azione della Sua Grazia.
Voi lo amate, pur senza averlo visto…
(1Pt.1,8)
•
Il cammino verso l’amore maturo: accettare sofferenza e solitudine. -
L’amore vero non è facile: è frutto di impegno e di perseveranza, è
capacità di ricevere oltre che di dare.
Sia per chi è
sposato (che ha accanto fisicamente la persona che ama), sia per noi
(che non vediamo Gesù) amare è difficile. Innanzi tutto l’amore maturo
richiede di accettare la sofferenza e la solitudine.
«Dimorate in me,
come Io dimoro in voi»… Gesù ci chiede che questa intimità con Lui non
sia solo un momento particolare della nostra vita, ma sia qualcosa che
duri. Accettando di dimorare in Lui possiamo attenderci di essere
potate, ferite.
Occorre
accettare di essere ferite, di vivere in un mondo ferito e che anche gli
altri siano creature ferite. Accettare una felicità ferita, un
linguaggio ferito, una comunicazione ferita, una comunione ferita… Non
si può amare se non si accetta di amare male: se accettiamo questa
ferita, allora possiamo vivere e la vita sgorga da noi più forte e più
vera. Nel cammino della nostra vita terrena non c’è amore che non sia
dolore, non c’è amore solamente felice. Per amare occorre accettare di
essere potate, ferite. Nei nostri migliori progetti di servizio, di
preghiera, di rapporto con gli altri, il Signore passa potando ciò che a
noi forse pareva il meglio. Chi vorrà amare di più, dovrà passare
attraverso la ferita della lotta con se stessi nel punto stesso in cui
resiste al Signore.
Per amare
davvero, e non usare l’altro per riempire il vuoto che portiamo
inevitabilmente in noi, occorre imparare ad accettare la solitudine
esistenziale8,
sapere che niente e nessuno potrà mai soddisfarci completamente, perché
il nostro cuore è fatto per l’Infinito.
Ci è chiesto di
accettare di essere all’inizio del saper amare: ma Lui è con noi e
questo ci basta!
•
Il mondo del limite e del desiderio in noi. - La necessità di
accettare la sofferenza e la solitudine per poter amare davvero, ci
porta a considerare un profondo conflitto interiore, inevitabile in noi,
in quanto persone, conflitto ancora più drammatico per la radice del
peccato che è in ciascun essere umano. Lo descrive bene il concilio
Vaticano II nel documento Gaudium et spes: «In verità gli
squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più
profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo. E’ proprio
all’interno dell’uomo che molti elementi si combattono a vicenda. Da una
parte infatti, come creatura, sperimenta in mille modi i suoi limiti;
dall’altra parte sente di essere senza confini nelle sue aspirazioni e
chiamato ad una vita superiore. Sollecitato da molte attrattive, è
costretto sempre a sceglierne qualcuna e a rinunciare alle altre.
Inoltre, debole e peccatore, non di rado fa quello che non vorrebbe e
non fa quello che vorrebbe (cfr. Rom 7,14ss). Per cui soffre in se
stesso una divisione, dalla quale provengono anche tante e così gravi
discordie nella società» (n.10).
In altre parole
possiamo dire che viviamo al centro di movimenti e tendenze opposte: il
limite e il desiderio9.
E’ una tensione presente inevitabilmente in noi, in quanto persone
umane: non possiamo sceglierla o rifiutarla, possiamo solo accoglierla.
Mondo del
desiderio: movimento
progressivo di espansione, è il mondo della continua ricerca, degli
ideali, delle aspirazioni, dei valori…
Mondo del
limite: movimento di
restringimento progressivo, è il mondo dei limiti corporali, della
fragilità, della sofferenza e della morte…
Questi due movimenti
sono continuamente presenti dentro di noi, anche se nelle diverse tappe
della vita possiamo notare la prevalenza di uno sull’altro: il processo
di espansione, il mondo del desiderio è tipico
dell’infanzia/adolescenza/giovinezza…, lo ritroviamo nel sentimento di
onnipotenza tipico del bambino piccolo, che crede di poter avere tutto
ciò che vuole… Di fatto l’esperienza del limite è già presente nella
vita del bambino, anche se non ne è pienamente cosciente: per esempio,
quando il bambino piange e la mamma non lo soddisfa come lui vorrebbe,
oppure quando non corre subito da lui e gli provoca un’ansia di
separazione…
Via via, nel
corso della vita, vediamo accentuarsi l’altro movimento, quello del
limite, pur essendo sempre presente nella vita della persona il mondo
del desiderio: ecco l’esperienza della malattia, della sofferenza, delle
proprie debolezze e fragilità, fino all’esperienza della morte.
Questa tensione
è dolorosa, può portare a soluzioni diverse:
- La persona tratta un bene finito
come se avesse un valore assoluto (= formazione di idoli). Per es., il
successo, l’estetica e la perfezione fisica, il partito politico, i
soldi…
- La persona trova una soluzione
religiosa: credere, amare, seguire Gesù Cristo. Non si elimina il
problema, ma si trova una forza diversa e un senso per affrontarlo.
•
La trascendenza dell’amore. - Tutte le persone sono chiamate ad
amare e chissà quanti hanno già incontrato l’Amore che è Dio, senza
saperlo! Il Vangelo ci dice che saremo giudicati sull’amore: «Avevo fame
e mi avete dato da mangiare…» (Mt 25).
L’amore vero è
l’unica strada che ci aiuta ad andare al di là di noi per incontrare
l’altro/a fino all’incontro finale con Dio nella Gloria.
Egli deve crescere e io invece
diminuire (Gv 3,30)
•
Chi non si possiede non può darsi… - Chi ama davvero è preso
totalmente dalla persona amata e gli costa molto meno rinunciare a
qualcosa per lei, diventa creativo nell’inventare i modi di amarla…
L’umiltà è la
forma più alta dell’amore: Gesù si è “abbassato” e per questo è stato
“innalzato” (cfr. inno ai Filippesi, cap. 2).
Umanamente,
questo è possibile solo se una persona “si possiede”, ossia si conosce,
sa chi è, ha scoperto i propri doni e i propri limiti, si è riconciliata
col proprio passato… Questo chiarisce perché possiamo dire che “solo chi
si possiede, può darsi”, altrimenti teme di “frantumarsi”, di “andare a
pezzi”, di crollare. In questo caso vediamo le persone che sono molto
concentrate su se stesse, incapaci di mettersi nei panni degli altri,
presentano molte paure e, quindi, molte difese… Non fanno apposta a
vivere così e non si tratta soltanto di poca fede o poco impegno nella
vita spirituale. E’ una limitazione psicologica della loro personalità e
vanno aiutate, per poter aumentare la libertà di andare al di là di se
stesse.
Ognuno di noi ha
la responsabilità di conoscersi a fondo, per poter essere più libera di
donarsi con gioia a chi incontrerà sul suo cammino, nella costruzione
del Regno di Dio.
•
Il conflitto autonomia/dipendenza. - Tra gli aspetti importanti
della conoscenza di sé, cerchiamo, ora, di chiarire il conflitto
autonomia/dipendenza: esso è spesso alla base delle nostre difficoltà
nei confronti dei legami con le persone, nei confronti delle figure di
autorità, quindi entra direttamente nel modo di vivere il voto
dell’obbedienza.
Nel cammino
evolutivo di crescita, tutte abbiamo sperimentato una dipendenza per
necessità, in cui eravamo accudite, sostenute, rassicurate,
coccolate…, non potevamo sopravvivere senza una persona accanto che si
prendeva cura di noi!
Poi, siamo
passate alla fase dell’autonomia difensiva, cioè della
proclamazione dell’io, tipica dell’adolescenza, ottenuta per contrasto e
opposizione con gli altri, attraverso un’autosufficienza a volte
eccessiva, il timore di perdere la propria libertà, il bisogno
irrealistico di non avere vincoli, la ricerca di continui spazi
personali…
Queste due fasi
lasciano in noi un residuo inconscio, per cui continuano a sussistere
nel nostro profondo, pronte a riemergere in momenti di regressione, di
stress, di difficoltà, di malattia… Se qualcuna poi non ha superato bene
una delle due fasi, ecco che deve fare i conti con una dipendenza
affettiva nelle relazioni, oppure con un’autonomia difensiva che
ostacola qualsiasi legame, in particolare affettivo, e che si oppone a
qualsiasi relazione sentita come intrusiva, autoritaria, dominante…
Entrambe possono ostacolare la nostra vita di consacrate: la prima
tenendo chiusa la persona in un’immaturità relazionale che rende
insoddisfatte e arrabbiate sia nei rapporti comunitari sia in quelli
apostolici; la seconda, interferendo seriamente nelle relazioni con
l’autorità, ostacola non solo l’obbedienza, ma anche le relazioni in
comunità.
Occorre arrivare
a una terza fase: è quella di una dipendenza per scelta e
autonomia matura. Chi non sa dipendere, non sa amare; chi non sa
vivere la solitudine, non sa camminare con le sue gambe, non sa amare.
•
Riconciliarsi con se stessi, con la propria fragilità e il proprio
passato, per essere libere di amare. - La riconciliazione con sé
e con la propria debolezza è un dono da chiedere e un impegno mai
completamente concluso.
Una parte
importante ha la riconciliazione con il proprio passato: cercare di
conoscerlo, di non coprirlo, permette di non ripeterlo senza saperlo.
Questo prevede un approfondimento del tipo di relazione vissuta
soprattutto nei primi anni di vita con le figure significative, in
genere sono i genitori. E’ il riconoscimento delle trasferenze.
Il passato non è
qualcosa che ci lasciamo dietro le spalle, ma delle radici che abbiamo
sotto i piedi. Fare verità nella propria vita comporta, quindi,
l’accettazione di questa realtà.
I primi anni di
vita sono vissuti da ciascuno con un approccio alla realtà quasi
esclusivamente emotivo: ogni esperienza, incontro, avvenimento ha
lasciato in noi delle tracce anche se abbiamo dimenticato molti fatti
del nostro passato. Queste tracce emotive continuano a influenzare
l’oggi.
Il principio
sottostante è questo: un’emozione una volta sperimentata tende
più facilmente ad essere sperimentata di nuovo. Quando questo
processo accade nei confronti delle persone, viene chiamato trasferenza,
se invece capita nei confronti di cose, luoghi, fatti… viene denominata
memoria affettiva10.
La somiglianza
presente-passato può essere solo su basi soggettive, in questo caso c’è
una relazione simbolica tra i due elementi11,
che spesso è inconscia.
Operando
nell’inconscio, le trasferenze e la memoria affettiva sono persistenti e
difficilmente cambiano: le nuove informazioni attuali non riescono a far
correggere le nostre valutazioni, proprio a causa di quei meccanismi
inconsci.
Questi
meccanismi interferiscono nella nostra vita attuale, ostacolando la
nostra capacità di amare il Signore e gli altri, ci fanno soffrire e
prendono molte delle nostre energie per poter controllare le forti
emozioni che scatenano dentro di noi.
Se, invece, li
sappiamo riconoscere, le emozioni scattano ancora, ma saranno meno
intense, quindi più gestibili e sarà minore l’influenza sul nostro
quotidiano: operare una chiara distinzione tra il mio passato e il mio
presente è molto liberante, inoltre non confonderò le mie reazioni alle
persone del mio presente con le reazioni avute nel mio passato con altre
persone, non imputerò la colpa di alcune mie difficoltà sempre alle
persone che mi stanno accanto, ma saprò da dove sono originate!
Traccia
per una riflessione personale
Mi metto in
preghiera e contemplo l’umanità di Gesù, il suo modo di vivere le
emozioni e i sentimenti, di vivere le relazioni con le persone che
incontrava.
Poi torno a me e
mi domando:
1. Quale
giudizio e valutazione dò delle mie emozioni?
2. C’è qualche
emozione che faccio più fatica ad accettare (p. e. l’ansia,
l’aggressività, la tristezza, la paura, la simpatia, la gioia…)?
3. Sono contenta
di essere una donna che segue Gesù? Che cosa apprezzo di più della mia
femminilità? Che cosa invece faccio fatica ad accettare?
4. Come reagisco
di solito quando mi sento più sola?
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