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La
spiritualità cristiana è fondamentalmente unica e universale. È
comunione con Gesù e vita filiale nello Spirito santo e nei suoi doni.
Per cui, come dice san Paolo, «non c'è più giudeo né greco; non c'è
più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi
siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). Ciononostante, la partecipazione
alla vita divina è concretamente determinata dalla singolarità delle
persone umane e dai loro diversi contesti socio-culturali e religiosi.
Cirillo di Gerusalemme paragonava la grazia divina all'acqua, che sul
giglio diventa bianca, rossa sulla rosa, sulle viole e sui giacinti
purpurea, assumendo vari colori a seconda delle diverse specie delle
cose; altra è, infatti, la rugiada sulla palma, e altra ancora sulla
vite, ma è sempre la stessa acqua che dà vita e bellezza al mondo
multiforme.[1]
Nel
vasto arcipelago della spiritualità cristiana antica e moderna,
orientale e occidentale, la spiritualità “greco-ortodossa” si
presenta con una sua precisa identità, caratterizzata da un profondo
distacco dal mondo e da un incondizionato anelito alla
“divinizzazione” del battezzato, mediante l’impegno ascetico, la
preghiera continua e, soprattutto, mediante la celebrazione e la lode
liturgica. Il cristiano – e il monaco, in modo particolare, come
testimonianza concreta di possibilità di realizzazione storica
dell’ideale evangelico – è chiamato a vivere l’unione con Dio
Trinità, mediante la preghiera continua del cuore, la vigilanza sui
pensieri e sulle azioni, l’abbandono completo alla volontà di Dio.
2.
L’opera di Nicola Cabásilas
La
Vita in Cristo di Nicola Cabásilas
(Salonicco 1322- 1392)[2]
è un classico della spiritualità cristocentrica bizantina e
costituisce ancora oggi uno dei vertici della letteratura spirituale
cristiana. La grande armonia tra parola di Dio, vita
liturgico-sacramentale e tradizione ascetico-mistica fanno di
quest'opera un dono prezioso alla chiesa contemporanea. Si tratta di
un'opera originalissima, senza modelli prima e senza imitazioni dopo.
Essa costituisce una testimonianza di spiritualità cristiana ecumenica
e «cattolica», nel senso originale del termine, e cioè «universale».
Un pregio ulteriore di questo scritto è dato dalla grazia e dalla
vivacità del linguaggio unito a un genuino e profondo vigore teologico.
Nota fondamentale della personalissima dottrina spirituale del Cabásilas
– oltremodo significativa per i consacrati oggi – è l’enfasi
sulla vita liturgica, come fonte di ogni slancio ascetico, mistico e
apostolico.
La
vita in Cristo[3]
offre una anatomia della vita spirituale - dal suo nascere, al suo
sviluppo, al suo compimento -, collocata nel grande mistero
dell’incarnazione del Verbo, che continua nella storia mediante la
divinizzazione sacramentale dell’umanità. Il Cabásilas contempla la
presenza di Cristo nelle anime attraverso i sacramenti e i frutti di
trasformazione che vi produce. Nei sette libri della sua opera egli
parla della vita spirituale, come vita in Cristo, e poi del battesimo,
della cresima e dell’eucaristia come espansione e moltiplicazione
della grazia divina nell’uomo.
3.
L’esistenza cristiana come vita in Cristo
Precisiamo
subito che per il Cabásilas la rigenerazione dell’umanità è opera
delle tre Persone divine: «Il Padre disse, il Figlio ripeté, lo
Spirito Santo divenne dono a coloro che gli sono amici».
Tuttavia, è soprattutto mediante l’incarnazione del Figlio che essa
si realizza, dal momento che Gesù costituisce il nuovo Adamo ed è la
fonte della nuova umanità. Ogni persona umana, in quanto creata fin
dall’inizio come icona del Cristo, è una creatura “cristomorfa”.
Fino al suo approdo al cospetto del Padre, l’uomo porta il sigillo di
Cristo e il profumo della grazia del suo Spirito:
«La
vita in Cristo prende inizio e si sviluppa nell'esistenza presente, ma
sarà perfetta soltanto in quella futura, quando giungeremo a quel
giorno: l'esistenza presente non può stabilire perfettamente la vita in
Cristo nell'anima dell'uomo; ma nemmeno lo può quella futura, se non
incomincia qui [...]. Il profumo dello Spirito si effonde copiosamente e
riempie tutto, ma non lo coglie chi non ha l'olfatto [...]. È
l'esistenza presente l'officina di questa preparazione».
La
vita cristiana è una continua e misteriosa comunione con Gesù ed è in
ininterrotta sinergia con il suo Spirito di santità. È straordinaria
la ricchezza di immagini che il Cabásilas usa a questo riguardo. Per
questo il suo linguaggio risulta altamente comunicativo:
«Il
Salvatore [...] è sempre e del tutto presente a coloro che vivono in
lui: provvede a ogni loro bisogno, è tutto per essi e non permette che
volgano lo sguardo a nessun altro oggetto, né che cerchino nulla fuori
di lui.
Infatti,
nulla c'è di cui abbiano bisogno i santi, che non sia lui: egli li
genera, li fa crescere e li nutre, è luce e respiro, per sé plasma in
essi lo sguardo, lo illumina per mezzo di sé e infine offre se stesso
alla loro visione. Insieme nutre ed è il nutrimento; è lui che porge
il pane della vita, e ciò che porge è se stesso; la vita dei viventi,
il profumo di chi respira, la veste per chi vuole indossarla.
È
ancora lui che ci dà di poter camminare ed è la vita, ed anche il
luogo del riposo e il termine. Noi siamo le membra, lui il capo: è
necessario combattere? combatte con noi ed è lui che assegna la
vittoria a chi si è fatto onore. Vinciamo? ecco, è lui la corona. Così
da ogni parte riconduce a sè la nostra mente e non permette che si
volga a niente altro, né che sia presa da amore per nessuna cosa [...].
Da quanto abbiamo detto risulta chiaro che la vita in Cristo non
riguarda solo il futuro, ma già ora è presente per i santi che vivono
ed operano in essa».[6
4.
I sacramenti, porte della vita
In
concreto la vita nuova in Cristo nasce nei fedeli quando varcano «le
porte della vita e della giustizia»,[7]
costituite dai sacramenti del battesimo, della cresima e dell'eucaristia
(libri II-IV):
«Così,
rappresentando la sua sepoltura e annunziando la sua morte nei sacri
misteri [= sacramenti], in virtù di essi siamo generati, plasmati e
divinamente congiunti al Salvatore. Ed è per essi che, come dice Paolo,
in lui viviamo, ci muoviamo e siamo (Atti 17,28).
Dunque
il battesimo dona l'essere, cioè l'esistere secondo Cristo. È il primo
mistero [= sacramento]: prende gli uomini morti e corrotti e li
introduce alla vita.
Poi
l'unzione del miron [=
cresima] porta a perfezione l'essere già nato, infondendogli l'energia
conveniente a tale vita.
Infine
la divina eucaristia sostiene e custodisce la vita e la salute: è il
pane della vita, infatti, che permette di conservare quanto è stato
acquisito e di serbarsi vivi. Perciò in virtù di questo pane viviamo e
in virtù del miron ci
muoviamo, dopo aver ricevuto l'essere dal lavacro battesimale».[8
5.
Il battesimo, «forma» di Cristo
Parlando
del battesimo, il Cabásilas tiene presente, ovviamente, non la
cerimonia liturgica occidentale del battesimo per aspersione, ma quella
orientale del battesimo per immersione. Per questo, egli usa il paragone
del corpo che, immerso completamente nell’acqua battesimale, viene
internamente animato dalla presenza di Cristo e ricoperto dalla sua
veste di grazia:
«Risalendo
dall'acqua battesimale, portiamo il Salvatore nelle anime nostre: nella
testa, negli occhi, nelle viscere, in tutte le membra, puro da peccato,
libero da ogni corruzione, così come risuscitò e apparve ai discepoli
e ascese al cielo, quale verrà di nuovo a chiedere conto di questo
tesoro.
Così,
una volta generati e come coniati nell'immagine e nella forma del
Cristo, perché non possiamo introdurre alcun'altra forma estranea, egli
occupa le vie per le quali entra la vita: poiché la vita del corpo si
sostiene con l'aria e col cibo, egli si insinua nelle anime nostre per
le stesse vie dell'aria e del cibo, e fa sue entrambe le porte, l'una
come unguento e profumo, l'altra come cibo appropriato.
Infatti
lo respiriamo ed egli diventa il nostro cibo; così, mescolandosi e
fondendosi a noi in tutto, fa di noi il suo corpo e diviene per noi
quello che il capo è per le membra. Ecco perché abbiamo in comune
tutti i suoi beni: egli è il capo, ed è necessario che passi nel corpo
tutto ciò che è del capo».[9]
La
vita in Cristo si forma in noi col battesimo. Per illustrare in modo
efficace la trasformazione operata da questo sacramento, il Cabásilas
cita le esperienze degli antichi martiri cristiani, i quali furono
completamente rigenerati dalla grazia, passando, come Paolo, dal
disprezzo di Cristo alla sua testimonianza suprema nel martirio di
sangue. Per questo, non esita a narrare la passione di alcuni martiri «commedianti»,
come Porfirio e Gelasio, martire sotto Diocleziano nel 297. Del primo
racconta che fu colpito dalla grazia, proprio mentre derideva la
cerimonia cristiana del battesimo:
«[Porfirio]
era un commediante e, mentre esercitava la sua arte, ebbe perfino questa
audacia: per muovere al riso, incominciò a parodiare il battesimo e si
immerse nell'acqua, inginocchiandosi sulla scena e invocando la Trinità.
Ridevano gli spettatori, cui era presentato il dramma, ma per lui quello
che stava accadendo non era più questione di riso o di scena, era
veramente una nascita e una nuova creazione: insomma proprio il mistero
del battesimo. Uscì dall'acqua con l'anima non più da commediante, ma
da martire, con un corpo nobile, come se fosse esercitato alla sapienza
e ai patimenti, con una lingua pronta ad attirarsi l'ira anzichè il
riso del tiranno. Fu così alacre e serio, lui che in vita era stato un
buffone, arse di tale desiderio per il Cristo, che, dopo aver sofferto
molti tormenti, morì con gioia, per non tradire nemmeno con la lingua
il suo amore.
Così
anche Gelasio amò il Cristo e lo conobbe allo stesso modo. Si
affrontarono infatti come se fossero nemici, per combattersi; ma, quando
colui cui muoveva guerra gli ebbe aperti gli occhi dell'anima e mostrata
la propria bellezza, subito egli fu fuori di sé e mostrò una volontà
del tutto cambiata, da nemico divenuto amante».[10
6.
Lo sviluppo della vita in Cristo (il miron
Dopo
il battesimo, col sacramento della confermazione (il miron), la vita in Cristo si sviluppa ulteriormente e si arricchisce
di nuove energie e doni spirituali. Se agli inizi del cristianesimo, lo
Spirito Santo elargiva con abbondanza carismi straordinari, ora i suoi
doni sono meno appariscenti, ma più profondi. Dice, infatti, il Cabásilas:
«Nei
primi tempi questo sacramento dispensava ai battezzati carismi di
guarigioni, di profezia, di lingue e simili: essi erano chiara
dimostrazione a tutti gli uomini della sovraeminente potenza del Cristo
[...]. Tuttavia, i carismi che il miron
attira sempre nei cristiani e per i quali ogni tempo è opportuno, sono
quelli della pietà, della preghiera, dell'amore, della sobrietà e gli
altri doni utili a coloro stessi che li ricevono [...].
Dunque
lo Spirito comunica realmente agli iniziati i suoi doni distribuendo a ciascuno in particolare come vuole, e non cessa mai
di beneficarci il Signore che ha promesso di essere sempre con noi.
Infatti l'iniziazione del miron
non è conferita invano: come dal divino lavacro riceviamo la remissione
dei peccati e dalla sacra mensa il corpo di Cristo, e questi doni non
possono mai venir meno finché non venga manifestamente colui che ne è
la causa; allo stesso modo è assolutamente necessario che i cristiani
godano il frutto del divinissimo miron
ed abbiano parte ai doni dello Spirito santo».[11
7.
Il culmine della vita in Cristo: l’eucaristia
La
vita in Cristo raggiunge la sua vetta nel sacramento dell'eucaristia,
che è incontro col Signore risorto e partecipazione alla sua nuova
vita. Qui si compie una vera e propria trasfigurazione cristica. Il
fango non è più fango, ma diventa il corpo glorioso del re:
«Dopo
il miron, veniamo alla mensa:
qui è il culmine della vita, giunti qui non mancherà più nulla alla
felicità che cerchiamo. La mensa non ci dà più soltanto la morte e il
sepolcro e la partecipazione a una vita migliore, ma lui stesso, il
risorto; non più i doni dello Spirito, per quanto grandi si possano
ricevere, ma lo stesso benefattore, il tempio stesso su cui è fondato
tutto l'universo dei doni [...].
Quando
[Gesù] conduce l'iniziato alla mensa e gli dà in cibo il proprio
corpo, lo trasforma interamente e lo muta nella propria sostanza. Il
fango non è più fango: avendo ricevuto la forma regale, diventa il
corpo stesso del re; e di questo nulla si può pensare di più beato».[12]
Il
Cabásilas si sofferma a illustrare gli effetti della recezione di
questo sacramento nei cristiani. La presenza di Cristo eucaristico
protegge dai mali esterni e sradica i mali interni. Con l’eucaristia
il fedele non ospita solo un raggio di luce, ma il sole stesso in tutto
il suo splendore:
«Come
il buon olivo innestato nell'olivo selvatico lo cambia completamente
nella propria natura, sicché il frutto non ha più le proprietà
dell'oleastro; allo stesso modo anche la giustizia degli uomini per sé
non giova nulla, ma, non appena siamo uniti al Cristo e abbiamo ricevuto
la comunione della sua carne e del suo sangue, può produrre
immediatamente i massimi beni, quali la remissione dei peccati e
l'eredità del regno, beni che sono frutto della giustizia del Cristo.
Infatti, non appena alla sacra mensa prendiamo il corpo di Cristo [...],
anche la nostra giustizia, per effetto della comunione, diviene una
giustizia cristiforme».[13]
L'eucaristia
unisce perfettamente i fedeli al Cristo, che li pervade e li eleva con
l’unguento profumato della sua carità e della sua vita. Mediante
l'eucaristia «il Cristo si riversa in noi e con noi si fonde, ma
mutandoci e trasformandoci in lui come una goccia d'acqua versata in un
oceano infinito di unguento profumato. Tali effetti può produrre questo
unguento in coloro che lo incontrano: non li rende semplicemente
profumati, non solo fa loro respirare quel profumo, ma trasforma la loro
stessa sostanza nel profumo di quell'unguento che per noi si è effuso: Siamo
il buon odore di Cristo» (2Cor 2,15).[14]
Nell'eucaristia
si realizza l'unione mistica di Cristo con la Chiesa: «Sono queste le
nozze tanto lodate nelle quali lo Sposo santissimo conduce in sposa la
Chiesa come una vergine fidanzata. È qui che il Cristo nutre il coro di
coloro che lo circondano e, solo per questo sacramento, noi siamo carne
della sua carne e ossa delle sue ossa».[15]
Questo sacramento dona energie nuove alla vita della carne, nutrendola
di doni spirituali, per cui la «carne spirituale» lotta e vince «la
carne terrestre»:[16]
«Ecco
perché abbiamo sempre bisogno della carne di Cristo e continuamente
gustiamo di quella mensa: perché sia efficace in noi la legge dello
Spirito, perché non vi sia alcun spazio per la vita della carne, e la
carne non abbia il tempo di essere attratta alla terra, come i corpi
pesanti quando viene a mancare il sostegno».[17]
L’eucaristia
è il nutrimento della vita nello Spirito. È la fonte della spiritualità
cristiana. Purificandoci nella carità, ci rende capaci di offrire a Dio
Trinità il culto perfetto. Nell’eucaristia il Signore Gesù non ci
offre solo alcune gocce del suo sangue o qualche briciola del suo corpo,
ma si dona tutto intero, diventando così la fonte della nostra vita. In
tal modo, egli unisce a sè tutto il nostro essere, il nostro cuore, la
nostra mente, la nostra volontà, in modo che, assimilati totalmente a
lui, possiamo andare incontro al suo abbraccio glorioso
8.
La perseveranza nella vita in Cristo
Dopo
aver parlato dell'apporto che dà alla vita in Cristo il rito della
consacrazione dell'altare (libro V), il Cabásilas dedica i libri VI e
VII rispettivamente alla custodia della vita in Cristo nei fedeli e alla
loro trasformazione nella carità. Quasi rievocando l’entusiasmo
cristico di San Paolo, egli parla con efficacia e lucidità
dell’intima unione del battezzato con Cristo. Tale unione viene da lui
vista come più intima e vitale della stessa adesione della pelle al
corpo:
«Le
nostre membra sono membra di Cristo, sono sacre e contengono, come in
una coppa, il suo sangue, anzi meglio sono ricoperte del Salvatore
tutt'intero, non come ci si riveste di un mantello e nemmeno della
nostra pelle, ma in un modo ancora più perfetto, perché questa veste
aderisce a coloro che la indossano molto più della pelle alle ossa.
Ossa e pelle infatti, anche nostro malgrado, ce le possono strappare, ma
il Cristo nessuno ce lo può portare via, né gli uomini, né i demoni, non
le cose presenti, né le future, dice Paolo (Rm 8,39), né
l'altezza, né la profondità, nè qualunque altra creatura, per
quanto superiore a noi per potenza. Il maligno può togliere la pelle ai
martiri di Cristo, può scorticare per mano dei tiranni, può amputare
le membra, spezzare le ossa, riversare gli intestini, strappare le
viscere, ma non può spogliare i beati di questa veste e privarli del
Cristo. Anzi i suoi disegni falliscono a tal punto che senza saperlo li
riveste del Cristo molto più di prima, proprio con quei mezzi con i
quali credeva di spogliarli».[18]
Per
mantenere questa unione con Cristo bisogna avere il pensiero
continuamente rivolto a lui. La sua memoria deve essere incessante in
modo da possedere totalmente il cuore. Un pensiero intermittente non può
accendere nessuna passione d'amore per Nostro Signore: «infatti
null'altro accende nell'anima l'amore del bene quanto il fatto che la
mente si volga a considerarlo e impari a conoscerne la bellezza».[19]
Per
questo il Cabásilas afferma icasticamente che «pensare a Cristo è
l'occupazione propria delle anime battezzate».[20]
Il frutto di questa contemplazione sono le beatitudini: la povertà in
spirito, la contrizione dei peccati, la mitezza, la misericordia, la
purezza di cuore, la pace, la giustizia, la costanza nelle persecuzioni.
Comunque, è il sacramento dell'eucaristia che rende il cristiano capace
di pensare incessantemente al Cristo:
«Se
saremo così uniti al Cristo nel sacramento, nella preghiera, nella
meditazione, nei pensieri, eserciteremo l'anima ad ogni virtù,
conserveremo - come ordina Paolo - il deposito che ci è stato affidato,
e custodiremo la grazia infusa in noi dai sacramenti. Lui solo infatti
ci inizia ai sacramenti ed è i sacramenti; lui solo egualmente
custodisce in noi il dono che ci ha fatto e ci dispone a perseverare in
ciò che abbiamo ricevuto, perché, dice, senza di me non potete fare
nulla (Gv 15,5)».[21]
La
vita in Cristo produce la rettitudine della volontà e la massima gioia
nell'amare Dio per se stesso. La custodia della carità rende autentica
l’esistenza cristocentrica:
«Sono
questi i veri viventi che nutrono la bella passione della carità,
mentre sono tutti morti gli esseri che ne sono privi [...]. Questa è la
vita in Cristo: così è nascosta e così appare alla luce delle opere
buone, luce che è la carità. Nella carità, infatti, risiede lo
splendore di ogni virtù ed essa costituisce la vita in Cristo, per quel
che riguarda lo sforzo dell'uomo; perciò non si sbaglierebbe
chiamandola semplicemente vita. La carità è unione con Dio, e questo
è vita; come sappiamo che la morte è separazione da Dio. Perciò il
Salvatore, alludendo alla carità, dice: Il comando di lui è vita eterna (Gv 12,50); e ancora: Le
parole che io vi dico sono Spirito e vita (Gv 6,63); il vertice e la
somma delle sue parole è la carità. Ancora: Chi
rimane nella carità, rimane in Dio e Dio in lui (1Gv 4,16); cioè
rimane nella vita e la vita in lui; infatti il Signore dice: Io
sono la vita (Gv 11,25)».[22
9.
L’umanità rinnovata in Cristo
L'esemplarità
di Cristo nei confronti dell'umanità non è solo estrinseca. Cristo,
cioè, non è solo il modello da imitare, ma l'immagine e allo stesso
tempo la sorgente del rinnovamento dell'uomo. L'influsso di Cristo
sull'umanità precede il peccato, dal momento che l'uomo ha una
struttura ontologica cristiforme: è stato creato da lui e ha la vita da
lui, in lui e per lui. Essere in Cristo, vivere in lui e tendere a lui
fa parte della struttura intima di ogni uomo.
La
storia della salvezza dell'umanità non è, quindi, un ritorno al primo
Adamo ma un cammino verso il Cristo. Solo in Lui si compie la creazione.
Per cui l’autenticità di ogni essere umano si misura dal suo
adeguamento alla forma di Cristo, nel quale ogni realtà vive ed esiste
in verità. Il fine dell'umanità è la divinizzazione in Cristo. A
questa assimilazione cristica sono ordinati i sacramenti e l'impegno del
battezzato per perseverare e compiere la sua cristificazione. La storia
della salvezza è l'itinerario della conformazione di ogni persona umana
a Cristo, per mezzo dell'economia sacramentale e del suo impegno
virtuoso
10. «Ripartire da
Cristo
Essenzialità di
linguaggio e profondità di contenuto biblico e teologico fanno
dell’opera del Cabásilas un manuale moderno di spiritualità
cristologica e trinitaria, profondamente radicata nella vita ecclesiale
sacramentale. È Gesù, il Signore della gloria, che nei sacramenti
realizza la divina “economia” della nostra trasfigurazione in lui.
È lui l’ambiente divino della nostra esistenza terrena. La sua
presenza efficace nei sacramenti e soprattutto nell’eucaristia rende
ogni ora della nostra giornata e ogni anno della nostra vita un tempo
opportuno di santificazione.
L’attualità della
proposta di questo ispirato teologo ortodosso, così vicino alla
sensibilità della spiritualità cattolica, è evocata dal magistero del
Santo Padre, il quale, a conclusione dell’anno giubilare, invita a
contemplare il volto di Cristo e a ripartire da lui.
La pedagogia cristiana
non ha altro maestro che Gesù, non ha altra legge che il suo amore, non
ha altra metodologia che la sacramentalità della Chiesa. Di fronte alle
sfide della nuova spiritualità il Papa risponde che non una formula ci
salverà, ma una persona e la certezza della sua presenza efficace
accanto a noi e in noi:
«Non si tratta,
allora, di inventare un “nuovo programma”. Il programma c’è già:
è quello di sempre, raccolto dal Vangelo e dalla vita Tradizione. Esso
si incentra, in ultima analisi, in Cristo stesso, da conoscere, amare,
imitare, per vivere in lui la vita trinitaria, e trasformare con lui la
storia fino al suo compimento nella Gerusalemme celeste».
È questo il programma
della spiritualità del terzo millennio. «Iesu dulcis memoria, dans
vera cordis gaudia»: è dolce il ricordo di Gesù, fonte di vera gioia
del cuore.
[1]Cf.
Catechesi 16,12: PG 33, col.
933A.
[2]Cf.
Y. SPITERIS, Cabasilas: teologo e
mistico bizantino, Lipa, Roma 1996.
[3]
Cf. N. CABASILAS, La vie en
Christ, Cerf, Paris 1989-1990 (Sources
Chrétiennes 355-361:
introduction, texte critique, traduction, annotation et index par
Marie-Hélène Congourdeau). Per
l’edizione italiana, cf. N. CABASILAS, La
vita in Cristo, UTET, Torino 1971: traduzione curata da Umberto
Neri. Precisiamo che i numeri in nota si riferiscono rispettivamente al
libro e al paragrafo.
II n. 23.
I n. 1-2.
[6]I
n. 13-15.
[7]I
n. 25, 29.
[8]I
n. 18-19.
[9]
II n. 61-62.
[10]
II n. 81-82.
[11]Ib.
III n. 9-11.
[12]
IV n. 1-2.
[13]
IV n. 24.
[14]
IV n. 28.
[15]
IV n. 30.
[16]
IV n. 32.
[17]
IV n. 34.
[18]
VI n. 20.
[19]
VI n. 38.
[20]
VI n. 44.
[21]
VI n. 104.
[22]
VII n. 107.
GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Novo
millennio ineunte (6 gennaio 2001), n. 29.
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