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La
donna fu creata quale madre di tutti i viventi e viveva beata e realizzata,
insieme al suo compagno, nel giardino dell’Eden. In seguito si lasciò
abbindolare da sogni di indipendenza assoluta, di libertà incondizionata, di
grandezza e di potere: voleva essere padrona e signora del creato, conoscere
tutto, dominare tutto, affrancarsi dalle leggi e dal disegno del suo Creatore
per diventare la grande Madre, la fattrice della vita… la detentrice di ogni
potere, nel modo che voleva e credeva lei, senza dipendere da nessuno, senza
assoggettarsi ad alcun piano, senza adeguarsi a disegni prestabiliti… e convinse
anche il proprio compagno della bontà e grandezza del proprio progetto. L’uomo,
invece di opporsi e ragionare, esponendo le proprie ragioni in un dialogo franco
e sincero con la donna, si lasciò obnubilare la mente, oscurare il cuore,
fiaccare la volontà, diventando incapace, anch’egli, di discernere il bene dal
male, la realtà dalla fantasia e, dimenticando di avere un Padre e un Amico, che
desiderava soltanto il bene e la felicità della propria creatura, si lasciò
convincere e aderì ai desideri della sua donna. Avvenne così la grande rottura e
nel mondo entrò il peccato, la ribellione dell’orgoglio.
Questa
fu una rottura radicale, libera, cosciente, una grande ribellione al disegno del
Creatore che impedì lo sviluppo armonico della creatura.
Alla
richiesta di Dio sul perché egli si nascondeva dalla sua abituale e amichevole
presenza, l’uomo, prima affermò di avere vergogna per la propria nudità, poi –
vigliaccamente – invece di riconoscere il proprio errore, accusò la compagna: mi
ha convinto con varie moine…, con la sua bellezza e la sua avvenenza mi ha fatto
dimenticare i miei doveri e la mia amicizia per te!… La colpa è sua, non mia,
prenditela con lei!…
La donna
riconobbe di aver contribuito a convincere il suo uomo ad allontanarsi dal piano
del Creatore; lo aveva fatto, però, non per cattiveria, ma solo perché le
sembrava un bene maggiore e, così, aveva dato ascolto allo spirito del male e si
era lasciata ingannare!…
La
trasgressione le era sembrata più allettante: provare nuove sensazioni,
esplorare nuovi percorsi, cimentarsi con le proprie forze le era sembrato cosa
migliore, non pensava di sbagliare…
La
conseguenza di questa ribellione fu l’allontanamento, anche fisico, dall’Eden:
avevano voluto essere indipendenti, avevano scelto di fidarsi del nemico, che
provassero che cosa voleva dire stare da soli, lontani da casa, lontani dal
Padre, se questa era la loro volontà…
Passarono i secoli, si avvicendarono gli anni e poi, finalmente, arrivò l’ora di
Dio. L’immensa misericordia del Padre ricreò la prima donna redenta, in vista di
generare l’uomo nuovo: Maria.
Maria è
la donna nuova, la donna del sì totale e senza riserva, che nel Figlio
diventerà la Madre di tutti i redenti. Per tramite suo, Dio potrà realizzare in
pienezza il proprio disegno d’amore sull’umanità.
Il
Padre, infatti, colmò di grazia Maria e la scelse quale Madre del Suo divin
Figlio, Redentore della nuova creazione e Salvatore nostro, realizzando così il
suo grande progetto di amore.
E Maria,
l’umile ragazza di Nazaret, ebbe il privilegio di diventare Madre del Salvatore
e Madre nostra, parte integrante della storia salvifica.
«Nel
cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna
sotto i piedi e sul capo una corona di dodici stelle…» (Ap 11,1).
Con
Maria possiamo implorare il suo divin Figlio che non ci faccia mai mancare il
vino nuovo: quell’energia spirituale che ci colma di forza e di vigore per
risollevarci, con la Sua grazia, dalle nostre cadute quotidiane, dai nostri
errori, dalla nostra fragilità e debolezza, per seguirlo ogni giorno sulla via
che Egli stesso ci ha tracciato. Maria, infatti, è la donna del “vino nuovo”: è
colei che ha anticipato l’ora di Gesù alle nozze di Cana, e può invitare e
aiutare anche noi a fare tutto quello che Egli ci dirà.
In Maria
ogni donna si riconosce e può confrontarsi con il più sublime modello di
incarnazione della femminilità che è, soprattutto, accettazione e dono,
trasparenza e apertura, capacità di alimentare e far crescere la vita,
comprensione e misericordia, perdono e sprone a dare il meglio di sé, ad
accogliere la grazia divina per risollevarsi dai propri limiti, dalle proprie
cadute quotidiane, e ricominciare ogni giorno il proprio cammino.
In Maria
- la tutta bella, l’Immacolata, la donna essenzialmente libera e feconda - ogni
donna può rispecchiarsi, riprendere coraggio e fierezza per dire il proprio sì e
aderire totalmente al progetto che il Padre celeste ha su di sé. Questa adesione
libera e cosciente al progetto di Dio potrà darle le ali per volare al di sopra
delle umane miserie, accettando con tutta se stessa il proprio posto nella
creazione e, in Cristo, mediante l’aiuto dello Spirito, realizzarsi nel dono di
sé agli altri. Solo così, infatti, potrà vivere in pienezza la propria
vocazione, realizzandosi come creatura umana e come donna, accorgendosi di chi
le vive accanto, per rispondere alle attese e alle esigenze di chi non ha più il
vino della speranza e dell’amore, che dà senso all’umana esistenza. Possiamo
così vivere nel tempo come Maria, che con grande fiducia e insistenza rimanda al
Cristo, costringendolo ad anticipare, se necessario, anche la Sua ora per
rivelarsi e rispondere a chi è nel bisogno e nella necessità.
Ogni
donna può divenire per il mondo amore misericordioso e creativo e può generare
nella fede i figli di Dio, ricchezza unica e speranza incommensurabile
dell’intera umanità.
«Santa Maria, donna del vino nuovo,
quante volte sperimentiamo pure noi
che il banchetto della vita languisce
e la felicità si spegne sul volto dei commensali!
E’ il vino della festa che viene meno.
Sulla tavola non ci manca nulla:
ma senza il succo della vite,
abbiamo perso il gusto del pane che sa di grano.
Mastichiamo annoiati i prodotti dell’opulenza:
ma con l’ingordigia degli epuloni
e con la rabbia di chi non ha fame.
Tu lo sai bene da che cosa deriva
questa inflazione di tedio.
Le scorte di senso si sono esaurite.
Non abbiamo più vino.
Gli odori asprigni del mosto
non ci deliziano l’anima da tempo.
Le vecchie cantine non fermentano più.
e le botti vuote danno solo spurgo d’aceto.
Muoviti, allora, a compassione di noi,
e ridonaci il gusto delle cose.
Solo così le giare della nostra esistenza si riempiranno
fino all’orlo di significati ultimi.
E l’ebbrezza di vivere e di far vivere
ci farà finalmente provare le vertigini».
+ Tonino Bello
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