Molti,
oggi, si occupano del rapporto famiglia, televisione, minori
A
iniziare dai
giornali. Basta monitorare i principali quotidiani italiani su
questo argomento, per raccogliere un dossier piuttosto voluminoso di
pareri e informazioni. L’ho fatto qualche tempo fa. “Concorso in colpa”:
è l’accusa di Ettore Bernabei, già direttore storico della RAI e
Presidente della LUX-Vide, rivolta ai programmi televisivi pieni di
sesso e violenza (Corriere della sera, 10 ottobre 2002; vedi
anche: TV qualità, terra promessa. Intervista a Ettore Bernabei,
di Gabriele La Porta, Rai-Eri, Roma 2003 ); Violenza in
tv: i bambini sono i primi a temerla (Ib., 13 ottobre 2002).
Questa volta si tratta di una ricerca commissionata dall’Autorità per le
garanzie nelle comunicazioni alle tre università di: Milano, Salerno e
Lugano. Tra i risultati, che hanno stupito gli stessi esperti, è la
constatazione che i ragazzi di quarta elementare, come quelli di terza
media, oggetto dell’inchiesta, sono i primi ad essere spaventati dai
rischi del mezzo televisivo. Già alla fine degli anni ’80 i ricercatori
nordamericani avevano calcolato che un adolescente giunto sui 14 anni
aveva assistito in media a 8000 omicidi e a 100.000 atti di violenza in
televisione (cfr. K. Popper-J.Condry, Cattiva maestra televisione,
Reset, Milano 1996, p. 81).
Il Corriere della
sera, del 30 ottobre 2003, riportava i dati della ricerca promossa
dalla Henry Kaiser Foundation e pubblicati in prima pagina
sul New York Times. I colossi multimediali nordamericani hanno
scoperto nella prima infanzia (tra i sei mesi e i due anni) una nuova
miniera d’oro e pertanto producono programmi come il “Baby Mozart” (in
Dvd) che hanno il potere magico di “far smettere di piangere” il piccolo
fruitore. Un’industria avida di guadagno è all’assalto della prima
infanzia con DVD, videocassette, videogiochi, cartoons. L’accademia dei
pediatri americani ha denunciato: «I bambini sotto i due anni che
passano ore e ore di fronte a: televisione, Dvd e computer diventano
videodipendenti… I bambini sotto i due anni non dovrebbero guardare la
tv e nessun bambino dovrebbe avere il televisore in camera… I bambini
danno il meglio con il gioco all’aperto e il contatto diretto e
prolungato con i genitori». Nella stessa pagina viene riportata
un’intervista con la psicologa italiana Luigia Campioni: «Mai più di due
ore al giorno e in compagnia dei genitori prima dei tre anni. Mai
durante i pasti. Quando inizia l’età scolastica si può anche piazzare il
televisore nella camera del bambino, ma con condizioni bene precise, una
specie di contratto da far rispettare senza cedimenti. Mai lasciare solo
il bambino, senza controllo».
Famiglia Cristiana
(2004/2) ha riportato i giudizi delle famiglie italiane sulla
televisione raccolti dall’Osservatorio del Moige. «Le denunce dei
genitori spaziano dall’eccessiva e morbosa attenzione data al caso di
Cogne, alle scene di violenza, al linguaggio sboccato, ai costumi
succinti di molte fanciulle, a film scandalosi, ai varietà a base di
crassa ironia». Concludono i ricercatori: «I genitori non gradiscono la
televisione volgare e di cattivo gusto e la spettacolarizzazione delle
vicende private» (come avviene ora con i reality show, le vicende
private portate alla spettacolarizzazione).
Anche i bambini
italiani, quando vengono fatti riflettere, esprimono sostanzialmente lo
stesso giudizio sui programmi della televisione. Mi riferisco alla
ricerca del prof. Piero Bertolini e dalla sua équipe dell’università di
Bologna (I bambini giudici della tv, Guerini e Associati, Milano
2002). 120 bambini della quarta elementare dell’hinterland
bolognese sono stati interessati a tecniche di osservazione e di
focus group. Anche con loro si registra il rifiuto alla violenza sia
fisica che psicologica (ad es. la rappresentazione delle malattie
mentali), soprattutto quando è gratuita e non funzionale allo sviluppo
narrativo. Il bambino ammette di “aver paura” di fronte alla violenza in
tv anche con ricadute negli incubi notturni. Un’altra violenza che viene
segnalata dai bambini è quella delle scene di esplicito contenuto
sessuale e di ostentazione gratuita della nudità femminile. «Mi ha dato
fastidio», «Mi sono sentito a disagio», sono le ammissioni registrate
dai ricercatori del prof. Bertolini. La tradizione pedagogica aveva dato
una norma saggia e onesta a questo riguardo: Maxima debetur
puero reverentia.
Gli educatori non
possono “stare a guardare”, né limitarsi alle lamentele
•
Gli esperti sono
concordi nel ritenere che un certo filtro dell’adulto che aiuti il
minore a elaborare gli stimoli “violenti” che riceve dalla televisione
sia più che necessario. «La televisione non è diversa dal frigorifero.
Nessun adulto lo lascerebbe aperto con cibi di tutti i generi a portata
di mano dei bambini. Gli alimenti devono essere scelti in funzione
dell’età. Così i programmi televisivi» (Corriere della Sera, 13
ottobre 2002). Possiamo richiamare l’autorità del grande psicologo Bruno
Bettelheim: «Quanto più tempo passeremo a parlare con i nostri figli dei
programmi che hanno visto in tv, tanto più essi diventeranno
intelligenti e selettivi».
•
Una
risposta data dalle istituzioni a questo problema sono i Codici di
autoregolamentazione. Tuttavia sappiamo per esperienza che i
vari codici sono stati regolarmente disattesi (anche perché è difficile
monitorare tutti i programmi e nessuno ha il coraggio di prendere
provvedimenti efficaci, come sarebbe l’oscuramento delle reti
trasgressive). Questa è stata la sorte del cosiddetto codice Prodi
(1997). Ci auguriamo che un esito migliore ottenga il nuovo codice di
autoregolamentazione sottoscritto il 29 novembre 2002 dal Ministro
Gasparri e dai responsabili delle reti televisive nazionali. Ma, come ha
ammesso uno dei consiglieri di amministrazione della RAI: «I contenuti
sono positivi; ma ora ci vogliono direttive e vigilanza». Tuttavia «i
codici di condotta… restano una necessità fuori discussione, poiché
ricoprono il ruolo di dare pubblica visibilità ed espressione ai
principi e alle linee programmatiche che la società vuole assumersi a
tutela dell’infanzia, nonché alle ragioni di fondo che devono
giustificare i costi di cui la collettività deve farsi carico per
mantenere in vita un sistema di controllo radiotelevisivo» (Damiano
Felini, Televisione e diritti dei bambini, in Aggiornamenti
sociali, luglio-agosto 2003, p. 538). I codici da soli non bastano:
ci vuole più educazione, a iniziare dalla scuola e dalla famiglia.
Il 29 novembre 2003 è uscito il nuovo codice di autoregolamentazione
su Internet e minori (cfr. Damiano Felini, Internet e minori.
Il nuovo codice di autoregolamentazione, in Aggiornamenti
sociali, febbraio 2004, pp. 125-129).
•
Anche il
cardinale Carlo Maria Martini era intervenuto sull’argomento con una
lettera pastorale che aveva lasciato il segno (era stata pubblicata
anche dall’Unità ed eravamo nel 1991!). Ai genitori il cardinale
aveva suggerito di compiere gesti simbolici per recuperare la capacità
di gestire il mezzo televisivo, del saper “aprire e chiudere” al momento
opportuno. «Penso, per esempio, a una giornata di silenzio, a una
sorta di black-out volontario, da indire una volta ogni tanto. E’
semplice. Si decide, per un giorno, di spegnere il televisore: tutti. Un
gesto non di protesta, di condanna, di anatema, di rivalsa, bensì di
gioia, perché ispirato a una piccola misura di salvaguardia vitale. Si
spegne e si esce, si va a spasso, ci si ritrova, si fa festa, si
ricupera il contatto personale con gli altri, si guardano le persone
negli occhi. Oppure si sta in casa, si invitano gli amici, si parla, si
dicono quelle cose per cui non c’è mai tempo» (Il lembo del mantello,
1991, p. 67).
Il Papa, i media, le
famiglie
Il Papa Giovanni
Paolo II si è pronunciato più volte su questo argomento. Mi riferisco,
tra i tanti interventi, al messaggio per la XXVIII Giornata mondiale per
le comunicazioni sociali (15 maggio 1994) che ha come titolo Criteri
per sane abitudini nel vedere. I criteri sono improntati alla
saggezza educativa: anticipare i figli circa i contenuti dei programmi;
fare scelte consapevoli, decidere insieme se vedere o non vedere;
guardare con i figli alcuni programmi televisivi e discutere con loro le
proposte di valori e stili di vita, l’opportunità di alcune scene, ecc.
Il nuovo messaggio del
Papa per la prossima Giornata Mondiale della Comunicazione Sociale del
23 maggio 2004 sposta l’asse dell’attenzione: I media in famiglia: un
rischio e una ricchezza. Certamente i media in famiglia (ed oggi la
casa è diventata una piccola centrale mediatica: radio, televisore,
stereo, computer, Internet, telefonini vari…) possono rappresentare un
“rischio” per i minori come avviene con l’energia elettrica, i vari
elettrodomestici, ecc.; ma sono anche e forse soprattutto una
“ricchezza” che i genitori devono saper valorizzare e governare, una
nuova risorsa per l’educazione.
Come afferma il prof.
Pier Cesare Rivoltella dell’Università Cattolica di Milano «i media sono
in primo luogo normali, sono una presenza costante nella nostra
vita quotidiana». I media sono il nostro ambiente, la
nostra cultura che pone problemi di alfabetizzazione, di acculturazione,
di giudizio etico e di gestione, come avviene per ogni altro elemento
della cultura ambiente. E il bambino ha in se stesso le energie per
reagire positivamente alla nuova situazione culturale in cui viene a
vivere, se accompagnato da genitori ed educatori. L’immagine del bambino
come essere fragile e ingenuo da tutelare è una rappresentazione sociale
da superare. «Il bambino, fin da molto piccolo, è perfettamente in grado
di capire cosa gli consente di preservare la propria integrità e come
può collaborare con i genitori per aiutarli a risolvere gli eventuali
problemi della famiglia». I genitori possono fare affidamento su questa
competenza nativa dei loro figli. «Un’educazione capace di
ascoltare il suo destinatario, in grado di conoscere la sua
competenza, attenta ai contesti e non semplicemente preoccupata delle
tecnologie (o delle protezioni!) è l’educazione che la società
dell’informazione richiede» (Pier Cesare Rivoltella, Educare nella
società dell’informazione, in Vita e Pensiero 2002/2,
pp. 358-357).
La prima risposta degli
educatori e della Chiesa al “potere” dei media è dunque il
“contropotere” dell’educazione: non demonizzare, ma alfabetizzare,
educare, fornire nuove competenze; non lamentarsi, ma coscientizzare ed
esercitare la propria cittadinanza; non fare campagne del “tutto e
subito”, ma promuovere strategie di formazione degli adulti e di
educazione dei minori, esigere che la scuola si faccia promotrice del
curricolo scolastico di educazione ai media (cfr. Roberto Giannatelli,
Cinque proposte al Ministro Moratti sulla Media education, in
Intermed, ottobre 2003).
Come intervenire
Il messaggio del Papa
per la 38a Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali suggerisce tre
risposte che la società odierna deve dare al “rischio” dei media e
sfruttare le loro potenzialità:
•
Una prima parola è
rivolta ai professionisti della comunicazione: la loro
responsabilità è grande. Giovanni Paolo II ha espresso in modo efficace
il suo insegnamento parlando a Los Angeles, nella “capitale” della
produzione cinematografica e televisiva, ai produttori e professionisti
dei media: «I comunicatori devono cercare di comunicare con la gente.
Devono imparare a conoscere i bisogni reali della gente, essere
informati sulle loro lotte; devono saper presentare tutte le forme di
comunicazione con quella sensibilità che la dignità dell’uomo esige…
Sono i custodi e gli amministratori di un immenso potere spirituale che
appartiene al patrimonio dell’umanità ed è inteso ad arricchire l’intera
comunità umana» (15 settembre 1987).
•
Una seconda parola è
indirizzata alle autorità pubbliche. «Senza ricorrere alla
censura, è fondamentale che esse attuino delle politiche e delle
procedure di regolamentazione per assicurare che i mezzi di
comunicazione sociale non agiscano contro il bene della famiglia» (n.
4). Nello stesso messaggio il Papa denuncia la manipolazione della
famiglia che sovente viene operata dai mezzi di comunicazione sociale:
«Il matrimonio e la vita familiare troppo spesso vengono rappresentati
in modo inadeguato dai mezzi di comunicazione. L’infedeltà, l’attività
sessuale al di fuori del matrimonio e l’assenza di una visione morale e
spirituale del contratto matrimoniale vengono ritratti in modo acritico,
sostenendo, talvolta, al tempo stesso il divorzio, la contraccezione,
l’aborto e l’omosessualità» (n. 3). Già Paolo VI aveva sottolineato che
i responsabili delle comunicazioni sociali devono «conoscere e
rispettare le esigenze della famiglia, e questo suppone a volte in essi
un vero coraggio e sempre un alto senso di responsabilità» (Paolo VI,
Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali,
1969).
•
L’ultima e accorata
parola è per i genitori, come «primi e più importanti educatori
dei loro figli» (n. 5). Essi sono chiamati a formare i figli «nell’uso
moderato, critico, vigile e prudente dei mezzi della comunicazione
sociale» (Familiaris consortio, n. 76). «Anche ai bambini molto
piccoli si può insegnare qualcosa d’importante sui mezzi di
comunicazione… I bambini non devono accettare o imitare in modo acritico
ciò che riscontrano nei mezzi di comunicazione sociale» (n. 6). I
genitori, infine, «devono anche regolare l’uso dei mezzi di
comunicazione a casa. Questo significa pianificare e programmare l’uso
degli stessi, limitando severamente il tempo che i bambini dedicano ad
essi e rendendo l’intrattenimento un’esperienza familiare, proibendo
alcuni mezzi di comunicazione e, periodicamente, escludendoli tutti per
lasciare spazio ad altre attività familiari. Soprattutto, i genitori
devono dare ai bambini il buon esempio, facendo un uso ponderato e
selettivo dei mezzi di comunicazione» (n. 5). I genitori moderni devono
essere dei media educators.
Famiglia e media:
nuovi compiti nel campo dell’etica e dell’educazione
La famiglia, come ha
ricordato il Papa, interviene sui valori messi in gioco dai media, sulle
norme di comportamento individuale e sociale, e sugli orizzonti di
senso. E’ proprio dei genitori accompagnare i loro figli sulle strade
della vita, indicandone le mete e dando per primi la grande lezione
della testimonianza. Anche nei nuovi territori dei media.
Il problema famiglia e
media si pone in fondo sullo stesso piano del rapporto
famiglia-ambiente-cultura. L’elemento nuovo rappresentato dalla cultura
dei media è che si tratta di una cultura che si sostituisce alla
tradizionale trasmissione dei valori ed è inquinata da quella malattia
endemica che è la loro dipendenza da interessi economici (dal “mercato”)
e da strumentalizzazioni ideologiche. I media sono diventati “merce”,
più che proposta culturale.
Si può reagire? Il
Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali ha ricordato che i
media «non sono forze cieche della natura alle quali l’uomo non si può
sottrarre» (Etica delle comunicazioni sociali, n. 1). I media
rivolgono un appello alle responsabilità dell’uomo, ai genitori in primo
luogo.
Infatti, all’origine
delle produzioni mediali ci sono uomini e gruppi di potere con
determinate finalità e interessi. I produttori vanno responsabilizzati.
Nel momento della ricezione dei messaggi mediali troviamo, ugualmente,
delle persone con le loro responsabilità. I recettori, a iniziare dai
bambini, vanno educati.
I media sono in
definitiva soltanto dei “mezzi”. Dipende dall’uomo renderli buoni o
malvagi, far in modo che contribuiscano alla sua felicità o al suo
fallimento, che siano un “rischio” o una “ricchezza”.
Al centro dei problemi
sollevati dai media, si pone, innanzi tutto, la questione etica dei
valori in gioco, della cittadinanza, della responsabilità dei singoli e
della società, dei genitori e degli insegnanti ed educatori. La Chiesa
cattolica, e in particolare le congregazioni insegnanti, trovano qui un
nuovo campo di evangelizzazione e promozione umana.
Darsi un codice di
comportamento
E’ bene stabilire in
famiglia alcune norme per il “governo” quotidiano del mezzo televisivo e
degli altri media, come ci ricordano i messaggi del Papa Paolo VI e
Giovanni Paolo II.
Ecco, ad esempio, un
“decalogo del buon uso della televisione in famiglia”:
•
Per
ridurre le ore passate davanti al televisore, offrire alternative in
famiglia.
•
Stabilire
di comune accordo un “tetto” di ore giornaliere.
•
Far uso di video e
programmi registrati in precedenza.
•
La tv
deve essere guardata in ore specifiche, mai durante i pasti.
•
I genitori devono
guardare alcuni programmi con i loro figli.
•
I
genitori e i loro figli devono partecipare a corsi di media education.
•
Occasionalmente i genitori potranno analizzare un programma televisivo
(possibilmente in collegamento con la scuola).
•
I genitori devono
essere informati su come funziona l’industria televisiva.
•
Si devono discutere in
famiglia le regole del buon uso della televisione.
•
I
genitori dovranno riflettere su come possono esercitare la propria
cittadinanza anche a riguardo della televisione e dei media.
Ugualmente importante è
collaborare con la scuola per l’educazione dei bambini e dei ragazzi
alla televisione e agli altri media. I genitori devono chiedere alla
scuola di educare i loro figli alla comprensione critica e all’uso dei
media. E la scuola può offrire ai genitori collaborazioni molteplici,
anche corsi di aggiornamento circa i media e la comunicazione moderna.
Il MED (l’associazione
che ho fondato nel 1996 con Pier Cesare Rivoltella e altri media
educators) ha coinvolto le famiglie mentre proponeva alle scuole una
ricerca-azione per l’introduzione del curricolo di media education
(cfr. R. Giannatelli e P.C. Rivoltella, Teleduchiamo, Elledici,
Leumann 1994).
E oggi Internet
Il computer e Internet
sono entrati rapidamente nella scuola e nelle pratiche quotidiane delle
famiglie italiane. La loro penetrazione è in costante aumento… (cfr.
Censis, Terzo rapporto sulla comunicazione in Italia, ottobre
2003).
Internet offre nuove
risorse e pone nuovi problemi, in particolare quelli connessi con la
pornografia e la pedofilia. Il Ministro Gasparri ha sottoscritto il 19
novembre 2003, come si è già ricordato, un nuovo codice di
autoregolamentazione: Internet e minori. Ma l’intervento per
assicurare una “navigazione sicura” è in primo luogo educativo.
Riferisco ora la proposta elaborata da Patrizia Adiamoli per il
Corecom-Veneto:
•
dedicate
un po’ di tempo insieme a vostro figlio (o ai vostri educandi) per
imparare l’uso di Internet;
•
mettete il computer non
nella stanza dei ragazzi, ma in un luogo comune a tutti i membri della
famiglia;
•
incoraggiate i vostri figli a comunicarvi se si imbattono in siti
sconvenienti e lodateli per averlo detto;
•
date rilievo ai siti
“buoni” e al materiale che offrono;
•
insegnate
ai vostri figli a utilizzare responsabilmente la posta elettronica;
•
insegnate
a non dare a nessuno, su Internet, informazioni personali;
•
non
permettete ai vostri figli di usare chat non sorvegliate e non
adatte ai ragazzi;
•
non permettete ai
vostri figli di avere incontri con persone conosciute su Internet;
•
stabilite
con i vostri figli quanto tempo dare al giorno a Internet;
•
la
miglior protezione sono le buone relazioni tra genitori e figli.
Internet chiama a nuove
responsabilità non solo i genitori, ma anche altre agenzie educative. Lo
aveva ricordato due anni fa il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni
sociali: «Molte persone e molti gruppi hanno responsabilità in questa
materia. Tutti gli utenti di Internet sono obbligati a utilizzarlo in
modo informato e disciplinato, per scopi moralmente buoni. I genitori
dovrebbero guidare e supervisionare l’uso che i figli fanno di Internet.
Le scuole e le altre istituzioni e programmi educativi dovrebbero
insegnare l’uso perspicace di Internet quale parte di una media
education completa, che includa non solo l’acquisizione di
abilità tecniche, ma anche della capacità di valutare in modo informato
e sagace i contenuti. Coloro le cui decisioni e azioni contribuiscono a
forgiare la struttura e i contenuti di Internet hanno il dovere di
praticare la solidarietà al servizio del bene comune» (Etica in
Internet, 22 febbraio 2002, n. 15).
Concludendo: il
cantiere dell’educazione è oggi più che mai aperto. Ci vogliono nuovi
operai per la media education, è necessaria una nuova competenza
mediale per i genitori. Si chiede una nuova collaborazione di tutte le
forze vive della Chiesa cattolica, delle religiose in modo particolare.
La prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali (23 maggio)
offre una bella occasione per illustrare alle famiglie delle nostre
scuole e oratori il pensiero del Papa.
*
Professore dell’Università Salesiana e Presidente del MED (Media
Education).
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