1. Caterina, la
vergine sapiente
Da un punto di vista di spiritualità
cristocentrica, il passaggio dall’epoca patristica al medioevo latino,
contempla esperienze importanti come quelle, ad esempio, di Bernardo di
Chiaravalle (1090-1153), Francesco d’Assisi (1182-1226), Tommaso d’Aquino
(1224/5-1274), Bonaventura (1217-1274), Meister Eckart (ca. 1260-ca.
1328), Giovanni Taulero (ca. 1300-1361), Enrico Suso (ca. 1300-1366),
Giovanni Ruysbroeck (1293-1381), Caterina da Siena e molti altri.1
Caterina, ventiquattresima figlia del
tintore Jacopo Benincasa, nacque a Siena nel 1347 e nel 1365 entrò nel
terz’ordine domenicano delle Mantellate. Morì, appena trentatreenne a
Roma, il 29 aprile 1380, e fu sepolta nella chiesa gotica di S. Maria
sopra Minerva. Canonizzata nel 1461, fu dichiarata compatrona d’Italia
nel 1939 e dottore della Chiesa il 4 ottobre 1970. Il 1° ottobre 1999
è stata proclamata compatrona d’Europa, insieme a Santa Brigida di
Svezia e a Santa Teresa Benedetta della Croce.
Caterina è una delle più grandi
esponenti della mistica cristiana con Santa Ildegarda di Bingen
(1098-1179), la Beata Angela da Foligno (1248-1309), Santa Gertrude di
Helfta (1256-1301), la beghina belga Hadewijch di Anversa (sec. XIII),
Santa Brigida di Svezia (1303-1373), la Beata Giuliana di Norwich
(1343-1416), Santa Giovanna d’Arco (1412-1432), Santa Caterina da
Genova (1447-1510), Santa Teresa d’Avila (1515-1582), Santa Rosa da
Lima (1586-1617), la Beata Maria dell’Incarnazione (1599-1672), Santa
Margherita Maria Alacoque (1647-1690), Santa Teresa di Lisieux
(1873-1897), Santa Gemma Galgani (1878-1903), la Beata Elisabetta della
Trinità (1880-1906).2
Paolo VI, nel proclamarla dottore della
chiesa, ne sottolineava la “sapienza infusa, cioè la lucida, profonda
ed inebriante assimilazione delle verità divine e dei misteri della
fede contenuti nei Libri Sacri dell’Antico e del Nuovo Testamento: una
assimilazione [...] prodigiosa, dovuta ad un carisma di sapienza di
Spirito Santo, un carisma mistico”.3
2. Lo sposalizio
mistico
Si racconta che nella primavera del 1363,
mentre si trovava in preghiera nella sua casa di Siena, ebbe la visione
delle sue nozze mistiche con Gesù. Le apparvero la Vergine Maria, S.
Giovanni evangelista, S. Paolo, S. Domenico e il profeta Davide. Mentre
Davide suonava l’arpa, Maria prese la mano di Caterina e,
presentandola al Figlio, lo invitò a sposarla nella fede.
Il Redentore, donandole uno splendido
anello, le disse:
“Io, tuo Creatore e Salvatore, ti sposo
nella fede, che conserverai sempre pura fino a quando celebrerai con me
in cielo le tue nozze eterne. Armata con la forza della fede, vincerai
felicemente tutti i tuoi nemici”.4
L’anello aveva uno splendido diamante
(= la fede) e quattro perle a significare la purezza d’intenzione, di
pensiero, di parola e di azione. L’anello - come poi le stigmate - era
visibile solo a Caterina e scompariva nei momenti in cui le sembrava di
aver peccato contro il suo Sposo. Riappariva più splendido di prima
dopo la conversione e le lacrime di espiazione.
Secondo Raimondo da Capua, teologo,
maestro generale dell’Ordine dei Domenicani e biografo di Caterina,
dopo lo sposalizio mistico, il Signore a poco a poco, la spinse a
impegnarsi anche nelle cose terrene, senza però toglierle il gusto
della conversazione con Dio. Anzi, piuttosto gliela accrebbe.
L’unico maestro spirituale di Caterina
fu Gesù Cristo. Per questo è considerata la mistica del Sangue
preziosissimo di Gesù, Verbo incarnato e redentore, e la Santa del
Cuore di Cristo.5
Sebbene quasi analfabeta, Caterina ci ha
lasciato opere di grandissimo pregio letterario e spirituale: Lettere,
Preghiere e il Dialogo della Divina Provvidenza, dettato nell’autunno
del 1378, che costituisce la sua opera più importante e conosciuta (=
D).6 Si
tratta di un dialogo tra il Padre celeste e Caterina.
3. Gesù Cristo “ponte”
Caterina considera Gesù come un “ponte”
lanciato tra il cielo e la terra, per riparare la via interrotta dal
peccato.7
La sua divinità unita alla sua vera umanità forma un ponte che si
rivela necessario per salvarsi:
“Tutti siete tenuti a passare
attraverso questo ponte, cercando la gloria e la lode del mio nome nella
salvezza delle anime, sopportando con dolore molte fatiche, seguendo le
orme del dolce e amoroso Verbo: in nessun altro modo potreste venire a
me”.8
Questo straordinario “ponte personale”
mostra le tre tappe fondamentali della vita spirituale. Esso, infatti,
è formato da tre grandi “scaloni”, costituiti dai piedi, dal
costato e dalla bocca di Gesù:
“Al primo scalone, sollevandosi dalla
terra sui piedi dell’affetto, l’anima si spoglia del vizio; sul
secondo si veste d’amore e di virtù; sul terzo finalmente gusta la
pace”.9
Caterina vede quindi il ponte-Cristo con
tre livelli, che permettono di giungere all’unione perfetta dell’anima
con il Signore. Il primo grado o “scalone” è il passaggio dalla
terra ai “piedi” di Gesù, mediante l’affetto verso nostro Signore
offeso dai nostri peccati.
Il secondo “scalone” implica il
passaggio dall’affetto all’amore. Ecco come il Padre celeste
istruisce la Santa: “Salendo sui piedi dell’affetto, l’anima
incomincia a gustare anche l’affetto del cuore, fissando l’occhio
della sua mente nel cuore stesso del Figlio mio, ove scopre il
consumarsi del suo ineffabile amore”.10
L’anima, vedendosi tanto amata e
formando una cosa sola con Gesù, passa dal secondo al terzo scalino:
“cioè giunge alla bocca, dove finalmente trova pace dallo stato di
guerra con me, che prima aveva patito per le proprie colpe”.11
Qui trova la piena amicizia di grazia e di amore con Gesù.
4. Le pietre, la
locanda e la porta del ponte
Il ponte-Cristo è costruito con pietre
saldamente connesse tra di loro. Le pietre sono le virtù. Prima erano
sparse e impedivano il passaggio del ponte. Con la morte redentrice del
Figlio di Dio, le pietre sono state cementate dal suo sangue prezioso:
“Ciò significa che il suo sangue salda le pietre con la calce della
natura divina e con la fortezza del fuoco della carità”.12
In concreto, ciò significa che le virtù
ricevono valore e vita solo dalla passione di Gesù Cristo:
“Nessuno dunque può avere virtù che
generi vita di grazia se non da lui, se non segue le sue orme e la sua
dottrina. Egli le ha portato a perfezione e le ha collocate come pietre
vive, murandole col suo sangue, affinché ogni fedele possa camminare
speditamente”.13
Su questo ponte si apre una locanda (= la
chiesa) che, mediante la distribuzione del pane e del vino eucaristico,
sostiene i pellegrini, affinché non periscano a causa della stanchezza.14
Superato il ponte, si raggiunge la meta
del pellegrinaggio, costituita da Gesù Cristo, porta del cielo e via
verità e vita.15
Il Padre celeste rivela a Caterina:
“Coloro che seguono questa via sono
figli della verità, perché seguono la verità e passano per la sua
porta, e in tal modo si trovano uniti in me grazie alla porta e alla via
del Figlio mio, Verità eterna, oceano di pace”.16
5. Il fiume, via della
menzogna
Chi non percorre la via salda e sicura
del ponte-Gesù, cammina sul fiume, la cui corrente tumultuosa lo fa
annegare. L’acqua, che travolge i viandanti, indica, in questo
contesto, l’amore disordinato, la menzogna, il vizio. L’acqua del
fiume porta all’eterna dannazione, perché ospita i frutti del peccato
e della morte.17
Ogni creatura deve quindi scegliere tra
due vie: o camminare sul ponte, che è la via della verità, o perdersi
sul fiume, che è la via della menzogna. La via della verità dà gioia;
quella della menzogna non dà alcun sollievo, ma priva l’uomo di ogni
bene a causa dei peccati.18
Dopo la risurrezione e l’ascensione,
“questo ponte (= Gesù Cristo) - dice il Padre celeste - si staccò
dalla terra e salì al cielo grazie alla potenza della mia natura
divina, e ora siede alla destra di me, che sono l’eterno Padre”.19
Questo però non significa che noi siamo
rimasti senza alcun ponte e senza alcun maestro. Gesù Cristo risorto
infatti rimane presente sulla terra con il suo Spirito e con la sua
dottrina:20
“rimase, a far da ponte, la sua dottrina [...], che è la strada
maestra, che ci fa da ponte verso le altezze celesti”.21
Non si tratta di una dottrina astratta, ma “sperimentata” e quindi
“efficace”: fu infatti “confermata dagli apostoli e testimoniata
nel sangue dei martiri, rischiarata col lume dei dottori, professata dai
confessori e scritta dagli evangelisti […], posti come lucerne a
risplendere nella santa Chiesa”.22
Durante la vita terrena, il demonio tenta
coloro che seguono la via della virtù. Non si deve temere la prova. Non
c’è infatti tentazione che non si possa vincere con l’aiuto della
grazia. Non dobbiamo mettere nelle mani del demonio l’arma della
nostra volontà libera, altrimenti ci ferirà inducendoci al peccato. La
tentazione è invece una prova per vincere e raggiungere la virtù.
Nella tentazione ogni uomo conosce la propria debolezza e la potenza
della grazia.23
Mentre per i viandanti del fiume ci sarà
un giudizio di condanna, per i pellegrini del ponte ci sarà un giudizio
di beatitudine. Essi continueranno a vivere nell’amore e nella grazia.24
6. L’ascesa del “ponte”
Nella rivelazione che il Padre celeste fa
a Caterina, si ritorna ciclicamente sulla spiritualità del ponte. Dopo
aver dato una descrizione sommaria dell’ascesa di Gesù-ponte, ecco
come il Padre indugia nel descrivere l’inizio di questo cammino:
Ci sono “molti, i quali, sentendosi
spronare dalle tribolazioni del mondo, incominciano ad aprire gli occhi
già grazie alla pena che sentono, e poi con quella che vedono seguire
come effetto della propria colpa. Con questo timore, che già li fa
servi miei, essi incominciano ad uscire dal fiume vomitando il veleno
che era stato propinato loro dallo scorpione dall’apparenza luccicante
e dal quale non s’erano difesi in modo sufficiente, o addirittura in
nessun modo. Riconoscendone la natura velenosa, essi incominciano a
levarsi volgendosi verso la riva del fiume per attaccarsi al ponte
salvifico”.25
Sul primo scalone del ponte bisogna
esercitare non tanto il timore, quanto le virtù fondate sull’amore.
Il timore non è sufficiente. Occorre passare all’amore e
intraprendere un cammino verso l’alto, allontanandosi dalla riva del
fiume e portandosi verso il ponte con tutto l’affetto di conversione,
di pentimento e di desiderio di giungere all’amore:
“L’anima non può vivere senza amore;
sempre vuole avere qualche cosa da amare, poiché è costituita dall’amore
avendola Io per amore creata”.26
Per salire i tre scaloni bisogna avere
sete di Gesù, fonte di acqua viva,27
sete di virtù, dell’onore a Dio e della salvezza. Una volta salita
sul primo scalone dell’affetto, l’anima cammina con sicurezza senza
alcun timore servile. L’affetto infatti, spogliatosi dell’amor
proprio, s’innalza al di sopra di se stesso e delle cose caduche,
magari amandole e conservandole, se lo crede, ma per Dio e non senza di
lui, ossia con santo e vero timore e con amore della virtù:
“Ecco - dice ancora il Padre - allora
già salito il secondo scalone, cioè il lume dell’intelletto, il
quale contempla il mio amore in Cristo crocifisso, per mezzo del quale
Io l’ho mostrato a voi. Allora si trova la pace e la quiete poiché la
memoria s’è colmata della mia carità, e non ha più spazi vuoti per
altre cose. Tu sai che un recipiente vuoto, se toccato, risuona, ma non
risuona quando è pieno. Analogamente quando la memoria è ricolma del
lume dell’intelletto e questo è mosso dal desiderio amoroso, non
rispondete con voci d’impazienza o con disordinato rumore, in quanto l’intelletto
è ripieno di me che sono tutto il bene”.28
Finalmente si arriva in cima al ponte:
“E dopo aver salito ciascuno scalone,
ecco l’unione desiderata [...]. L’anima si trova in compagnia di me,
che sono la sua forza e la sua sicurezza, e incontra le virtù; e così
è sicura nel suo saldo cammino perché io sto in mezzo a loro”.29
7. Gli scaloni del
ponte: tre stadi di vita spirituale
I tre scaloni caratterizzano tre
dinamiche situazioni di vita. Il primo la relazione imperfetta di un
mercenario, il secondo quella perfetta di un servo fedele, la terza
quella perfettissima di un figlio affezionato:
“Il primo mi è servo mercenario, il
secondo mi è servo fedele, il terzo mi è figlio, ossia mi ama senza
altro fine che non sia Io stesso”30.
Superato il primo scalone, si giunge al
secondo, e cioè al costato di Cristo: “qui l’anima trova la grazia
del santo battesimo, disponendosi come vaso a ricevere la grazia, unita
e impastata col sangue”.31
Al costato di Cristo l’anima attinge la
sorgente della carità e vive nella carità. È il battesimo vissuto
nella carità, nel sangue redentore di Cristo, segno concreto di amore
divino. Il battesimo di acqua unito al battesimo di sangue, entrambi
segni di amore divino, sono concentrati nel costato aperto di Cristo da
cui uscì sangue misto ad acqua:
“E vi mostro l’infinità del mio
amore col battesimo del sangue unito al fuoco della mia carità, poiché
per amore il sangue fu versato; e con il battesimo dato ai cristiani, e
a chiunque lo voglia ricevere, che è battesimo dell’acqua unita al
sangue e al fuoco, ove l’anima si impasta col sangue mio”.32
Arrivata al secondo scalone, l’anima
“conosce e acquista tanto fuoco d’amore che subito è spinta a
correre sul terzo, cioè sulla bocca, dove manifesta d’aver raggiunto
lo stato di perfezione”.33
Giunta alla bocca del Signore, essa
comincia a parlare mediante la lingua, a sentire il sapore mediante il
gusto, a nutrire il corpo mediante l’apprensione del cibo: in tal modo
“l’anima si irrobustisce nelle vere e reali virtù e tanto si
impingue per l’abbondanza di questo cibo che la veste della propria
sensualità che ricopre l’anima, ossia il corpo, va in pezzi, morendo
all’appetito sensitivo”.34
Giunta al volto di Gesù l’anima trova
la sua pace: niente la può turbare. Chi giunge a baciare il Signore
vive nella serenità e nella gioia:
“Costoro generano virtù nella gioia,
riversandole sul loro prossimo. Non per questo le loro pene cessano di
esser dolorose, ma non sono un’afflizione per la volontà che è
morta, in quanto, proprio perché morta a se stessa, sopporta
volontariamente di soffrire in nome mio”.35
Arrivati a questo punto si raggiunge il
“quarto stato” e cioè si prova gioia nelle sofferenze:
“Nel primo scalone hanno spogliato i
piedi del loro affetto da ogni attaccamento al vizio; nel secondo hanno
gustato il segreto e l’affetto del cuore onde poterono concepire amore
alla virtù; nel terzo, che è il luogo della pace e della quiete
mentale, hanno provato in se stessi la virtù e sollevandosi dallo stato
di amore imperfetto sono giunti a grande perfezione. Qui hanno trovato
pace nella dottrina della mia Verità; hanno trovato la mensa, il cibo e
chi lo serve, e lo gustano per mezzo della dottrina di Cristo
crocifisso, il Figlio mio unigenito”.36
Si arriva così all’unione e al riposo
in Dio Trinità:
“Io sono per loro letto e mensa. Il
dolce e amoroso Verbo è il loro cibo, sia perché in questo glorioso
Verbo essi gustano il cibo delle anime, sia perché è il cibo che Io vi
ho dato: la carne e il sangue suo, tutto Dio e tutto uomo, voi ricevete
nel sacramento dell’altare, postovi innanzi e datovi dalla mia bontà,
finché siete pellegrini e viandanti: affinché lungo il cammino la
debolezza non vi sopraffaccia; affinché non perdiate la memoria del
beneficio del sangue sparso per voi con tanto fuoco d’amore; e anche
perché sempre possiate trovare conforto e diletto lungo il vostro
cammino. Chi li serve è lo Spirito Santo, cioè l’ardore della mia
carità che somministra loro doni e grazie”.37
In sintesi, ecco come viene riassunta la
dottrina del ponte:
“Ti ho inoltre mostrato come si erge il
ponte, e come si innalzano i tre scaloni raffiguranti le tre potenze
dell’anima; ed anche come nessuno può avere in sé la vita della
grazia se non li sale tutti e tre, ossia se le tre potenze della sua
anima non si unificano nel mio nome. Ti ho pure spiegato come i tre
scaloni rappresentano i tre stati dell’anima raffigurati nel corpo del
Figlio mio unigenito: ti dissi infatti che Cristo ha fatto scala del suo
corpo, mostrandovelo nei piedi trafitti, nella ferita del costato e
nella bocca, ove l’anima trova la pace e la quiete nei modi in cui ti
ho spiegato”.38
8. Caterina, mistica e
apostola della Chiesa
Per concludere riportiamo la sintesi
della vita e della spiritualità di Caterina, così come ci è stata
recentemente delineata nel motu proprio Spes Aedificandi di Giovanni
Paolo II (1° ottobre 1999), mediante il quale il Santo Padre proclamava
la Santa compatrona d’Europa.
Ancora una volta si verifica la legge
della vita spirituale: una valida espansione apostolica si fonda su una
solida formazione spirituale.
Caterina, donna forte e coraggiosa,
impegnata con successo nella vita religiosa, sociale e politica della
Chiesa, riusciva a dare valore e solidità a questa sua testimonianza
perché era sorretta da una interiorità pura come acqua di fonte e
impetuosa come la sorgente di un fiume maestoso:
“6. Nata a Siena nel 1347, fu favorita
sin dalla prima infanzia di straordinarie grazie che le permisero di
compiere, sulla via spirituale tracciata da san Domenico, un rapido
cammino di perfezione tra preghiera, austerità e opere di carità.
Aveva vent’anni quando Cristo le manifestò la sua predilezione
attraverso il mistico simbolo dell’anello sponsale. Era il coronamento
di un’intimità maturata nel nascondimento e nella contemplazione,
grazie alla costante permanenza, pur al di fuori delle mura di un
monastero, entro quella spirituale dimora che ella amava chiamare la “cella
interiore”. Il silenzio di questa cella, rendendola docilissima alle
divine ispirazioni, poté coniugarsi ben presto con un’operosità
apostolica che ha dello straordinario. Molti, anche chierici, si
raccolsero intorno a lei come discepoli, riconoscendole il dono di una
spirituale maternità. Le sue lettere si diramarono per l’Italia e per
l’Europa stessa. La giovane senese entrò infatti con piglio sicuro e
parole ardenti nel vivo delle problematiche ecclesiali e sociali della
sua epoca.
Instancabile fu l’impegno che Caterina
profuse per la soluzione dei molteplici conflitti che laceravano la
società del suo tempo. La sua opera pacificatrice raggiunse sovrani
europei quali Carlo V di Francia, Carlo di Durazzo, Elisabetta di
Ungheria, Ludovico il Grande di Ungheria e di Polonia, Giovanna di
Napoli. Significativa fu la sua azione per riconciliare Firenze con il
Papa. Additando “Cristo crocifisso e Maria dolce” ai contendenti,
ella mostrava che, per una società ispirata ai valori cristiani, mai
poteva darsi motivo di contesa tanto grave da far preferire il ricorso
alla ragione delle armi piuttosto che alle armi della ragione.
7. Caterina tuttavia sapeva bene che a
tale conclusione non si poteva efficacemente pervenire, se gli animi non
erano stati prima plasmati dal vigore stesso del Vangelo. Di qui l’urgenza
della riforma dei costumi, che ella proponeva a tutti, senza eccezione.
Ai re ricordava che non potevano governare come se il regno fosse loro
“proprietà”: consapevoli di dover rendere conto a Dio della
gestione del potere, essi dovevano piuttosto assumere il compito di
mantenervi “la santa e vera giustizia”, facendosi “padri dei
poveri” (cf Lettera n. 235 al Re di Francia). L’esercizio della
sovranità non poteva infatti essere disgiunto da quello della carità,
che è insieme anima della vita personale e della responsabilità
politica (cf Lettera n. 357 al re d’Ungheria).
Con la stessa forza Caterina si rivolgeva
agli ecclesiastici di ogni rango, per chiedere la più severa coerenza
nella loro vita e nel loro ministero pastorale. Fa una certa impressione
il tono libero, vigoroso, tagliente, con cui ella ammonisce preti,
vescovi, cardinali. Occorreva sradicare - ella diceva - dal giardino
della Chiesa le piante fradicie sostituendole con “piante novelle”
fresche e olezzanti. E forte della sua intimità con Cristo, la santa
senese non temeva di indicare con franchezza allo stesso Pontefice, che
amava teneramente come “dolce Cristo in terra”, la volontà di Dio
che gli imponeva di sciogliere le esitazioni dettate dalla prudenza
terrena e dagli interessi mondani, per tornare da Avignone a Roma,
presso la tomba di Pietro.
Con altrettanta passione, Caterina si
prodigò poi per scongiurare le divisioni che sopraggiunsero nell’elezione
papale successiva alla morte di Gregorio XI: anche in quella vicenda
fece ancora una volta appello con ardore appassionato alle ragioni
irrinunciabili della comunione. Era quello l’ideale supremo a cui
aveva ispirato tutta la sua vita spendendosi senza riserva per la
Chiesa. Sarà lei stessa a testimoniarlo ai suoi figli spirituali sul
letto di morte: “Tenete per fermo, carissimi, che io ho dato la vita
per la santa Chiesa” (Beato Raimondo da Capua, Vita di santa Caterina
da Siena, Lib. III, c. IV)”.39
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