L'adozione a distanza
Dalla solidarietà alla tutela
e alla promozione dei diritti dei minori
di Serena Gaiani, Marco De Cassan

 

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  Se la fine del secondo millennio è stata scandita e segnata dal grande Giubileo celebrato in tutto il mondo, il nuovo millennio si apre con una nuova verifica, questa volta all’interno dei singoli governi, su quanto è stato realizzato a sostegno e a tutela dei diritti del fanciullo la cui convenzione era stata approvata e sottoscritta nel 1991, a New York, dalla maggior parte degli Stati del mondo.

Si tratta di un momento molto forte e significativo di confronto tra ciò che si vorrebbe perseguire e cosa in realtà si è fatto, per i minori, in questo decennio.

Tra le molte strategie d’intervento e i programmi di sostegno ai minori emerge per la prima volta un riferimento esplicito a una particolare forma di solidarietà, quella dell’adozione a distanza, che nei documenti ufficiali inizia ad apparire con il termine “sostegno a distanza”.

Questa forma di solidarietà è, quindi, oggi più che mai attuale e inizia ad essere riconosciuta come nuova ed efficace via per la tutela e la promozione dei minori nei Paesi in Via di Sviluppo (PVS).
  

Una particolare solidarietà

L’AAD è un intervento economico a favore di un determinato individuo, di una famiglia o di una comunità (quest’ultima accezione è la più recente ed è la strategia prediletta dalle grandi agenzie umanitarie).

Questo intervento economico è caratterizzato, rispetto ad altre forme di donazioni e offerte, dalla conoscenza da parte del donatore del beneficiario della sua solidarietà e, nello stesso tempo, da un impegno costante che perdura nel tempo.

L’AAD ha sicuramente rivoluzionato il senso tradizionale di “fare elemosina”, di “fare del bene”, del “dare un’offerta”. Per certi versi è stato stravolto il significato dell’invito di Cristo che diceva “(quando invece tu fai l’elemosina) non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra”, visto che il donatore vuole sapere esattamente chi aiuta, perché lo si aiuta e come. Questa richiesta di informazioni non deve però essere interpretata come un’ingerenza del cittadino nelle attività solidali di un’associazione, di un ente o di un istituto religioso perché diffidente, ma testimonia la voglia e il bisogno di essere partecipe, protagonista attivo e maggiormente consapevole dei suoi gesti a favore degli altri.

Oggi questa forma di aiuto è presente ovunque: nelle campagne pubblicitarie, su riviste e settimanali femminili, in televisione con spettacoli in prima serata e talk show. La si vede pubblicizzata sui quaderni per le scuole, tra le cornici per foto nei centri commerciali, sulle schede telefoniche e fioriscono in maniera esponenziale anche i siti internet ad essa dedicati.

È evidente che il Terzo Settore ha scoperto, in questo modo di fare solidarietà, una via privilegiata per raccogliere sempre nuovi e maggiori consensi. Probabilmente, però, siamo giunti a un livello tale in cui sarebbe quanto mai opportuno ritornare alla riscoperta delle origini di questo gesto per evitare la sua lenta trasformazione in ciò che non è e per far sì che si riappropri dei suoi significati più veri e profondi.

 

Le origini e la diffusione

Per riscoprire l’AAD è bene ripercorrere a ritroso la sua storia per capire come essa sia nata e come si sia evoluta.

Una prima traccia della presenza di questo tipo di solidarietà la troviamo in ambito missionario. Nel 1958 un missionario del P.I.M.E., che si trovava negli U.S.A., viene mandato ad aprire una nuova missione in Birmania. L’impatto con la povertà e la miseria è fortissimo e il missionario si ritrova subito a contatto con l’indigenza, la fame, la malnutrizione, la carenza sanitaria di centinaia di bambini.

Una volta rientrato negli Stati Uniti, per un periodo di riposo, descrive questa realtà mostrando alcune foto ad amici e parenti. Gli amici rimangono colpiti dai racconti e soprattutto dagli sguardi e dalle pance dei bambini. Ciascuno si dice disponibile a farsi carico economicamente dei bisogni di un bambino. Iniziano, così, ad inviare mensilmente (e fino a quando sarà necessario) una somma affinché il missionario possa aiutare quel bambino. Nasce la prima forma di “adozione a distanza” e si viene a costituire il primo “Foster Parents Mission Club” ovvero il primo gruppo missionario di genitori adottivi.

Quest’esperienza non rimane però isolata, si fa conoscere e si diffonde. Bisogna però attendere dieci anni prima che l’AAD faccia la sua apparizione ufficiale in Italia. E ancora una volta è opera di un padre del PIME che, con una campagna di sensibilizzazione promossa sul Corriere della Sera a favore di bambini del Sud del mondo, avvia nel 1968 le “adozioni d’amore a distanza”.

Da allora il suo sviluppo e la sua diffusione sono state costanti, con un’esplosione esponenziale dalla fine degli anni ’80 e per tutti gli anni ’90.

Queste affermazioni sono oggi possibili grazie al Primo Censimento Nazionale1 delle associazioni promotrici di adozione a distanza che ha consentito di ricostruire la diffusione a macchia d’olio di questo fenomeno.

Negli anni ’70 l’AAD, sostanzialmente ancora relegata nell’anonimato e conosciuta solo attraverso il passaparola tra sostenitori, era una prerogativa quasi esclusiva del mondo religioso missionario.

Poche erano allora le organizzazioni umanitarie (ONG = Organizzazioni Non Governative) operanti nei PVS ed erano i tempi in cui non esisteva alcun problema nel reperire fondi per l’intervento nel terzo mondo, visto che il Governo elargiva con una certa abbondanza fondi per la Cooperazione Internazionale. Con la crisi del welfare state e la conseguente drastica riduzione dei fondi le organizzazioni umanitarie hanno dovuto ricercare nuove forme di finanziamento ai loro progetti già avviati e consolidati in molti PVS e l’AAD è stata una di queste strade.

Per questa ragione, come ci conferma il Censimento, negli anni ’80 si assiste a una prima forte diffusione dell’AAD proprio grazie all’iniziativa di alcune ONG italiane (infatti ben il 22% degli enti censiti dichiara di essersi costituito in questo decennio).

Come già anticipato, però, è nel primo quinquennio degli anni ’90 che si assiste al moltiplicarsi di associazioni, gruppi, fondazioni, enti tutti impegnati in questo campo (è dal 1990 al ’95 che si costituisce il 47,7% delle nuove realtà associative, molte nate esplicitamente e unicamente per avviare progetti di AAD)2.

Questo vastissimo panorama di enti e realtà oggi operanti ha fatto sì che l’AAD, nata in ambito missionario religioso ed ecclesiale, attualmente sia quasi di esclusiva prerogativa laica (gli enti censiti si sono così suddivisi: 57,4% associazioni, 14,7% enti morali riconosciuti del Ministero; 17,6% Ist. Ecclesiali e 10,3% gruppi informali)3.

Si registra, quindi, una netta predominanza del cosiddetto mondo laico che in pochi anni si è consolidato e ha finito per diventare più visibile del mondo religioso che di tale solidarietà ne detiene i natali.

Tuttavia si è sicuri che gli Istituti e gli enti religiosi che promuovono l’AAD siano molti di più di quelli che esplicitamente si sono fatti conoscere. Forse perché da sempre certi gesti di condivisione e il molto lavoro che la Chiesa fa verso le categorie socialmente più deboli e bisognose non hanno mai avuto tanta cassa di risonanza e sono vissuti, di solito, nel silenzio e nel nascondimento.

Nella società odierna, ove le realtà sommerse vengono considerate come “non esistenti” e ove solo chi c’è con forte visibilità viene considerato come valido interlocutore, c’è più che mai bisogno di uscire dall’anonimato e di farsi conoscere. Solo così i sostenitori che si riconoscono nella solidarietà proposta dai religiosi potranno anch’essi avere una visibilità e una voce di rappresentanza che viene ad essere indispensabile al giorno d’oggi ove tutti, nessuno escluso, sono chiamati a confrontarsi democraticamente attorno a idee, proposte, iniziative…

Questo viene detto soprattutto alla luce dei fatti che stanno caratterizzando la storia di questi ultimi anni, nel campo delle AAD.

Nel 1998, ad esempio, una proposta di Disegno di Legge è stata depositata al Senato e il suo contenuto ha fatto attivare non pochi enti attorno a dei gruppi di discussione: si è rischiato, infatti, di veder circoscritto il settore dell’AAD a pochi e ultra certificati organismi, scelti dalle istituzioni e di veder estromesso, di fatto, tutto il mondo ecclesiale missionario oltre che le piccole-medie associazioni. Inoltre tale proposta ha rischiato soprattutto di portare forti limitazioni alla pluralità degli interventi di sostegno a distanza la cui efficacia è dovuta proprio all’eterogeneità degli enti e delle associazioni che la promuovono.

A questo si aggiunga che dal 1999 si sono organizzati degli appuntamenti nazionali4, i Forum, nei quali tutte le realtà della solidarietà a distanza sono chiamate a conoscersi e a valorizzarsi nelle reciproche differenze. Sono, queste, occasioni uniche di scambio, di informazioni, di contatto con le proposte istituzionali e di promozione di una cultura della solidarietà su scala nazionale. Ovviamente non sono chiamati ad esserci solo le Associazioni, le Onlus e le Ong. Il campo è aperto a tutti.

 

Cosa intendiamo oggi per AAD

L’enorme eterogeneità delle associazioni e degli enti che promuovono questo gesto solidale fanno dell’AAD un mondo davvero complesso e ricco. Le pluralità di filosofie d’intervento a cui ognuno si ispira, le diverse attività condotte nei PVS e le modalità gestionali differenti per ciascuno fanno di questa realtà un vero e proprio arcipelago. Anche la denominazione del gesto non è affatto univoca e così si passa dalla classica adozione a distanza a madrinato, padrinato, sponsorizzazione, tutela a distanza, adozione scolastica e così via, fino all’ultima espressione “sostegno a distanza” che sembra essere più neutra e meno risonante emotivamente.

Tuttavia dal Censimento emerge che, pur nella pluralità, il 68,8% degli enti usa l’espressione “adozione a distanza”, mentre il 21% fa uso dell’espressione “sostegno a distanza”.

Cosa sottendano queste espressione è invece abbastanza chiaro e netto per tutti: con questo tipo di intervento ci si prefigge di aiutare primariamente un minore (74,8%) e secondariamente la comunità e la famiglia (17,3% e 9,4%).

L’intervento è duraturo nel tempo tanto che per il 53,7% l’impegno richiesto è a tempo indeterminato. Ben un 24,2% richiede invece un impegno minimo di tre anni.

Anche gli ambiti d’intervento sono molto precisi e uniformi: la prima preoccupazione è costituita dall’intervento alimentare posto come primario dal 56,8% degli enti e subito dopo l’istruzione di base (46%). Se sommiamo tutte le diverse forme di intervento scolastico (scuola di base, corsi professionali, corsi superiori e universitari, corsi di reinserimento) notiamo che l’AAD punta nettamente sulla formazione e sull’istruzione.

Infine, dando uno sguardo alla distribuzione geografica mondiale, emerge una sostanziale ramificazione degli interventi: qui il panorama italiano manifesta tutta la sua eterogeneità e ricchezza. Domina l’aiuto al Brasile che, come singolo Stato, è il Paese più aiutato dall’AAD in assoluto. A livello continentale invece Africa e America Latina sono aiutati praticamente allo stesso modo. Significativo è risultato l’attenzione rivolta ai Balcani (ex Jugoslavia e Albania) che si sono collocati al terzo posto dopo Brasile e zona dei Grandi Laghi in Africa.

Questo dato è facilmente riconducibile alla recentissima storia di queste terre e ai massicci interventi umanitari durante e dopo le guerre civili interne.

 

L’AAD: un percorso educativo e uno stile di vita

Anche se a prima vista non può sembrare, in realtà sono davvero molti i risvolti pedagogici che la forma di solidarietà chiamata adozione a distanza porta in sé e che aspettano di essere coltivati e sviluppati.

Sono potenzialità educative che cercano solo un terreno fertile che li faccia fruttare: come tutte le proposte e i gesti, un individuo può fare un’adozione a distanza perché è di moda o perché la equipara a una delle tante tasse che già si pagano (anzi in caso di associazioni ONLUS l’offerta è anche detraibile) oppure (ed è quello che una indagine conferma5) questa strada viene percorsa perché in essa ci si crede e la si vive come reale strumento di condivisione con chi si trova in stato di bisogno.

Solo chi si ritrova in questo ultimo caso ovviamente possiede il terreno fertile per vivere appieno la grandiosa portata educativa dell’AAD.

L’AAD proprio perché strumento solidale che non si basa sull’offerta occasionale fatta una tantum, in occasione magari della tredicesima o di qualche ricorrenza, ma gesto continuato e non sporadico apre la persona a un interessante itinerario auto-educativo di cui il sostenitore stesso diventa protagonista.

L’avvicinarsi ai problemi della povertà e alla realtà di persone che soffrono per lo stato di miseria in cui si trovano sensibilizza e apre alla conoscenza di un mondo pensato a volte così lontano dalla nostra civiltà del benessere, ma mai stato così tanto vicino proprio perché condizionato dalle scelte che nel Primo mondo vengono fatte.

La foto del bambino o della comunità aiutata, i report dei referenti locali (nella maggior parte missionari religiosi e religiose), le pagelle dei ragazzi che stanno frequentando la scuola e le notizie di aggiornamento che giungono all’adottante a distanza sono tutti degli strumenti molto concreti che bucano l’anonimato di situazioni a cui i mass media ci hanno purtroppo ormai assuefatto.

Ecco, quindi, che il sostenitore viene chiamato in prima persona a farsi co-attore del fatto solidale e ad apparire sulla scena insieme al destinatario d’aiuto. Alcuni enti consentono l’invio di corrispondenza, pacchi; consentono che ci si rechi là dove viene portato il sostegno per poter diventare, una volta rientrati, testimoni privilegiati e “presenza contagiante”.

Cogliere le potenzialità formative che l’AAD propone significa spalancare le proprie porte all’accoglienza di un’altra persona, che “c’è”, anche se fisicamente vive a migliaia di chilometri. E questa presenza in una famiglia in alcuni casi diventa uno strumento di apertura e di educazione multiculturale che sollecita i genitori nella crescita dei propri figli, chiamati un domani a vivere in una società sempre più interetnica e multirazziale.

Quanto detto viene riconfermato da aneddoti e fatti raccontati dagli stessi genitori o da chi entra in contatto con queste famiglie “speciali” e viene riconfermato anche da alcuni dati.

Una ricerca condotta tra il ’97 e il ’98 ci ha mostrato come ben il 45% dei sostenitori a distanza fosse costituito da nuclei familiari: questo rivela come la famiglia, primaria agenzia educativa si senta naturalmente chiamata alla via della condivisione e dell’apertura verso l’altro. Inoltre è anche interessante vedere che la motivazione data al gesto solidale in questione si riassuma nell’espressione “dare testimonianza d’amore cristiano alla vita” scelta come risposta dal 57% del campione. Questa solidarietà diventa, quindi, veicolo di valori e permette a chi la sottoscrive, credendo nelle sue potenzialità, di farla diventare davvero segno socialmente incisivo.

Come si scriveva in un articolo, si può dire quindi che “il primo valore che viene proposto dall’adozione a distanza è quello della solidarietà, che porta la famiglia ad allargare il proprio orizzonte e a confrontarsi con le realtà degli altri. Ma la scia valoriale continua…”6 e si può dire che viene ad assumere un respiro ben più ampio. Questo gesto, infatti, non si rivela come unico e isolato, ma le persone che vi aderiscono affermano di essere impegnate anche su altri fronti.

Il 34% dei sostenitori dice di partecipare, anche finanziariamente, ad altre iniziative sociali, mentre un 32% contribuisce economicamente alla realizzazione di altri interventi. C’è poi anche chi (come il 23%) degli intervistati dice di non offrire aiuto solo in natura economica, ma di essere coinvolto in prima persona in attività di volontariato e solidali nel proprio paese o nella provincia di appartenenza.

L’AAD, quindi se sviluppata dal sostenitore per le potenzialità educative che ha in sé si rivela strumento e strada percorribile per incidere nella vita del sostenitore, della sua famiglia e della sua comunità.

Non si esaurisce quindi, solo nell’aiuto al Terzo Mondo, ma segna profondamente anche le coscienze di chi abita nei Paesi industrializzati. E’ un invito, quindi ben più ampio del versamento delle 600mila lire annue richieste (come media nazionale), ma è un appello a lasciarsi cambiare nella vita quotidiana, ad assumere uno stile di vita diverso che dovrebbe ricondurre alla riscoperta dell’essenzialità e alla lotta verso ogni tipo di spreco in nome di quel bambino che sappiamo vive con quello che per noi è un “di più”.

 

Cosa ne pensano le Istituzioni

Ma cosa ne pensano le Istituzioni dell’adozione a distanza?

Abbiamo già accennato in precedenza come nel 1998 ci fu un’iniziativa parlamentare rivolta esplicitamente a questo settore dopo la diffusione di alcune stime giornalistiche, peraltro ridimensionate (e in parte smentite un anno dopo), che assegnavano all’adozione a distanza un giro economico di 1.500 miliardi all’anno. Il timore di abusi, truffe e speculazioni avevano indotto alcuni esponenti a prendere posizione e porre dei paletti.

In risposta proprio a questo tentativo di interferire e legiferare su un’iniziativa chiaramente espressione della genuina e spontanea intraprendenza del Privato Sociale si è costituito un Comitato di associazioni impegnate nell’adozione a distanza con lo scopo di dare vita al Forum italiano delle Associazioni per l’Adozione a distanza.

Così l’anno successivo è stato organizzato e convocato il Primo Forum Nazionale del settore con il primario intento di stendere un documento che illuminasse e definisse alcuni tratti specifici dell’adozione a distanza.

Si è trattato di un grande lavoro di confronto e di dibattito che ha portato alla Carta dei Principi per il Sostegno a distanza, promossa, ufficializzata e sottoscritta fin dall’inizio da oltre 50 enti e associazioni lo scorso novembre 2000, in occasione del Secondo Forum Nazionale. Questo documento, accolto positivamente da parte delle Istituzioni e dal Presidente della Repubblica Azeglio Ciampi, ha fatto definitivamente recedere la proposta di legge avanzata nel 1998.

Tre sono i punti nodali di questo documento che possono essere sintetizzati in tre impegni:

  • essere una Carta a tutela e a garanzia sia dei minori aiutati che dei cittadini italiani coinvolti;

  • essere uno strumento di trasparenza e chiarezza operativa da parte degli enti e delle associazioni;

  • essere l’inizio di una piattaforma comune su cui tutti gli enti del settore possano ritrovarsi, lavorare e collaborare sinergicamente.

In questo senso la realtà associativa italiana può davvero vantarsi di aver saputo dare una chiara risposta alle esigenze delle istituzioni e dei cittadini. Ha dimostrato capacità di collaborazione e di voler lavorare seriamente a favore e a tutela dei minori.

Un intervento, quello dell’adozione a distanza, che lo stesso Governo italiano ha oggi riconosciuto e elogiato per il grandissimo impegno economico in cui sono coinvolti milioni di privati cittadini i quali, proprio attraverso il sostegno a distanza e in altre forme, garantiscono dignità, futuro e la sopravvivenza di numerosi progetti a favore dei minori nei Paesi del Sud del mondo e della reale efficacia di tali interventi:

“Assai rilevante, in un programma di solidarietà verso l’infanzia sofferente nel mondo, è lo sviluppo di quelle forme di sostegno a distanza di singoli minori in difficoltà che la comunità italiana spontaneamente, ha fortemente incrementato in questi anni…

Il Governo opererà con tutti gli organismi e i coordinamenti del settore. Il sostegno a distanza si dovrà primariamente orientare al miglioramento delle condizioni generali di vita dell’ambiente in cui il bambino è inserito e quindi, innanzitutto, della famiglia. Si dovrà poi considerare con attenzione la necessità di migliorare gli interventi nelle strutture di accoglienza residenziale oltre che favorire la nascita di una rete di promozione e protezione locali dei diritti dei bambini”7.

Tutto questo ci permette di capire quale peso, oggi, abbia assunto questa forma di solidarietà in Italia non solo tra i cittadini, ma all’interno della stessa opinione pubblica e degli organi ufficiali.

Se, dunque, il prossimo settembre ci si domanderà cosa i singoli Stati hanno fatto, promosso e realizzato in questi dieci anni in nome dalla Convenzione per i diritti del fanciullo, probabilmente emergeranno molte perplessità e una sostanziale inadeguatezza degli interventi istituzionali.

Un giudizio più positivo potrà essere speso a favore della società civile italiana che, forse ignara di tante convenzioni, ha realizzato davvero tanto a favore e a tutela dei minori nel mondo.

Concludiamo, quindi, questa riflessione con un invito a tutti gli organismi e a tutti gli istituti religiosi impegnati in questa forma di solidarietà a contattarci e far conoscere anche la propria attività. Sarebbe particolarmente significativo e aggiornerebbe ulteriormente il Censimento e le ricerche fatte, se si compilasse anche il questionario redatto per l’occasione.

Per maggiori informazioni e per poter avere copia del questionario è sufficiente contattare per posta, fax o e-mail al seguente indirizzo:

Marco De Cassan e Serena Gaiani
c/o Istituto Piccole Suore S. Famiglia
Via Fossà 13
37010 Castelletto di Brenzone (Vr)
Tel/Fax: 045/6589117
e-mail: gaiani.decca@libero.it  oppure missioni@pssf.it.

 

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