Se la fine del secondo millennio è stata
scandita e segnata dal grande Giubileo celebrato in tutto il mondo, il
nuovo millennio si apre con una nuova verifica, questa volta all’interno
dei singoli governi, su quanto è stato realizzato a sostegno e a tutela
dei diritti del fanciullo la cui convenzione era stata approvata e
sottoscritta nel 1991, a New York, dalla maggior parte degli Stati del
mondo.
Si tratta di un momento molto forte e
significativo di confronto tra ciò che si vorrebbe perseguire e cosa in
realtà si è fatto, per i minori, in questo decennio.
Tra le molte strategie d’intervento e i
programmi di sostegno ai minori emerge per la prima volta un riferimento
esplicito a una particolare forma di solidarietà, quella dell’adozione
a distanza, che nei documenti ufficiali inizia ad apparire con il
termine “sostegno a distanza”.
Questa forma di solidarietà è, quindi,
oggi più che mai attuale e inizia ad essere riconosciuta come nuova ed
efficace via per la tutela e la promozione dei minori nei Paesi in Via
di Sviluppo (PVS).
Una particolare
solidarietà
L’AAD è un intervento economico a
favore di un determinato individuo, di una famiglia o di una comunità
(quest’ultima accezione è la più recente ed è la strategia
prediletta dalle grandi agenzie umanitarie).
Questo intervento economico è
caratterizzato, rispetto ad altre forme di donazioni e offerte, dalla
conoscenza da parte del donatore del beneficiario della sua solidarietà
e, nello stesso tempo, da un impegno costante che perdura nel tempo.
L’AAD ha sicuramente rivoluzionato il
senso tradizionale di “fare elemosina”, di “fare del bene”, del
“dare un’offerta”. Per certi versi è stato stravolto il
significato dell’invito di Cristo che diceva “(quando invece tu fai
l’elemosina) non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra”,
visto che il donatore vuole sapere esattamente chi aiuta, perché lo si
aiuta e come. Questa richiesta di informazioni non deve però essere
interpretata come un’ingerenza del cittadino nelle attività solidali
di un’associazione, di un ente o di un istituto religioso perché
diffidente, ma testimonia la voglia e il bisogno di essere partecipe,
protagonista attivo e maggiormente consapevole dei suoi gesti a favore
degli altri.
Oggi questa forma di aiuto è presente
ovunque: nelle campagne pubblicitarie, su riviste e settimanali
femminili, in televisione con spettacoli in prima serata e talk show.
La si vede pubblicizzata sui quaderni per le scuole, tra le cornici per
foto nei centri commerciali, sulle schede telefoniche e fioriscono in
maniera esponenziale anche i siti internet ad essa dedicati.
È evidente che il Terzo Settore ha
scoperto, in questo modo di fare solidarietà, una via privilegiata per
raccogliere sempre nuovi e maggiori consensi. Probabilmente, però,
siamo giunti a un livello tale in cui sarebbe quanto mai opportuno
ritornare alla riscoperta delle origini di questo gesto per evitare la
sua lenta trasformazione in ciò che non è e per far sì che si
riappropri dei suoi significati più veri e profondi.
Le origini e la
diffusione
Per riscoprire l’AAD è bene
ripercorrere a ritroso la sua storia per capire come essa sia nata e
come si sia evoluta.
Una prima traccia della presenza di
questo tipo di solidarietà la troviamo in ambito missionario. Nel 1958
un missionario del P.I.M.E., che si trovava negli U.S.A., viene mandato
ad aprire una nuova missione in Birmania. L’impatto con la povertà e
la miseria è fortissimo e il missionario si ritrova subito a contatto
con l’indigenza, la fame, la malnutrizione, la carenza sanitaria di
centinaia di bambini.
Una volta rientrato negli Stati Uniti,
per un periodo di riposo, descrive questa realtà mostrando alcune foto
ad amici e parenti. Gli amici rimangono colpiti dai racconti e
soprattutto dagli sguardi e dalle pance dei bambini. Ciascuno si dice
disponibile a farsi carico economicamente dei bisogni di un bambino.
Iniziano, così, ad inviare mensilmente (e fino a quando sarà
necessario) una somma affinché il missionario possa aiutare quel
bambino. Nasce la prima forma di “adozione a distanza” e si viene a
costituire il primo “Foster Parents Mission Club” ovvero il primo
gruppo missionario di genitori adottivi.
Quest’esperienza non rimane però
isolata, si fa conoscere e si diffonde. Bisogna però attendere dieci
anni prima che l’AAD faccia la sua apparizione ufficiale in Italia. E
ancora una volta è opera di un padre del PIME che, con una campagna di
sensibilizzazione promossa sul Corriere della Sera a favore di
bambini del Sud del mondo, avvia nel 1968 le “adozioni d’amore a
distanza”.
Da allora il suo sviluppo e la sua
diffusione sono state costanti, con un’esplosione esponenziale dalla
fine degli anni ’80 e per tutti gli anni ’90.
Queste affermazioni sono oggi possibili
grazie al Primo Censimento Nazionale1 delle associazioni
promotrici di adozione a distanza che ha consentito di ricostruire la
diffusione a macchia d’olio di questo fenomeno.
Negli anni ’70 l’AAD, sostanzialmente
ancora relegata nell’anonimato e conosciuta solo attraverso il passaparola
tra sostenitori, era una prerogativa quasi esclusiva del mondo religioso
missionario.
Poche erano allora le organizzazioni
umanitarie (ONG = Organizzazioni Non Governative) operanti nei PVS ed
erano i tempi in cui non esisteva alcun problema nel reperire fondi per
l’intervento nel terzo mondo, visto che il Governo elargiva con una
certa abbondanza fondi per la Cooperazione Internazionale. Con la crisi
del welfare state e la conseguente drastica riduzione dei fondi
le organizzazioni umanitarie hanno dovuto ricercare nuove forme di
finanziamento ai loro progetti già avviati e consolidati in molti PVS e
l’AAD è stata una di queste strade.
Per questa ragione, come ci conferma il
Censimento, negli anni ’80 si assiste a una prima forte diffusione
dell’AAD proprio grazie all’iniziativa di alcune ONG italiane
(infatti ben il 22% degli enti censiti dichiara di essersi costituito in
questo decennio).
Come già anticipato, però, è nel primo
quinquennio degli anni ’90 che si assiste al moltiplicarsi di
associazioni, gruppi, fondazioni, enti tutti impegnati in questo campo
(è dal 1990 al ’95 che si costituisce il 47,7% delle nuove realtà
associative, molte nate esplicitamente e unicamente per avviare progetti
di AAD)2.
Questo vastissimo panorama di enti e
realtà oggi operanti ha fatto sì che l’AAD, nata in ambito
missionario religioso ed ecclesiale, attualmente sia quasi di esclusiva
prerogativa laica (gli enti censiti si sono così suddivisi: 57,4%
associazioni, 14,7% enti morali riconosciuti del Ministero; 17,6% Ist.
Ecclesiali e 10,3% gruppi informali)3.
Si registra, quindi, una netta
predominanza del cosiddetto mondo laico che in pochi anni si è
consolidato e ha finito per diventare più visibile del mondo religioso
che di tale solidarietà ne detiene i natali.
Tuttavia si è sicuri che gli Istituti e
gli enti religiosi che promuovono l’AAD siano molti di più di quelli
che esplicitamente si sono fatti conoscere. Forse perché da sempre
certi gesti di condivisione e il molto lavoro che la Chiesa fa verso le
categorie socialmente più deboli e bisognose non hanno mai avuto tanta
cassa di risonanza e sono vissuti, di solito, nel silenzio e nel
nascondimento.
Nella società odierna, ove le realtà
sommerse vengono considerate come “non esistenti” e ove solo chi c’è
con forte visibilità viene considerato come valido interlocutore, c’è
più che mai bisogno di uscire dall’anonimato e di farsi conoscere.
Solo così i sostenitori che si riconoscono nella solidarietà proposta
dai religiosi potranno anch’essi avere una visibilità e una voce di
rappresentanza che viene ad essere indispensabile al giorno d’oggi ove
tutti, nessuno escluso, sono chiamati a confrontarsi democraticamente
attorno a idee, proposte, iniziative…
Questo viene detto soprattutto alla luce
dei fatti che stanno caratterizzando la storia di questi ultimi anni,
nel campo delle AAD.
Nel 1998, ad esempio, una proposta di
Disegno di Legge è stata depositata al Senato e il suo contenuto ha
fatto attivare non pochi enti attorno a dei gruppi di discussione: si è
rischiato, infatti, di veder circoscritto il settore dell’AAD a pochi
e ultra certificati organismi, scelti dalle istituzioni e di veder
estromesso, di fatto, tutto il mondo ecclesiale missionario oltre che le
piccole-medie associazioni. Inoltre tale proposta ha rischiato
soprattutto di portare forti limitazioni alla pluralità degli
interventi di sostegno a distanza la cui efficacia è dovuta proprio all’eterogeneità
degli enti e delle associazioni che la promuovono.
A questo si aggiunga che dal 1999 si sono
organizzati degli appuntamenti nazionali4, i Forum, nei quali
tutte le realtà della solidarietà a distanza sono chiamate a
conoscersi e a valorizzarsi nelle reciproche differenze. Sono, queste,
occasioni uniche di scambio, di informazioni, di contatto con le
proposte istituzionali e di promozione di una cultura della solidarietà
su scala nazionale. Ovviamente non sono chiamati ad esserci solo le
Associazioni, le Onlus e le Ong. Il campo è aperto a tutti.
Cosa intendiamo oggi
per AAD
L’enorme eterogeneità delle
associazioni e degli enti che promuovono questo gesto solidale fanno
dell’AAD un mondo davvero complesso e ricco. Le pluralità di
filosofie d’intervento a cui ognuno si ispira, le diverse attività
condotte nei PVS e le modalità gestionali differenti per ciascuno fanno
di questa realtà un vero e proprio arcipelago. Anche la denominazione
del gesto non è affatto univoca e così si passa dalla classica
adozione a distanza a madrinato, padrinato, sponsorizzazione, tutela a
distanza, adozione scolastica e così via, fino all’ultima espressione
“sostegno a distanza” che sembra essere più neutra e meno risonante
emotivamente.
Tuttavia dal Censimento emerge che, pur
nella pluralità, il 68,8% degli enti usa l’espressione “adozione a
distanza”, mentre il 21% fa uso dell’espressione “sostegno a
distanza”.
Cosa sottendano queste espressione è
invece abbastanza chiaro e netto per tutti: con questo tipo di
intervento ci si prefigge di aiutare primariamente un minore (74,8%) e
secondariamente la comunità e la famiglia (17,3% e 9,4%).
L’intervento è duraturo nel tempo
tanto che per il 53,7% l’impegno richiesto è a tempo indeterminato.
Ben un 24,2% richiede invece un impegno minimo di tre anni.
Anche gli ambiti d’intervento sono
molto precisi e uniformi: la prima preoccupazione è costituita dall’intervento
alimentare posto come primario dal 56,8% degli enti e subito dopo l’istruzione
di base (46%). Se sommiamo tutte le diverse forme di intervento
scolastico (scuola di base, corsi professionali, corsi superiori e
universitari, corsi di reinserimento) notiamo che l’AAD punta
nettamente sulla formazione e sull’istruzione.
Infine, dando uno sguardo alla
distribuzione geografica mondiale, emerge una sostanziale ramificazione
degli interventi: qui il panorama italiano manifesta tutta la sua
eterogeneità e ricchezza. Domina l’aiuto al Brasile che, come singolo
Stato, è il Paese più aiutato dall’AAD in assoluto. A livello
continentale invece Africa e America Latina sono aiutati praticamente
allo stesso modo. Significativo è risultato l’attenzione rivolta ai
Balcani (ex Jugoslavia e Albania) che si sono collocati al terzo posto
dopo Brasile e zona dei Grandi Laghi in Africa.
Questo dato è facilmente riconducibile
alla recentissima storia di queste terre e ai massicci interventi
umanitari durante e dopo le guerre civili interne.
L’AAD: un percorso
educativo e uno stile di vita
Anche se a prima vista non può sembrare,
in realtà sono davvero molti i risvolti pedagogici che la forma di
solidarietà chiamata adozione a distanza porta in sé e che
aspettano di essere coltivati e sviluppati.
Sono potenzialità educative che cercano
solo un terreno fertile che li faccia fruttare: come tutte le proposte e
i gesti, un individuo può fare un’adozione a distanza perché è di
moda o perché la equipara a una delle tante tasse che già si pagano
(anzi in caso di associazioni ONLUS l’offerta è anche detraibile)
oppure (ed è quello che una indagine conferma5) questa strada viene
percorsa perché in essa ci si crede e la si vive come reale strumento
di condivisione con chi si trova in stato di bisogno.
Solo chi si ritrova in questo ultimo caso
ovviamente possiede il terreno fertile per vivere appieno la grandiosa
portata educativa dell’AAD.
L’AAD proprio perché strumento
solidale che non si basa sull’offerta occasionale fatta una tantum,
in occasione magari della tredicesima o di qualche ricorrenza, ma gesto
continuato e non sporadico apre la persona a un interessante itinerario
auto-educativo di cui il sostenitore stesso diventa protagonista.
L’avvicinarsi ai problemi della
povertà e alla realtà di persone che soffrono per lo stato di miseria
in cui si trovano sensibilizza e apre alla conoscenza di un mondo
pensato a volte così lontano dalla nostra civiltà del benessere, ma
mai stato così tanto vicino proprio perché condizionato dalle scelte
che nel Primo mondo vengono fatte.
La foto del bambino o della comunità
aiutata, i report dei referenti locali (nella maggior parte
missionari religiosi e religiose), le pagelle dei ragazzi che stanno
frequentando la scuola e le notizie di aggiornamento che giungono all’adottante
a distanza sono tutti degli strumenti molto concreti che bucano l’anonimato
di situazioni a cui i mass media ci hanno purtroppo ormai assuefatto.
Ecco, quindi, che il sostenitore viene
chiamato in prima persona a farsi co-attore del fatto solidale e ad
apparire sulla scena insieme al destinatario d’aiuto. Alcuni enti
consentono l’invio di corrispondenza, pacchi; consentono che ci si
rechi là dove viene portato il sostegno per poter diventare, una volta
rientrati, testimoni privilegiati e “presenza contagiante”.
Cogliere le potenzialità formative che l’AAD
propone significa spalancare le proprie porte all’accoglienza di un’altra
persona, che “c’è”, anche se fisicamente vive a migliaia di
chilometri. E questa presenza in una famiglia in alcuni casi diventa uno
strumento di apertura e di educazione multiculturale che sollecita i
genitori nella crescita dei propri figli, chiamati un domani a vivere in
una società sempre più interetnica e multirazziale.
Quanto detto viene riconfermato da
aneddoti e fatti raccontati dagli stessi genitori o da chi entra in
contatto con queste famiglie “speciali” e viene riconfermato anche
da alcuni dati.
Una ricerca condotta tra il ’97 e il
’98 ci ha mostrato come ben il 45% dei sostenitori a distanza fosse
costituito da nuclei familiari: questo rivela come la famiglia, primaria
agenzia educativa si senta naturalmente chiamata alla via della
condivisione e dell’apertura verso l’altro. Inoltre è anche
interessante vedere che la motivazione data al gesto solidale in
questione si riassuma nell’espressione “dare testimonianza d’amore
cristiano alla vita” scelta come risposta dal 57% del campione. Questa
solidarietà diventa, quindi, veicolo di valori e permette a chi la
sottoscrive, credendo nelle sue potenzialità, di farla diventare
davvero segno socialmente incisivo.
Come si scriveva in un articolo, si può
dire quindi che “il primo valore che viene proposto dall’adozione a
distanza è quello della solidarietà, che porta la famiglia ad
allargare il proprio orizzonte e a confrontarsi con le realtà degli
altri. Ma la scia valoriale continua…”6 e si può dire che viene ad
assumere un respiro ben più ampio. Questo gesto, infatti, non si rivela
come unico e isolato, ma le persone che vi aderiscono affermano di
essere impegnate anche su altri fronti.
Il 34% dei sostenitori dice di
partecipare, anche finanziariamente, ad altre iniziative sociali, mentre
un 32% contribuisce economicamente alla realizzazione di altri
interventi. C’è poi anche chi (come il 23%) degli intervistati dice
di non offrire aiuto solo in natura economica, ma di essere coinvolto in
prima persona in attività di volontariato e solidali nel proprio paese
o nella provincia di appartenenza.
L’AAD, quindi se sviluppata dal
sostenitore per le potenzialità educative che ha in sé si rivela
strumento e strada percorribile per incidere nella vita del sostenitore,
della sua famiglia e della sua comunità.
Non si esaurisce quindi, solo nell’aiuto
al Terzo Mondo, ma segna profondamente anche le coscienze di chi abita
nei Paesi industrializzati. E’ un invito, quindi ben più ampio del
versamento delle 600mila lire annue richieste (come media nazionale), ma
è un appello a lasciarsi cambiare nella vita quotidiana, ad assumere
uno stile di vita diverso che dovrebbe ricondurre alla riscoperta dell’essenzialità
e alla lotta verso ogni tipo di spreco in nome di quel bambino che
sappiamo vive con quello che per noi è un “di più”.
Cosa ne pensano le
Istituzioni
Ma cosa ne pensano le Istituzioni dell’adozione
a distanza?
Abbiamo già accennato in precedenza come
nel 1998 ci fu un’iniziativa parlamentare rivolta esplicitamente a
questo settore dopo la diffusione di alcune stime giornalistiche,
peraltro ridimensionate (e in parte smentite un anno dopo), che
assegnavano all’adozione a distanza un giro economico di 1.500
miliardi all’anno. Il timore di abusi, truffe e speculazioni avevano
indotto alcuni esponenti a prendere posizione e porre dei paletti.
In risposta proprio a questo tentativo di
interferire e legiferare su un’iniziativa chiaramente espressione
della genuina e spontanea intraprendenza del Privato Sociale si è
costituito un Comitato di associazioni impegnate nell’adozione a
distanza con lo scopo di dare vita al Forum italiano delle
Associazioni per l’Adozione a distanza.
Così l’anno successivo è stato
organizzato e convocato il Primo Forum Nazionale del settore con
il primario intento di stendere un documento che illuminasse e definisse
alcuni tratti specifici dell’adozione a distanza.
Si è trattato di un grande lavoro di
confronto e di dibattito che ha portato alla Carta dei Principi
per il Sostegno a distanza, promossa, ufficializzata e
sottoscritta fin dall’inizio da oltre 50 enti e associazioni lo scorso
novembre 2000, in occasione del Secondo Forum Nazionale. Questo
documento, accolto positivamente da parte delle Istituzioni e dal
Presidente della Repubblica Azeglio Ciampi, ha fatto definitivamente
recedere la proposta di legge avanzata nel 1998.
Tre sono i punti nodali di questo
documento che possono essere sintetizzati in tre impegni:
-
essere una Carta a tutela e a garanzia
sia dei minori aiutati che dei cittadini italiani coinvolti;
-
essere uno strumento di trasparenza e
chiarezza operativa da parte degli enti e delle associazioni;
-
essere l’inizio di una piattaforma
comune su cui tutti gli enti del settore possano ritrovarsi,
lavorare e collaborare sinergicamente.
In questo senso la realtà associativa
italiana può davvero vantarsi di aver saputo dare una chiara risposta
alle esigenze delle istituzioni e dei cittadini. Ha dimostrato capacità
di collaborazione e di voler lavorare seriamente a favore e a tutela dei
minori.
Un intervento, quello dell’adozione a
distanza, che lo stesso Governo italiano ha oggi riconosciuto e elogiato
per il grandissimo impegno economico in cui sono coinvolti milioni di
privati cittadini i quali, proprio attraverso il sostegno a distanza e
in altre forme, garantiscono dignità, futuro e la sopravvivenza di
numerosi progetti a favore dei minori nei Paesi del Sud del mondo e
della reale efficacia di tali interventi:
“Assai rilevante, in un programma di
solidarietà verso l’infanzia sofferente nel mondo, è lo sviluppo di
quelle forme di sostegno a distanza di singoli minori in difficoltà che
la comunità italiana spontaneamente, ha fortemente incrementato in
questi anni…
Il Governo opererà con tutti gli
organismi e i coordinamenti del settore. Il sostegno a distanza si
dovrà primariamente orientare al miglioramento delle condizioni
generali di vita dell’ambiente in cui il bambino è inserito e quindi,
innanzitutto, della famiglia. Si dovrà poi considerare con attenzione
la necessità di migliorare gli interventi nelle strutture di
accoglienza residenziale oltre che favorire la nascita di una rete di
promozione e protezione locali dei diritti dei bambini”7.
Tutto questo ci permette di capire quale
peso, oggi, abbia assunto questa forma di solidarietà in Italia non
solo tra i cittadini, ma all’interno della stessa opinione pubblica e
degli organi ufficiali.
Se, dunque, il prossimo settembre ci si
domanderà cosa i singoli Stati hanno fatto, promosso e realizzato in
questi dieci anni in nome dalla Convenzione per i diritti del
fanciullo, probabilmente emergeranno molte perplessità e una
sostanziale inadeguatezza degli interventi istituzionali.
Un giudizio più positivo potrà essere
speso a favore della società civile italiana che, forse ignara di tante
convenzioni, ha realizzato davvero tanto a favore e a tutela dei minori
nel mondo.
Concludiamo, quindi, questa riflessione
con un invito a tutti gli organismi e a tutti gli istituti religiosi
impegnati in questa forma di solidarietà a contattarci e far conoscere
anche la propria attività. Sarebbe particolarmente significativo e
aggiornerebbe ulteriormente il Censimento e le ricerche fatte, se si
compilasse anche il questionario redatto per l’occasione.
Per maggiori informazioni e per poter
avere copia del questionario è sufficiente contattare per posta, fax o
e-mail al seguente indirizzo:
Marco De Cassan e Serena Gaiani
c/o Istituto Piccole Suore S. Famiglia
Via Fossà 13
37010 Castelletto di Brenzone (Vr)
Tel/Fax: 045/6589117
e-mail: gaiani.decca@libero.it
oppure missioni@pssf.it.