n. 9
settembre 2004

 

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Il progetto personale di vita:
uno strumento di crescita

di Grazia Le Mura*

 

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La vita è mistero che si svela progressivamente ai nostri occhi e al nostro cuore. È promessa che viaggia lungo la strada della pienezza e gradualmente si compie tra le nostre mani. È progetto d’amore che ci precede e ci accompagna.

La vocazione, ogni vocazione, è segreto arcano che lentamente si svela ai nostri occhi e dolcemente abita il nostro cuore. È alleanza che viaggia lungo la strada della pienezza e gradualmente si compie tra le nostre mani. È disegno di Dio che ci attende e ci spinge in avanti.

La chiamata alla vita è chiamata a camminare, ad essere pellegrini con lo zaino in spalla e nei piedi la voglia di andare, con una canzone nel cuore e nelle mani una scelta di vita, con l’orizzonte negli occhi e nel volto la gioia di esserci.

«Pellegrini nel tempo», per camminare nel qui e ora della storia, con il senso del frattempo nel cuore. Non turisti, all’eterna ricerca di nuovi luoghi da scoprire e nuove esperienze da vivere. Non vagabondi senza un concreto punto di riferimento in cui centrarsi, da cui partire, a cui arrivare1.

Il cammino del pellegrino sa di terra e di cielo, di finito e di eterno, di ora e di altrove. È un cammino che porta al centro di sé, fa scoprire il vero centro della propria esistenza, allarga i confini di sé all’incontro con l’altro. È un processo che svela e incarna, in tutte le sue dimensioni, l’immagine di Dio che ognuno porta incisa, in modo unico e inequivocabile, nel profondo del suo essere.

Per chi sceglie di fare di Dio l’Assoluto della propria vita e della propria storia, questo cammino si fa cammino nello Spirito radicato nel cuore dell’avventura umana. È seguire Cristo in un movimento progressivo che conduce gradualmente dall’intimità con Cristo, all’imitazione di Cristo fino all’identificazione a Cristo. Un’identificazione che fa dire, con convinzione e gioia: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). E fa esclamare, con decisione e speranza: «per me il vivere è Cristo» (Fil 1,21).

Questo cammino è, innanzi tutto e soprattutto, vita che implica azione e crescita: un’azione e una crescita senza fine, senza sosta, senza resistenze. Un movimento di crescita che sposta sempre più in là il traguardo della propria vita, perché si è sempre in cammino… e non si arriva mai!

 

Camminando s’apre cammino…

Per camminare, senza farsi male e portando frutti, occorre maturare la consapevolezza che si cammina gradualmente, compiendo un passo alla volta, senza impazienza, senza fretta, senza salti… senza fermarsi mai! Il cammino è lento e progressivo. Questo sembra scontato, ma in effetti non lo è!

Gli scalatori di montagna insegnano che per arrivare in cima con un po’ di fiato, occorre trovare il «passo giusto», né troppo lento, né troppo veloce. Quel «giusto passo» adeguato alle proprie forze, che accompagna dall’inizio alla fine.

Il cammino si compie un passo alla volta, nella pazienza verso se stessi e nella comprensione di chi sa di essere in cammino… un cammino in salita!

In ogni cammino c’è un piede fermo, che sta indietro ed è saldo, e un piede in movimento, che va in avanti ed è un po’ vacillante e sempre alla ricerca di nuovi passi. Quando si percorre un sentiero di montagna – un sentiero in salita come lo è il cammino nello spirito – il piede in basso è fermo e solido; il piede che avanza, che sale, che apre il cammino a nuovi passi è vacillante e alla ricerca di stabilità per i nuovi passi da compiere... ma è questo piede, il piede che avanza, che permette di andare oltre, sempre più su. È l’azione del piede che avanza che consente di raggiungere la mèta.

Il piede in basso è solido perché ancorato alla memoria del passato, al vissuto, allo sperimentato, alle sicurezze costruite nel tempo, ai punti di riferimento scoperti e sedimentati lungo il cammino... L’altro piede, il piede che avanza, è vacillante perché spinge alla ricerca del nuovo, del cambiamento, del «di più», del superamento di ogni mediocrità e mezze misure…

Il piede che avanza cerca la verità di noi stessi e in noi stessi e fa la verità di noi stessi.

Il cammino del piede che avanza è faticoso e, a volte, per paura della fatica, ci si appoggia eccessivamente sul piede in basso (sicurezze, certezze acquisite, scelte sperimentate…) e non si lascia l’altro piede libero di andare e scoprire nuovi orizzonti.

Il piede che avanza è ora l’uno ora l’altro piede e il piede in basso è ora l’uno ora l’altro piede: il piede in basso diventa poi il piede che avanza e il piede che avanza diventa poi il piede in basso, in una danza armoniosa e senza fine… e così si cammina e si giunge alla vetta.

 

 …e si scopre di essere «in cordata»

Il cammino nello spirito non è un «cammino in solitudine»… anche se io, io soltanto, posso mettere i miei passi l’uno dietro l’altro. È un cammino in cordata, in carovana con chi condivide con me il mio stesso sogno di vita ed ha nel cuore la mia stessa canzone. È un cammino di relazione: con me stessa, con Dio, con la mia comunità, con gli altri, con il mondo intero. È un cammino in cui si ha un compagno di viaggio speciale e unico: Gesù il Cristo, il Crocifisso e il Risorto, il Signore della mia vita e della mia storia, il Maestro che sostiene ogni mio passo e il Messia che porta a compimento il mio cammino.

Nella mia bisaccia di pellegrino, per nutrirmi e crescere durante il cammino, non può mancare il credere fino in fondo alla Parola che mi chiama e m’invita ad avanzare lungo percorsi di essenzialità e radicalità, di amore condiviso e vita donata. Non può mancare il fidarsi e l’affidarsi alla promessa di Dio – Uno e Trino, comunione e relazione – che si fa Alleanza e mi dona il coraggio di camminare contro corrente. Non può mancare la scelta di mettersi, in modo integrale, a servizio del Vangelo per annunciare a tutti la Parola che salva e costruisce, sin da ora e da qui, il Regno di Dio. Non può mancare la decisione di un’opzione fondamentale: il vivere decisi per… per il Vangelo dell’amore! Non può mancare l’impegno a vivere la fedeltà quotidiana alla comunità di cui «faccio parte» e, soprattutto, «prendo parte». Non può mancare la responsabilità di una testimonianza autentica e credibile, a partire dal mio «qui» e dal mio «ora».

 

Ad ogni cammino la sua mappa

Ogni cammino, ogni percorso di crescita, ogni azione orientata allo sviluppo di sé, ogni itinerario formativo presuppone una o più «finalità» e degli «obiettivi» da raggiungere attraverso un «progetto» adeguato al perseguimento delle finalità e degli obiettivi scelti.

Il progetto mostra e descrive il «come» raggiungere le finalità fissate e gli obiettivi scelti.

Le finalità costituiscono il «perché» si avvia un processo di crescita e indicano il «dove» si intende arrivare attraverso un progetto che distribuisce nel tempo gli obiettivi da perseguire.

Gli obiettivi illustrano il «che cosa» s’intende concretamente raggiungere, nel breve, nel medio e nel lungo termine, attraverso lo snodarsi di un progetto che conduce alle finalità prescelte.

 

Finalità: ampi ideali dal «lungo respiro» che fanno da sfondo all’esistenza e sono orientati alla promozione di…

per la formazione religiosa, iniziale e permanente, le finalità possono essere orientate alla promozione… della crescita integrale della persona, dello sviluppo di una personalità adulta e matura, dell’esperienza di fede, della conversione del cuore, della vita di santità e di preghiera, dell’amore al carisma e alla spiritualità d’Istituto…

 

Obiettivi: scopi, mete, fini; traguardi possibili, concreti, individuabili, visibili, verificabili;

per la formazione religiosa, iniziale e permanente, gli obiettivi possono essere orientati all’acquisizione… di una libertà equilibrata, di un’autonomia che rende capaci di scelte decise e decisive, di un’apertura al confronto, di un atteggiamento amabile, di uno stile di preghiera, di un ascolto attivo, di una docilità alla Parola…

 

Gli obiettivi possono essere:

- finali: costituiscono la mèta del percorso e rappresentano lo scopo finale del processo formativo; la verifica del loro compimento si effettua al termine dell’itinerario intrapreso; essi esigono la traduzione in comportamenti concreti da raggiungere nel tempo e per tappe;

- intermedi: articolano gli obiettivi finali spalmandoli nel tempo e rendendoli possibili, concreti, individuabili, visibili, verificabili; costituiscono una sorta di gerarchia da percorrere fedelmente allo scopo di raggiungere, nel tempo e per traguardi successivi, gli obiettivi finali;

- immediati: indicano l’azione da compiere qui-e-ora, nel breve termine; segnalano le operazioni da attivare e suggeriscono i comportamenti da assumere per raggiungere, per gradi, gli obiettivi fissati e ottenere le finalità desiderate.

 

La finalità che intendo raggiungere, per esempio con le suore in formazione, è il raggiungimento di un’intensa vita di preghiera promuovendo personalità ben integrate. Propongo, pertanto, un percorso formativo atto a promuovere l’essere «donne» e «donne di preghiera» che portano la preghiera nella vita e la vita nella preghiera, che insieme alla preghiera comunitaria vivono anche la preghiera personale e il «cuore a cuore» con Dio, che incarnano la Parola di Dio nella vita quotidiana e non vivono la preghiera come rifugio e la spiritualità come spiritualismo.

 

L’obiettivo finale, che traghetta verso il raggiungimento della finalità fissata, è il conseguimento di una spiritualità incarnata che fa stare in perenne atteggiamento di preghiera e fa guardare tutto con gli occhi di Dio.

Gli obiettivi intermedi, che fisseremo insieme e verificheremo di volta in volta, possono essere i seguenti: approfondire il senso di una spiritualità incarnata, comprendere cosa significa la lettura «esistenziale» ed «esperienziale» della Parola di Dio, sperimentare la preghiera del cuore, familiarizzare con i metodi orientali di meditazione, apprendere nuove tecniche di preghiera…

L’obiettivo immediato, il punto di partenza del percorso, è dedicare almeno due ore al giorno per prendere contatto con il proprio corpo e la propria sensibilità, per familiarizzare con le tecniche di rilassamento e di meditazione, per esercitarsi nella preghiera del cuore.

Per raggiungere una finalità occorre tradurre la finalità in obiettivi concreti. Per conseguire gli obiettivi fissati occorre stilare un progetto.

 

Progetto: piano di lavoro ordinato e dettagliato, sistematico e particolareggiato; insieme di elaborazioni ed esplicitazioni necessarie a definire, in modo inequivocabile, gli obiettivi che si intendono raggiungere (tempi e criteri) e le scelte da attivare per raggiungere gli obiettivi fissati (strumenti).

Il progetto è in funzione del raggiungimento degli obiettivi fissati e gli obiettivi (specialmente quelli immediati) richiamano il comportamento. Il progetto, pertanto, riguarda in modo prioritario il comportamento da attivare, da assumere, da far proprio.

Il comportamento è costituito da una serie di «operazioni» circoscritte, possibili, concrete, osservabili, verificabili nei risultati. Queste operazioni si riferiscono ad un’azione concreta del tipo «fare questo» (performance).

Un obiettivo non tradotto in azione e in comportamento rischia di rimanere astratto e di trasformarsi in illusione e in alibi. Un obiettivo tradotto in azione e in comportamento diventa una «cosa da fare» e una «scelta da compiere» che costringe all’azione, al cambiamento, al rimboccarsi le maniche.

L’azione del progettare, nell’ambito della formazione religiosa, iniziale e permanente, richiama il progetto personale di vita (p.p.v.) Tale progetto ha implicanze con la crescita della persona, con le dinamiche relazionali, con le esigenze dell’essere in situazione.

Non si tratta di un progetto generico e fine a se stesso, ma di un progetto preciso, orientato a vivere in pienezza la propria esistenza.

Il p.p.v., se ben formulato e fedelmente seguito, si rivela un potente mezzo perché aiuta ad entrare e a stare in un costante processo di crescita umana, spirituale, relazionale, sociale.

 

Pro-gettare: accarezzare futuro

L’etimologia della parola «progetto» è illuminante. Il termine «progetto» deriva dalla parola latina «proiectus», participio passato di «proicere» che significa «gettare». È strettamente legato a «proiectare», pro + iectare = gettare avanti.

La definizione di «pro-getto» e «pro-gettare» allude all’azione del «gettare in avanti qualcosa». Questa azione implica un movimento, fisico e non solo fisico, e richiama l’apertura al cambiamento, al mutamento, alla trasformazione: quando qualcosa (oggetto, idea, forza, concetto, pensiero…) è «gettata in avanti» è, in un certo senso, «messa in libertà», liberata, sprigionata e può assumere un’altra forma, portare verso un’altra realtà, spostare su un altro piano.

Il termine «progetto» rende la persona consacrata più consapevole del ruolo attivo e responsabile che è chiamata a vivere nei confronti dell’impegno a «prolungare», nella sua vita e nella sua storia esistenziale, la consacrazione di Cristo al Padre. Progettare come essere spazio in cui Dio prende dimora e continua, nello scorrere del tempo e della storia, a scrivere il suo Vangelo d’amore. Come essere tenda della Parola. Come essere manifestazione di Dio, del suo perdono, della sua misericordia, della sua attenzione ai poveri. Come essere collaboratore nella costruzione della «civiltà dell’amore» e di quel Regno che è Regno di giustizia e pace, libertà e riconciliazione. Come traghettarsi dal suggerimento-legge di «amare gli altri “come” se stessi» (Lv 19,18; Mt 22,39) a quella misura smisurata consegnata da Gesù di «amare “come” Lui stesso ha amato» (Gv 13,34).

Il progettare fa accarezzare futuro: impregna di speranza l’oggi, colma d’amore il passato, colora di attese il domani. Tutto ciò è possibile perché il progetto fa riferimento a «quello» scopo, a «quel» fine, a «quel» disegno che la persona sente di poter e dover dare alla propria vita. E, così, la vita non si esaurisce e non si appiattisce sull’orizzonte dell’oggi, ma si spalanca e accoglie sempre nuove «ragioni» per vivere e si esercita nel «render ragione» della speranza che abita in lei (cfr. 1Pt 3,15).

Il progettare, stimolando a stare nell’oggi e proiettando verso il futuro, educa a pensarsi in un orizzonte di significati in cui ogni esperienza porta il segno della ricerca, del desiderio, della pienezza di vita.

Nell’ottica del progettare, nessuna esperienza passa inosservata e senza lasciare il segno, nessuna esperienza è archiviata senza la dovuta verifica e senza la registrazione di ciò che si è conquistato. L’impegno della verifica e del riconoscimento di ciò che si è appreso, sprona a cercare la causa e lo scopo degli avvenimenti che accadono e toccano la propria vita e a dare loro un senso, un senso globale, un senso nel tempo.

 

La vita come progetto e un progetto per la propria vita

Il progettare, sempre, a maggior ragione nella prospettiva della crescita nello spirito, riguarda ogni segmento di vita, ogni età: nessuno escluso! Il progettare riguarda la fase iniziale del cammino, nel nostro caso la formazione iniziale, ma anche la fase centrale, nel nostro caso la formazione permanente. La scusa dell’età, dell’essere «ormai» avanti negli anni, del non poter più cambiare le proprie abitudini, del «non avere più tempo» per pensare ai progetti... va a cozzare con l’invito del Vangelo di essere «uomini nuovi», sempre; di avere «vestiti nuovi», sempre; di essere «otri nuovi», sempre (cfr. Mt 9,16-17). Va a scontrarsi con il consiglio dato da Gesù, nel cuore della notte, al vecchio Nicodemo: «Se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio» (Gv 3,3). Nico-demo non si perde d’animo, fruga nelle sue tasche e conta i suoi anni ed esclama: «Come può un uomo nascere quando è vecchio?» (Gv 3,4). Può… se c’è di mezzo lo Spirito che soffia dove vuole, quando vuole (qualsiasi segmento di vita), come vuole (cfr. Gv 3,5-8).

La vita è progetto e, pertanto, esige un progetto personale di vita.

Il p.p.v. è un valido strumento perché aiuta a far emergere l’«io nascosto» e lo sostiene nel divenire capace di orientarsi, di essere fedele a se stesso, di vivere in pienezza.

Nell’ambito della vita consacrata, il p.p.v. si rivela un potente mezzo perché «getta in avanti» e fa atterrare sul suolo sacro dello Spirito e fa dimorare in Cristo. Stimola a vivere un’autentica esperienza del mistero di Dio. Sprona ad entrare e stare dentro quel costante processo di docile conversione all’azione formativa di Cristo, il Maestro che è la vita, la verità e la via (cfr. Gv 14,6). Vincola – attraverso una profonda, sincera, costante revisione di vita – alle decisioni prese, agli impegni assunti, ai propositi formulati.

Il p.p.v. non è passiva e arida programmazione di cose da fare o non fare. Non è rigida organizzazione oraria che regola e inscatola, nei minimi dettagli, la vita, le scelte, i comportamenti. Non è cavillosa e asettica registrazione di obiettivi da raggiungere e di interventi da compiere. Non è sterile organigramma che pianifica le valutazioni periodiche per accertare i risultati raggiunti.

Il p.p.v. è «risposta attiva» che fa prendere in mano se stessi e fa avere una realistica visione di sé. Non consente inutili «fughe in avanti». Non permette di illudersi negando il passato. È sintesi della propria storia: la memoria del passato s’incontra e s’intreccia con l’oggi del proprio presente e costruisce un futuro che si offre come «possibilità» di attuare le proprie potenzialità e dar compimento alle strutture della personalità, donando un volto preciso alla propria identità2.

Nella formazione religiosa, iniziale e permanente, il p.p.v. è una «risposta attiva» alla chiamata di Dio che invita a «prendere se stessi», ogni giorno, per porsi attivamente e responsabilmente alla sequela Christi. Accettare di formulare un p.p.v. significa lasciarsi coinvolgere dal soffio dello Spirito che «getta in avanti», verso sempre nuove piste di atterraggio.

Il p.p.v., come strumento e percorso di continua crescita, è importante per costruire se stessi, il proprio rapporto con Dio, le relazioni comunitarie, il servizio agli altri, la missione.

Anche Gesù consiglia, prima di avventurarsi in una nuova costruzione, di qualsiasi tipo e genere, di approntare un progetto, di stilare un programma, di fare bene i conti e valutare l’azione intrapresa: «Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolarne la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro» (Lc 14,28-30).

Il p.p.v. stimola un atteggiamento di continuo discernimento, monitorando la qualità della risposta data alla chiamata alla vita (entusiasmo per la vita, percezione della vita come dono, senso di lode per il dono della vita, ricerca del positivo, ottica della «bottiglia mezza piena»…) e alla chiamata all’amore di Dio (intimità con il Signore, spiritualità, preghiera...), nonché all’invito di portare agli altri l’amore sperimentato e la gioia di vivere per… (servizio, apostolato, evangelizzazione, amore per gli altri...).

Il p.p.v. sprona a mantenere viva e dinamica la bellezza originaria della novità del dono di Dio e dell’avventura d’amore iniziata con Lui (primo amore, fase dell’innamoramento, stadio dell’amore nascente). Avventura d’amore che richiede di essere continuamente ravvivata (ri-innamoramento incessante) per sprigionare tutta la ricchezza che racchiude.

Il p.p.v. è una sorta di terreno fertile da coltivare per crescere in Cristo. Scaturisce dall’incontro personale con il Maestro: un incontro vero, personale, concreto; non studiato sui libri e conosciuto per sentito dire. È un mezzo che libera energie positive, svela risorse nascoste, mostra ideali da raggiungere, orienta la vita, motiva azioni e scelte.

 

Il p.p.v. non è incentrato sul «dover fare qualcosa», ma sulla comprensione della propria identità personale e si focalizza su due domande:

chi sono io qui e ora?

chi devo essere qui e ora per essere fedele a me stesso?

 

Queste domande richiedono risposte globali, autentiche, vere, sincere. La vera comprensione di sé, acquisita nel contatto con Dio e nutrita dalla preghiera, si trasforma in accettazione sincera di sé, in capacità di entrare nel processo di riconciliazione con la propria storia. Tale cammino implica il guardare e il toccare la propria verità (la verità di ciò che si è) e accettarla nell’amore.

Nella vita religiosa, in qualsiasi segmento di vita e in qualsiasi età, l’obiettivo finale del p.p.v. è legato all’opzione fondamentale e al vivere decisi per… Nella fase iniziale, aiuta a costruire questa opzione attraverso la scoperta della chiamata all’intimità e alla comunione con Dio uno e trino: con il Padre amante, il Figlio amato, lo Spirito amore... e divenire amanti, amati, amore. Nella fase permanente aiuta a risvegliare continuamente questa opzione e a tenerla desta.

Un p.p.v. ben elaborato durante la formazione iniziale può accompagnare tutto il percorso di crescita. In questo caso, il «volto globale» del p.p.v. iniziale va progressivamente tradotto in micro p.p.v. (annuali, biennali…) che focalizzano e concretizzano aspetti particolari della propria fisionomia e fanno progredire nell’attuazione delle finalità fissate e nell’acquisizione degli obiettivi scelti.

Un buon p.p.v. richiede un’accurata formulazione e una puntuale elaborazione.

Innanzi tutto, richiede la chiarezza delle finalità da raggiungere, la linearità del progetto da seguire, la precisione degli obiettivi da perseguire nel breve (obiettivi immediati), nel medio (obiettivi intermedi) e nel lungo temine (obiettivi finali).

Richiede, inoltre, l’uso del pronome personale «io» e il riferimento a se stessi: il soggetto del mio p.p.v. sono io, non gli altri.

Richiede, infine, un’attenzione particolare all’uso dei verbi: il verbo va utilizzato, sempre, al tempo indicativo e alla prima persona singolare (io vedo le mie risorse con occhi nuovi); mai al tempo infinito (vedere le mie risorse con occhi nuovi) o al tempo futuro (vedrò le mie risorse con occhi nuovi).

 

Le mie risorse al centro del progetto

Io sono «io» qui (spazio) e ora (tempo), con le mie risorse e i miei limiti, la mia storia e il mio desiderio di futuro, i miei fallimenti e le mie conquiste, i miei ideali e le mie resistenze, le mie aspirazioni e le mie paure… Per elaborare un buon p.p.v., è necessario partire da ciò che sono qui-e-ora e tracciare, con serenità e obiettività, il percorso adeguato per raggiungere gli obiettivi desiderati.

Un p.p.v., inteso in questo senso, non è statico, è necessariamente dinamico e si evolve in modo armonico con lo sviluppo stesso della persona. Il p.p.v., per questa sua dimensione di dinamicità, pur avendo chiara la direzione da seguire, non sempre procede lungo una rigorosa linea retta, spesso procede a zig-zag, con alti e bassi, con arresti e rush finali.

Quando si adotta un p.p.v., le scelte compiute e da compiere dipendono dai valori considerati «assi portanti» del proprio p.p.v.. Ma bisogna prestare attenzione perché tra questi valori si possono insinuare pseudo-valori che disorientano e distraggono dalla vera realizzazione di sé.

L’elaborazione di un «buon» p.p.v. esige:

*      una matura e crescente conoscenza di sé e la tensione alla continua ricerca della propria identità e ad un’obiettiva immagine di sé;

*      la consapevolezza di essere «protagonisti» di un progetto e il desiderio di costruire un «io» forte e maturo, equilibrato e responsabile, autonomo e libero, che sa stare vicino, non è indipendente, e sa allontanarsi, non è dipendente;

*      una matura ed equilibrata conoscenza della realtà;

*      la scelta di un «principio fondamentale» che ispira la propria vita e la propria storia;

*      la consapevolezza dei tempi di maturazione e l’impegno di cominciare con l’esplorazione (mi guardo intorno), per giungere all’orientamento (tra tante cose mi concentro su questa) e, attraversano le ipotesi (posso fare… posso dire… posso impegnarmi…), giungere all’opzione (scelgo questo «polo di attrazione» attorno cui strutturare la mia vita).

 

Si vive meglio con un «buon» progetto

Vale la pena «perdere» un po’ di tempo nell’elaborare il proprio p.p.v.. Un «buon» p.p.v. aiuta a vivere meglio perché incoraggia quell’atteggiamento di ricerca che dà calore e colore al proprio vivere quotidiano e quella positiva fiducia in se stessi e negli altri che fa guardare con occhio diverso il mondo. Favorisce la crescita e il cambiamento, nella fedeltà al nucleo dei valori portanti, sviluppando la gioia di vivere, l’amore per ciò che si è, l’entusiasmo per ciò che si fa, la gratitudine per ciò che si ha. Accresce l’effettiva capacità di amare e di lasciarsi amare e libera l’affettività aiutandola ad esprimersi con equilibrio. Fortifica il senso di responsabilità e caldeggia la disponibilità a saper cercare aiuto e sostegno, senza creare dipendenze.

Il p.p.v., stimola a guardare oltre il presente e proietta in un futuro gravido di speranza… proietta nel futuro di Dio!

 

  

*Consacrata laica della Missione Chiesa-Mondo; docente di sociologia presso la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sessione San Tommaso; agevolatrice nelle relazioni di aiuto.

1. Cfr. Z. Bauman, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Laterza, Bari 2001; in particolare il Capitolo IV (pp. 87-112) dedicato alla categoria del turista vagabondo che si muove con disinvoltura nell’attuale società dei consumi, vivendo solo nel tempo perché lo spazio non conta più ed è diventato senza limite.

2. Identità come «stabile senso di continuità interiore che rimane nel tempo e nelle circostanze» (Erikson).

 

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