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"Oltre
all’attiva presenza di nuove generazioni di persone consacrate che
rendono viva la presenza di Cristo nel mondo e lo splendore dei carismi
ecclesiali, è pure particolarmente significativa la presenza nascosta e
feconda di consacrati e consacrate che conoscono l’anzianità, la
solitudine, la malattia e la sofferenza. Al servizio già reso e alla
saggezza che possono condividere con altri, essi aggiungono il proprio
prezioso contributo unendosi con la loro oblazione al Cristo paziente e
glorificato in favore del Corpo che è la Chiesa (cf Col 1,24).
(Ripartire da Cristo” n° 6)
Trattare della delicata e
complessa realtà delle sorelle anziane, che interpella fortemente le
nostre comunità religiose, richiede tanta umiltà, rispetto e profonda
fede per poter contemplare tutto con gli occhi di Dio. “Togliendoci i
sandali…” (cf Es 3,5) cercheremo di entrare scalze e, direi, anche in
punta di piedi nel loro mondo. Prima di scandagliare questa realtà è
necessario, però, porre delle premesse di carattere generale.
L’invecchiamento come parte di un processo
La vita umana si sviluppa col
concorso di molti fattori ed essendo, come ogni creatura, circoscritta
nel tempo, comincia ad invecchiare appena nasce. L’invecchiamento perciò
non è questione solo di anni. Invecchiare fa parte di un processo che
dice movimento, e il movimento è vita. La vecchiaia in se stessa non
costituisce un problema. In ogni fase della vita la persona umana perde
e acquista qualche cosa. Una giovane a 18 anni danza con piacere senza
stancarsi. A 45 forse ha perso il ritmo della danza, ma ha acquistato
una visione della vita molto più ampia, concreta e saggia. Le varie fasi
della vita sono ritmate su questa antitesi: perdita/acquisto.
L’invecchiamento va letto in
base a un quadro non soltanto biologico-sanitario, ma anche sociale e
psicologico. Poiché la personalità, l’ambiente, le situazioni e gli
eventi particolari sono in stretta relazione ed interdipendenza, anche
il concetto di invecchiamento rispecchia l’interazione fra individuo e
ambiente, in quanto sia l’individuo che l’ambiente possono modificarsi
reciprocamente.
La salute, cioè lo “stare bene”,
per la persona avanti negli anni, è correlato al “come” essa si
percepisce, dall’immagine sociale della persona anziana, dai criteri con
cui vengono valutate la produttività e le prestazioni che essa può
offrire. Però, non sempre è l’ambiente circostante che influenza l’autocomprensione
e il comportamento dell’individuo. In questo ha una grande parte anche
il significato che l’individuo stesso dà ad ogni situazione, come la
valuta e come la vive. San Giovanni Crisostomo, facendo proprio uno
scritto di Epitteto, dice: “Nessuno può essere ferito, a meno che non si
ferisca da sé”. E prosegue: “Gli esseri umani non restano smarriti a
causa degli eventi, ma dall’idea che essi si fanno dei fatti accaduti”1.
Questo pensiero sottolinea in modo chiaro l’importanza di non diventare
schiavi delle opinioni, e di mantenere la propria autonomia, senza
lasciarci influenzare dai preconcetti sociali.
L’invecchiamento non è una malattia
La malattia è disarmonia,
mentre le modificazioni biologiche non lo sono; anzi, sono orientate
allo sviluppo armonico globale della persona. È importante avere ben
chiara questa convinzione che è una realtà: “Il cervello umano è attivo
e ben conservato anche in vecchiaia”. Abbiamo davanti a noi un grande
testimone: il Papa. Il suo fisico è logorato dalle malattie e dalle
fatiche apostoliche, ma lo spirito è vivace, presente, attivo, capace di
stupire il mondo e di trascinare i giovani di ogni continente. La
ragione per cui l’attività spirituale della persona umana si conserva,
nonostante il deperire del fisico, si può spiegare, “nel nostro
affondare le radici nell’Assoluto”.
L’età che avanza non è perciò
una nemica da sconfiggere. Non si dice forse: “Acqua passata non macina
più”? Questo proverbio, da leggere al positivo, sta proprio a dirci che
l’acqua che sta arrivando ora al nostro mulino è quella interessante,
migliore, da utilizzare con maggiore cura. La società odierna,
tendenzialmente razionalista ed efficiente, ha spesso una percezione
distorta dell’anzianità, perché basata su pregiudizi, spesso di scarsa o
inesatta conoscenza. Il più radicato di questi pregiudizi è quello che
confonde la vecchiaia patologica con l’invecchiamento, che non è una
malattia, ma un fenomeno biologico proprio di ogni organismo vivente.
Avere una vita abbastanza lunga
non è di tutti e a volte noi religiose abbiamo temuto di non arrivarci.
Quando si arriva sulla soglia o si inizia a percorrere questo cammino, a
volte, si ha l’impressione che manchi ancora qualcosa e quindi si prova
insoddisfazione. Da dove proviene questo senso di insoddisfazione, di
lacunosità? Se si riflette, guardando retrospettivamente i passaggi da
una fase a quella successiva della nostra vita, ci si rende conto che ad
ogni inizio si verifica un periodo di incertezza, di smarrimento, quello
stesso che si prova all’approssimarsi dell’età anziana. Ciò insegna che
è importante essere in cammino, proiettate sempre verso la meta che
segue, sostenute dalla speranza.
Anche la tappa della vita di cui
trattiamo può essere densa di significato, o trascinata con mediocrità.
Ogni fase della vita è importante. In ciascuna di esse si trovano motivi
di gioia, di timore e di incertezza che sfidano a guardare in faccia la
realtà, ad assumerla in modo adeguato e a proseguire.
L’età avanzata pone come su
un’altura da cui si può prendere visione, ricuperando con la memoria,
tutta la propria vita, partendo proprio dal punto in cui ci si trova e
risalendo a ritroso lungo la propria storia fino a toccare la fonte:
Dio, da cui ognuna di noi è uscita. In questo modo si può riappropriarsi
di tutto ciò che ci appartiene, sia nel positivo che nel negativo,
operando una integrazione che ci permette di stare bene con noi stesse e
con gli altri.
Anzianità:
tempo di “crisi” e tappa di maturazione
In base ai risultati di recenti
e sempre più numerosi studi condotti nel campo della psicologia della
terza e quarta età, possiamo affermare che l’uomo e/o la donna che
invecchiano, entrano con tutto il loro essere in una fase nuova e sono
impegnati progressivamente in un nuovo modo di affrontare la vita e gli
avvenimenti. Come per tutte le fasi o i traguardi della vita, anche
l’entrata nella terza e quarta età rappresenta una prova. Gli psicologi
la chiamano “crisi”. Il presente e lo stesso passato possono essere
letti attraverso una lente di scala di valori riveduta e corretta.
“Quand’eri giovane, ti annodavi da te la cintura e andavi dove volevi.
Ma quando sarai vecchio, stenderai le tue mani e un altro ti annoderà la
cintura e ti condurrà dove tu non vuoi” (Gv 21,18). L’avanzare in età
diventa tempo di maturazione attraverso varie prove che dobbiamo
conoscere e assumere.
Cicerone suggerisce un possibile
cammino per vivere con senso, anche umanamente, questa fase della vita:
“Conoscere la vecchiaia, prepararsi alla vecchiaia, ritardare la
vecchiaia, vivere bene la vecchiaia”. Oggi che la vita si è notevolmente
allungata, si ha un motivo in più per impegnarsi a invecchiare bene.
Conoscere la
propria età
Se si guarda attorno si può
notare che lo sviluppo di ogni vivente è segnato da due fasi
caratteristiche: una di preparazione, di solito lunga e durante la quale
la crescita si attua in modo lento, quasi impercettibile; e una
emergente, quando la maturazione produce un mutamento significativo e
segna una nuova tappa nel cammino di crescita. Se si guarda la nostra
storia personale si nota che il lungo periodo dell’infanzia è sfociato
nella fanciullezza o età scolare e questa a sua volta ha introdotto e
fatto passare attraverso la “crisi” dell’adolescenza. E così avanti fino
all’età anziana. Anche questo periodo della vita è stato preparato dal
precedente.
Sulla base dei ritmi dello
sviluppo umano, psicologi e maestri di spirito affermano che non
corrisponde a verità considerare la terza e quarta età come un tempo di
perdita o di progressivo, ineluttabile decadimento. Anche questa tappa
della vita, come quelle che abbiamo già sperimentate, ci lancia e ci
stimola alla crescita attraverso un nuovo adattamento alle situazioni
mutate. “Crisi” significa precisamente il nuovo adattamento alla
situazione che diventa spinta di crescita. Così notiamo che avanzare
negli anni diventa l’opportunità di fare nuove scoperte, di raggiungere
nuovi traguardi per rispondere in modo più adeguato ai nuovi bisogni.
Così si raccolgono i frutti propri di questa età e si va oltre, sempre
avanti, sorrette dal ritmo della vita e dalla speranza, virtù tipica di
questa stagione.
Diminuzione
delle prestazioni fisiche e sviluppo delle capacità spirituali
Il processo di invecchiamento
come movimento e sviluppo vitale, non segue per tutti la stessa linea, è
vario come diverse sono le persone. Ci sono sorelle che dispongono delle
loro energie fisiche, psichiche e intellettuali in modo ottimale fino ad
età avanzata. Altre sembra che rinuncino prima del tempo all’impegno di
raggiungere la pienezza e invecchiano in modo più precoce. Quest’ultimo
caso a volte è dovuto al subentrare di malattie varie. Quando però tutto
procede nella normalità, la vita si prolunga, sia per i progressi della
medicina, per le cure più specializzate di cui si può disporre, come per
le condizioni di vita più favorevoli.
Per vivere in modo adeguato,
sereno e proficuo questa “bella età” dobbiamo conoscere che cosa essa ci
riserva. L’indebolimento delle forze fisiche e il ritiro graduale dalle
attività, la dipendenza, può causare nella religiosa anziana sentimenti
come la solitudine, la paura, l’ansietà, un senso di inutilità, un
atteggiamento passivo di scoraggiamento. Sono tante “piccole morti” e
perdite che provocano dolore e sofferenza. Tutte sappiamo che prima o
poi viene il tempo di “doversi ritirare”. Ma ci è sempre stato detto che
“in Congregazione non si va in pensione”. Infatti siamo religiose a
tempo pieno: questo è questione di identità; apostole fino all’ultimo
respiro e in ogni situazione della vita siamo chiamate ad attuare il
piano d’amore che Dio ha sognato per noi dall’eternità. Tuttavia col
passare degli anni siamo chiamate a lasciare ruoli e servizi che avevamo
svolto con competenza e amore per anni.
Questa situazione può essere
percepita come “un passaggio al deserto”, ma sul piano della fede è il
coronamento della vita religiosa in quello che ha di più intimo e di più
essenziale.
La sfida legata alla realtà del
“ritirarsi”, dipende molto dal concetto che la persona ha di sé. Per
cui, più ci identifichiamo con il ruolo svolto e con le attività nelle
quali abbiamo avuto successo, più è difficile ritirarsi, lasciare,
permettere ad altre sorelle di continuare il nostro servizio. Formate a
un forte senso di responsabilità e al molto fare, questo “lasciare” può
sembrare un tirarsi indietro irresponsabile. La nostra grandezza sta
invece nell’essere pronte ad iniziare le più giovani a sostituirci in
modo da poter passare loro la fiaccola appena ci viene richiesto,
sapendo che ora, anche senza di noi, tutto procederà bene.
La Chiesa ci aiuta a leggere
nell’ottica concreta questo momento della vita: “Al momento del ritiro
progressivo dall’azione, religiose e religiosi risentono più
profondamente nel loro essere l’esperienza che Paolo descrisse in un
contesto di cammino verso la risurrezione: “Non ci scoraggiamo; ma se
anche l’uomo esterno si corrompe, l’interno nostro si rinnova, tuttavia,
di giorno in giorno’… Il religioso può vivere questi momenti come una
fortuna unica di lasciarsi penetrare dall’esperienza pasquale del
Signore Gesù fino a desiderare di morire per ‘essere con Cristo’, in
coerenza con la sua opzione di partenza: conoscere Cristo, l’efficacia
della sua risurrezione, la partecipazione ai suoi patimenti,
conformandosi a lui nella morte, con la speranza di giungere anche lui
alla risurrezione dai morti”2.
Secondo uno studioso della
psicologia evolutiva della persona, Erick Erickson3,
la persona anziana è chiamata a vivere la fase dell’integrità, ossia a
portare a compimento lo sviluppo della propria personalità in continuità
e armonia con il suo passato, integrato nell’esperienza della tappa che
sta vivendo.
La qualità che scaturisce
dall’integrazione dell’esperienza di tutta la vita e che colora questa
tappa è la saggezza, cioè la capacità di leggere la propria vita
cogliendo il filo rosso che la lega e le dà continuità, focalizzando ciò
che è essenziale e lasciando perdere il marginale e ciò che non è
significativo. Questo è il meglio di sé che ogni sorella anziana potrà
lasciare come eredità. Se questo lavorio di integrazione non riesce, la
persona soffre e finisce col vivere faticosamente la propria età.
Prepararsi a
vivere la propria età è un’arte
È del tutto normale sentire una
certa paura di invecchiare. Questa paura viene ogni giorno alimentata
dalla società, attraverso la pubblicità e lo spettacolo con il mito del
giovane e bello. Di fronte a questa corrente la persona anziana può
essere tentata di tirare i remi in barca e pensare che per lei tutto è
concluso, dimenticando che la perla della saggezza è destinata ad essere
donata.
Fa parte della normalità anche
il fatto di sentire sulla propria pelle la sofferenza per le piccole e
grandi perdite che caratterizzano questa tappa della vita: il ritiro da
certe attività e servizi; l’interruzione di molti rapporti
interpersonali legati alla famiglia, all’apostolato; l’esperienza di
infermità con la relativa perdita di possesso del proprio corpo, dei
contatti col mondo in cui si è vissuti; la dipendenza progressiva anche
per le azioni più elementari della vita come: alzarsi, vestirsi, andare
a passeggio, bere e mangiare. Questi sono alcuni esempi di perdite che
fanno soffrire.
Oggi gli psicologi dicono che è
importante prepararsi a queste realtà, possibilmente fin dalle tappe
precedenti, in modo da orientarsi verso il tipo di crescita e quindi di
adattamento che questa tappa esige, in modo da non lasciarci sorprendere
e in un certo senso cadervi dentro4.
Infatti se non viviamo la
specificità della fase di vita che stiamo attraversando, corriamo il
rischio di non coglierne i frutti, di non invecchiare positivamente, di
inaridire cioè la linfa vitale che scorre nella nostra persona, senza
che ci faccia fare il balzo in avanti.
L’inattività crescente e la
dipendenza sono terreno su cui sorgono le crisi esistenziali proprie di
questa tappa. La persona anziana si chiede: “Chi sono io?”; “Che senso
ha ora la mia vita?”; “Cosa posso fare?”. Sono domande che ci stimolano
a entrare nell’intimo e a darci risposte nella linea della vocazione che
abbiamo vissuto fino ad oggi e che dura quanto la vita. Sono domande che
attendono risposte per andare oltre e non rischiare di cadere nella
mediocrità.
Questa tappa, per coglierne i
frutti caratteristici, ha bisogno di preparazione. Siamo sollecitate a
coltivare lungo tutta la vita la gioia e a conservare un “occhio”
giovane, capace di stupore. Lo stupore che ci fa godere e gioire delle
bellezze del creato, delle nuove scoperte della scienza da utilizzare
per l’annuncio del Vangelo, per l’ardire delle sorelle più giovani
nell’inoltrarsi con coraggio nel complesso mondo e cultura
dell’evangelizzazione, per la preparazione sempre più adeguata che a
loro viene data.
Non è così importante che noi
facciamo qualcosa in prima linea, quanto entrare nel circuito della
missione per vibrare in comunione con tutte le sorelle, sostenerle con
l’incoraggiamento, la comprensione, la fiducia, la preghiera e l’offerta
della sofferenza, sottolineando che in quest’età ci è dato di poter
entrare e vivere in una più grande solitudine con Dio, sorrette dal
desiderio di vedere il suo volto.
Questa dimensione
contemplativa, molto personale, non è chiusa nel privato, è un dono a
volte preparato dai distacchi richiesti dal diminuire delle forze
fisiche o dalle malattie. Ma sappiamo bene che non c’è progresso
spirituale nella via dell’orazione, senza purificazione. Ora Dio ci
prepara alla contemplazione del suo volto, meta ultima della nostra
vita, chiedendoci di camminare nella via della solitudine, della notte,
dove Lui però è presente e ci guida. “Anche se andassi in una valle
oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me” (Sl 23).
La disponibilità a lasciare i
vari uffici per dedicarsi ad altri, forse meno impegnativi, più nascosti
e meno gratificanti, è un modo per aderire alla chiamata a entrare con
consapevolezza nella kenosi del Figlio di Dio e a continuare a servire
con gioia.
Nelle comunità la presenza
serena e pacificante di una sorella che prega, che continua a credere
nella vocazione ricevuta dovunque si trovi e in qualunque situazione
viva, diventa il richiamo vocazionale più trasparente ed eloquente per
le giovani che oggi cercano testimoni gioiosi e perciò credibili.
1.
Citato da Anselm Grün, Non farti del male,
p. 6, Queriniana, 2000.
2. Direttive sulla
formazione negli Istituti religiosi, Roma, 1990, n.70.
3. Cf Erick H. Erickson, I
cicli della vita, Armando, Roma, 1992, p. 59.
4. Cf Gabriele Ferrari,
Religiosi e formazione permanente, EDB, Bologna,1997, p.130.
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