n. 11
novembre 2002

 

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Religiose anziane: una risorsa
di Alba Rosa Martino
 

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"Oltre all’attiva presenza di nuove generazioni di persone consacrate che rendono viva la presenza di Cristo nel mondo e lo splendore dei carismi ecclesiali, è pure particolarmente significativa la presenza nascosta e feconda di consacrati e consacrate che conoscono l’anzianità, la solitudine, la malattia e la sofferenza. Al servizio già reso e alla saggezza che possono condividere con altri, essi aggiungono il proprio prezioso contributo unendosi con la loro oblazione al Cristo paziente e glorificato in favore del Corpo che è la Chiesa (cf Col 1,24). (Ripartire da Cristo” n° 6)

 Trattare della delicata e complessa realtà delle sorelle anziane, che interpella fortemente le nostre comunità religiose, richiede tanta umiltà, rispetto e profonda fede per poter contemplare tutto con gli occhi di Dio. “Togliendoci i sandali…” (cf Es 3,5) cercheremo di entrare scalze e, direi, anche in punta di piedi nel loro mondo. Prima di scandagliare questa realtà è necessario, però, porre delle premesse di carattere generale.

 

L’invecchiamento come parte di un processo

 La vita umana si sviluppa col concorso di molti fattori ed essendo, come ogni creatura, circoscritta nel tempo, comincia ad invecchiare appena nasce. L’invecchiamento perciò non è questione solo di anni. Invecchiare fa parte di un processo che dice movimento, e il movimento è vita. La vecchiaia in se stessa non costituisce un problema. In ogni fase della vita la persona umana perde e acquista qualche cosa. Una giovane a 18 anni danza con piacere senza stancarsi. A 45 forse ha perso il ritmo della danza, ma ha acquistato una visione della vita molto più ampia, concreta e saggia. Le varie fasi della vita sono ritmate su questa antitesi: perdita/acquisto.

L’invecchiamento va letto in base a un quadro non soltanto biologico-sanitario, ma anche sociale e psicologico. Poiché la personalità, l’ambiente, le situazioni e gli eventi particolari sono in stretta relazione ed interdipendenza, anche il concetto di invecchiamento rispecchia l’interazione fra individuo e ambiente, in quanto sia l’individuo che l’ambiente possono modificarsi reciprocamente.

La salute, cioè lo “stare bene”, per la persona avanti negli anni, è correlato al “come” essa si percepisce, dall’immagine sociale della persona anziana, dai criteri con cui vengono valutate la produttività e le prestazioni che essa può offrire. Però, non sempre è l’ambiente circostante che influenza l’autocomprensione e il comportamento dell’individuo. In questo ha una grande parte anche il significato che l’individuo stesso dà ad ogni situazione, come la valuta e come la vive. San Giovanni Crisostomo, facendo proprio uno scritto di Epitteto, dice: “Nessuno può essere ferito, a meno che non si ferisca da sé”. E prosegue: “Gli esseri umani non restano smarriti a causa degli eventi, ma dall’idea che essi si fanno dei fatti accaduti”1. Questo pensiero sottolinea in modo chiaro l’importanza di non diventare schiavi delle opinioni, e di mantenere la propria autonomia, senza lasciarci influenzare dai preconcetti sociali.

  

L’invecchiamento non è una malattia

 La malattia è disarmonia, mentre le modificazioni biologiche non lo sono; anzi, sono orientate allo sviluppo armonico globale della persona. È importante avere ben chiara questa convinzione che è una realtà: “Il cervello umano è attivo e ben conservato anche in vecchiaia”. Abbiamo davanti a noi un grande testimone: il Papa. Il suo fisico è logorato dalle malattie e dalle fatiche apostoliche, ma lo spirito è vivace, presente, attivo, capace di stupire il mondo e di trascinare i giovani di ogni continente. La ragione per cui l’attività spirituale della persona umana si conserva, nonostante il deperire del fisico, si può spiegare, “nel nostro affondare le radici nell’Assoluto”.

L’età che avanza non è perciò una nemica da sconfiggere. Non si dice forse: “Acqua passata non macina più”? Questo proverbio, da leggere al positivo, sta proprio a dirci che l’acqua che sta arrivando ora al nostro mulino è quella interessante, migliore, da utilizzare con maggiore cura. La società odierna, tendenzialmente razionalista ed efficiente, ha spesso una percezione distorta dell’anzianità, perché basata su pregiudizi, spesso di scarsa o inesatta conoscenza. Il più radicato di questi pregiudizi è quello che confonde la vecchiaia patologica con l’invecchiamento, che non è una malattia, ma un fenomeno biologico proprio di ogni organismo vivente.

 Avere una vita abbastanza lunga non è di tutti e a volte noi religiose abbiamo temuto di non arrivarci. Quando si arriva sulla soglia o si inizia a percorrere questo cammino, a volte, si ha l’impressione che manchi ancora qualcosa e quindi si prova insoddisfazione. Da dove proviene questo senso di insoddisfazione, di lacunosità? Se si riflette, guardando retrospettivamente i passaggi da una fase a quella successiva della nostra vita, ci si rende conto che ad ogni inizio si verifica un periodo di incertezza, di smarrimento, quello stesso che si prova all’approssimarsi dell’età anziana. Ciò insegna che è importante essere in cammino, proiettate sempre verso la meta che segue, sostenute dalla speranza.

Anche la tappa della vita di cui trattiamo può essere densa di significato, o trascinata con mediocrità. Ogni fase della vita è importante. In ciascuna di esse si trovano motivi di gioia, di timore e di incertezza che sfidano a guardare in faccia la realtà, ad assumerla in modo adeguato e a proseguire.

 L’età avanzata pone come su un’altura da cui si può prendere visione, ricuperando con la memoria, tutta la propria vita, partendo proprio dal punto in cui ci si trova e risalendo a ritroso lungo la propria storia fino a toccare la fonte: Dio, da cui ognuna di noi è uscita. In questo modo si può riappropriarsi di tutto ciò che ci appartiene, sia nel positivo che nel negativo, operando una integrazione che ci permette di stare bene con noi stesse e con gli altri.

  

Anzianità: tempo di “crisi” e tappa di maturazione

 In base ai risultati di recenti e sempre più numerosi studi condotti nel campo della psicologia della terza e quarta età, possiamo affermare che l’uomo e/o la donna che invecchiano, entrano con tutto il loro essere in una fase nuova e sono impegnati progressivamente in un nuovo modo di affrontare la vita e gli avvenimenti. Come per tutte le fasi o i traguardi della vita, anche l’entrata nella terza e quarta età rappresenta una prova. Gli psicologi la chiamano “crisi”. Il presente e lo stesso passato possono essere letti attraverso una lente di scala di valori riveduta e corretta. “Quand’eri giovane, ti annodavi da te la cintura e andavi dove volevi. Ma quando sarai vecchio, stenderai le tue mani e un altro ti annoderà la cintura e ti condurrà dove tu non vuoi” (Gv 21,18). L’avanzare in età diventa tempo di maturazione attraverso varie prove che dobbiamo conoscere e assumere.

Cicerone suggerisce un possibile cammino per vivere con senso, anche umanamente, questa fase della vita: “Conoscere la vecchiaia, prepararsi alla vecchiaia, ritardare la vecchiaia, vivere bene la vecchiaia”. Oggi che la vita si è notevolmente allungata, si ha un motivo in più per impegnarsi a invecchiare bene.

  

Conoscere la propria età

 Se si guarda attorno si può notare che lo sviluppo di ogni vivente è segnato da due fasi caratteristiche: una di preparazione, di solito lunga e durante la quale la crescita si attua in modo lento, quasi impercettibile; e una emergente, quando la maturazione produce un mutamento significativo e segna una nuova tappa nel cammino di crescita. Se si guarda la nostra storia personale si nota che il lungo periodo dell’infanzia è sfociato nella fanciullezza o età scolare e questa a sua volta ha introdotto e fatto passare attraverso la “crisi” dell’adolescenza. E così avanti fino all’età anziana. Anche questo periodo della vita è stato preparato dal precedente.

 Sulla base dei ritmi dello sviluppo umano, psicologi e maestri di spirito affermano che non corrisponde a verità considerare la terza e quarta età come un tempo di perdita o di progressivo, ineluttabile decadimento. Anche questa tappa della vita, come quelle che abbiamo già sperimentate, ci lancia e ci stimola alla crescita attraverso un nuovo adattamento alle situazioni mutate. “Crisi” significa precisamente il nuovo adattamento alla situazione che diventa spinta di crescita. Così notiamo che avanzare negli anni diventa l’opportunità di fare nuove scoperte, di raggiungere nuovi traguardi per rispondere in modo più adeguato ai nuovi bisogni. Così si raccolgono i frutti propri di questa età e si va oltre, sempre avanti, sorrette dal ritmo della vita e dalla speranza, virtù tipica di questa stagione.

  

Diminuzione delle prestazioni fisiche e sviluppo delle capacità spirituali

 Il processo di invecchiamento come movimento e sviluppo vitale, non segue per tutti la stessa linea, è vario come diverse sono le persone. Ci sono sorelle che dispongono delle loro energie fisiche, psichiche e intellettuali in modo ottimale fino ad età avanzata. Altre sembra che rinuncino prima del tempo all’impegno di raggiungere la pienezza e invecchiano in modo più precoce. Quest’ultimo caso a volte è dovuto al subentrare di malattie varie. Quando però tutto procede nella normalità, la vita si prolunga, sia per i progressi della medicina, per le cure più specializzate di cui si può disporre, come per le condizioni di vita più favorevoli.

 Per vivere in modo adeguato, sereno e proficuo questa “bella età” dobbiamo conoscere che cosa essa ci riserva. L’indebolimento delle forze fisiche e il ritiro graduale dalle attività, la dipendenza, può causare nella religiosa anziana sentimenti come la solitudine, la paura, l’ansietà, un senso di inutilità, un atteggiamento passivo di scoraggiamento. Sono tante “piccole morti” e perdite che provocano dolore e sofferenza. Tutte sappiamo che prima o poi viene il tempo di “doversi ritirare”. Ma ci è sempre stato detto che “in Congregazione non si va in pensione”. Infatti siamo religiose a tempo pieno: questo è questione di identità; apostole fino all’ultimo respiro e in ogni situazione della vita siamo chiamate ad attuare il piano d’amore che Dio ha sognato per noi dall’eternità. Tuttavia col passare degli anni siamo chiamate a lasciare ruoli e servizi che avevamo svolto con competenza e amore per anni.

Questa situazione può essere percepita come “un passaggio al deserto”, ma sul piano della fede è il coronamento della vita religiosa in quello che ha di più intimo e di più essenziale.

 La sfida legata alla realtà del “ritirarsi”, dipende molto dal concetto che la persona ha di sé. Per cui, più ci identifichiamo con il ruolo svolto e con le attività nelle quali abbiamo avuto successo, più è difficile ritirarsi, lasciare, permettere ad altre sorelle di continuare il nostro servizio. Formate a un forte senso di responsabilità e al molto fare, questo “lasciare” può sembrare un tirarsi indietro irresponsabile. La nostra grandezza sta invece nell’essere pronte ad iniziare le più giovani a sostituirci in modo da poter passare loro la fiaccola appena ci viene richiesto, sapendo che ora, anche senza di noi, tutto procederà bene.

La Chiesa ci aiuta a leggere nell’ottica concreta questo momento della vita: “Al momento del ritiro progressivo dall’azione, religiose e religiosi risentono più profondamente nel loro essere l’esperienza che Paolo descrisse in un contesto di cammino verso la risurrezione: “Non ci scoraggiamo; ma se anche l’uomo esterno si corrompe, l’interno nostro si rinnova, tuttavia, di giorno in giorno’… Il religioso può vivere questi momenti come una fortuna unica di lasciarsi penetrare dall’esperienza pasquale del Signore Gesù fino a desiderare di morire per ‘essere con Cristo’, in coerenza con la sua opzione di partenza: conoscere Cristo, l’efficacia della sua risurrezione, la partecipazione ai suoi patimenti, conformandosi a lui nella morte, con la speranza di giungere anche lui alla risurrezione dai morti”2.

Secondo uno studioso della psicologia evolutiva della persona, Erick Erickson3, la persona anziana è chiamata a vivere la fase dell’integrità, ossia a portare a compimento lo sviluppo della propria personalità in continuità e armonia con il suo passato, integrato nell’esperienza della tappa che sta vivendo.

La qualità che scaturisce dall’integrazione dell’esperienza di tutta la vita e che colora questa tappa è la saggezza, cioè la capacità di leggere la propria vita cogliendo il filo rosso che la lega e le dà continuità, focalizzando ciò che è essenziale e lasciando perdere il marginale e ciò che non è significativo. Questo è il meglio di sé che ogni sorella anziana potrà lasciare come eredità. Se questo lavorio di integrazione non riesce, la persona soffre e finisce col vivere faticosamente la propria età.

  

Prepararsi a vivere la propria età è un’arte

 È del tutto normale sentire una certa paura di invecchiare. Questa paura viene ogni giorno alimentata dalla società, attraverso la pubblicità e lo spettacolo con il mito del giovane e bello. Di fronte a questa corrente la persona anziana può essere tentata di tirare i remi in barca e pensare che per lei tutto è concluso, dimenticando che la perla della saggezza è destinata ad essere donata.

Fa parte della normalità anche il fatto di sentire sulla propria pelle la sofferenza per le piccole e grandi perdite che caratterizzano questa tappa della vita: il ritiro da certe attività e servizi; l’interruzione di molti rapporti interpersonali legati alla famiglia, all’apostolato; l’esperienza di infermità con la relativa perdita di possesso del proprio corpo, dei contatti col mondo in cui si è vissuti; la dipendenza progressiva anche per le azioni più elementari della vita come: alzarsi, vestirsi, andare a passeggio, bere e mangiare. Questi sono alcuni esempi di perdite che fanno soffrire.

Oggi gli psicologi dicono che è importante prepararsi a queste realtà, possibilmente fin dalle tappe precedenti, in modo da orientarsi verso il tipo di crescita e quindi di adattamento che questa tappa esige, in modo da non lasciarci sorprendere e in un certo senso cadervi dentro4.

Infatti se non viviamo la specificità della fase di vita che stiamo attraversando, corriamo il rischio di non coglierne i frutti, di non invecchiare positivamente, di inaridire cioè la linfa vitale che scorre nella nostra persona, senza che ci faccia fare il balzo in avanti.

 L’inattività crescente e la dipendenza sono terreno su cui sorgono le crisi esistenziali proprie di questa tappa. La persona anziana si chiede: “Chi sono io?”; “Che senso ha ora la mia vita?”; “Cosa posso fare?”. Sono domande che ci stimolano a entrare nell’intimo e a darci risposte nella linea della vocazione che abbiamo vissuto fino ad oggi e che dura quanto la vita. Sono domande che attendono risposte per andare oltre e non rischiare di cadere nella mediocrità.

Questa tappa, per coglierne i frutti caratteristici, ha bisogno di preparazione. Siamo sollecitate a coltivare lungo tutta la vita la gioia e a conservare un “occhio” giovane, capace di stupore. Lo stupore che ci fa godere e gioire delle bellezze del creato, delle nuove scoperte della scienza da utilizzare per l’annuncio del Vangelo, per l’ardire delle sorelle più giovani nell’inoltrarsi con coraggio nel complesso mondo e cultura dell’evangelizzazione, per la preparazione sempre più adeguata che a loro viene data.

Non è così importante che noi facciamo qualcosa in prima linea, quanto entrare nel circuito della missione per vibrare in comunione con tutte le sorelle, sostenerle con l’incoraggiamento, la comprensione, la fiducia, la preghiera e l’offerta della sofferenza, sottolineando che in quest’età ci è dato di poter entrare e vivere in una più grande solitudine con Dio, sorrette dal desiderio di vedere il suo volto.

 Questa dimensione contemplativa, molto personale, non è chiusa nel privato, è un dono a volte preparato dai distacchi richiesti dal diminuire delle forze fisiche o dalle malattie. Ma sappiamo bene che non c’è progresso spirituale nella via dell’orazione, senza purificazione. Ora Dio ci prepara alla contemplazione del suo volto, meta ultima della nostra vita, chiedendoci di camminare nella via della solitudine, della notte, dove Lui però è presente e ci guida. “Anche se andassi in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me” (Sl 23).

La disponibilità a lasciare i vari uffici per dedicarsi ad altri, forse meno impegnativi, più nascosti e meno gratificanti, è un modo per aderire alla chiamata a entrare con consapevolezza nella kenosi del Figlio di Dio e a continuare a servire con gioia.

Nelle comunità la presenza serena e pacificante di una sorella che prega, che continua a credere nella vocazione ricevuta dovunque si trovi e in qualunque situazione viva, diventa il richiamo vocazionale più trasparente ed eloquente per le giovani che oggi cercano testimoni gioiosi e perciò credibili.


1. Citato da Anselm Grün, Non farti del male, p. 6, Queriniana, 2000.

2. Direttive sulla formazione negli Istituti religiosi, Roma, 1990, n.70.

3. Cf Erick H. Erickson, I cicli della vita, Armando, Roma, 1992, p. 59.

4. Cf Gabriele Ferrari, Religiosi e formazione permanente, EDB, Bologna,1997, p.130.

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