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«Non
ha mai preteso di andare da sola in cerca della verità a cui tanto anelava».
E’ un giudizio critico, equo,
ponderato su Edith Stein, la santa, ex ebrea tedesca, filosofa, monaca
carmelitana, santa e martire, che affrontò il campo di concentramento, “chiostro
aperto alla violenza”, come un “nuovo spazio claustrale” e la camera a gas come
grembo della morte, che l’avrebbe portata a nascere alla vita senza
delimitazioni né di spazio né di tempo, che l’avrebbe fatta irrompere
nell’eterna immutabile quiete di Dio Trinità, nell’estasi totalizzante.
È una affermazione pregnante,
gravida di significato. Innan-zitutto parla di una persona che vive con passione
nella ricerca della verità, di una verità mai raggiunta nella sua completezza.
Una donna che fa della ricerca della verità quasi un assoluto della propria
vita, un itinerario tracciato e, nel contempo, con un traguardo mai raggiunto in
forma totalitaria.
La verità non è un valore
precario, ma può avere molte diramazioni. La verità matematica: due più due fa
quattro, non si discute. La verità fisica: le leggi della gravità non si
impugnano, anche se si possono superare, vedi gli astronauti; le verità
filosofiche: il trascendente e l’immanente si oppongono. La Verità, per se
stessa, nel pellegrinare terreno, è un assoluto mai conquistato nella sua
totalità da nessuno. I progressi della scienza, le stesse nuove interpretazioni
della storia o di alcune teorie ritenute per secoli infallibili, le differenti
‘letture’ degli avvenimenti ne sono la conferma.
Per questo nella ricerca della
verità, nella tensione stessa della ricerca, per giungere alla verità unica,
quella che ha la sua fonte, il suo culmine e il suo termine in Colui che è
Verità, Giustizia, Bellezza, è necessario essere rigorosamente tenaci, quasi
spasmodicamente anche se pacificamente costanti, umilmente disposti a mettere
spesso in questione se stessi, le proprie convinzioni. E’ necessario essere
disposti e accessibili al dibattito.
Occorrono occhi innamorati
della sapienza per saper cogliere i messaggi di verità che vengono da ogni parte
della natura, dalla stessa armonia dei colori. E’ necessario possedere
l’inquietudine dell’intelligenza che porta a spingersi sempre oltre: la ricerca
della verità è sempre incipiente. Occorre vivere l’atteggiamento
dell’esploratore incuriosito dalle mete raggiunte ma mai sazio, mai pienamente
appagato. Dalle mete raggiunte è necessario guardare avanti, andare oltre gli
steccati.
Edith, inoltre, in questo suo
andare “in cerca della verità”, lo fa non “da sola”. E’ la consapevolezza del
limite, è la coscienza della propria insufficienza; è la lucida, cosciente,
matura percezione del valore e della ricchezza altrui. Ma è anche la
consapevolezza della propria identità di persona amata e amante. Per cui si
accosta con rispetto e stima a chi sappia e possa chiarirne i dubbi, aprire
nuovi spiragli di novità conoscitive od esistenziali. Ne fanno fede i suoi
intensi “dialoghi” con il filosofo Husserl e tutte quelle altre relazioni che la
portarono da un ebraismo convinto al cattolicesimo rappacificante. Anche qui e
forse soprattutto qui, in una situazione di ricerca, l’io ha bisogno del tu.
Il non andare in solitudine su
questo ripido sentiero, che a volte può anche trasformarsi in via spaziosa e
solare, è la posizione del bimbo che domanda: “cos’è?” o “perché?”.
E’ la scelta dei ‘grandi’ della
storia. Paolo ai cristiani della Galazia scriveva: “Andai e Gerusalemme per
consultare Cefa e rimasi presso di lui quindici giorni… In ciò che vi
scrivo, io attesto davanti a Dio che non mentisco”. Alcuni versetti più avanti:
“Dopo quattordici anni andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Barnaba…
Esposi loro il vangelo che io predico tra i pagani… per non trovarmi nel rischio
di correre o di aver corso invano”. Paolo espone il proprio pensiero, il
contenuto del proprio annuncio, disposto ad accettarne il confronto. Non esclude
il dibattito e lo farà in altro momento con Pietro – ancora una volta incapace
di esporsi, titubante e pauroso, come già anni prima nel cortile e nell’atrio
del palazzo del sommo sacerdote a Gerusalemme – sulla opportunità di consumare
cibi considerati immondi dagli ebrei, in presenza di convertiti dal paganesimo e
dall’ebraismo.
E’ il correre del retore
Agostino, pronto ad ascoltare le lezioni del ‘grande’ Ambrogio, delle quali,
secondo un suo biografo, egli “andava matto”. E diventerà quell’“oculato
amministratore dei misteri di Dio”, che tutti ancora oggi cercano, leggono,
studiano. Come è per Edith Stein, pur più recente, anzi nostra contemporanea.
Siamo tutti, tutte, pellegrini
della verità, come tutti e tutte siamo pellegrini della pace e della comunione.
Aneliamo conoscere; aneliamo sapere. Andiamo alla ricerca di quanto può saziare
la nostra fame e la nostra sete; di quanto può dirimere i nostri dubbi o
intercettare le nostre incertezze. La ricerca della verità è radicata nello
stesso statuto ontologico delle nostra persona. Forse dovremo, allora, superare
l’inerzia della volontà, o anche, problemi di carattere psicologico o spirituale
che impediscono questa ricerca sincera della verità; della verità soggettiva:
chi siamo, verso ‘dove’ stiamo andando e della verità oggettiva: quella che
esiste all’infuori del nostro io, dal Creatore ad ogni opera della creazione.
Forse è necessario reimpostare le proprie giornate o le proprie ore per trovare
spazi anche prolungati di tempi per lo studio serio e sereno, approfondito,
verace.
E’ necessario andare alle fonti
del sapere. Di sedersi o passeggiare in pace e leggere, studiare, confrontare,
confrontarsi. Forse è il momento di arricchire le proprie biblioteche o servirsi
di biblioteche di altri. Le nostre comunità, i nostri gruppi lavorativi, anche
in collaborazione con il laicato, dovrebbero essere – o diventare – fucine di
idee, di proposte, di riflessioni in ambito biblico, teologico, filosofico,
sociale, psicologico, pedagogico, antropologico e quant’altro per riversarne con
saggezza i frutti su quanti il Signore ponga sulla nostra strada. Le esigenze di
questo nostro tempo, che, come tutti dicono, vive una profonda metamorfosi
socio-culturale, sono altissime. Richiedono persone dal forte spessore
culturale, dense di vita, capaci di dare ragione, non soltanto della propria
speranza, ma anche della propria fede.
La Redazione
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