n. 5
maggio 2006

 

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«Non ha mai preteso di andare da sola in cerca della verità a cui tanto anelava».

E’ un giudizio critico, equo, ponderato su Edith Stein, la santa, ex ebrea tedesca, filosofa, monaca carmelitana, santa e martire, che affrontò il campo di concentramento, “chiostro aperto alla violenza”, come un “nuovo spazio claustrale” e la camera a gas come grembo della morte, che l’avrebbe portata a nascere alla vita senza delimitazioni né di spazio né di tempo, che l’avrebbe fatta irrompere nell’eterna immutabile quiete di Dio Trinità, nell’estasi totalizzante.

È una affermazione pregnante, gravida di significato. Innan-zitutto parla di una persona che vive con passione nella ricerca della verità, di una verità mai raggiunta nella sua completezza. Una donna che fa della ricerca della verità quasi un assoluto della propria vita, un itinerario tracciato e, nel contempo, con un traguardo mai raggiunto in forma totalitaria.

La verità non è un valore precario, ma può avere molte diramazioni. La verità matematica: due più due fa quattro, non si discute. La verità fisica: le leggi della gravità non si impugnano, anche se si possono superare, vedi gli astronauti; le verità filosofiche: il trascendente e l’immanente si oppongono. La Verità, per se stessa, nel pellegrinare terreno, è un assoluto mai conquistato nella sua totalità da nessuno. I progressi della scienza, le stesse nuove interpretazioni della storia o di alcune teorie ritenute per secoli infallibili, le differenti ‘letture’ degli avvenimenti ne sono la conferma.

Per questo nella ricerca della verità, nella tensione stessa della ricerca, per giungere alla verità unica, quella che ha la sua fonte, il suo culmine e il suo termine in Colui che è Verità, Giustizia, Bellezza, è necessario essere rigorosamente tenaci, quasi spasmodicamente anche se pacificamente costanti, umilmente disposti a mettere spesso in questione se stessi, le proprie convinzioni. E’ necessario essere disposti e accessibili al dibattito.

Occorrono occhi innamorati della sapienza per saper cogliere i messaggi di verità che vengono da ogni parte della natura, dalla stessa armonia dei colori. E’ necessario possedere l’inquietudine dell’intelligenza che porta a spingersi sempre oltre: la ricerca della verità è sempre incipiente. Occorre vivere l’atteggiamento dell’esploratore incuriosito dalle mete raggiunte ma mai sazio, mai pienamente appagato. Dalle mete raggiunte è necessario guardare avanti, andare oltre gli steccati.

Edith, inoltre, in questo suo andare “in cerca della verità”, lo fa non “da sola”. E’ la consapevolezza del limite, è la coscienza della propria insufficienza; è la lucida, cosciente, matura percezione del valore e della ricchezza altrui. Ma è anche la consapevolezza della propria identità di persona amata e amante. Per cui si accosta con rispetto e stima a chi sappia e possa chiarirne i dubbi, aprire nuovi spiragli di novità conoscitive od esistenziali. Ne fanno fede i suoi intensi “dialoghi” con il filosofo Husserl e tutte quelle altre relazioni che la portarono da un ebraismo convinto al cattolicesimo rappacificante. Anche qui e forse soprattutto qui, in una situazione di ricerca, l’io ha bisogno del tu.

Il non andare in solitudine su questo ripido sentiero, che a volte può anche trasformarsi in via spaziosa e solare, è la posizione del bimbo che domanda: “cos’è?” o “perché?”.

E’ la scelta dei ‘grandi’ della storia. Paolo ai cristiani della Galazia scriveva: “Andai e Gerusalemme per consultare Cefa e rimasi presso di lui quindici giorni… In ciò che vi scrivo, io attesto davanti a Dio che non mentisco”. Alcuni versetti più avanti: “Dopo quattordici anni andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Barnaba… Esposi loro il vangelo che io predico tra i pagani… per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano”. Paolo espone il proprio pensiero, il contenuto del proprio annuncio, disposto ad accettarne il confronto. Non esclude il dibattito e lo farà in altro momento con Pietro – ancora una volta incapace di esporsi, titubante e pauroso, come già anni prima nel cortile e nell’atrio del palazzo del sommo sacerdote a Gerusalemme – sulla opportunità di consumare cibi considerati immondi dagli ebrei, in presenza di convertiti dal paganesimo e dall’ebraismo.

E’ il correre del retore Agostino, pronto ad ascoltare le lezioni del ‘grande’ Ambrogio, delle quali, secondo un suo biografo, egli “andava matto”. E diventerà quell’“oculato amministratore dei misteri di Dio”, che tutti ancora oggi cercano, leggono, studiano. Come è per Edith Stein, pur più recente, anzi nostra contemporanea.

Siamo tutti, tutte, pellegrini della verità, come tutti e tutte siamo pellegrini della pace e della comunione. Aneliamo conoscere; aneliamo sapere. Andiamo alla ricerca di quanto può saziare la nostra fame e la nostra sete; di quanto può dirimere i nostri dubbi o intercettare le nostre incertezze. La ricerca della verità è radicata nello stesso statuto ontologico delle nostra persona. Forse dovremo, allora, superare l’inerzia della volontà, o anche, problemi di carattere psicologico o spirituale che impediscono questa ricerca sincera della verità; della verità soggettiva: chi siamo, verso ‘dove’ stiamo andando e della verità oggettiva: quella che esiste all’infuori del nostro io, dal Creatore ad ogni opera della creazione. Forse è necessario reimpostare le proprie giornate o le proprie ore per trovare spazi anche prolungati di tempi per lo studio serio e sereno, approfondito, verace.

E’ necessario andare alle fonti del sapere. Di sedersi o passeggiare in pace e leggere, studiare, confrontare, confrontarsi. Forse è il momento di arricchire le proprie biblioteche o servirsi di biblioteche di altri. Le nostre comunità, i nostri gruppi lavorativi, anche in collaborazione con il laicato, dovrebbero essere – o diventare – fucine di idee, di proposte, di riflessioni in ambito biblico, teologico, filosofico, sociale, psicologico, pedagogico, antropologico e quant’altro per riversarne con saggezza i frutti su quanti il Signore ponga sulla nostra strada. Le esigenze di questo nostro tempo, che, come tutti dicono, vive una profonda metamorfosi socio-culturale, sono altissime. Richiedono persone dal forte spessore culturale, dense di vita, capaci di dare ragione, non soltanto della propria speranza, ma anche della propria fede.

La Redazione