Premessa
tema di questa nostra
Assemblea, ci invita a rileggere e a considerare una realtà sempre più
visibile ed in espansione nel nostro contesto ecclesiale: laici e
religiosi insieme nella pastorale e in modo particolare nelle diverse
opere educative, socio-sanitarie, di promozione umana, nel comune
impegno di edificare insieme la Chiesa e cooperare alla sua missione1.
A
partire da questa esperienza, la riflessione ci porterà a rivisitare la
comune identità battesimale dei laici e dei religiosi e la loro
vocazione specifica nella Chiesa; a considerare il movimento di
collaborazione e di cooperazione dei religiosi con i laici nelle diverse
opere, per coglierne l’anima, lo stile e la testimonianza; ad avviare un
discernimento nelle nostre Congregazioni perché questa esperienza,
intrisa di timori e di profezia, diventi una occasione per la vita
religiosa di oggi per ritornare al cuore del suo carisma e della
consacrazione, per ripartire da Cristo e far tesoro del cammino di fede
della Chiesa.
È un
percorso che esige alcuni passaggi:
a)
fare memoria
dell’ecclesiologia di comunione,
che ha la sua origine nel mistero della Trinità;
b)
evidenziare, nella specificità delle diverse vocazioni, la
comune consacrazione battesimale;
c)
privilegiare il comune carisma della vita consacrata
e riesprimerne il
fondamento spirituale e teologico;
d)
favorire un rinnovato approfondimento dell’identità della vita religiosa
apostolica,
perché nelle opere sia trasparente la testimonianza della carità e la
trasmissione della fede;
e)
discernere modalità di collaborazione laici-religiosi
che siano espressione di
una matura coscienza ecclesiale.
È
come un quadro che si sta ridipingendo.
L’urgenza dell’evangelizzazione, la gravità del momento in cui è sempre
più difficile garantire la continuità della trasmissione della fede, ci
sospingono a prestare l’orecchio all’azione dello Spirito, ad uscire
dalla preoccupazione per noi stesse per metterci a disposizione della
Sua opera.
Guardando la situazione attuale della Vita religiosa in Italia, notiamo
due tendenze:
-
la
nascita di nuovi carismi e nuove forme di vita consacrata, anche
all’interno degli stessi Movimenti laicali;
-
un
incremento dell’intercongregazionalità tra le religiose, il
superamento delle distanze tra laici e religiose, tra Istituti e
Chiesa locale2.
Due
tendenze che ci introducono in un cammino di maggior comunione
ecclesiale.
1.
L’ecclesiologia di comunione a partire dalla Trinità
La comunione, come categoria fondamentale dell’ecclesiologia
è un frutto
dell’approfondimento post-conciliare.
Nella mente dei Padri conciliari la comunione era il tema trasversale a
tutto; non si trova infatti una trattazione specifica su questo aspetto.
Il Concilio, esplicitamente, ha privilegiato alcune categorie quali:
a)
La sacramentalità della Chiesa:
la Chiesa, unita a Cristo, come sacramento dell’incontro con Dio: «segno
e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere
umano»3.
b)
La categoria di popolo di Dio,
che esprime il legame con tutta la storia della salvezza e apre ad una
visione più ampia e universale della Chiesa stessa, a una visione
escatologica: il popolo pellegrinante in cammino verso la celeste
Gerusalemme. «La Chiesa è il popolo di Dio radunato nell’unità del Padre
del Figlio e dello Spirito Santo» (S. Cipriano)4.
Il
popolo radunato nell’unità della Trinità è un popolo generato dalla
comunione trinitaria: Dio è amore, dice san Giovanni nella sua
Prima Lettera. Ciò significa che Dio è comunione al suo interno,
perché l’amore è per sua natura dialogico. In Dio c’è l’Amore Amante,
che è il Padre, l’Amore Amato, che è il Figlio e l’Amore dell’Amore che
è lo Spirito Santo, il Respiro del Padre e del Figlio nella dinamica
perenne dell’Amore.
Gesù
ci ha rivelato il mistero del Padre e ci ha donato lo Spirito perché noi
potessimo essere partecipi di questa comunione (Rm 5,5). Ci ha affidato
la continuità della sua stessa opera: ha costituito l’Ecclesìa,
la comunità dei discepoli, riuniti in koinonia, dallo Spirito e
perciò chiamati ad annunciare e a testimoniare la salvezza e la chiamata
di tutti gli uomini a questa stessa comunione.
Per
cui la comunione non è anzitutto un impegno etico, ma dono,
partecipazione all’essenza stessa di Dio, ed è perciò costitutiva della
Chiesa, riflesso della comunione trinitaria.
È il
Padre che raduna i suoi figli con le sue due braccia, che sono il Figlio
e lo Spirito (cfr. Ireneo di Lione, Ad. Her.).
c)
La categoria di Corpo di
Cristo, molto
presente nell’epistolario paolino: «Noi tutti siamo stati
battezzati in un solo Spirito, per costituire un solo corpo» (1Cor
12-13) è così espressa dalla Lumen Gentium: «Comunicando il suo
Spirito, Cristo costituisce misticamente come suo corpo, i suoi
fratelli, che raccoglie da tutte le genti».
«La
categoria del corpo mette in rilievo l’unità e la varietà dei
doni dello Spirito, delle diverse vocazioni, delle singole persone. Nel
corpo ogni membro ha la sua funzione, proprio perché non è uguale
all’altro. In quel corpo la vita di Cristo si diffonde nei credenti, che
attraverso i sacramenti si uniscono in modo arcano e reale a Lui,
sofferente e glorioso».
Dicendo che la Chiesa è il Corpo di Cristo, affermiamo che tutti vi
hanno posto e che la vocazione particolare di ognuno serve
all’edificazione di tutti. «Questa unità armoniosa di persone diverse
proviene dal fatto che sono uniti con Cristo. Più uno cerca di unirsi
con Cristo, più è unito con gli altri»5.
Le
diverse vocazioni nella Chiesa sono fondate tutte sul Battesimo ed
esprimono la ricchezza e la varietà dei doni dello Spirito Santo.
Le
nostre Famiglie religiose hanno vissuto la grande stagione del Concilio
Vaticano II e sentono viva l’esigenza di comunicare a questo mistero di
comunione della Chiesa, rimanendo aperte alla missione dell’annuncio e
dell’evangelizzazione, vivendo relazioni ecclesiali mature e
testimoniando la “buona notizia” della carità.
2. La vita
consacrata icona della vocazione battesimale
Il
Decreto Perfectae Caritatis definisce i religiosi come coloro
che vivono solo per Dio attraverso una consacrazione particolare che
si radica nel Battesimo6.
La
teologia postconciliare della vita religiosa ha discusso il senso di
questa formula, da una parte criticando espressioni che ormai sembrano
contestabili (“vita consacrata”, “vita di perfezione”) e che nascondono
il pericolo di minimizzare la consacrazione battesimale, dall’altra
ricercando una specificità della vita religiosa che risulta sempre più
difficile da afferrare, dal momento che ci sembra non si possa far
passare per specifico o esclusivo della vita religiosa ciò che è proprio
della vita di tutti i battezzati.
Rapporto tra vita religiosa e consacrazione battesimale
La
questione sta proprio qui, nel rapporto tra vocazione
religiosa e consacrazione battesimale.
Guardando al cammino della Chiesa nei primi secoli, notiamo ad un certo
punto, che alcuni cristiani hanno sentito l’esigenza di esprimere in
modo radicale la vocazione battesimale.
La
Tradizione della Chiesa, la storia della vita cristiana, ci ricordano il
nascere di una forma di vita che radicalizza il Battesimo: la forma di
vita monastica. Che cosa è il monachesimo? Chi è il monaco?
Monaco è l’uomo nuovo, nato dal Battesimo, colui che contempla Dio, che
ha familiarità con Dio, che testimonia, in questo mondo, il mondo che
verrà.
L’uomo interiormente unificato dentro, il monos, è il paradigma
visibile della vocazione battesimale; ci ricorda quello che con il
Battesimo siamo diventati e quello a cui tendiamo nel tempo dell’attesa
del Signore che verrà.
Dentro un tale orizzonte di significato si può riconoscere l’intima
aspirazione della Chiesa a vivere la familiarità con Dio, a trovare la
misura della sua relazione con Dio nell’assoluta essenzialità della
identità monastica (=del monaco), il monaco così inteso è “figura” del
cristiano.
Il monaco paradigma visibile della vocazione battesimale
È
molto importante lasciarci ispirare da questa esperienza ecclesiale, non
come storia ma come esemplificazione, come icona della vita cristiana.
Il
monachesimo, secondo la tradizione comune in oriente ed occidente, nel
primo millennio, non è una delle tante forme di vita religiosa, ma è una
forma così essenziale e radicale da essere considerata il riferimento
indispensabile al quale ogni altra forma di consacrazione doveva
necessariamente ispirarsi.
«Il
monachesimo, dice il Papa Benedetto XVI, è un fenomeno fondamentale
della Chiesa e non scomparirà mai. Penso anzi che certe esperienze
vissute all’interno dei movimenti sboccheranno nel monachesimo e che
creeranno nuove vocazioni monastiche»7.
Il monachesimo ed altre forme di vita religiosa
Le
diverse forme di vita monastica, apparse lungo i secoli, hanno poi
assunto denominazioni diverse che hanno messo in risalto gli aspetti più
esterni e che fanno la differenza, sui quali si è cercato di costruire
delle identità particolari, indebolendo la forza del fondamento comune a
tutte.
Agli
inizi del cristianesimo si parla di asceti, di vergini; al IV secolo si
inizia a parlare di monaci. Pacomio e Basilio evitano di ricorrere a
questi termini e preferiscono quelli più comuni ed ecclesiali di
fratelli e sorelle.
Nel
secondo millennio, in occidente si introduce il termine religione
per indicare uno stato di vita e quindi religioso per chi pratica
questa vita.
Oggi
questo fronte si è allargato ancora e si parla di vita consacrata
per includere quanti professano i consigli evangelici, ma non si
ritengono religiosi, dal momento che vivono la secolarità.
Non
entro evidentemente nell’approfondimento di questi aspetti. Si può però
rilevare che la vita religiosa apostolica vive un travaglio delicato;
essa ha bisogno anzitutto di chiarire sé a se stessa, di rendere
visibile il suo radicale essere per Dio e di Dio.
Un
travaglio che tocca vari aspetti:
-
un
travaglio, perché non è così evidente il fondamento, e nello stesso
tempo la specificità dei carismi non sempre sembra essere a servizio
di questo fondamento, o chiaramente espressiva di questo;
-
un
travaglio che nasce anzitutto da una teologia della vita religiosa che
fatica a chiarire la relazione tra identità e specificità all’interno
della stessa vocazione battesimale;
-
un
travaglio derivato da uno sviluppo storico della vita religiosa negli
ultimi secoli, nei quali non sempre il riconoscimento ecclesiale
riusciva a condurre alla dimensione pneumatica, ma più spesso era
motivato dell’esigenza di definire la nuova famiglia religiosa in un
quadro giuridico;
-
un
travaglio a causa dell’eccessiva frantumazione dei carismi e delle
spiritualità, per cui diventa sempre più artificioso definire una
identità propria ed esclusiva, col risultato di definizioni che
alla fine mettono in ombra o trascurano il comune carisma della vita
religiosa e la stessa dimensione carismatica della Chiesa, nella quale
i doni concessi dallo Spirito non sono in competizione, ma sono
interni gli uni agli altri, per la comune edificazione.
È
certamente illuminante, oggi, per noi religiosi di vita apostolica
ritornare al Battesimo, per recuperare il cuore della nostra vita
consacrata, cioè una vocazione che esprime l’esigenza di vivere il
Battesimo in una maniera il più radicale possibile.
Se
laici e religiosi ontologicamente sono uguali in forza del Battesimo,
nel cammino della fede e della vita spirituale, i religiosi ricevono il
dono di significare in modo visibile la radicalità dell’appartenenza a
Dio, assumendo una forma di vita che si differenzia da quella dei laici.
3. Per ritornare
al fondamento spirituale e teologico della vita religiosa
Se
c’è un servizio che i religiosi possono rendere ai laici, non sono i
vari servizi da offrire, ma la testimonianza della radicalità della vita
cristiana assunta con la professione dei consigli evangelici in vita
comune, per essere segno visibile di uno stile di vita, di una mentalità
che tenga conto al di sopra di tutto, dell’Amore (principio agapico).
L’amore esclusivo a Dio come motivo di tutto
Il
religioso che recupera il monachesimo interiore è un teoforo dello
Spirito: uno che si appassiona al mistero che il Battesimo ha
compiuto in lui. Il mistero della rigenerazione, come dice Paolo. Il
mistero del cammino verso l’unione sponsale con il Signore, verso la
piena somiglianza di Colui che ci ha amati per primo, verso la
Gerusalemme celeste nostra madre alla quale, come Ireneo di Lione
direbbe, ci si abitua pian piano, attraverso la partecipazione alla
liturgia santa e l’occhio nuovo che nasce da essa. Un occhio
capace di scoprire le presenze invisibili di angeli e santi e di
intrattenersi con loro, sottraendo il mondo alla sua “mondanità” e
gustandone la capacità di essere rivelazione di Dio, luogo della sua
presenza e dunque, come l’Eden, giardino dove Dio e la creatura si
intrattengono passeggiando insieme nella brezza della sera.
Nella vita del discepolo, ogni servizio pastorale, ogni espressione
caritativa e sociale è conseguenza dell’unione con Cristo, non
semplicemente la realizzazione di sé o del senso della sua vita. È,
occorre ricordarlo, quanto consegue all’unione con Cristo; tutto ciò che
viene da Lui si manifesta per “grazia”. Non esiste scopo, fine
pratico, missione, carisma, concreto campo d’azione di un religioso,
a qualsiasi famiglia religiosa appartenga, che non sia il frutto della
sua unione deificante con Dio, che rimane il primo e l’unico scopo della
sua stessa vita.
Non ci si fa religiosi per un apostolato.
Ci si fa religiosi per Cristo, per amore Suo, per cercare la pienezza
della vita. Solo «per Cristo, con Cristo e in Cristo» la stessa grazia
divina può suscitare in noi, singoli o gruppi, la possibilità di agire
nella comunità umana con un compito speciale, secondo i propri carismi,
per contribuire a rendere l’umanità più simile al progetto originale
creativo, frutto dell’amore del Padre.
Se non c’è amore per il Signore, non c’è vita religiosa.
Ci sarà filantropia, utopia sociologica, paura del mondo, segreto
rifugio dagli aspetti di sé che non si sanno accettare, voglia e bisogno
di sicurezza in una istituzione, desiderio di pace in una vita regolare,
abitudinaria e ripetitiva, in modo da non doversi esporre al nuovo. Se
non c’è amore per il Signore, c’è solo la povertà dell’umana natura,
rivestita di un abito che non è il proprio.
La conversione, l’accompagnamento nella fede, l’operosità della carità
Nella Chiesa, i laici ricordano che c’è una giustificazione
religiosa del mondo in sé, in quanto creatura di Dio, perciò
lavorano alla trasformazione e alla santificazione del mondo, mentre
i religiosi, con la loro memoria escatologica, ricordano che
il temporale rischia di divenire mondano, puramente carnale, quando i
mezzi offuscano i fini. Dico “carnale” nel senso in cui lo definisce
Paolo, ossia la carne come ciò che si oppone allo Spirito.
Infatti dopo il peccato,
non si trova, Dio nel mondo, ipso facto, per cui occorre
esercitare “l’ascesi come esercizio della distanza”, attraverso cui il
potere di seduzione delle cose è esorcizzato, perché le cose siano
restituite alla loro vera natura.
Questo significa anche testimoniare l’accettazione della croce nella
propria vita, per purificare l’uso che noi facciamo delle cose;
ricomprendere il significato delle prove, per ristabilire nella nostra
vita il rapporto tra fine immediato e fine ultimo; il ruolo del
sacrificio, che è il segno e il cammino della nostra libertà. La croce è
la condizione della nostra piena comunione a Gesù Salvatore.
Significa inoltre recuperare l’importanza di essere maestri
della vita spirituale, padri e madri spirituali che sanno aiutare
gli altri nella “grande lotta” contro il maligno, in vista del
compimento escatologico della storia.
I
monaci e perciò i religiosi, sono sempre stati questi maestri della
preghiera, del combattimento spirituale, del discernimento dei pensieri,
della chiarezza del fine, della testimonianza della vita risorta;
maestri di un operare che come prima cosa trasmetteva l’amore per Dio e
per l’uomo. Basta richiamare l’esempio di tutti i nostri Fondatori e
Fondatrici.
4. Laici e religiosi
nell’evangelizzazione: un’esperienza matura di vita cristiana
L’essere insieme nella Chiesa, religiosi e laici, in comunione con i
Pastori, a servizio del Vangelo di Cristo, diventa segno di una vita
cristiana matura anche di fronte al mondo.
«La
nuova evangelizzazione è prima di tutto e soprattutto un impegno
spirituale. È perciò fondamentale che noi stessi ci lasciamo
interpellare in modo sempre nuovo dall’evangelo; che noi stessi viviamo
più decisamente e con maggior gioia secondo lo spirito dell’evangelo. Se
siamo sinceri dobbiamo riconoscere che siamo noi stessi spesso di
ostacolo all’evangelo e alla sua diffusione. Senza la nostra conversione
personale, tutte le riforme, anche le più necessarie e benintenzionate,
vanno a cadere e, senza rinnovamento personale finiscono in un vuoto
attivismo. Senza l’ascolto della Parola e della volontà di Dio, senza lo
spirito di adorazione e senza la preghiera continua, non ci sarà
rinnovamento nella Chiesa né nuova evangelizzazione dell’Europa»8.
La sfida dell’evangelizzazione, una nuova strada di comunione
L’urgenza dell’evangelizzazione ci porta ad unire le forze nell’annuncio
e nella testimonianza della fede, ossia a non disperderci in proclami o
progetti personalistici; ad aprirci sempre di più alla collaborazione
nei diversi servizi e opere, a rispondere alla ricorrente sfida della
comunione. In questi anni, si ha l’impressione che la molteplicità delle
strategie pastorali legate a contesti locali o a gruppi, ci abbia spesso
indotto a sopravvalutare la diversità delle proposte e delle forme di
animazione pastorale, a scapito dell’unica e inesauribile
proposta-annuncio: «L’uomo è amato da Dio! È questo il semplicissimo e
sconvolgente annuncio del quale la Chiesa è debitrice all’uomo. La
parola e la vita di ciascun cristiano possono e devono far risuonare
questo annuncio: Dio ti ama, Cristo è venuto per te, per te Cristo è
“Via, Verità e Vita” (Gv 14,6)»9.
Da
qui scaturisce la testimonianza di vita del popolo cristiano attraverso
i vari carismi; e a questo annuncio, diventato esperienza di salvezza
per tutti, si riconduce la verifica di autenticità di ogni carisma.
Nell’evangelizzazione, pertanto, con la carità delle opere urge la
carità della trasmissione della fede che sembra imporsi oggi come sfida
alla pastorale. Non si tratta di sottovalutare le opere in se stesse,
che sono anch’esse testimonianza dell’Amore, ma di correggere una
tendenza, dovuta al mutamento in atto, che rischia di svuotare di
profezia la vita di molti Istituti. Tante sorelle, pur donando tutto,
sono affannate e costrette ad un ritmo quotidiano che impedisce loro una
formazione spirituale seria e continua, un contatto vitale che consenta
loro di alimentarsi alla fonte della Vita. In questo modo quella che
dovrebbe essere una testimonianza della “carità perfetta” diventa la
presentazione di uno stile di vita che poco si distingue da come opera e
vive il mondo.
Perché non impiegare le energie spirituali, di cui siamo ancora
ampiamente portatrici nella Chiesa e nella nostra società, per
contribuire a trasmettere la fede alle nuove generazioni e a rafforzarla
in coloro che dovrebbero animarla dal di dentro delle diverse
situazioni? Sostenere nella fede i genitori, gli insegnanti, i giovani,
i malati, gli operatori sanitari, coloro che hanno un compito culturale
e politico, potrebbe essere un ambito di presenza e di azione pastorale
capillare di molte nostre sorelle, rimanendo fedeli in modo creativo
all’ispirazione carismatica del proprio Istituto.
C’è
un profondo legame tra evangelizzazione e carità, come hanno richiamato
i nostri Vescovi negli Orientamenti pastorali per gli anni ’90: «Per
sottolineare questo profondo legame tra evangelizzazione e carità
abbiamo scelto quasi filo conduttore della nostra riflessione,
l’espressione “vangelo della carità”. Vangelo ricorda la parola che
annuncia, racconta, spiega e insegna. […] E carità ricorda che il centro
del vangelo, la “lieta notizia” è l’amore di Dio per l’uomo e, in
risposta, l’amore dell’uomo per i fratelli…»10.
Una
grande luce per comprendere la dinamica di questa testimonianza ci viene
da tutta l’Enciclica del papa Benedetto XVI, Deus Caritas est,
del 25 dicembre 2005.
Dal
punto di vista pastorale ci troviamo di fronte a una svolta: non è più
possibile scambiare la pastorale con l’organizzazione e con la
moltiplicazione di iniziative, senza verificare e rafforzare i
fondamenti della fede in noi stesse, in ogni persona e in ogni comunità
cristiana.
L’esperienza della smisuratezza del bisogno può, da un lato, spingerci
nell’ideologia di dover risolvere noi i molti problemi del mondo,
dall’altro può diventare una tentazione che spinge all’inerzia, poiché
nulla o quasi nulla può essere realizzato. «In questa situazione il
contatto vivo con Cristo è l’aiuto decisivo per restare sulla retta
via».
La
nostra missione di consacrate si caratterizza anche per le opere esterne
che compiamo ma fondamentalmente si esplica nel rendere presente al
mondo Cristo stesso, mediante la testimonianza personale. Questo è il
compito primario della vita consacrata.
«Nel
nostro mondo, dove sembrano spesso smarrite le tracce di Dio, si rende
urgente una forte testimonianza profetica da parte delle persone
consacrate. Essa verterà innanzitutto sull’affermazione del primato
di Dio e dei beni futuri, quale traspare dalla sequela e
dall’imitazione di Cristo casto, povero e obbediente, totalmente votato
alla gloria del Padre e all’amore dei fratelli e delle sorelle.
La
stessa vita fraterna è profezia in atto nel contesto di una
società che, talvolta senza rendersene conto, ha un profondo anelito ad
una fraternità senza frontiere»11.
È
tuttavia indispensabile favorire nella Chiesa di oggi l’incontro e la
collaborazione tra religiosi, religiose e fedeli laici, un’esperienza
che si propone come esempio di comunione ecclesiale e allo stesso tempo
potenzia le energie apostoliche per l’evangelizzazione del mondo12.
I
Movimenti ecclesiali e la vita consacrata
La
stagione post-conciliare che la Chiesa sta vivendo è caratterizzata dal
fenomeno delle aggregazioni e dei Movimenti ecclesiali, una fioritura
che segue quella delle Congregazioni dell’Ottocento e Novecento.
Una
caratteristica dei Movimenti sembra essere quella di dare rilevanza alla
testimonianza della fede, della ripresa dell’impegno battesimale per
rinnovare il mondo in Cristo.
Essi
infatti «favoriscono la chiamata universale alla santità; esprimono la
centralità della vocazione laicale nel rapporto fra la Chiesa alla quale
appartengono e il mondo nel quale vivono ed operano; contribuiscono
all’incarnazione del Vangelo nella società e al superamento di un
apostolato laicale, troppo dipendente dalla gerarchia».
Appare inoltre interessante il fenomeno, non più così raro, della
nascita di forme di “speciale consacrazione” anche all’interno dei
movimenti laicali.
Sarebbe importante cominciare a riflettere tra noi, Congregazioni di
vita apostolica, su tale realtà e coglierne il perché. Una risposta ci
verrà senza dubbio dalla testimonianza dei Movimenti invitati a questa
Assemblea; ma tra le motivazioni potremmo già evidenziarne una di natura
spirituale, ecclesiale: i Movimenti laicali pare si rendano conto che
all’interno della testimonianza cristiana è necessaria la radicalità
simboleggiata dalla vita consacrata. La Chiesa non può fare a meno di
un’esemplarità visibile della vita battesimale quale – appunto – viene
offerta con la vita consacrata.
Nel
recuperare il cuore della vita religiosa nella sua esemplarità
battesimale e considerando gli eventi che stiamo vivendo e che stanno
trasformando l’immagine attuale della vita religiosa apostolica, siamo
interpellate ad operare un discernimento: subire questa trasformazione o
assumerla come invito dello Spirito che prepara per la Chiesa del terzo
millennio un volto nuovo della vita consacrata?
Tutti operai nella vigna del Signore
In
questo cammino della Chiesa, che abbiamo solo richiamato per cenni, ci è
chiesto di riconoscerci gli uni gli altri, uscendo dalla separatezza e
dalla tentazione di confronti negativi o relazioni competitive, per
assumere lo stile della koinonia ecclesiale ed operare insieme per il
Vangelo.
Un
appropriato contatto tra i valori tipici della vocazione laicale, come
la percezione più concreta della vita del mondo, della cultura, della
politica, dell’economia, ecc., e i valori tipici della vita religiosa,
come la radicalità della sequela di Cristo, la dimensione contemplativa
ed escatologica dell’esistenza cristiana, ecc., può diventare un fecondo
scambio di doni tra i fedeli laici e le comunità religiose13.
Nel
campo di Dio che è il mondo si può entrare ad ogni ora, per mettere a
disposizione la grazia e i doni ricevuti e contribuire così alla
costruzione del regno dell’amore.
5. Percorsi di
collaborazione tra laici e religiosi nelle diverse opere e iniziative
ecclesiali
Una spiritualità condivisa
Seguendo il cammino delle Congregazioni religiose, in questi ultimi
anni, si rileva come una costante: l’apertura ai laici e un ritorno alla
spiritualità specifica della propria famiglia religiosa.
Sono
sempre più numerosi i laici che gravitano attorno ai nostri Istituti,
sia per assumere delle funzioni o dei compiti lasciati dalle nostre
consorelle, sia per una certa aspirazione a vivere alcuni aspetti della
spiritualità e della missione specifica della Congregazione.
L’animazione e il coinvolgimento dei laici, nel compimento della
missione evangelizzatrice, matura il cammino di reciprocità dentro
un’ecclesiologia di comunione; sollecita la ‘consegna’ e la condivisione
di un dono che non ci appartiene in modo esclusivo; favorisce la
riespressione del “carisma” con le caratteristiche proprie di una
cultura (cfr. Strumento di Lavoro, 52a Assemblea USMI
2005).
Una
più stretta collaborazione tra laici e religiosi è una spinta che viene
dagli Istituti stessi, che è sollecitata dalla Chiesa e spesso cercata
dagli stessi laici. L’Istruzione Ripartire da Cristo invita a
dilatare la comunione verso gli altri Istituti e le altre forme di
consacrazione, verso le nuove forme di vita evangelica e i movimenti
ecclesiali, verso i singoli laici.
È
importante accogliere queste esperienze per considerare tutta la loro
efficacia spirituale, a livello personale ed ecclesiale, e operare quel
discernimento che favorisca una nuova presa di coscienza della nostra
identità perché nelle opere sia trasparente la testimonianza della
carità e la trasmissione della fede.
Spiritualità e carisma non sono disgiunti, pertanto parlare di
condivisione di una spiritualità specifica esige anche condivisione del
carisma, ma questo non si trasmette per compito o affidando delle
funzioni, ma per una chiamata.
Molti Istituti hanno sin dalle origini nel loro progetto carismatico
anche la presenza dei laici con i quali si può certamente condividere il
carisma pensato dal Fondatore sia per i religiosi che per i laici.
In
realtà si tratta della condivisione di una spiritualità battesimale, nel
realizzare un progetto pastorale, la spiritualità dei discepoli del
Signore, propria di ogni cristiano.
Esperienze di collaborazione e condivisione di progetti pastorali
L’Istruzione della CIVCSVA Ripartire da Cristo, al n. 19, pone
degli interrogativi sulle grandi opere o strutture, la cui gestione,
almeno in Italia, deve essere sottoposta a un accurato discernimento:
«[I
membri della Plenaria] Allo stesso modo sono sensibili agli
interrogativi che si pongono religiosi e religiose riguardo alle grandi
opere che finora hanno permesso di servire nella linea dei rispettivi
carismi: ospedali, collegi, scuole, case di accoglienza e di ritiro. In
alcune parti del mondo esse sono richieste con urgenza, in altre
diventano difficili da gestire. Per trovare le vie risolutive occorre
creatività, oculatezza, dialogo tra i membri dell’Istituto, tra Istituti
con opere analoghe, con i responsabili della Chiesa particolare».
Da
tempo si è avviato nelle Congregazioni un vero processo di
discernimento; alcune trasformazioni sono in atto in diversi Istituti,
ma l’impressione è che la parte più consistente delle “opere”
appesantisca ancora la vita di molti governi generali e sia alquanto
difficile trovare vie praticabili che lascino tranquilli sia per la
continuità del servizio che per la sua efficacia pastorale.
Molte di noi, responsabili di Congregazioni, stanno intraprendendo la
strada di affidare la gestione di alcune Opere, scuole, ospedali,
case per anziani e altro ad Associazioni o Cooperative laiche
o diocesane.
L’esito sperato di questa collaborazione è la continuità del servizio,
ma vorremmo fosse anche la continuità del carisma; tale continuità è
certamente più difficile, poiché la trasmissione di un carisma non è un
fatto automatico.
Queste esperienze, a mio parere, conservano tutta la loro positività nel
senso che i beni ecclesiastici gestiti da queste realtà associative,
nella maggioranza cattoliche, restano ancora una risorsa sociale a bene
del territorio secondo uno spirito cristiano e salvaguardano la
destinazione ecclesiale degli stessi beni o patrimonio.
Altre prospettive o problemi presenta la collaborazione con i laici
nella pastorale diretta, dove ci troviamo a svolgere alcuni compiti
che non ci appartengono in forma esclusiva, cioè legati al fatto del
nostro essere religiose, ma in forma condivisa, perché partecipi della
missione della Chiesa in forza del Battesimo.
Anche a questo livello è chiesto alla Vita religiosa di portare nel
ministero l’esperienza della radicalità della sua consegna a Dio, del
suo incontro esclusivo con Dio, in modo che nel suo servizio passi la
provocazione dell’esemplarità battesimale e la “grazia del Signore”.
Nell’Assemblea dello scorso anno abbiamo affrontato il tema “Percorsi di
discernimento e di riconciliazione per rendere visibile la speranza” e
durante il lavoro ai tavoli sono state presentate diverse esperienze di
collaborazione e condivisione con i laici in diversi progetti pastorali.
Tali esperienze sono state raccolte nel Supplemento alla 52a
Assemblea, consegnatovi proprio in questa sede.
Per una presenza efficace
La
collaborazione e lo scambio di doni diventano più intensi quando gruppi
di laici partecipano per vocazione e nel modo loro proprio, nel seno
della stessa famiglia spirituale, al carisma e alla missione
dell’Istituto. Si instaureranno allora relazioni fruttuose, basate sui
rapporti di matura corresponsabilità e sostenute da opportuni itinerari
di formazione alla spiritualità dell’Istituto14.
Sono
questi dei criteri per discernere modalità di collaborazione
laici-religiosi che siano espressione di un’esperienza ecclesiale ampia,
di un ritorno al fondamento della nostra vita religiosa, nella
prospettiva di quanto richiamato fin qui, e di una reciprocità di doni e
carismi.
In
questa interazione con i laici, nella Chiesa, ci sentiamo parte attiva
del cammino che essa sta compiendo anche nel nostro Paese.
Il
prossimo Convegno ecclesiale di Verona (16-20 ottobre 2006) si
muove sullo sfondo di tre prospettive, alle quali ci siamo riferite in
questo percorso:
quella della missionarietà,
del bisogno di risvegliare una coscienza missionaria, della necessità di
ritrovare, da parte di tutta l’intera comunità ecclesiale, un anelito
nuovo all’annuncio del Vangelo;
quella della cultura,
intesa come capacità della Chiesa di offrire agli uomini e alle donne di
oggi un orizzonte di senso, di essere con la sua stessa esistenza un
punto di riferimento credibile per chi cerca una risposta alle esigenze
complesse e multiformi che segnano la vita;
quella della spiritualità,
spiritualità moderna e pasquale; una spiritualità anche e specialmente
laicale, caratterizzata dall’impegno nel mondo e dalla simpatia per il
mondo, come via di santificazione15.
Per
concludere questo percorso di riflessione, ribadiamo l’urgenza di una
rinnovata presa di coscienza della nostra identità all’interno del
popolo di Dio, considerando questi decenni difficili un tempo di grazia,
in cui noi religiosi siamo chiamati a riconoscere l’essenza o il cuore
della nostra vocazione e a vivere ed agire di conseguenza.
Troppi segnali creano confusione e ambiguità, occorre che il segno della
vita religiosa sia inequivocabile e leggibile in modo immediato, nella
Chiesa e nel mondo.
Da
qui ripartirà il nostro fare, il nostro operare nella storia, e sarà
anche più trasparente e più fecondo il nostro rapporto con i laici,
perché la carità di Cristo ci spinge tutti a vivere e donare la vita
«affinché il mondo si scopra amato da Dio».
“Le mirrofore”
Le
mirrofore, sono come un’icona evangelica della vita consacrata.
Sono
le donne che con le mani piene di profumi vanno al sepolcro, trovano la
tomba vuota e ricevono l’annuncio che Cristo è Vivo, è Risorto.
Con
ancora le mani colme di profumo del loro amore e della loro preghiera,
corrono per annunciare agli apostoli che Cristo è il Vivente.
È la
corsa della Chiesa lungo i secoli per annunciare la “buona notizia”
della Risurrezione.
È il
cammino dell’evangelizzazione. «Non temete. Andate ad annunciare ai miei
fratelli che vadano in Galilea. Là mi vedranno» (Mt 28,10).
Nella Galilea della storia, la fede delle donne mirrofore, come profumo
riempie la Chiesa e il mondo e attira tutti a riconoscere il Risorto.
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