n. 7-8
luglio-agosto 2006

 

Altri articoli disponibili

English

LaICI E RELIGIOSI
NEL CAMMINO DELL'EVANGELIZZAZIONE,
OGGI

di Teresa Simionato

 

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

trasp.gif (814 byte)

Premessa

tema di questa nostra Assemblea, ci invita a rileggere e a considerare una realtà sempre più visibile ed in espansione nel nostro contesto ecclesiale: laici e religiosi insieme nella pastorale e in modo particolare nelle diverse opere educative, socio-sanitarie, di promozione umana, nel comune impegno di edificare insieme la Chiesa e cooperare alla sua missione1.

A partire da questa esperienza, la riflessione ci porterà a rivisitare la comune identità battesimale dei laici e dei religiosi e la loro vocazione specifica nella Chiesa; a considerare il movimento di collaborazione e di cooperazione dei religiosi con i laici nelle diverse opere, per coglierne l’anima, lo stile e la testimonianza; ad avviare un discernimento nelle nostre Congregazioni perché questa esperienza, intrisa di timori e di profezia, diventi una occasione per la vita religiosa di oggi per ritornare al cuore del suo carisma e della consacrazione, per ripartire da Cristo e far tesoro del cammino di fede della Chiesa.

È un percorso che esige alcuni passaggi:

a) fare memoria dell’ecclesiologia di comunione, che ha la sua origine nel mistero della Trinità;

b) evidenziare, nella specificità delle diverse vocazioni, la comune consacrazione battesimale;

c) privilegiare il comune carisma della vita consacrata e riesprimerne il fondamento spirituale e teologico;

d) favorire un rinnovato approfondimento dell’identità della vita religiosa apostolica, perché nelle opere sia trasparente la testimonianza della carità e la trasmissione della fede;

e) discernere modalità di collaborazione laici-religiosi che siano espressione di una matura coscienza ecclesiale.

È come un quadro che si sta ridipingendo.

L’urgenza dell’evangelizzazione, la gravità del momento in cui è sempre più difficile garantire la continuità della trasmissione della fede, ci sospingono a prestare l’orecchio all’azione dello Spirito, ad uscire dalla preoccupazione per noi stesse per metterci a disposizione della Sua opera.

Guardando la situazione attuale della Vita religiosa in Italia, notiamo due tendenze:

  • la nascita di nuovi carismi e nuove forme di vita consacrata, anche all’interno degli stessi Movimenti laicali;

  • un incremento dell’intercongregazionalità tra le religiose, il superamento delle distanze tra laici e religiose, tra Istituti e Chiesa locale2.

Due tendenze che ci introducono in un cammino di maggior comunione ecclesiale.

1. L’ecclesiologia di comunione a partire dalla Trinità

La comunione, come categoria fondamentale dell’ecclesiologia è un frutto dell’approfondimento post-conciliare.

Nella mente dei Padri conciliari la comunione era il tema trasversale a tutto; non si trova infatti una trattazione specifica su questo aspetto. Il Concilio, esplicitamente, ha privilegiato alcune categorie quali:

a) La sacramentalità della Chiesa: la Chiesa, unita a Cristo, come sacramento dell’incontro con Dio: «segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano»3.

b) La categoria di popolo di Dio, che esprime il legame con tutta la storia della salvezza e apre ad una visione più ampia e universale della Chiesa stessa, a una visione escatologica: il popolo pellegrinante in cammino verso la celeste Gerusalemme. «La Chiesa è il popolo di Dio radunato nell’unità del Padre del Figlio e dello Spirito Santo» (S. Cipriano)4.

Il popolo radunato nell’unità della Trinità è un popolo generato dalla comunione trinitaria: Dio è amore, dice san Giovanni nella sua Prima Lettera. Ciò significa che Dio è comunione al suo interno, perché l’amore è per sua natura dialogico. In Dio c’è l’Amore Amante, che è il Padre, l’Amore Amato, che è il Figlio e l’Amore dell’Amore che è lo Spirito Santo, il Respiro del Padre e del Figlio nella dinamica perenne dell’Amore.

Gesù ci ha rivelato il mistero del Padre e ci ha donato lo Spirito perché noi potessimo essere partecipi di questa comunione (Rm 5,5). Ci ha affidato la continuità della sua stessa opera: ha costituito l’Ecclesìa, la comunità dei discepoli, riuniti in koinonia, dallo Spirito e perciò chiamati ad annunciare e a testimoniare la salvezza e la chiamata di tutti gli uomini a questa stessa comunione.

Per cui la comunione non è anzitutto un impegno etico, ma dono, partecipazione all’essenza stessa di Dio, ed è perciò costitutiva della Chiesa, riflesso della comunione trinitaria.

È il Padre che raduna i suoi figli con le sue due braccia, che sono il Figlio e lo Spirito (cfr. Ireneo di Lione, Ad. Her.).

c) La categoria di Corpo di Cristo, molto presente nell’epistolario paolino: «Noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito, per costituire un solo corpo» (1Cor 12-13) è così espressa dalla Lumen Gentium: «Comunicando il suo Spirito, Cristo costituisce misticamente come suo corpo, i suoi fratelli, che raccoglie da tutte le genti».

«La categoria del corpo mette in rilievo l’unità e la varietà dei doni dello Spirito, delle diverse vocazioni, delle singole persone. Nel corpo ogni membro ha la sua funzione, proprio perché non è uguale all’altro. In quel corpo la vita di Cristo si diffonde nei credenti, che attraverso i sacramenti si uniscono in modo arcano e reale a Lui, sofferente e glorioso».

Dicendo che la Chiesa è il Corpo di Cristo, affermiamo che tutti vi hanno posto e che la vocazione particolare di ognuno serve all’edificazione di tutti. «Questa unità armoniosa di persone diverse proviene dal fatto che sono uniti con Cristo. Più uno cerca di unirsi con Cristo, più è unito con gli altri»5.

Le diverse vocazioni nella Chiesa sono fondate tutte sul Battesimo ed esprimono la ricchezza e la varietà dei doni dello Spirito Santo.

Le nostre Famiglie religiose hanno vissuto la grande stagione del Concilio Vaticano II e sentono viva l’esigenza di comunicare a questo mistero di comunione della Chiesa, rimanendo aperte alla missione dell’annuncio e dell’evangelizzazione, vivendo relazioni ecclesiali mature e testimoniando la “buona notizia” della carità.

2. La vita consacrata icona della vocazione battesimale

Il Decreto Perfectae Caritatis definisce i religiosi come coloro che vivono solo per Dio attraverso una consacrazione particolare che si radica nel Battesimo6.

La teologia postconciliare della vita religiosa ha discusso il senso di questa formula, da una parte criticando espressioni che ormai sembrano contestabili (“vita consacrata”, “vita di perfezione”) e che nascondono il pericolo di minimizzare la consacrazione battesimale, dall’altra ricercando una specificità della vita religiosa che risulta sempre più difficile da afferrare, dal momento che ci sembra non si possa far passare per specifico o esclusivo della vita religiosa ciò che è proprio della vita di tutti i battezzati.

Rapporto tra vita religiosa e consacrazione battesimale

La questione sta proprio qui, nel rapporto tra vocazione religiosa e consacrazione battesimale.

Guardando al cammino della Chiesa nei primi secoli, notiamo ad un certo punto, che alcuni cristiani hanno sentito l’esigenza di esprimere in modo radicale la vocazione battesimale.

La Tradizione della Chiesa, la storia della vita cristiana, ci ricordano il nascere di una forma di vita che radicalizza il Battesimo: la forma di vita monastica. Che cosa è il monachesimo? Chi è il monaco?

Monaco è l’uomo nuovo, nato dal Battesimo, colui che contempla Dio, che ha familiarità con Dio, che testimonia, in questo mondo, il mondo che verrà.

L’uomo interiormente unificato dentro, il monos, è il paradigma visibile della vocazione battesimale; ci ricorda quello che con il Battesimo siamo diventati e quello a cui tendiamo nel tempo dell’attesa del Signore che verrà.

Dentro un tale orizzonte di significato si può riconoscere l’intima aspirazione della Chiesa a vivere la familiarità con Dio, a trovare la misura della sua relazione con Dio nell’assoluta essenzialità della identità monastica (=del monaco), il monaco così inteso è “figura” del cristiano.

Il monaco paradigma visibile della vocazione battesimale

È molto importante lasciarci ispirare da questa esperienza ecclesiale, non come storia ma come esemplificazione, come icona della vita cristiana.

Il monachesimo, secondo la tradizione comune in oriente ed occidente, nel primo millennio, non è una delle tante forme di vita religiosa, ma è una forma così essenziale e radicale da essere considerata il riferimento indispensabile al quale ogni altra forma di consacrazione doveva necessariamente ispirarsi.

«Il monachesimo, dice il Papa Benedetto XVI, è un fenomeno fondamentale della Chiesa e non scomparirà mai. Penso anzi che certe esperienze vissute all’interno dei movimenti sboccheranno nel monachesimo e che creeranno nuove vocazioni monastiche»7.

Il monachesimo ed altre forme di vita religiosa

Le diverse forme di vita monastica, apparse lungo i secoli, hanno poi assunto denominazioni diverse che hanno messo in risalto gli aspetti più esterni e che fanno la differenza, sui quali si è cercato di costruire delle identità particolari, indebolendo la forza del fondamento comune a tutte.

Agli inizi del cristianesimo si parla di asceti, di vergini; al IV secolo si inizia a parlare di monaci. Pacomio e Basilio evitano di ricorrere a questi termini e preferiscono quelli più comuni ed ecclesiali di fratelli e sorelle.

Nel secondo millennio, in occidente si introduce il termine religione per indicare uno stato di vita e quindi religioso per chi pratica questa vita.

Oggi questo fronte si è allargato ancora e si parla di vita consacrata per includere quanti professano i consigli evangelici, ma non si ritengono religiosi, dal momento che vivono la secolarità.

Non entro evidentemente nell’approfondimento di questi aspetti. Si può però rilevare che la vita religiosa apostolica vive un travaglio delicato; essa ha bisogno anzitutto di chiarire sé a se stessa, di rendere visibile il suo radicale essere per Dio e di Dio.

Un travaglio che tocca vari aspetti:

  • un travaglio, perché non è così evidente il fondamento, e nello stesso tempo la specificità dei carismi non sempre sembra essere a servizio di questo fondamento, o chiaramente espressiva di questo;

  • un travaglio che nasce anzitutto da una teologia della vita religiosa che fatica a chiarire la relazione tra identità e specificità all’interno della stessa vocazione battesimale;

  • un travaglio derivato da uno sviluppo storico della vita religiosa negli ultimi secoli, nei quali non sempre il riconoscimento ecclesiale riusciva a condurre alla dimensione pneumatica, ma più spesso era motivato dell’esigenza di definire la nuova famiglia religiosa in un quadro giuridico;

  • un travaglio a causa dell’eccessiva frantumazione dei carismi e delle spiritualità, per cui diventa sempre più artificioso definire una identità propria ed esclusiva, col risultato di definizioni che alla fine mettono in ombra o trascurano il comune carisma della vita religiosa e la stessa dimensione carismatica della Chiesa, nella quale i doni concessi dallo Spirito non sono in competizione, ma sono interni gli uni agli altri, per la comune edificazione.

È certamente illuminante, oggi, per noi religiosi di vita apostolica ritornare al Battesimo, per recuperare il cuore della nostra vita consacrata, cioè una vocazione che esprime l’esigenza di vivere il Battesimo in una maniera il più radicale possibile.

Se laici e religiosi ontologicamente sono uguali in forza del Battesimo, nel cammino della fede e della vita spirituale, i religiosi ricevono il dono di significare in modo visibile la radicalità dell’appartenenza a Dio, assumendo una forma di vita che si differenzia da quella dei laici.

3. Per ritornare al fondamento spirituale e teologico della vita religiosa

Se c’è un servizio che i religiosi possono rendere ai laici, non sono i vari servizi da offrire, ma la testimonianza della radicalità della vita cristiana assunta con la professione dei consigli evangelici in vita comune, per essere segno visibile di uno stile di vita, di una mentalità che tenga conto al di sopra di tutto, dell’Amore (principio agapico).

L’amore esclusivo a Dio come motivo di tutto

Il religioso che recupera il monachesimo interiore è un teoforo dello Spirito: uno che si appassiona al mistero che il Battesimo ha compiuto in lui. Il mistero della rigenerazione, come dice Paolo. Il mistero del cammino verso l’unione sponsale con il Signore, verso la piena somiglianza di Colui che ci ha amati per primo, verso la Gerusalemme celeste nostra madre alla quale, come Ireneo di Lione direbbe, ci si abitua pian piano, attraverso la partecipazione alla liturgia santa e l’occhio nuovo che nasce da essa. Un occhio capace di scoprire le presenze invisibili di angeli e santi e di intrattenersi con loro, sottraendo il mondo alla sua “mondanità” e gustandone la capacità di essere rivelazione di Dio, luogo della sua presenza e dunque, come l’Eden, giardino dove Dio e la creatura si intrattengono passeggiando insieme nella brezza della sera.

Nella vita del discepolo, ogni servizio pastorale, ogni espressione caritativa e sociale è conseguenza dell’unione con Cristo, non semplicemente la realizzazione di sé o del senso della sua vita. È, occorre ricordarlo, quanto consegue all’unione con Cristo; tutto ciò che viene da Lui si manifesta per “grazia”. Non esiste scopo, fine pratico, missione, carisma, concreto campo d’azione di un religioso, a qualsiasi famiglia religiosa appartenga, che non sia il frutto della sua unione deificante con Dio, che rimane il primo e l’unico scopo della sua stessa vita.

Non ci si fa religiosi per un apostolato. Ci si fa religiosi per Cristo, per amore Suo, per cercare la pienezza della vita. Solo «per Cristo, con Cristo e in Cristo» la stessa grazia divina può suscitare in noi, singoli o gruppi, la possibilità di agire nella comunità umana con un compito speciale, secondo i propri carismi, per contribuire a rendere l’umanità più simile al progetto originale creativo, frutto dell’amore del Padre.

Se non c’è amore per il Signore, non c’è vita religiosa. Ci sarà filantropia, utopia sociologica, paura del mondo, segreto rifugio dagli aspetti di sé che non si sanno accettare, voglia e bisogno di sicurezza in una istituzione, desiderio di pace in una vita regolare, abitudinaria e ripetitiva, in modo da non doversi esporre al nuovo. Se non c’è amore per il Signore, c’è solo la povertà dell’umana natura, rivestita di un abito che non è il proprio.

La conversione, l’accompagnamento nella fede, l’operosità della carità

Nella Chiesa, i laici ricordano che c’è una giustificazione religiosa del mondo in sé, in quanto creatura di Dio, perciò lavorano alla trasformazione e alla santificazione del mondo, mentre i religiosi, con la loro memoria escatologica, ricordano che il temporale rischia di divenire mondano, puramente carnale, quando i mezzi offuscano i fini. Dico “carnale” nel senso in cui lo definisce Paolo, ossia la carne come ciò che si oppone allo Spirito.

Infatti dopo il peccato, non si trova, Dio nel mondo, ipso facto, per cui occorre esercitare “l’ascesi come esercizio della distanza”, attraverso cui il potere di seduzione delle cose è esorcizzato, perché le cose siano restituite alla loro vera natura.

Questo significa anche testimoniare l’accettazione della croce nella propria vita, per purificare l’uso che noi facciamo delle cose; ricomprendere il significato delle prove, per ristabilire nella nostra vita il rapporto tra fine immediato e fine ultimo; il ruolo del sacrificio, che è il segno e il cammino della nostra libertà. La croce è la condizione della nostra piena comunione a Gesù Salvatore.

Significa inoltre recuperare l’importanza di essere maestri della vita spirituale, padri e madri spirituali che sanno aiutare gli altri nella “grande lotta” contro il maligno, in vista del compimento escatologico della storia.

I monaci e perciò i religiosi, sono sempre stati questi maestri della preghiera, del combattimento spirituale, del discernimento dei pensieri, della chiarezza del fine, della testimonianza della vita risorta; maestri di un operare che come prima cosa trasmetteva l’amore per Dio e per l’uomo. Basta richiamare l’esempio di tutti i nostri Fondatori e Fondatrici.

4. Laici e religiosi nell’evangelizzazione: un’esperienza matura di vita cristiana

L’essere insieme nella Chiesa, religiosi e laici, in comunione con i Pastori, a servizio del Vangelo di Cristo, diventa segno di una vita cristiana matura anche di fronte al mondo.

«La nuova evangelizzazione è prima di tutto e soprattutto un impegno spirituale. È perciò fondamentale che noi stessi ci lasciamo interpellare in modo sempre nuovo dall’evangelo; che noi stessi viviamo più decisamente e con maggior gioia secondo lo spirito dell’evangelo. Se siamo sinceri dobbiamo riconoscere che siamo noi stessi spesso di ostacolo all’evangelo e alla sua diffusione. Senza la nostra conversione personale, tutte le riforme, anche le più necessarie e benintenzionate, vanno a cadere e, senza rinnovamento personale finiscono in un vuoto attivismo. Senza l’ascolto della Parola e della volontà di Dio, senza lo spirito di adorazione e senza la preghiera continua, non ci sarà rinnovamento nella Chiesa né nuova evangelizzazione dell’Europa»8.

La sfida dell’evangelizzazione, una nuova strada di comunione

L’urgenza dell’evangelizzazione ci porta ad unire le forze nell’annuncio e nella testimonianza della fede, ossia a non disperderci in proclami o progetti personalistici; ad aprirci sempre di più alla collaborazione nei diversi servizi e opere, a rispondere alla ricorrente sfida della comunione. In questi anni, si ha l’impressione che la molteplicità delle strategie pastorali legate a contesti locali o a gruppi, ci abbia spesso indotto a sopravvalutare la diversità delle proposte e delle forme di animazione pastorale, a scapito dell’unica e inesauribile proposta-annuncio: «L’uomo è amato da Dio! È questo il semplicissimo e sconvolgente annuncio del quale la Chiesa è debitrice all’uomo. La parola e la vita di ciascun cristiano possono e devono far risuonare questo annuncio: Dio ti ama, Cristo è venuto per te, per te Cristo è “Via, Verità e Vita” (Gv 14,6)»9.

Da qui scaturisce la testimonianza di vita del popolo cristiano attraverso i vari carismi; e a questo annuncio, diventato esperienza di salvezza per tutti, si riconduce la verifica di autenticità di ogni carisma.

Nell’evangelizzazione, pertanto, con la carità delle opere urge la carità della trasmissione della fede che sembra imporsi oggi come sfida alla pastorale. Non si tratta di sottovalutare le opere in se stesse, che sono anch’esse testimonianza dell’Amore, ma di correggere una tendenza, dovuta al mutamento in atto, che rischia di svuotare di profezia la vita di molti Istituti. Tante sorelle, pur donando tutto, sono affannate e costrette ad un ritmo quotidiano che impedisce loro una formazione spirituale seria e continua, un contatto vitale che consenta loro di alimentarsi alla fonte della Vita. In questo modo quella che dovrebbe essere una testimonianza della “carità perfetta” diventa la presentazione di uno stile di vita che poco si distingue da come opera e vive il mondo.

Perché non impiegare le energie spirituali, di cui siamo ancora ampiamente portatrici nella Chiesa e nella nostra società, per contribuire a trasmettere la fede alle nuove generazioni e a rafforzarla in coloro che dovrebbero animarla dal di dentro delle diverse situazioni? Sostenere nella fede i genitori, gli insegnanti, i giovani, i malati, gli operatori sanitari, coloro che hanno un compito culturale e politico, potrebbe essere un ambito di presenza e di azione pastorale capillare di molte nostre sorelle, rimanendo fedeli in modo creativo all’ispirazione carismatica del proprio Istituto.

C’è un profondo legame tra evangelizzazione e carità, come hanno richiamato i nostri Vescovi negli Orientamenti pastorali per gli anni ’90: «Per sottolineare questo profondo legame tra evangelizzazione e carità abbiamo scelto quasi filo conduttore della nostra riflessione, l’espressione “vangelo della carità”. Vangelo ricorda la parola che annuncia, racconta, spiega e insegna. […] E carità ricorda che il centro del vangelo, la “lieta notizia” è l’amore di Dio per l’uomo e, in risposta, l’amore dell’uomo per i fratelli…»10.

Una grande luce per comprendere la dinamica di questa testimonianza ci viene da tutta l’Enciclica del papa Benedetto XVI, Deus Caritas est, del 25 dicembre 2005.

Dal punto di vista pastorale ci troviamo di fronte a una svolta: non è più possibile scambiare la pastorale con l’organizzazione e con la moltiplicazione di iniziative, senza verificare e rafforzare i fondamenti della fede in noi stesse, in ogni persona e in ogni comunità cristiana.

L’esperienza della smisuratezza del bisogno può, da un lato, spingerci nell’ideologia di dover risolvere noi i molti problemi del mondo, dall’altro può diventare una tentazione che spinge all’inerzia, poiché nulla o quasi nulla può essere realizzato. «In questa situazione il contatto vivo con Cristo è l’aiuto decisivo per restare sulla retta via».

La nostra missione di consacrate si caratterizza anche per le opere esterne che compiamo ma fondamentalmente si esplica nel rendere presente al mondo Cristo stesso, mediante la testimonianza personale. Questo è il compito primario della vita consacrata.

«Nel nostro mondo, dove sembrano spesso smarrite le tracce di Dio, si rende urgente una forte testimonianza profetica da parte delle persone consacrate. Essa verterà innanzitutto sull’affermazione del primato di Dio e dei beni futuri, quale traspare dalla sequela e dall’imitazione di Cristo casto, povero e obbediente, totalmente votato alla gloria del Padre e all’amore dei fratelli e delle sorelle.

La stessa vita fraterna è profezia in atto nel contesto di una società che, talvolta senza rendersene conto, ha un profondo anelito ad una fraternità senza frontiere»11.

È tuttavia indispensabile favorire nella Chiesa di oggi l’incontro e la collaborazione tra religiosi, religiose e fedeli laici, un’esperienza che si propone come esempio di comunione ecclesiale e allo stesso tempo potenzia le energie apostoliche per l’evangelizzazione del mondo12.

I Movimenti ecclesiali e la vita consacrata

La stagione post-conciliare che la Chiesa sta vivendo è caratterizzata dal fenomeno delle aggregazioni e dei Movimenti ecclesiali, una fioritura che segue quella delle Congregazioni dell’Ottocento e Novecento.

Una caratteristica dei Movimenti sembra essere quella di dare rilevanza alla testimonianza della fede, della ripresa dell’impegno battesimale per rinnovare il mondo in Cristo.

Essi infatti «favoriscono la chiamata universale alla santità; esprimono la centralità della vocazione laicale nel rapporto fra la Chiesa alla quale appartengono e il mondo nel quale vivono ed operano; contribuiscono all’incarnazione del Vangelo nella società e al superamento di un apostolato laicale, troppo dipendente dalla gerarchia».

Appare inoltre interessante il fenomeno, non più così raro, della nascita di forme di “speciale consacrazione” anche all’interno dei movimenti laicali.

Sarebbe importante cominciare a riflettere tra noi, Congregazioni di vita apostolica, su tale realtà e coglierne il perché. Una risposta ci verrà senza dubbio dalla testimonianza dei Movimenti invitati a questa Assemblea; ma tra le motivazioni potremmo già evidenziarne una di natura spirituale, ecclesiale: i Movimenti laicali pare si rendano conto che all’interno della testimonianza cristiana è necessaria la radicalità simboleggiata dalla vita consacrata. La Chiesa non può fare a meno di un’esemplarità visibile della vita battesimale quale – appunto – viene offerta con la vita consacrata.

Nel recuperare il cuore della vita religiosa nella sua esemplarità battesimale e considerando gli eventi che stiamo vivendo e che stanno trasformando l’immagine attuale della vita religiosa apostolica, siamo interpellate ad operare un discernimento: subire questa trasformazione o assumerla come invito dello Spirito che prepara per la Chiesa del terzo millennio un volto nuovo della vita consacrata?

Tutti operai nella vigna del Signore

In questo cammino della Chiesa, che abbiamo solo richiamato per cenni, ci è chiesto di riconoscerci gli uni gli altri, uscendo dalla separatezza e dalla tentazione di confronti negativi o relazioni competitive, per assumere lo stile della koinonia ecclesiale ed operare insieme per il Vangelo.

Un appropriato contatto tra i valori tipici della vocazione laicale, come la percezione più concreta della vita del mondo, della cultura, della politica, dell’economia, ecc., e i valori tipici della vita religiosa, come la radicalità della sequela di Cristo, la dimensione contemplativa ed escatologica dell’esistenza cristiana, ecc., può diventare un fecondo scambio di doni tra i fedeli laici e le comunità religiose13.

Nel campo di Dio che è il mondo si può entrare ad ogni ora, per mettere a disposizione la grazia e i doni ricevuti e contribuire così alla costruzione del regno dell’amore.

5. Percorsi di collaborazione tra laici e religiosi nelle diverse opere e iniziative ecclesiali

Una spiritualità condivisa

Seguendo il cammino delle Congregazioni religiose, in questi ultimi anni, si rileva come una costante: l’apertura ai laici e un ritorno alla spiritualità specifica della propria famiglia religiosa.

Sono sempre più numerosi i laici che gravitano attorno ai nostri Istituti, sia per assumere delle funzioni o dei compiti lasciati dalle nostre consorelle, sia per una certa aspirazione a vivere alcuni aspetti della spiritualità e della missione specifica della Congregazione.

L’animazione e il coinvolgimento dei laici, nel compimento della missione evangelizzatrice, matura il cammino di reciprocità dentro un’ecclesiologia di comunione; sollecita la ‘consegna’ e la condivisione di un dono che non ci appartiene in modo esclusivo; favorisce la riespressione del “carisma” con le caratteristiche proprie di una cultura (cfr. Strumento di Lavoro, 52a Assemblea USMI 2005).

Una più stretta collaborazione tra laici e religiosi è una spinta che viene dagli Istituti stessi, che è sollecitata dalla Chiesa e spesso cercata dagli stessi laici. L’Istruzione Ripartire da Cristo invita a dilatare la comunione verso gli altri Istituti e le altre forme di consacrazione, verso le nuove forme di vita evangelica e i movimenti ecclesiali, verso i singoli laici.

È importante accogliere queste esperienze per considerare tutta la loro efficacia spirituale, a livello personale ed ecclesiale, e operare quel discernimento che favorisca una nuova presa di coscienza della nostra identità perché nelle opere sia trasparente la testimonianza della carità e la trasmissione della fede.

Spiritualità e carisma non sono disgiunti, pertanto parlare di condivisione di una spiritualità specifica esige anche condivisione del carisma, ma questo non si trasmette per compito o affidando delle funzioni, ma per una chiamata.

Molti Istituti hanno sin dalle origini nel loro progetto carismatico anche la presenza dei laici con i quali si può certamente condividere il carisma pensato dal Fondatore sia per i religiosi che per i laici.

In realtà si tratta della condivisione di una spiritualità battesimale, nel realizzare un progetto pastorale, la spiritualità dei discepoli del Signore, propria di ogni cristiano.

Esperienze di collaborazione e condivisione di progetti pastorali

L’Istruzione della CIVCSVA Ripartire da Cristo, al n. 19, pone degli interrogativi sulle grandi opere o strutture, la cui gestione, almeno in Italia, deve essere sottoposta a un accurato discernimento:

«[I membri della Plenaria] Allo stesso modo sono sensibili agli interrogativi che si pongono religiosi e religiose riguardo alle grandi opere che finora hanno permesso di servire nella linea dei rispettivi carismi: ospedali, collegi, scuole, case di accoglienza e di ritiro. In alcune parti del mondo esse sono richieste con urgenza, in altre diventano difficili da gestire. Per trovare le vie risolutive occorre creatività, oculatezza, dialogo tra i membri dell’Istituto, tra Istituti con opere analoghe, con i responsabili della Chiesa particolare».

Da tempo si è avviato nelle Congregazioni un vero processo di discernimento; alcune trasformazioni sono in atto in diversi Istituti, ma l’impressione è che la parte più consistente delle “opere” appesantisca ancora la vita di molti governi generali e sia alquanto difficile trovare vie praticabili che lascino tranquilli sia per la continuità del servizio che per la sua efficacia pastorale.

Molte di noi, responsabili di Congregazioni, stanno intraprendendo la strada di affidare la gestione di alcune Opere, scuole, ospedali, case per anziani e altro ad Associazioni o Cooperative laiche o diocesane.

L’esito sperato di questa collaborazione è la continuità del servizio, ma vorremmo fosse anche la continuità del carisma; tale continuità è certamente più difficile, poiché la trasmissione di un carisma non è un fatto automatico.

Queste esperienze, a mio parere, conservano tutta la loro positività nel senso che i beni ecclesiastici gestiti da queste realtà associative, nella maggioranza cattoliche, restano ancora una risorsa sociale a bene del territorio secondo uno spirito cristiano e salvaguardano la destinazione ecclesiale degli stessi beni o patrimonio.

Altre prospettive o problemi presenta la collaborazione con i laici nella pastorale diretta, dove ci troviamo a svolgere alcuni compiti che non ci appartengono in forma esclusiva, cioè legati al fatto del nostro essere religiose, ma in forma condivisa, perché partecipi della missione della Chiesa in forza del Battesimo.

Anche a questo livello è chiesto alla Vita religiosa di portare nel ministero l’esperienza della radicalità della sua consegna a Dio, del suo incontro esclusivo con Dio, in modo che nel suo servizio passi la provocazione dell’esemplarità battesimale e la “grazia del Signore”.

Nell’Assemblea dello scorso anno abbiamo affrontato il tema “Percorsi di discernimento e di riconciliazione per rendere visibile la speranza” e durante il lavoro ai tavoli sono state presentate diverse esperienze di collaborazione e condivisione con i laici in diversi progetti pastorali. Tali esperienze sono state raccolte nel Supplemento alla 52a Assemblea, consegnatovi proprio in questa sede.

Per una presenza efficace

La collaborazione e lo scambio di doni diventano più intensi quando gruppi di laici partecipano per vocazione e nel modo loro proprio, nel seno della stessa famiglia spirituale, al carisma e alla missione dell’Istituto. Si instaureranno allora relazioni fruttuose, basate sui rapporti di matura corresponsabilità e sostenute da opportuni itinerari di formazione alla spiritualità dell’Istituto14.

Sono questi dei criteri per discernere modalità di collaborazione laici-religiosi che siano espressione di un’esperienza ecclesiale ampia, di un ritorno al fondamento della nostra vita religiosa, nella prospettiva di quanto richiamato fin qui, e di una reciprocità di doni e carismi.

In questa interazione con i laici, nella Chiesa, ci sentiamo parte attiva del cammino che essa sta compiendo anche nel nostro Paese.

Il prossimo Convegno ecclesiale di Verona (16-20 ottobre 2006) si muove sullo sfondo di tre prospettive, alle quali ci siamo riferite in questo percorso:

quella della missionarietà, del bisogno di risvegliare una coscienza missionaria, della necessità di ritrovare, da parte di tutta l’intera comunità ecclesiale, un anelito nuovo all’annuncio del Vangelo;

quella della cultura, intesa come capacità della Chiesa di offrire agli uomini e alle donne di oggi un orizzonte di senso, di essere con la sua stessa esistenza un punto di riferimento credibile per chi cerca una risposta alle esigenze complesse e multiformi che segnano la vita;

quella della spiritualità, spiritualità moderna e pasquale; una spiritualità anche e specialmente laicale, caratterizzata dall’impegno nel mondo e dalla simpatia per il mondo, come via di santificazione15.

Per concludere questo percorso di riflessione, ribadiamo l’urgenza di una rinnovata presa di coscienza della nostra identità all’interno del popolo di Dio, considerando questi decenni difficili un tempo di grazia, in cui noi religiosi siamo chiamati a riconoscere l’essenza o il cuore della nostra vocazione e a vivere ed agire di conseguenza.

Troppi segnali creano confusione e ambiguità, occorre che il segno della vita religiosa sia inequivocabile e leggibile in modo immediato, nella Chiesa e nel mondo.

Da qui ripartirà il nostro fare, il nostro operare nella storia, e sarà anche più trasparente e più fecondo il nostro rapporto con i laici, perché la carità di Cristo ci spinge tutti a vivere e donare la vita «affinché il mondo si scopra amato da Dio».

“Le mirrofore”

Le mirrofore, sono come un’icona evangelica della vita consacrata.

Sono le donne che con le mani piene di profumi vanno al sepolcro, trovano la tomba vuota e ricevono l’annuncio che Cristo è Vivo, è Risorto.

Con ancora le mani colme di profumo del loro amore e della loro preghiera, corrono per annunciare agli apostoli che Cristo è il Vivente.

È la corsa della Chiesa lungo i secoli per annunciare la “buona notizia” della Risurrezione.

È il cammino dell’evangelizzazione. «Non temete. Andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea. Là mi vedranno» (Mt 28,10).

Nella Galilea della storia, la fede delle donne mirrofore, come profumo riempie la Chiesa e il mondo e attira tutti a riconoscere il Risorto.


1 Cf r. CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità. Orientamenti pastorali per gli anni ’90, n. 29. [Torna al testo]

2 Cfr.  CIVCSVA, Sequela Christi, 2005/2, p 203;  Centro Studi USMI, Consacrazione e Servizio, n 7/8,   2005. [Torna al testo]

3 Cf r. Lumen gentium, n. 1. [Torna al testo]

4 Cfr.  Lumen gentium, n. 4; Christifideles Laici, n.18. [Torna al testo]

5 Cfr.  T. Spidlik, Catechesi sulla Chiesa, pp. 13-14. [Torna al testo]

6 Cfr. Perfectae caritatis, cap. 5. [Torna al testo]

7  Cfr.  J. Ratzinger - Benedetto XVI, Nuove irruzioni dello Spirito. I movimenti nella Chiesa, ed. S. Paolo, 2006, pp. 58 e ss. [Torna al testo]

8  La trasmissione della fede: questione vitale per la Chiesa nel nostro paese.  Lettera pastorale del Vescovo di Rottenburg-Struttgart Dr  W. Kasper alle comunità della Diocesi, 28 agosto 1989. [Torna al testo]

9  Cfr. Christifideles Laici, nn. 15, 34. [Torna al testo]

10  CEI, Evangelizzazione e testimonianza della carità. Orientamenti pastorali per gli anni ’90, n. 10. [Torna al testo]

11  Benedetto XVI, Deus Caritas est, Lettera enciclica, 25 dicembre 2005, n. 36. [Torna al testo]

12 Vita Consecrata, n. 85  [Torna al testo]

13 Cfr.  CIVCSVA, La vita fraterna in comunità,  1994, n. 70. [Torna al testo]

14 CIVCSVA, La vita fraterna in comunità, 1994, n. 70. [Torna al testo]

15 CIVCSVA, La vita fraterna in comunità, 1994, n.70 [Torna al testo]

 

Torna indietro