1. Introduzione
Sono lieto di trovarmi qui tra voi in
questo Convegno che vede religiose impegnate nell’approfondimento del
problema ecumenico.
Sono arrivato appena ieri sera da
Porto Alegre in Brasile, dove si sta svolgendo la IX Assemblea plenaria
del Consiglio Mondiale delle Chiese. Un’esperienza molto interessante a
cui la Chiesa cattolica partecipa in qualità di ospite, perché non siamo
membri del suddetto Consiglio. Abbiamo comunque trovato una calda
accoglienza e segni di schietta amicizia. È il risultato di un cammino
ecumenico che, secondo la parola di S.S. Papa Giovanni Paolo II, ha
portato alla riscoperta della fraternità.
Sono cresciuto in un villaggio
cattolico durante la seconda guerra mondiale. Nei mie anni giovanili,
non sarei mai entrato in una Chiesa protestante: allora era una cosa
inconcepibile. Oggi la frequento tranquillamente per celebrare insieme a
questi fratelli la Liturgia della Parola.
Siamo in una situazione completamente
mutata. Permangono molte differenze e molti problemi, ma si respira un
clima di sostanziale amicizia. Certo, la via per giungere alla piena
unità è ancora lunga, ma possiamo già vivere insieme, lavorare insieme,
pregare insieme. E non è poco!
Oggi, dopo il Concilio Vaticano II,
nei cui documenti troviamo testualmente affermato: «Il ristabilimento
dell’unità da promuoversi fra tutti i cristiani è uno dei principali
intenti del sacro concilio ecumenico Vaticano II»,1
l’ecumenismo rappresenta la via maestra che la Chiesa si è
impegnata a percorrere.
Anche S.S. Papa Benedetto XVI l’ha
assunta e l’ha indicata come priorità pastorale del suo Pontificato.
Così esordiva nel suo primo messaggio ai cardinali che lo avevano
eletto: «Con piena consapevolezza, all’inizio del suo ministero nella
Chiesa di Roma che Pietro ha irrorato col suo sangue, l’attuale suo
Successore si assume come impegno primario quello di lavorare senza
risparmio di energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di
tutti i seguaci di Cristo. Questa è la sua ambizione, questo il suo
impellente dovere» (corsivo nostro).2
Non si tratta, però, di una priorità
che riguardi solo i Papi, i Cardinali, i Vescovi o i professori di
teologia. Deve rappresentare l’intento principale di ogni cristiano, di
ogni battezzato e, in prima linea, di ogni religiosa che, con i voti, si
è impegnata a vivere in pienezza il proprio battesimo.
L’ecumenismo è una nuova dimensione
che, come Chiesa cattolica, abbiamo riscoperto e incrementato
soprattutto in questi ultimi quarant’anni.
Dai primi timidi passi ad oggi si è
fatta molta strada, si sono posti gesti concreti. Lo documenta anche la
presenza qualificata di varie confessioni cristiane all’incontro,
attualmente in corso, a Porto Alegre. Vi sono Ortodossi orientali: Copti,
Siriani, Armeni. È rappresentata l’ortodossia russa, quella greca ecc.
Ci sono Anglicani, Luterani, Riformati. Un panorama molto vasto e
culturalmente differenziato, ma tutti condividiamo la stessa fede in
Gesù Cristo, abbiamo in comune la Bibbia, il Battesimo nel nome di Gesù.
Siamo “già” in comunione, sebbene in forma imperfetta.
2. Vita consacrata ed
ecumenismo
Essere consacrate a Cristo significa
consegnare la propria vita a Lui per la sua Chiesa, per il Regno e,
quindi, implicitamente, per la causa dell’unità.
A questo proposito cito spesso una
frase di S.S. Papa Giovanni Paolo II: «Credere in Cristo significa
volere l’unità; volere l’unità significa volere la Chiesa, volere la
Chiesa significa volere la comunione di grazia che corrisponde al
disegno del Padre da tutta l’eternità. Ecco qual è il significato della
preghiera di Cristo “Ut unum sint”».3
Si tratta di realtà talmente
inscindibili che è impossibile “credere”, cioè aderire vitalmente a
Cristo, senza sentirsi parte viva della Chiesa, senza assumerne in
proprio le grandi mete. No, non si può separare Cristo dalla sua Chiesa
e la Chiesa dalla causa dell’unità che costituisce il grande anelito del
cuore di Cristo. Per questo, essere consacrate a Gesù Cristo è essere
consacrate per la Chiesa e per la sua unità. Tra vita consacrata ed
ecumenismo c’è un rapporto inscindibile.
Il disegno di Dio, da tutta
l’eternità, è di ricapitolare in Cristo tutte le cose.4
In Lui e tramite Lui, Dio vuole essere tutto in tutti.5
L’unità è l’orizzonte che abbraccia non solo tutta la Chiesa, ma il
mondo intero.
Non a caso il termine chiave nella
Bibbia è “uno”: un solo Dio, un solo Redentore e Signore, uno Spirito,
un battesimo, una fede6 e perciò anche una
sola Chiesa.
La preghiera di Gesù alla vigilia
della sua morte: «Padre, che siano una cosa sola»,7
sgorga da questa fondamentale esigenza di unità. La circostanza, poi,
dell’imminenza del suo passaggio da questo mondo al Padre, ne fa il suo
testamento, e un testamento è sempre una cosa sacra da custodire e da
applicare. Qui si riconosce la “Magna Charta” dell’ecumenismo.
Gesù ha voluto una sola Chiesa
fondata su Pietro e sugli Apostoli. Le divisioni sono contrarie alla sua
volontà e rappresentano uno scandalo per il mondo. Danneggiano la
credibilità della Chiesa e «la santissima causa della predicazione
del Vangelo a ogni creatura».8
In uno dei miei viaggi, sono stato in
Sud-Africa per una conferenza. Eravamo alloggiati in un albergo. La
domenica manifesto il desiderio di recarmi in una Chiesa cattolica per
la S.Messa. Prendiamo un taxi. Nel tragitto sono penosamente colpito
dalla molteplicità di Chiese incontrate: venti in un’unica strada. C’era
la Chiesa ortodossa, la Chiesa anglicana e alcune Chiese locali. Mi sono
detto: che cosa possono pensare i non-cristiani di noi? Che immagine di
disunione diamo! È vero: oggi viviamo in modo pacifico tra di noi, ma
ciò non toglie che questa frammentazione resti uno scandalo.
E così anche nel Medio Oriente dove
la maggioranza della popolazione è mussulmana. Anche lì si ha una
molteplicità di Chiese che non vivono in comunione: non possono nemmeno
celebrare insieme la festa di Pasqua. Questa separazione nuoce alla
causa del cristianesimo.
L’unità dei cristiani è un
presupposto per la missione della Chiesa, soprattutto oggi, in una
società globalizzata, dove le distanze sono abolite dai mezzi di
comunicazione.
Per questo il ristabilimento
dell’unità dei cristiani è stato assunto come uno dei principali intenti
dal Concilio Vaticano II. Una scelta irreversibile,9
come ha spesso sottolineato S.S. Papa Giovanni Paolo II e come ha
riaffermato l’attuale Pontefice, prendendo posizione su questo argomento
fin dall’inizio del suo pontificato.
Il ministero petrino è un ministero
di unità, e non solo dell’unità interna della Chiesa cattolica, ma
altresì di quella di tutti i cristiani. Un servizio che compete
primariamente, ma non esclusivamente, al Papa. Ogni cristiano deve
farsene carico e, in prima fila, i religiosi in forza della loro
consacrazione a Cristo e, quindi, all’unità: Credere in Cristo ed essere
a Lui consacrati significa essere consacrati all’unità.
3. Il fondamento, lo
scopo e il metodo dell’ecumenismo
È importante sottolineare che
l’ecumenismo, così come l’intende il Concilio Vaticano II, non ha niente
a che vedere con il relativismo e con il sincretismo che fa di tutte le
confessioni un miscuglio. No! È ecumenismo nella carità e nella verità,
ovvero: la verità nella carità.10
Anche nella verità, perché un amore
che non sia nella verità è disonesto. D’altra parte anche la verità
senza amore pone dei problemi: diventa un’arma per combattere gli altri.
Non ci è data per questo. Amore e verità sono congiunti l’uno all’altra.
Non si tratta di abbandonare la propria fede, la fede cattolica o quella
di un’altra confessione, ma di portare avanti un dialogo assunto secondo
la definizione che ne ha dato Papa Giovanni Paolo II: uno scambio di
doni.
Non soltanto uno scambio di idee tra
professori che discutono, appellandosi alla propria competenza e magari
mostrando di saperne più degli altri… No! Il dialogo ecumenico è uno
scambio di doni,11 dove ognuno può imparare
dall’altro.
La convinzione che la Chiesa
cattolica è la vera Chiesa non preclude la possibilità che i cattolici
imparino dagli altri. Così, ad esempio, dal Concilio in poi, abbiamo
riscoperto l’importanza della Bibbia e della predicazione, accogliendo
quanto ci veniva dai Protestanti. Certo, in teoria lo sapevamo anche
prima, ma in pratica avevamo un po’ dimenticato la Bibbia e nel dialogo
siamo tornati a rimetterla in auge. D’altra parte, i Protestanti stanno
ora imparando da noi l’importanza del simbolismo sacramentale e del
linguaggio liturgico.
Non si tratta, quindi, di rinnegare
la propria identità, ma di arricchirla. Il fatto che si parli di
“conversione”, affermando che non c’è ecumenismo senza di essa,12
non deve indurre in errore. Certo: la conversione è necessaria per un
cammino ecumenico, ma non dobbiamo riferirla solo agli altri. Tutti
abbiamo bisogno di conversione, ed essa comincia da noi. Non nel senso
che dobbiamo abbandonare la nostra fede, ma in quanto dobbiamo
arricchirla, approfondirla. Se tutti ci convertiremo a Cristo, in Lui
raggiungeremo sicuramente l’unità: uniti a Cristo, uniti fra di noi.
È un cammino che si proietta verso il
futuro, un andare avanti e non un tornare al XVI secolo. La storia non
si può cancellare, ma si può e ci si deve convertire a Cristo, imparando
gli uni dagli altri.
Talvolta le difficoltà di dialogo
sono legate alla diversità di cultura e alla diversa mentalità che ne
consegue. Così avviene per gli Ortodossi.
Le differenze dogmatiche tra
Cattolicesimo e Ortodossia non sono tante. La più rilevante è quella
concernente il Primato pontificio, in cui noi cattolici riconosciamo un
dono prezioso, mentre loro non lo ammettono. Condividiamo, però, la
stessa fede nei sette sacramenti presenti in ambedue le confessioni, la
venerazione dei Santi, in particolare della Madonna. Anche presso di
loro, come da noi, permane l’istituzione dell’episcopato che garantisce
la successione apostolica.
Dalla loro spiritualità, possiamo
imparare un più acuto senso del mistero e la stupenda maestà dei riti
liturgici, molto più ricchi dei nostri.
Si fatica però a fare amicizia,
proprio a causa della diversa mentalità. È più facile, ad esempio,
aprire il dialogo con i Protestanti che pure da un punto di vista
teologico sono più distanti da noi. Con loro abbiamo, sì, in comune il
battesimo, ma non gli altri sacramenti. In particolare fa problema la
mancanza dell’Eucaristia e del sacerdozio. Però la comune mentalità
occidentale facilita i rapporti, favorendo l’amicizia. E questo è un
elemento essenziale e irrinunciabile per un cammino ecumenico.
I documenti sono indubbiamente
importanti, ma lo Spirito Santo a Pentecoste non è arrivato nella
“carta”, ma nel “fuoco”. E il fuoco brucia le carte.
È necessario fare amicizia,
incontrarsi faccia a faccia, parlare. E nel dialogo amichevole si
scoprono le reciproche ricchezze, si impara ad apprezzarsi e si avvia un
fecondo scambio di doni, che è fondamentale. È l’ecumenismo della vita
che si concretizza nel saluto, nella preghiera fatta insieme,
nell’attenzione ai bisogni dell’altro. Piccoli passi mossi nel tessuto
quotidiano dell’esistenza, ma passi indispensabili per favorire
l’incontro.
In questo senso l’ecumenismo non è
solo un compito degli esperti, neanche una forma di diplomazia: è
compito di tutti i cristiani.
4. L’ecumenismo
spirituale
L’unità non è una meta che possiamo
conseguire con le nostre sole forze, ma un dono dello Spirito da
invocare nella preghiera, raccordandoci all’anelito di Gesù: «che
tutti siano una cosa sola».13 Di qui
l’importanza della Settimana di preghiere per l’unità dei cristiani, che
viene a costituire il centro ecumenico dell’anno liturgico. In questo
contesto si situa l’affermazione conciliare che indica nell’ecumenismo
spirituale il cuore dell’ecumenismo stesso.14
Ma cosa s’intende con tale espressione?
Il termine “spiritualità” oggi è
molto adoperato e ambiguo. Spesso è diventato un semplice slogan, che
sta ad indicare qualcosa di puramente emotivo, quasi una fuga da una
verità oggettiva.
Usato appropriatamente, invece, il
termine indica uno stile, una condotta di vita, un’esistenza umana
guidata dallo Spirito Santo.
Nella spiritualità il cristiano fa
suo il Vangelo di Cristo come interpretato nella dottrina della Chiesa.
Possiamo quindi definire la spiritualità come la vissuta soggettiva
espressione dell’oggettivo messaggio del Vangelo. Di conseguenza, non ci
si può appellare alla spiritualità semplicemente per sottrarsi alla
riflessione teologica. Anzi, proprio la spiritualità esige tale
riflessione per approfondire il messaggio evangelico e, quindi,
assumerlo nella vita.
Accanto alla riflessione teologica è
importante il discernimento degli spiriti. A detta di S.Paolo, infatti,
ci sono molti spiriti.
In questo ambito i grandi maestri di
vita spirituale ci hanno lasciato un ricco tesoro di esperienza,
proponendo alcune regole per discernere gli spiriti, che vale la pena
rileggere. Basti ricordare S.Ignazio di Loyola con i suoi “Esercizi
Spirituali”.
Qui però adottiamo un altro metodo,
cercando di illustrare tre dimensioni dell’attività dello Spirito Santo
sulla base della testimonianza scritturistica.
a) L’efficacia
universale
Lo Spirito di Dio è lo Spiritus
creator, da cui tutte le cose hanno tratto origine e che è presente
e operante in tutta la creazione: «Lo Spirito del Signore riempie
l’universo, abbracciando ogni cosa, conosce ogni voce».15
Lui geme e soffre nel desiderio della creazione che attende con
impazienza la rivelazione dei figli di Dio.16
Una presenza che si estende ovunque e
di cui si può fare esperienza. Questo non solo nell’ambito religioso e
cristiano. Secondo il Vaticano II, lo Spirito è presente ed opera
efficacemente anche nelle altre religioni, permea le culture e sollecita
il progresso umano,17 tutto orientando verso la
realizzazione del Regno di Dio.
Spiritualità è allora porsi in
ascolto di questo Spirito, coglierne la presenza ovunque, ma soprattutto
nella vita e nella vita umana in tutte le sue manifestazioni. Non può,
quindi, essere ridotta a un fatto privato, intimistico e chiuso. Per sua
natura essa porta in sé un’istanza ecumenica: non può che essere
ecumenica, cioè aperta a cogliere le mozioni dello Spirito ovunque esso
si manifesti.
In particolare, essa si mostra
sollecita ad accogliere il grido di quanti soffrono, oppressi da
qualunque forma di povertà. È attenta alle tensioni che dilaniano il
mondo e alla domanda sottesa a certi comportamenti giovanili che
sembrano rivelare indifferenza, lontananza dai valori religiosi, mentre
nascondono un’insaziabile nostalgia di Dio, alimentata dalla costante
presenza dello Spirito in loro.
Dunque, con il termine
“spiritualità”, si abbraccia un orizzonte molto vasto. La spiritualità
s’incarna in ogni ambito della vita e, in particolare, là dove la vita
nasce o è oppressa e soffre. Si tratta di percepire la chiamata dello
Spirito e questo esige sensibilità, capacità di cogliere dove Egli si
dirige e lì impegnarsi.
Ma proprio perché lo Spirito non
conosce barriere, è possibile sin d’ora, anzi è doveroso, che i
cristiani si uniscano in un servizio comune, cooperino per promuovere la
giustizia, la pace, per la salvaguardia dell’ambiente… È la
testimonianza che già ora possiamo e dobbiamo dare al mondo.
b) La base
cristologica
Lo Spirito, di cui stiamo parlando,
non è una forza vaga: è lo Spirito di Gesù Cristo,18
lo Spirito del Signore.19 Grazie alla sua
azione creatrice, Gesù ha preso corpo nel grembo verginale di Maria20
e, quindi, è Sua creatura. Nel Battesimo al Giordano, è ancora lo
Spirito a posarsi su di Lui21 e a
informarne la vita e l’opera.22 Tramite il
Cristo, lo Spirito verrà effuso sulla Chiesa ed estenderà il suo
influsso sul mondo intero.23
Di conseguenza, non sarà possibile
alcun discernimento degli spiriti, se non in un confronto con la persona
e la parola di Gesù, a cui tutte le confessioni cristiane fanno capo.
Sarà il Vangelo, allora, ad offrirci i parametri per cogliere, di volta
in volta, se si tratta dello Spirito Santo o dello spirito del mondo.
Questa centralità della persona di
Gesù conferisce alla spiritualità ecumenica un tratto essenzialmente
cristocentrico, che la inserisce nell’alveo della spiritualità
cristiana. Con ciò si evita il rischio del relativismo e del sincretismo
spirituale che mette tutto sullo stesso piano, non distinguendo tra
ecumenismo e dialogo interreligioso.
L’apertura ai Mussulmani, ai
Buddisti, agli Induisti… è buona e necessaria, ma non va confusa con
l’approccio ecumenico che ha come fondamento la medesima fede in Cristo
Gesù e come punto irremovibile di confronto la Bibbia.
Una spiritualità ecumenica sarà
anzitutto una spiritualità biblica che si esprime nella lettura e nello
studio condiviso della Parola di Dio e una spiritualità sacramentale
basata sul comune battesimo.
Insieme, cristiani di ogni
confessione, possiamo metterci in ascolto della Parola di Dio, un
ascolto “sapienziale”, scevro da ogni forma accademica, e teso a
illuminare la vita. Un accostamento orante che metta in sintonia con lo
Spirito.
In questo “discepolato della Parola”,
ci si potrà avvalere del ricco apporto della patristica, un tempo un po’
accantonata, ma ora fatta oggetto di rinnovato interesse. Insieme
possiamo metterci alla scuola dei Padri, avviando così un fecondo e
vitale studio, fatto di approccio serio, di discussioni scevre da
spirito polemico, di apporti attinti alla ricchezza maturata presso le
varie confessioni.
Personalmente ho avuto modo di
leggere Lutero. Sì, vi sono alcuni suoi scritti fortemente polemici, ma
ci sono anche preziosi commenti biblici. Come molto arricchenti ho
trovato vari studi sulla Bibbia di protestanti.
È proprio la lettura comune della
Parola di Dio che ci ha avvicinato.
In questa luce, va valorizzato e
incrementato l’interesse per la Sacra Scrittura, che si va sempre più
affermando nell’ambito della vita religiosa. Prima del Concilio, i libri
che circolavano tra le religiose erano esclusivamente quelli di
meditazione o di letture ascetiche o comunque edificanti. Ora si fa
sempre più spazio alla Bibbia e questo non è irrilevante ai fini di una
sensibilità ecumenica.
L’ecumenismo spirituale include,
accanto alla dimensione biblica, anche quella sacramentale. Gesù Cristo,
infatti, è presente e operante nella Parola e nei Sacramenti.
In particolare l’accento cade sul
sacramento del battesimo, in quanto esso è presente in tutte le
confessioni cristiane ed è la via d’accesso che ci inserisce nel Corpo
Mistico di Cristo quali suoi membri. Qui è la radice di quella comunione
che “già” abbiamo con gli altri cristiani
È proprio questo innesto in Cristo
che fa la grande differenza tra cristiani, sia pure di confessioni
diverse, e non-cristiani. Una differenza qualitativa che distingue
nettamente il dialogo che possiamo avere con i Mussulmani o con i membri
di altre religioni e il dialogo con coloro che condividono la stessa
fede in Cristo.
Con questi ultimi possiamo riflettere
insieme sul significato del battesimo. In certi casi si possono
condividere celebrazioni liturgiche per “farne memoria”. È una cosa
molto importante!
Un altro elemento da valorizzare
nell’apertura ecumenica della vita religiosa, è rappresentato proprio da
questo sacramento. La consacrazione religiosa, infatti, non è altro che
l’impegno a vivere con radicalità le promesse battesimali. Ed è a questo
livello che si possono superare certe barriere e trovare solidi punti di
contatto.
In forza del battesimo possiamo
partecipare della libertà dei figli di Dio, chiamare Dio: “Abbà-Padre”,
possiamo entrare nella preghiera di Gesù che si riassume tutta in quel:
“Ut unum sint”, farla nostra. La spiritualità ecumenica attinge
qui. E qui prendono consistenza tutti i tentativi di ricomporre l’unità
del Corpo di Cristo.
Un’impresa tutt’altro che facile!
Accanto a consensi non mancano palesi opposizioni, rifiuti. Talvolta si
ha difficoltà anche a pregare insieme. È uno scandalo che però stiamo
superando.
c) La vita della
Chiesa
La Chiesa è il tempio dello Spirito
Santo,24 quindi, la spiritualità ecumenica
è anche una spiritualità ecclesiale tendente al “sentire ecclesiam”,
ad assumere in proprio ciò che la Chiesa vive. Una spiritualità
ecclesiale non può non sentire la ferita della divisione e non
soffrirne.
Ho potuto stringere amicizia con
molti membri di altre confessioni cristiane: non sarebbe possibile
aprire il dialogo senza questa premessa. Negli incontri capita che io
partecipi alla loro “Cena” o loro alla nostra “Eucaristia” senza che né
io possa comunicarmi da loro né loro da noi. Ogni volta è una ferita.
Una ferita “salutare” che spinge a fare il possibile per ricomporre
l’unità, condividere i doni.
È qui che la spiritualità ecumenica
svolge un ruolo profetico, ricordando alla Chiesa l’impegno di fare
tutto il possibile per superare le divisioni.
Si sa, ci sono anche quelli che
ostacolano questo cammino per un malinteso senso di identità, quasi che
l’unità vanifichi lo specifico di ogni confessione.
L’identità va difesa, ma ricordando
che essa non è una realtà chiusa in se stessa. Anche l’identità
personale non entra in crisi quando deve rapportarsi con i genitori, con
i fratelli e le sorelle, con i colleghi… In qualche modo essi mi
appartengono. Ed è proprio in queste relazioni che l’identità si
chiarifica e si definisce. L’identità è una realtà aperta agli altri: è
una condivisione di vita. Ciò vale anche a livello ecclesiale.
La spiritualità ecclesiale porta a
fare amicizia con gli altri cristiani, puntando su ciò che già ci unisce
e che è molto più di quello che ci divide.
Ci sono differenze, anche su elementi
essenziali. Non lo si può negare. Purtroppo ci sono! Riconoscerle
oggettivamente, senza negarle o sminuirle, è fare ecumenismo nella
verità.
Ciò che è da evitare è
l’atteggiamento, assunto nel passato, di puntare subito su quanto ci
divide, ponendosi così sul piano della controversia. Cerchiamo, invece,
di vedere prima ciò che abbiamo in comune e, in questo contesto
fondamentalmente positivo, prendiamo poi in considerazione le
differenze.
Il punto di partenza è importante:
nel primo caso ci si mette sul piede di battaglia e si può solo lottare;
nel secondo caso si apre la via a un dialogo sereno e arricchente che
punta verso la comunione piena.
Possiamo allora dire, con Giovanni
Paolo II, che la spiritualità ecumenica è una spiritualità di comunione.
E che cosa intendesse con questa espressione, egli stesso lo spiega: «Spiritualità
di comunione significa […] capacità di sentire il fratello di fede
nell’unità profonda del Corpo mistico, dunque, come “ uno che mi
appartiene”, per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per
intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli
una vera e profonda amicizia. Spiritualità della comunione è pure
capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c’è nell’altro, per
accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un “dono per me”, oltre che
per il fratello che lo ha direttamente ricevuto. Spiritualità della
comunione è infine saper “fare spazio” al fratello, portando “ i pesi
gli uni degli altri” (Gal 6,2) e respingendo le tentazioni egoistiche
che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo,
diffidenza, gelosie. Non ci facciamo illusioni: senza questo cammino
spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della
comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più
che sue vie di espressione e di crescita».25
La spiritualità di comunione porta a
“condividere gioie e sofferenze”: non ci si rallegra se gli altri
sono in crisi o hanno dei problemi: si soffre con loro. E così si
gioisce per i loro progressi.
La spiritualità di comunione implica
anche la capacità di portare l’attenzione sulle positività che si
possono riscontrare nell’altro e quella di non cedere alla spontanea
tendenza a cogliere nelle diversità ciò che è negativo.
Noi vediamo subito nelle differenze
che riscontriamo nei Protestanti, negli Ortodossi… quanto può essere
negativo ed essi, a loro volta, vedono quello che è negativo nelle
nostre posizioni. È normale: anche noi siamo una Chiesa di peccatori!
Perché non riconoscerlo?
Non si tratta di chiudere gli occhi
su eventuali carenze o mancanze, ma di partire dalla valorizzazione di
quanto riscontriamo di arricchente nell’altro. Vedere e parlare del
positivo e valorizzarlo come un dono per me oltre che per il fratello
che lo ha direttamente ricevuto e accolto dallo Spirito, così come i
doni a noi elargiti dal medesimo Spirito sono un dono anche per loro:
questa è spiritualità di comunione.
E spiritualità di comunione è,
infine, “far spazio al fratello portando i pesi gli uni degli altri”.
Si tratta di eliminare quell’eccesso
di zelo che chiude e allontana. È dire all’altro con gli atteggiamenti,
con i fatti concreti: Tu puoi esistere; tu hai il diritto di esistere!
Fare spazio! «Respingere le
tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano
competizione, carrierismo, diffidenza e gelosie». Errori che hanno
segnato il passato. Gelosie che hanno contrapposto le varie Chiese.
«Non facciamoci illusioni: senza
questo cammino spirituale a poco servirebbero gli strumenti esteriori
della comunione». Il
cammino verso l’unità non è questione di grandi gesti esteriori, ma di
comunione spirituale. Se questa manca, l’unità non sarà possibile. Ci
saranno «apparati senz’anima, maschere di comunione più che vie di
espressione e di crescita».
Questa spiritualità di comunione è
spiritualità ecumenica.
5. Conclusione
L’ecumenismo, fin dall’inizio, si è
affermato per impulso dello Spirito. Non dello spirito del mondo, ma
dello Spirito Santo. Il Concilio dice espressamente: «Tra i nostri
fratelli separati è sorto, per impulso della grazia dello Spirito Santo,
un movimento ogni giorno più ampio per il ristabilimento dell’unità di
tutti i cristiani».26
Il secolo scorso, il XX secolo, è
stato un secolo molto, molto buio, con due guerre mondiali. Un secolo
terribile! Ma ci sono state anche delle luci e una è la crescita
dell’ecumenismo. Speriamo che nel XXI secolo questo seme porti frutto.
L’ecumenismo è dovuto a un impulso
dello Spirito: è un fenomeno spirituale. L’unità dei cristiani può
essere soltanto Suo dono: frutto di una nuova Pentecoste, quella a cui
accennava Papa Giovanni XXIII all’inizio del Concilio Vaticano II.
Sono convinto che, se faremo quanto è
nelle nostre possibilità, lo Spirito di Dio ci concederà un giorno
questa rinnovata Pentecoste.
Quando? Dove? Come? Noi non possiamo
fare previsioni sui tempi e sulle modalità di intervento dello Spirito.
Possiamo soltanto agire “hic et nunc”: qui, oggi.
Ma io sono convinto che lo Spirito è
fedele. Lui ha iniziato e Lui porterà a compimento.
Molto è già stato fatto, e dobbiamo
esserne grati. Si tratta di continuare su questa strada dell’ecumenismo,
svolgendo ognuno il proprio ruolo: il Papa, i Cardinali, i Vescovi, ma
anche le suore.
Da loro la Chiesa si attende, accanto
all’insostituibile e preziosissimo apporto della preghiera, che assumano
più consapevolmente una spiritualità ecumenica, approfondendo il
significato del loro appartenere a Cristo, ricollegando più vitalmente i
loro voti al battesimo, alimentandosi quotidianamente della Parola di
Dio, assumendo atteggiamenti di accoglienza improntati a disponibilità
al dialogo e ad attenzione a cogliere e a valorizzare il positivo
presente nell’altro.
NOTE
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