n. 10
ottobre 2006

 

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VITA CONSACRATA ED ECUMENISMO SPIRITUALE

di S.E. Card. Walter Kasper*

 

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1. Introduzione

Sono lieto di trovarmi qui tra voi in questo Convegno che vede religiose impegnate nell’approfondimento del problema ecumenico.

Sono arrivato appena ieri sera da Porto Alegre in Brasile, dove si sta svolgendo la IX Assemblea plenaria del Consiglio Mondiale delle Chiese. Un’esperienza molto interessante a cui la Chiesa cattolica partecipa in qualità di ospite, perché non siamo membri del suddetto Consiglio. Abbiamo comunque trovato una calda accoglienza e segni di schietta amicizia. È il risultato di un cammino ecumenico che, secondo la parola di S.S. Papa Giovanni Paolo II, ha portato alla riscoperta della fraternità.

Sono cresciuto in un villaggio cattolico durante la seconda guerra mondiale. Nei mie anni giovanili, non sarei mai entrato in una Chiesa protestante: allora era una cosa inconcepibile. Oggi la frequento tranquillamente per celebrare insieme a questi fratelli la Liturgia della Parola.

Siamo in una situazione completamente mutata. Permangono molte differenze e molti problemi, ma si respira un clima di sostanziale amicizia. Certo, la via per giungere alla piena unità è ancora lunga, ma possiamo già vivere insieme, lavorare insieme, pregare insieme. E non è poco!

Oggi, dopo il Concilio Vaticano II, nei cui documenti troviamo testualmente affermato: «Il ristabilimento dell’unità da promuoversi fra tutti i cristiani è uno dei principali intenti del sacro concilio ecumenico Vaticano II»,1 l’ecumenismo rappresenta la via maestra che la Chiesa si è impegnata a percorrere.

Anche S.S. Papa Benedetto XVI l’ha assunta e l’ha indicata come priorità pastorale del suo Pontificato. Così esordiva nel suo primo messaggio ai cardinali che lo avevano eletto: «Con piena consapevolezza, all’inizio del suo ministero nella Chiesa di Roma che Pietro ha irrorato col suo sangue, l’attuale suo Successore si assume come impegno primario quello di lavorare senza risparmio di energie alla ricostituzione della piena e visibile unità di tutti i seguaci di Cristo. Questa è la sua ambizione, questo il suo impellente dovere» (corsivo nostro).2

Non si tratta, però, di una priorità che riguardi solo i Papi, i Cardinali, i Vescovi o i professori di teologia. Deve rappresentare l’intento principale di ogni cristiano, di ogni battezzato e, in prima linea, di ogni religiosa che, con i voti, si è impegnata a vivere in pienezza il proprio battesimo.

L’ecumenismo è una nuova dimensione che, come Chiesa cattolica, abbiamo riscoperto e incrementato soprattutto in questi ultimi quarant’anni.

Dai primi timidi passi ad oggi si è fatta molta strada, si sono posti gesti concreti. Lo documenta anche la presenza qualificata di varie confessioni cristiane all’incontro, attualmente in corso, a Porto Alegre. Vi sono Ortodossi orientali: Copti, Siriani, Armeni. È rappresentata l’ortodossia russa, quella greca ecc. Ci sono Anglicani, Luterani, Riformati. Un panorama molto vasto e culturalmente differenziato, ma tutti condividiamo la stessa fede in Gesù Cristo, abbiamo in comune la Bibbia, il Battesimo nel nome di Gesù. Siamo “già” in comunione, sebbene in forma imperfetta.

 

2. Vita consacrata ed ecumenismo

Essere consacrate a Cristo significa consegnare la propria vita a Lui per la sua Chiesa, per il Regno e, quindi, implicitamente, per la causa dell’unità.

A questo proposito cito spesso una frase di S.S. Papa Giovanni Paolo II: «Credere in Cristo significa volere l’unità; volere l’unità significa volere la Chiesa, volere la Chiesa significa volere la comunione di grazia che corrisponde al disegno del Padre da tutta l’eternità. Ecco qual è il significato della preghiera di Cristo “Ut unum sint”».3

Si tratta di realtà talmente inscindibili che è impossibile “credere”, cioè aderire vitalmente a Cristo, senza sentirsi parte viva della Chiesa, senza assumerne in proprio le grandi mete. No, non si può separare Cristo dalla sua Chiesa e la Chiesa dalla causa dell’unità che costituisce il grande anelito del cuore di Cristo. Per questo, essere consacrate a Gesù Cristo è essere consacrate per la Chiesa e per la sua unità. Tra vita consacrata ed ecumenismo c’è un rapporto inscindibile.

Il disegno di Dio, da tutta l’eternità, è di ricapitolare in Cristo tutte le cose.4 In Lui e tramite Lui, Dio vuole essere tutto in tutti.5 L’unità è l’orizzonte che abbraccia non solo tutta la Chiesa, ma il mondo intero.

Non a caso il termine chiave nella Bibbia è “uno”: un solo Dio, un solo Redentore e Signore, uno Spirito, un battesimo, una fede6 e perciò anche una sola Chiesa.

La preghiera di Gesù alla vigilia della sua morte: «Padre, che siano una cosa sola»,7 sgorga da questa fondamentale esigenza di unità. La circostanza, poi, dell’imminenza del suo passaggio da questo mondo al Padre, ne fa il suo testamento, e un testamento è sempre una cosa sacra da custodire e da applicare. Qui si riconosce la “Magna Charta” dell’ecumenismo.

Gesù ha voluto una sola Chiesa fondata su Pietro e sugli Apostoli. Le divisioni sono contrarie alla sua volontà e rappresentano uno scandalo per il mondo. Danneggiano la credibilità della Chiesa e «la santissima causa della predicazione del Vangelo a ogni creatura».8

In uno dei miei viaggi, sono stato in Sud-Africa per una conferenza. Eravamo alloggiati in un albergo. La domenica manifesto il desiderio di recarmi in una Chiesa cattolica per la S.Messa. Prendiamo un taxi. Nel tragitto sono penosamente colpito dalla molteplicità di Chiese incontrate: venti in un’unica strada. C’era la Chiesa ortodossa, la Chiesa anglicana e alcune Chiese locali. Mi sono detto: che cosa possono pensare i non-cristiani di noi? Che immagine di disunione diamo! È vero: oggi viviamo in modo pacifico tra di noi, ma ciò non toglie che questa frammentazione resti uno scandalo.

E così anche nel Medio Oriente dove la maggioranza della popolazione è mussulmana. Anche lì si ha una molteplicità di Chiese che non vivono in comunione: non possono nemmeno celebrare insieme la festa di Pasqua. Questa separazione nuoce alla causa del cristianesimo.

L’unità dei cristiani è un presupposto per la missione della Chiesa, soprattutto oggi, in una società globalizzata, dove le distanze sono abolite dai mezzi di comunicazione.

Per questo il ristabilimento dell’unità dei cristiani è stato assunto come uno dei principali intenti dal Concilio Vaticano II. Una scelta irreversibile,9 come ha spesso sottolineato S.S. Papa Giovanni Paolo II e come ha riaffermato l’attuale Pontefice, prendendo posizione su questo argomento fin dall’inizio del suo pontificato.

Il ministero petrino è un ministero di unità, e non solo dell’unità interna della Chiesa cattolica, ma altresì di quella di tutti i cristiani. Un servizio che compete primariamente, ma non esclusivamente, al Papa. Ogni cristiano deve farsene carico e, in prima fila, i religiosi in forza della loro consacrazione a Cristo e, quindi, all’unità: Credere in Cristo ed essere a Lui consacrati significa essere consacrati all’unità.

 

3. Il fondamento, lo scopo e il metodo dell’ecumenismo

È importante sottolineare che l’ecumenismo, così come l’intende il Concilio Vaticano II, non ha niente a che vedere con il relativismo e con il sincretismo che fa di tutte le confessioni un miscuglio. No! È ecumenismo nella carità e nella verità, ovvero: la verità nella carità.10

Anche nella verità, perché un amore che non sia nella verità è disonesto. D’altra parte anche la verità senza amore pone dei problemi: diventa un’arma per combattere gli altri. Non ci è data per questo. Amore e verità sono congiunti l’uno all’altra. Non si tratta di abbandonare la propria fede, la fede cattolica o quella di un’altra confessione, ma di portare avanti un dialogo assunto secondo la definizione che ne ha dato Papa Giovanni Paolo II: uno scambio di doni.

Non soltanto uno scambio di idee tra professori che discutono, appellandosi alla propria competenza e magari mostrando di saperne più degli altri… No! Il dialogo ecumenico è uno scambio di doni,11 dove ognuno può imparare dall’altro.

La convinzione che la Chiesa cattolica è la vera Chiesa non preclude la possibilità che i cattolici imparino dagli altri. Così, ad esempio, dal Concilio in poi, abbiamo riscoperto l’importanza della Bibbia e della predicazione, accogliendo quanto ci veniva dai Protestanti. Certo, in teoria lo sapevamo anche prima, ma in pratica avevamo un po’ dimenticato la Bibbia e nel dialogo siamo tornati a rimetterla in auge. D’altra parte, i Protestanti stanno ora imparando da noi l’importanza del simbolismo sacramentale e del linguaggio liturgico.

Non si tratta, quindi, di rinnegare la propria identità, ma di arricchirla. Il fatto che si parli di “conversione”, affermando che non c’è ecumenismo senza di essa,12 non deve indurre in errore. Certo: la conversione è necessaria per un cammino ecumenico, ma non dobbiamo riferirla solo agli altri. Tutti abbiamo bisogno di conversione, ed essa comincia da noi. Non nel senso che dobbiamo abbandonare la nostra fede, ma in quanto dobbiamo arricchirla, approfondirla. Se tutti ci convertiremo a Cristo, in Lui raggiungeremo sicuramente l’unità: uniti a Cristo, uniti fra di noi.

È un cammino che si proietta verso il futuro, un andare avanti e non un tornare al XVI secolo. La storia non si può cancellare, ma si può e ci si deve convertire a Cristo, imparando gli uni dagli altri.

Talvolta le difficoltà di dialogo sono legate alla diversità di cultura e alla diversa mentalità che ne consegue. Così avviene per gli Ortodossi.

Le differenze dogmatiche tra Cattolicesimo e Ortodossia non sono tante. La più rilevante è quella concernente il Primato pontificio, in cui noi cattolici riconosciamo un dono prezioso, mentre loro non lo ammettono. Condividiamo, però, la stessa fede nei sette sacramenti presenti in ambedue le confessioni, la venerazione dei Santi, in particolare della Madonna. Anche presso di loro, come da noi, permane l’istituzione dell’episcopato che garantisce la successione apostolica.

Dalla loro spiritualità, possiamo imparare un più acuto senso del mistero e la stupenda maestà dei riti liturgici, molto più ricchi dei nostri.

Si fatica però a fare amicizia, proprio a causa della diversa mentalità. È più facile, ad esempio, aprire il dialogo con i Protestanti che pure da un punto di vista teologico sono più distanti da noi. Con loro abbiamo, sì, in comune il battesimo, ma non gli altri sacramenti. In particolare fa problema la mancanza dell’Eucaristia e del sacerdozio. Però la comune mentalità occidentale facilita i rapporti, favorendo l’amicizia. E questo è un elemento essenziale e irrinunciabile per un cammino ecumenico.

I documenti sono indubbiamente importanti, ma lo Spirito Santo a Pentecoste non è arrivato nella “carta”, ma nel “fuoco”. E il fuoco brucia le carte.

È necessario fare amicizia, incontrarsi faccia a faccia, parlare. E nel dialogo amichevole si scoprono le reciproche ricchezze, si impara ad apprezzarsi e si avvia un fecondo scambio di doni, che è fondamentale. È l’ecumenismo della vita che si concretizza nel saluto, nella preghiera fatta insieme, nell’attenzione ai bisogni dell’altro. Piccoli passi mossi nel tessuto quotidiano dell’esistenza, ma passi indispensabili per favorire l’incontro.

In questo senso l’ecumenismo non è solo un compito degli esperti, neanche una forma di diplomazia: è compito di tutti i cristiani.

 

4. L’ecumenismo spirituale

L’unità non è una meta che possiamo conseguire con le nostre sole forze, ma un dono dello Spirito da invocare nella preghiera, raccordandoci all’anelito di Gesù: «che tutti siano una cosa sola».13 Di qui l’importanza della Settimana di preghiere per l’unità dei cristiani, che viene a costituire il centro ecumenico dell’anno liturgico. In questo contesto si situa l’affermazione conciliare che indica nell’ecumenismo spirituale il cuore dell’ecumenismo stesso.14 Ma cosa s’intende con tale espressione?

Il termine “spiritualità” oggi è molto adoperato e ambiguo. Spesso è diventato un semplice slogan, che sta ad indicare qualcosa di puramente emotivo, quasi una fuga da una verità oggettiva.

Usato appropriatamente, invece, il termine indica uno stile, una condotta di vita, un’esistenza umana guidata dallo Spirito Santo.

Nella spiritualità il cristiano fa suo il Vangelo di Cristo come interpretato nella dottrina della Chiesa. Possiamo quindi definire la spiritualità come la vissuta soggettiva espressione dell’oggettivo messaggio del Vangelo. Di conseguenza, non ci si può appellare alla spiritualità semplicemente per sottrarsi alla riflessione teologica. Anzi, proprio la spiritualità esige tale riflessione per approfondire il messaggio evangelico e, quindi, assumerlo nella vita.

Accanto alla riflessione teologica è importante il discernimento degli spiriti. A detta di S.Paolo, infatti, ci sono molti spiriti.

In questo ambito i grandi maestri di vita spirituale ci hanno lasciato un ricco tesoro di esperienza, proponendo alcune regole per discernere gli spiriti, che vale la pena rileggere. Basti ricordare S.Ignazio di Loyola con i suoi “Esercizi Spirituali”.

Qui però adottiamo un altro metodo, cercando di illustrare tre dimensioni dell’attività dello Spirito Santo sulla base della testimonianza scritturistica.

a) L’efficacia universale

Lo Spirito di Dio è lo Spiritus creator, da cui tutte le cose hanno tratto origine e che è presente e operante in tutta la creazione: «Lo Spirito del Signore riempie l’universo, abbracciando ogni cosa, conosce ogni voce».15 Lui geme e soffre nel desiderio della creazione che attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio.16

Una presenza che si estende ovunque e di cui si può fare esperienza. Questo non solo nell’ambito religioso e cristiano. Secondo il Vaticano II, lo Spirito è presente ed opera efficacemente anche nelle altre religioni, permea le culture e sollecita il progresso umano,17 tutto orientando verso la realizzazione del Regno di Dio.

Spiritualità è allora porsi in ascolto di questo Spirito, coglierne la presenza ovunque, ma soprattutto nella vita e nella vita umana in tutte le sue manifestazioni. Non può, quindi, essere ridotta a un fatto privato, intimistico e chiuso. Per sua natura essa porta in sé un’istanza ecumenica: non può che essere ecumenica, cioè aperta a cogliere le mozioni dello Spirito ovunque esso si manifesti.

In particolare, essa si mostra sollecita ad accogliere il grido di quanti soffrono, oppressi da qualunque forma di povertà. È attenta alle tensioni che dilaniano il mondo e alla domanda sottesa a certi comportamenti giovanili che sembrano rivelare indifferenza, lontananza dai valori religiosi, mentre nascondono un’insaziabile nostalgia di Dio, alimentata dalla costante presenza dello Spirito in loro.

Dunque, con il termine “spiritualità”, si abbraccia un orizzonte molto vasto. La spiritualità s’incarna in ogni ambito della vita e, in particolare, là dove la vita nasce o è oppressa e soffre. Si tratta di percepire la chiamata dello Spirito e questo esige sensibilità, capacità di cogliere dove Egli si dirige e lì impegnarsi.

Ma proprio perché lo Spirito non conosce barriere, è possibile sin d’ora, anzi è doveroso, che i cristiani si uniscano in un servizio comune, cooperino per promuovere la giustizia, la pace, per la salvaguardia dell’ambiente… È la testimonianza che già ora possiamo e dobbiamo dare al mondo.

b) La base cristologica

Lo Spirito, di cui stiamo parlando, non è una forza vaga: è lo Spirito di Gesù Cristo,18 lo Spirito del Signore.19 Grazie alla sua azione creatrice, Gesù ha preso corpo nel grembo verginale di Maria20 e, quindi, è Sua creatura. Nel Battesimo al Giordano, è ancora lo Spirito a posarsi su di Lui21 e a informarne la vita e l’opera.22 Tramite il Cristo, lo Spirito verrà effuso sulla Chiesa ed estenderà il suo influsso sul mondo intero.23

Di conseguenza, non sarà possibile alcun discernimento degli spiriti, se non in un confronto con la persona e la parola di Gesù, a cui tutte le confessioni cristiane fanno capo. Sarà il Vangelo, allora, ad offrirci i parametri per cogliere, di volta in volta, se si tratta dello Spirito Santo o dello spirito del mondo.

Questa centralità della persona di Gesù conferisce alla spiritualità ecumenica un tratto essenzialmente cristocentrico, che la inserisce nell’alveo della spiritualità cristiana. Con ciò si evita il rischio del relativismo e del sincretismo spirituale che mette tutto sullo stesso piano, non distinguendo tra ecumenismo e dialogo interreligioso.

L’apertura ai Mussulmani, ai Buddisti, agli Induisti… è buona e necessaria, ma non va confusa con l’approccio ecumenico che ha come fondamento la medesima fede in Cristo Gesù e come punto irremovibile di confronto la Bibbia.

Una spiritualità ecumenica sarà anzitutto una spiritualità biblica che si esprime nella lettura e nello studio condiviso della Parola di Dio e una spiritualità sacramentale basata sul comune battesimo.

Insieme, cristiani di ogni confessione, possiamo metterci in ascolto della Parola di Dio, un ascolto “sapienziale”, scevro da ogni forma accademica, e teso a illuminare la vita. Un accostamento orante che metta in sintonia con lo Spirito.

In questo “discepolato della Parola”, ci si potrà avvalere del ricco apporto della patristica, un tempo un po’ accantonata, ma ora fatta oggetto di rinnovato interesse. Insieme possiamo metterci alla scuola dei Padri, avviando così un fecondo e vitale studio, fatto di approccio serio, di discussioni scevre da spirito polemico, di apporti attinti alla ricchezza maturata presso le varie confessioni.

Personalmente ho avuto modo di leggere Lutero. Sì, vi sono alcuni suoi scritti fortemente polemici, ma ci sono anche preziosi commenti biblici. Come molto arricchenti ho trovato vari studi sulla Bibbia di protestanti.

È proprio la lettura comune della Parola di Dio che ci ha avvicinato.

In questa luce, va valorizzato e incrementato l’interesse per la Sacra Scrittura, che si va sempre più affermando nell’ambito della vita religiosa. Prima del Concilio, i libri che circolavano tra le religiose erano esclusivamente quelli di meditazione o di letture ascetiche o comunque edificanti. Ora si fa sempre più spazio alla Bibbia e questo non è irrilevante ai fini di una sensibilità ecumenica.

L’ecumenismo spirituale include, accanto alla dimensione biblica, anche quella sacramentale. Gesù Cristo, infatti, è presente e operante nella Parola e nei Sacramenti.

In particolare l’accento cade sul sacramento del battesimo, in quanto esso è presente in tutte le confessioni cristiane ed è la via d’accesso che ci inserisce nel Corpo Mistico di Cristo quali suoi membri. Qui è la radice di quella comunione che “già” abbiamo con gli altri cristiani

È proprio questo innesto in Cristo che fa la grande differenza tra cristiani, sia pure di confessioni diverse, e non-cristiani. Una differenza qualitativa che distingue nettamente il dialogo che possiamo avere con i Mussulmani o con i membri di altre religioni e il dialogo con coloro che condividono la stessa fede in Cristo.

Con questi ultimi possiamo riflettere insieme sul significato del battesimo. In certi casi si possono condividere celebrazioni liturgiche per “farne memoria”. È una cosa molto importante!

Un altro elemento da valorizzare nell’apertura ecumenica della vita religiosa, è rappresentato proprio da questo sacramento. La consacrazione religiosa, infatti, non è altro che l’impegno a vivere con radicalità le promesse battesimali. Ed è a questo livello che si possono superare certe barriere e trovare solidi punti di contatto.

In forza del battesimo possiamo partecipare della libertà dei figli di Dio, chiamare Dio: “Abbà-Padre”, possiamo entrare nella preghiera di Gesù che si riassume tutta in quel: “Ut unum sint”, farla nostra. La spiritualità ecumenica attinge qui. E qui prendono consistenza tutti i tentativi di ricomporre l’unità del Corpo di Cristo.

Un’impresa tutt’altro che facile! Accanto a consensi non mancano palesi opposizioni, rifiuti. Talvolta si ha difficoltà anche a pregare insieme. È uno scandalo che però stiamo superando.

c) La vita della Chiesa

La Chiesa è il tempio dello Spirito Santo,24 quindi, la spiritualità ecumenica è anche una spiritualità ecclesiale tendente al “sentire ecclesiam”, ad assumere in proprio ciò che la Chiesa vive. Una spiritualità ecclesiale non può non sentire la ferita della divisione e non soffrirne.

Ho potuto stringere amicizia con molti membri di altre confessioni cristiane: non sarebbe possibile aprire il dialogo senza questa premessa. Negli incontri capita che io partecipi alla loro “Cena” o loro alla nostra “Eucaristia” senza che né io possa comunicarmi da loro né loro da noi. Ogni volta è una ferita. Una ferita “salutare” che spinge a fare il possibile per ricomporre l’unità, condividere i doni.

È qui che la spiritualità ecumenica svolge un ruolo profetico, ricordando alla Chiesa l’impegno di fare tutto il possibile per superare le divisioni.

Si sa, ci sono anche quelli che ostacolano questo cammino per un malinteso senso di identità, quasi che l’unità vanifichi lo specifico di ogni confessione.

L’identità va difesa, ma ricordando che essa non è una realtà chiusa in se stessa. Anche l’identità personale non entra in crisi quando deve rapportarsi con i genitori, con i fratelli e le sorelle, con i colleghi… In qualche modo essi mi appartengono. Ed è proprio in queste relazioni che l’identità si chiarifica e si definisce. L’identità è una realtà aperta agli altri: è una condivisione di vita. Ciò vale anche a livello ecclesiale.

La spiritualità ecclesiale porta a fare amicizia con gli altri cristiani, puntando su ciò che già ci unisce e che è molto più di quello che ci divide.

Ci sono differenze, anche su elementi essenziali. Non lo si può negare. Purtroppo ci sono! Riconoscerle oggettivamente, senza negarle o sminuirle, è fare ecumenismo nella verità.

Ciò che è da evitare è l’atteggiamento, assunto nel passato, di puntare subito su quanto ci divide, ponendosi così sul piano della controversia. Cerchiamo, invece, di vedere prima ciò che abbiamo in comune e, in questo contesto fondamentalmente positivo, prendiamo poi in considerazione le differenze.

Il punto di partenza è importante: nel primo caso ci si mette sul piede di battaglia e si può solo lottare; nel secondo caso si apre la via a un dialogo sereno e arricchente che punta verso la comunione piena.

Possiamo allora dire, con Giovanni Paolo II, che la spiritualità ecumenica è una spiritualità di comunione. E che cosa intendesse con questa espressione, egli stesso lo spiega: «Spiritualità di comunione significa […] capacità di sentire il fratello di fede nell’unità profonda del Corpo mistico, dunque, come “ uno che mi appartiene”, per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia. Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c’è nell’altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un “dono per me”, oltre che per il fratello che lo ha direttamente ricevuto. Spiritualità della comunione è infine saper “fare spazio” al fratello, portando “ i pesi gli uni degli altri” (Gal 6,2) e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza, gelosie. Non ci facciamo illusioni: senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita».25

La spiritualità di comunione porta a “condividere gioie e sofferenze”: non ci si rallegra se gli altri sono in crisi o hanno dei problemi: si soffre con loro. E così si gioisce per i loro progressi.

La spiritualità di comunione implica anche la capacità di portare l’attenzione sulle positività che si possono riscontrare nell’altro e quella di non cedere alla spontanea tendenza a cogliere nelle diversità ciò che è negativo.

Noi vediamo subito nelle differenze che riscontriamo nei Protestanti, negli Ortodossi… quanto può essere negativo ed essi, a loro volta, vedono quello che è negativo nelle nostre posizioni. È normale: anche noi siamo una Chiesa di peccatori! Perché non riconoscerlo?

Non si tratta di chiudere gli occhi su eventuali carenze o mancanze, ma di partire dalla valorizzazione di quanto riscontriamo di arricchente nell’altro. Vedere e parlare del positivo e valorizzarlo come un dono per me oltre che per il fratello che lo ha direttamente ricevuto e accolto dallo Spirito, così come i doni a noi elargiti dal medesimo Spirito sono un dono anche per loro: questa è spiritualità di comunione.

E spiritualità di comunione è, infine, “far spazio al fratello portando i pesi gli uni degli altri”.

Si tratta di eliminare quell’eccesso di zelo che chiude e allontana. È dire all’altro con gli atteggiamenti, con i fatti concreti: Tu puoi esistere; tu hai il diritto di esistere!

Fare spazio! «Respingere le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, carrierismo, diffidenza e gelosie». Errori che hanno segnato il passato. Gelosie che hanno contrapposto le varie Chiese.

«Non facciamoci illusioni: senza questo cammino spirituale a poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione». Il cammino verso l’unità non è questione di grandi gesti esteriori, ma di comunione spirituale. Se questa manca, l’unità non sarà possibile. Ci saranno «apparati senz’anima, maschere di comunione più che vie di espressione e di crescita».

Questa spiritualità di comunione è spiritualità ecumenica.

 

5. Conclusione

L’ecumenismo, fin dall’inizio, si è affermato per impulso dello Spirito. Non dello spirito del mondo, ma dello Spirito Santo. Il Concilio dice espressamente: «Tra i nostri fratelli separati è sorto, per impulso della grazia dello Spirito Santo, un movimento ogni giorno più ampio per il ristabilimento dell’unità di tutti i cristiani».26

Il secolo scorso, il XX secolo, è stato un secolo molto, molto buio, con due guerre mondiali. Un secolo terribile! Ma ci sono state anche delle luci e una è la crescita dell’ecumenismo. Speriamo che nel XXI secolo questo seme porti frutto.

L’ecumenismo è dovuto a un impulso dello Spirito: è un fenomeno spirituale. L’unità dei cristiani può essere soltanto Suo dono: frutto di una nuova Pentecoste, quella a cui accennava Papa Giovanni XXIII all’inizio del Concilio Vaticano II.

Sono convinto che, se faremo quanto è nelle nostre possibilità, lo Spirito di Dio ci concederà un giorno questa rinnovata Pentecoste.

Quando? Dove? Come? Noi non possiamo fare previsioni sui tempi e sulle modalità di intervento dello Spirito. Possiamo soltanto agire “hic et nunc”: qui, oggi.

Ma io sono convinto che lo Spirito è fedele. Lui ha iniziato e Lui porterà a compimento.

Molto è già stato fatto, e dobbiamo esserne grati. Si tratta di continuare su questa strada dell’ecumenismo, svolgendo ognuno il proprio ruolo: il Papa, i Cardinali, i Vescovi, ma anche le suore.

Da loro la Chiesa si attende, accanto all’insostituibile e preziosissimo apporto della preghiera, che assumano più consapevolmente una spiritualità ecumenica, approfondendo il significato del loro appartenere a Cristo, ricollegando più vitalmente i loro voti al battesimo, alimentandosi quotidianamente della Parola di Dio, assumendo atteggiamenti di accoglienza improntati a disponibilità al dialogo e ad attenzione a cogliere e a valorizzare il positivo presente nell’altro.

 

NOTE

1 Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto conciliare “Unitatis Redintegratio” (=UR), n.1, in: Enchiridion Vaticanum (=EV) I/494, (il primo numero si riferisce al volume alla numerazione marginale successiva nel volume stesso).

 2 Messaggio di S.S. Benedetto XVI ai Cardinali elettori, 20 aprile 2005, n.5, in:Joseph Ratzinger intervistato da Giuseppe De Carli, «Fare la verità nella carità». Da Joseph Ratzinger a Benedetto XVI, Milano 2005, 61.

3 Giovanni Paolo II, Lettera enciclica “Ut Unum Sint”, 15 maggio 1995 (=UUS), n. 9, in: EV XIV/2681.

4 Cf Ef 1,10.

5 Cf 1Cor 15,28.

6 Cf Ef 4,4.

7 Gv 17,21.

8 Concilio Ecumenico Vaticano II, UR., n. 1, in: EV I/494.

9 Cf Giovanni Paolo II, UUS, n.3, in: EV XIV/2671.

10 Cf Ef 4,15.

11 Cf Giovanni Paolo II, UUS, n.28, in: EV XIV/2719.

12 Cf Concilio Ecumenico Vaticano II, UR, n. 7, in: EV I/522; Giovanni Paolo II, UUS, n.16/2696.

13 Gv 17,21.

14 Cf Concilio Ecumenico Vaticano II, UR, n.8, in: EV I/525.

15 Sap 1,7.

16 Cf Rom 8,19ss.

17 Cf Concilio Ecumenico Vaticano II,Costituzione Pastorale “Gaudium et Spes”, n. 26 e n.38, in: EV I/1402, I/1437.

18 Cf Rm 8,9; Fil 1,19.

19 Cf  2 Cor 3,17.

20 Cf Lc 1,35; Mt 1,18.20.

21 Cf Lc 4,18s.

22 Cf 2 Cor 3,17.

23 Ci piace ricordare su ciò il Vangelo di Luca e gli Atti degli Apostoli.

24 Cf 1Cor 3,16s; 2 Cor 6,16; Ef 2,21.

25 Giovanni Paolo II, Lettera apostolica “Novo millennio ineunte” 6 gennaio 2001, n.43, in: EV XX/85.

26 Concilio Ecumenico Vaticano II, UR, n. 1, in: EV I/ 495; cf anche UR n. 4, in: EV I/508-518.

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