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«Il
mare testimonia quello che di mai stabile vi è nel mondo». È scritto in quel
romanzo fondamentalmente verista che è La peste di Albert Camus. Che
direbbe il noto romanziere se vivesse oggi, nell’era del “bambino digitale”,
della “rivoluzione antropologica” innovata dai media, della vita e dell’amore
“liquido” frutto od espressione – come scriverebbe Zygmunt Bauman – dello
stress, del consumismo ossessivo, della paura sociale e individuale, di legami
fragili e mutevoli? Il mare, pur quando è quieto, – definito ‘tranquillo’ –
quando non vi sono particolari marosi, né soffia la tormenta, non è mai stabile.
L’onda va e l’onda ritorna; sobbalza e s’acquieta. Monotona e lucente o
squassante e violenta.
L’affermazione è ascrivibile
anche – e molto! – a questo nostro scorcio di storia, nel quale viviamo in
‘licenza temporanea’, in attesa del definitivo passaggio nell’oltre del tempo.
Decisamente, non è stabile. Non lo è stato nei mesi e anni trascorsi e non lo
sarà nei giorni che restano di questo 2006. Navigando con il ricordo nei mesi
andati, l’ondeggiare, la fluidità o l’instabilità appaiono inoppugnabili. Eventi
forti o minuscoli si sono succeduti e si succedono, con ritmo incalzante. A
livello di territorio e di Chiesa locali richiamiamo soltanto i due momenti che
hanno coinvolto tutto il Paese: il cambio di governo e il Convegno ecclesiale di
Verona. A livello internazionale conflitti e rappacificazioni; guerre di
religioni, scontri di civiltà; ancora fame per denutrizione; ancora piaghe
contagiose. A livello più circoscritto, familiare, odi e violenze assurde;
ancora crisi e tensioni costanti. Ma anche: ancora impegni per l’approfondimento
e la comprensione delle situazioni; ancora volontà e spinte al dialogo ed
eroismi; ancora spezzoni di vita nascosti, offerti in immolazione. Ancora
martiri per il Signore Gesù e per le sorelle i fratelli bisognosi e sofferenti.
Ancora tanta, quotidiana, spicciola e sconfinata «passione per Cristo e per
l’umanità».
In questo turbinio di eventi
minuti o macroscopici, nel Nord e nel Sud del mondo, perché la vocazione umana e
cristiana che ci investe ci obbliga a pensare all’universo globo, vogliamo
ricordare – senza sottovalutare gli altri – due premi Nobel: quello per la
pace e quello per la letteratura.
Il premio Nobel per la pace è
stato assegnato al banchiere Muhammad Yunus e alla sua Grameen Bank la “banca
del villaggio”, un istituto di microcredito creato in Bangladesh nel 1983. La
motivazione esplicita suona così: l’economista e la sua banca, «attraverso
culture e civiltà hanno dimostrato che anche i più poveri fra i poveri possono
lavorare per portare avanti il proprio sviluppo».
Il banchiere investirà il
milione di euro assegnato dall’accademia norvegese ancora a favore dei poveri:
offrirà agli indigenti cibo a prezzi simbolici e costruirà un ospedale
oftalmico. Infatti una parte del Premio sarà destinata a creare un’industria
alimentare per cibo a basso costo – a un prezzo nominale, affermano – ma
altamente nutritivo per i poveri. Servirebbe anche a guarire dalla ‘sindrome
consumista’ da cui siamo affetti noi occidentali.
Il premio per la letteratura è
stato assegnato a Orhan Pamuk, uno dei più importanti scrittori turchi
contemporanei. La dedicazione è così espressa: «A chi nella ricerca dell’anima
melanconica della sua città ha scoperto nuovi simboli per il contrasto e
l’intreccio delle culture».
Egli stesso ha scritto: «Ho
trascorso la mia vita ad Istanbul, sulla riva europea; nelle case che si
affacciavano sull’altra riva, l’Asia. Stare vicino all’acqua, guardando la riva
di fronte, l’altro continente, mi ricordava sempre il mio posto nel mondo, ed
era un bene. E poi, un giorno, è stato costruito un ponte che collegava le due
rive del Bosforo. Quando sono salito sul ponte e ho guardato il panorama, ho
capito che era ancora meglio, ancora più bello di vedere le due rive assieme. Ho
capito che il meglio era essere un ponte fra due rive. Rivolgersi alle due rive
senza appartenere».
Muhammad Yunus e Orhan Pamuk.
Ecco due ‘modelli’: sfidare la povertà, soprattutto quella dei più poveri, dei
miserabili, di coloro che non hanno nulla o ben poco e sradicarli da una
situazione inumana; e scrivere e pubblicare perché nel mondo possiamo tutti
essere ponte; impegnare la propria collaborazione perché tutti gli uomini e
tutte le donne sparse sul globo si confondano in un unico indistinto abbraccio,
senza rinnegare la propria identità.
Non importa vivere da una parte
o dall’altra del fiume. Non interessa essere nordici o meridionali. Appartenere
all’antico o al nuovissimo continente. Mai è e sarà permesso sacrificare quella
scintilla di Bene e di Vero che è ogni persona umana – creata a immagine e
somiglianza di Dio, voluta da Lui – per meri interessi personali ed egoistici,
utilitaristici.
Benedetto XVI, nell’omelia,
allo stadio Bentegodi di Verona ha affermato: «In un mondo che cambia, il
Vangelo non muta. La Buona Notizia resta sempre la stessa: Cristo è morto e
risorto per la nostra salvezza! Nel suo nome recate a tutti l’annuncio della
conversione e del perdono dei peccati, ma date voi primi testimonianza di una
vita convertita e perdonata… Andate! Portate il lieto annunzio ai poveri,
fasciate le piaghe dei cuori spezzati, proclamate la libertà degli schiavi, la
scarcerazione dei prigionieri, promulgate l’anno di misericordia del Signore (Cfr.
Is 61,1-2)… Sono tante le situazioni difficili che attendono un intervento
risolutore. Portate nel mondo la speranza di Dio che è Cristo Signore».
Un augurio per questo Natale
2006: l’Incarnazione del Figlio di Dio ci spinga a lasciar fiorire la speranza,
concretizzata nell’azione, poggiata sulla presenza e sull’azione di Lui. Ciò
porterà a vivere l’unico comandamento che concorda con tutte le culture e con le
autentiche motivazioni di fondo di tutte le religioni: quello dell’amore, che è
ricerca comune, è dialogo, è comprensione, è servizio gratuito.
Già lo scriveva san Paolo ai
cristiani di Efeso: «Vi esorto dunque io, prigioniero del Signore, a comportarvi
in maniera degna della vostra vocazione… Un solo corpo, un solo Spirito, come
una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra
vocazione».
La Redazione
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