Uno
sguardo sull’oggi
Natale
è alle porte e questo appuntamento annuale ci invita ancora una volta a
meditare sull’evento straordinario dell’incarnazione del Figlio di Dio.
Se
per un certo verso il cammino di fede porta il credente a rientrare in
se stesso, l’atmosfera che si respira orienta questo evento in piazza,
tra il frastuono, il rumore, la frenesia.
Gli
uomini e le donne del nostro tempo, occupati da mille cose, sembrano
avere perso la dimensione contemplativa della vita. C’è chi struttura il
tempo nella ricerca di qualcosa che lo soddisfi; chi, influenzato dal
relativismo, fuga le domande profonde; chi, per paura, non si coinvolge,
non cerca, non rischia.
L’individuo di oggi, che continua ad essere attratto contemporaneamente
da tanti idoli o dall’idolo di se stesso, vive, talvolta, il momento
presente in compagnia del vuoto esistenziale che reclama i suoi diritti.
Assetato di indipendenza, si libera di tutto: religione, tradizione,
autorità… Si erge soggetto e padrone del suo destino, artefice della sua
storia, riferimento e misura di se stesso e, quando si preoccupa di
nutrire solo l’immagine grandiosa di sé, non si accorge né di chi gli
sta intorno, né di ciò che sta oltre il sé.
Il
soggettivismo, l’onda delle emozioni, mentre rallentano il suo cammino
verso l’infinito, fanno perdere il contatto con la freschezza delle
sorgenti dell’umanità.
Nell’apparente scorrere della vita, si avverte, a volte, tutta la fatica
degli uomini e delle donne che non riescono a fermarsi, per guardare con
il cuore i frammenti e unificarli, per accogliere con gratitudine la
bellezza dell’umanità ricevuta in dono.
Fermiamoci alla grotta
Il
Bambino che nasce, si pone in mezzo alla ferialità di questi
avvenimenti. Molti lo conoscono, altri lo ignorano. Sembra che la
nascita del Bambino non parli più agli uomini e alle donne di oggi,
proprio ora che la paura e lo smarrimento vogliono prendere il
sopravvento. Infuria in tanti luoghi la guerra, vengono calpestati i
diritti fondamentali della persona e il creato con la sua bellezza viene
deturpato e sfruttato in modo irrazionale. L’umanità sembra perdere la
capacità di riconoscere la presenza di Dio nel mondo, poiché l’individuo
non riesce più a coltivare spazi di profonda interiorità.
È nel
silenzio che la persona individua i confini del terreno abitato dal
proprio io e rispetta quelli degli altri. È nel silenzio che impara a
credere al mistero che avvolge l’universo.
È nel
silenzio della solitudine che Dio si rivela al cuore della creatura
nuda, vulnerabile, a chi non ha cose da esibire, da dimostrare o da
difendere, si svela ai pastori che vegliano di notte e che sono avvolti
dalla gloria del Signore (Cfr. Lc 2,8-9).
È nel
silenzio che Dio ancora oggi si fa trovare in un bambino avvolto in
fasce, che giace in una mangiatoia.
È nel
silenzio che Dio continua a rispondere a chi continuamente cerca. È nel
silenzio che si fa trovare in un Bambino, un indifeso, tenero, venuto
nella povertà ad annunciare all’umanità solo l’amore del Padre.
Se in
questi giorni di festa la gente si lascia prendere da mille cose e il
grande assente sembra essere proprio Gesù Bambino, per il quale non c’è
posto e per cui si fa festa, forse è tempo di fermarsi davanti alla
grotta.
Guardando l’Emmanuele, in silenzio, ognuno può acquistare la
consapevolezza di se stesso come dono e come valore. Dallo stupore per
l’incarnazione del Figlio di Dio, nasce la capacità di risignificare le
azioni più piccole con gioia, con entusiasmo e di penetrare quelle
grandi con la semplicità di un bambino.
Entrando nella grotta, si può ritrovare in Gesù Bambino il coraggio di
osare, condizione per essere anche “una porta aperta a ogni estraneo”
(E. Mounier), a chi è emarginato, a chi è solo e rifiutato, a chi pensa
di non esistere per nessuno.
Partiamo dalla grotta
Il
fermarsi davanti all’Emmanuele, aiuta a entrare nel profondo di sé per
scoprire la capacità di tenerezza, di amore delicato, sensibile, non
possessivo, disarmato e disarmante.
La
fede nell’incarnazione del Figlio di Dio che «spogliò se stesso,
assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini» (Fil
2,7), porta la persona ad accogliere Dio nella sua vita con rinnovata
fedeltà.
«… e
il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14).
Nella grotta l’Emmanuele, il Bambino povero e indifeso, ha ancora
qualcosa da dire agli uomini e alle donne di questo tempo.
Accanto a lui vi sono anche Maria e Giuseppe che vivono l’esistenza come
risonanza del loro essere in Dio. Nella grotta ripropongono un nuovo
modo di essere vissuto nell’essenzialità, nella sobrietà e nella
semplicità, fondato sulla gratuità dell’amore e sulla certezza che
ognuno è accolto e amato dal Signore.
Nella
grotta non ci sono individui che lottano per raggiungere il potere o per
elemosinare consensi generalizzati attraverso il protagonismo e la
spettacolarità. Ci sono soltanto testimoni dell’amore che si donano
nella gratuità, persone che senza calcoli o attese realizzano la
chiamata del Signore.
La
grotta è aperta, non c’è sbarramento o difesa. Nella casa scelta da Dio
per il Figlio suo c’è posto per tutti. Ancora oggi gli uomini e le donne
di buona volontà possono far festa per il Natale del Signore, per la
presenza di Dio sulla terra, per l’ azione visibile dello Spirito in
ogni storia.
Solo
dopo aver adorato l’Emmanuele alla grotta di Betlemme, ciascuno può far
ritorno nel proprio ambiente, per portare la speranza agli smarriti di
cuore e comunicare loro la gioia del Natale.
Diana
Papa
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