n. 1
gennaio 2007

 

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LA VERGINITÀ CONSACRATA NELLA VIA PROFETICA DELLA SPERANZA
di Marcella Farina

 

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In queste brevi note voglio condividere l’esperienza di comunione ecclesiale vissuta nel IV Convegno Nazionale della Chiesa Italiana celebrato a Verona dal 16 al 20 ottobre, riservando una particolare attenzione al primo ambito, la vita affettiva, per il suo singolare riflesso nella verginità consacrata.

La riflessione è stata introdotta dalla relazione della prof.ssa Raffaella Iafrate1 e coinvolge l’intera comunità cristiana all’esercizio del discernimento per testimoniare la speranza che è Gesù risorto dandole piena cittadinanza nel mondo. Si parla di esercizio per sottolineare che il discernimento è un modo di essere, una qualità del nostro esserci nella storia, la via concreta che porta il Vangelo nella vita quotidiana.

Donne e uomini testimoni di speranza nella storia

Come essere uomini e donne che testimoniano nella storia la speranza?2 La risposta sta nel raccontare con la vita le grandi opere del Signore, secondo lo spirito del Magnificat. Maria che comprende se stessa, la sua missione, la storia intera ci è guida e maestra nella sequela di Gesù, è immagine perfetta della Chiesa, punto di riferimento di ogni vocazione. In questo narrare la Chiesa italiana mette sul candelabro, tra le esperienze profetiche di futuro, la vita consacrata. È un appello per le persone consacrate a lasciar trasparire dalla loro esistenza la forza dirompente della speranza cristiana, offrendo il proprio apporto nell’edificazione del popolo di Dio e nell’evangelizzazione del mondo.

La vita consacrata entra nei cinque ambiti come profezia di futuro, non in astratto, in modo teorico, ma per mezzo delle persone consacrate. Certo, essi "hanno una valenza antropologica che interpella ogni cristiano e ogni comunità ecclesiale […] per fare emergere un sentire e un pensare illuminato dalla luce del Vangelo".

L’ambito della vita affettiva ha una particolare incidenza perché riguarda la dimensione più elementare e permanente della persona nella sua interiorità e nel suo modo di relazionarsi con l’Altro, con gli altri, con l’universo. Essa, però, "subisce oggi un potente condizionamento in direzione di un superficiale emozionalismo, che ha spesso effetti disastrosi sulla verità delle relazioni. L’identità e la complementarietà sessuale, l’educazione dei sentimenti, la maternità/paternità, la famiglia e, più in generale, la dimensione affettiva delle relazioni sociali […], le varie forme di rappresentazione pubblica degli affetti hanno un grande bisogno di aprirsi alla speranza e quindi alla ricchezza della relazione, alla costruttività della generazione e del legame tra generazioni".3

Secondo l’approccio di una pastorale integrata, spesso richiamato nel convegno, l’ambito va rapportato agli altri quattro, valorizzando tre direttrici: missione, cultura, santità. È facile intuire come noi donne consacrate siamo interpellate personalmente e comunitariamente perché grazie al dono della verginità, dedichiamo al Signore e al suo Regno tutte le nostre forze di amore. Alcune domande della Traccia ci aiutano ad interrogarci, perché il nostro mondo affettivo sia sempre più e sempre più radicalmente evangelizzato.

Come integrare in modo autentico gli affetti nell’unità dell’esperienza razionale e morale? Questa prima domanda spinge a coniugare vita affettiva, razionalità e morale, di fronte ad una mentalità che spesso enfatizza l’emozione e l’edonismo, emarginando la ragione, la responsabilità etica, la scelta vocazionale. La verginità suppone questa integrazione e la approfondisce, perché si traduce nell’amare Dio con cuore indiviso e nel farsi carico del prossimo per suo amore. È, così, un luogo fertile in cui coniugare ragione e sentimento, affetto e istanza etica, realizzazione di sé e oblatività.

Quale considerazione ha nella comunità cristiana l’educazione a una vita affettiva secondo lo Spirito? Questa seconda domanda verte sull’educazione, perché la vita affettiva non è buona automaticamente, ma va educata, evangelizzata. L’interrogativo ci provoca nella concretezza del nostro cammino evangelico, perché a noi non mancano occasioni di formazione e autoformazione: ci chiama alla conversione nella vita quotidiana, oltrepassando la routine e l’abitudine, divenendo sempre più rivelazione dell’amore di Cristo.

Come aiutare a formulare un giudizio culturale e morale sulla mentalità corrente a riguardo della vita sessuale e sentimentale? Questa terza domanda orienta verso la capacità di discernimento per un giudizio culturale e morale sulla mentalità corrente. È una provocazione a verificare il nostro essere "nel" e non "del" mondo, a incarnare il Vangelo nella storia, a testimoniare che l’amore di Cristo nulla toglie a ciò che è genuinamente umano, ma lo purifica e lo qualifica, portandolo a pienezza. La verginità consacrata è come una segnaletica che indica la dimensione teologica della vita affettiva, il suo compimento nella carità.

Di quali aiuti ha bisogno la famiglia per tener desta la fedeltà alla sua vocazione? Questa quarta domanda fa interrogare sugli aiuti da offrire alla famiglia perché sia fedele alla sua vocazione oggi, in un contesto socio-culturale in cui rischia di essere oscurata nei suoi valori: La Chiesa è chiamata in causa, come comunione e comunità, ad accompagnare le coppie e le famiglie non limitando la sua azione educativa alla celebrazione del sacramento del matrimonio, ma divenendo sempre più luogo di ascolto, di affetto, di amicizia, di sollecitudine. La donna consacrata collabora nello svolgimento di questo compito ricordando con la vita che la sorgente dell’amore è Dio.

Dalle domande emerge costantemente la visione cristiana della persona umana, visione chiamata in causa costantemente nel Convegno di Verona. Il Papa, nel suo discorso, lo ha sottolineato: "Il Creatore del cielo e della terra, l'unico Dio che è la sorgente di ogni essere, questo unico Logos, questa ragione creatrice, sa amare personalmente l'uomo, anzi lo ama appassionatamente e vuole essere a sua volta amato da lui. Dà vita perciò a una storia d'amore con Israele, il suo popolo, e in questa vicenda, di fronte ai tradimenti del popolo, il suo amore si mostra ricco di inesauribile fedeltà e misericordia, è l'amore che perdona al di là di ogni limite. In Gesù Cristo un tale atteggiamento raggiunge la sua forma estrema, inaudita e drammatica".

La speranza profetica dell’umanesimo cristiano

Gesù Risorto, speranza del mondo, è la sorgente della testimonianza. Egli, l’immagine di Dio secondo la quale siamo creati, ci rivela il mistero di Dio e il nostro stesso mistero, due misteri che si richiamano reciprocamente. Ci rivela fino a che punto Dio è Amore, mistero di comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito. Ci rivela, contemporaneamente, fino a che punto la creatura umana è fatta per ricevere e donare amore, è chiamata a vivere l’unico comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. Nella sua persona, prima che nella sua missione, instaura un profondo e incancellabile rapporto fra Trinità e umanità, non in astratto, ma nella concreta esistenza umana.

Nella sua vita terrena ha vissuto una vita affettiva pienamente umana. In lui la Trinità effonde il suo infinito amore attraverso il cuore umano il quale, così, diventa capace di amare "fino alla fine", nella misericordia senza limiti. Con la sua scelta di vita celibataria ha dato origine a una nuova parentela nella fede; ha edificato la nuova famiglia dei figli di Dio non fondata "sulla carne e sul sangue", ma nella grazia, nel compimento della volontà del Padre. Indica, così, che ogni vocazione all’amore si comprende dentro il suo mistero, dentro il suo amore verginale che giunge fino al dono totale di sé.

La vita teologale, la partecipazione alla stessa vita divina, non cammina parallela all’esperienza umana, ma si radica in essa e la conduce a pienezza, proprio in virtù dell’Incarnazione. Gesù, infatti, richiama e compie il principio di creazione, riportando alle origini l’amore umano deviato dal cuore duro, degenerato dal peccato (cf Gn 1-3). Un esempio eloquente sono le controversie di Gesù: sulla indissolubilità del matrimonio (Mc 10,1-12), sul celibato per il Regno (Mt 19,10-12), sul tributo a Cesare (Mc 12,13-17), sulla resurrezione (Mc 12,18-27). Egli chiede ai suoi discepoli l’amore con cuore indiviso. Non è semplicemente un imperativo morale. È una grazia. Un dono inestimabile. C’insegna che la pienezza di umanità sta nell’integrità del cuore e della vita, resa possibile dal suo amore.

Nella via dell’amore vi sono alcuni che lo seguono condividendo la sua scelta di vita celibataria. La condividono anche le donne (Lc 8,1-2). Così, fin dalle origini, nella Chiesa vi sono le "vergini", che nei secoli avranno una genealogia ricchissima di carismi e di fecondità di opere evangeliche. Risplende fra tutte, come punto di riferimento per ogni vocazione, la Vergine Maria, Madre di Gesù e Madre della Chiesa. È icona della Chiesa nella sua verginità, sponsalità, maternità. È importante proclamare questo messaggio antropologico che scaturisce da Gesù, il Crocifisso Risorto, soprattutto oggi, in un contesto secolarizzato, impoverito di valori trascendenti.

Benedetto XVI, da teologo, ha sottolineato come la svolta di civiltà attuale può dare consistenza alla pacifica convivenza superando il vivere moralmente, come se Dio non esistesse, con il vivere mettendo in conto l’esistenza di Dio. Ha invitato, così, gli atei a vivere davanti a Dio, per sperimentare la ricchezza di significato che ne deriva per la propria esistenza nel mondo. Alcuni hanno accolto questa sua sfida.4

Il Figlio di Dio nel mistero dell’incarnazione della sua vicenda terrestre e della sua Pasqua apre orizzonti di senso inimmaginabili all’esistenza umana in tutte le sue espressioni, in tutti le fasi del suo sviluppo. L’essere concepito da Maria Vergine per opera dello Spirito Santo, i trent’anni della vita nascosta, il pellegrinare per il Regno, il compimento della sua vicenda terrena nella Pasqua costituiscono il contesto vitale, l’humus fecondo in cui la nostra vita acquista senso, redenzione, salvezza. Egli rischiara le nostre tenebre attraverso la sua concreta umanità glorificata nella resurrezione e ci dona la vita nuova, trasformando la nostra terra in cieli nuovi e terra nuova.

Quando la sofferenza ci pesa come un macigno e si sembra assurda e sorgono insistenti le domande: "Perché il dolore? Perché la morte dell’innocente? Perché il giusto perseguitato e ucciso? Ma Dio dov’è?". La risposta è Gesù Cristo che accoglie e vive la sofferenza, persino quella ingiusta e umiliante, la morte di croce, come luogo di misericordia in cui la sua vita donata genera vita. Guardando il Crocifisso con gli occhi rinnovati dalla sua grazia possiamo esclamare: Ave Crux spes unica! Non la croce salva, ma la Croce di Cristo. Misteriosamente egli è accanto a chiunque soffre per la verità, la giustizia, la libertà. La sua resurrezione è la sorgente di questa fecondità: risorge da morte come primizia della nuova creazione, come primogenito dei fratelli chiamati a formare la Famiglia di Dio.

Non è semplicemente affermare l’immortalità dell’anima, ma è proclamare il dono della vita nuova in cui il nostro corpo è trasfigurato e glorificato. Quale dignità ha il corpo per il fatto che è stato assunto dallo stesso Figlio di Dio per portare al mondo la salvezza! Quale dignità dal fatto che l’Eucaristia è mistero di comunione mediante il suo corpo e il suo sangue! Quale dignità l’essere creati a immagine di Dio in Lui!

Nel Convegno un delegato ha affermato: "Non dobbiamo vergognarci di vivere e proclamare l’antropologia cristiana; dobbiamo darle cittadinanza nel mondo contemporaneo". È l’invito a valorizzare la ricchezza dell’umanesimo evangelico con le sue valenze profetiche, la sua novità, la sua forza dirompente, esplicitandolo a livello di consapevolezza e traducendolo in prassi". Un altro delegato ha detto: "Dobbiamo annunciare e testimoniare Gesù risorto dentro l’antropologia del limite, introdurre nella nostra vita affettiva la dimensione escatologica della speranza, proclamare la speranza del Cielo nei limiti della terra, ponendo nel limite i semi dell’eternità".

Di fronte ad una mentalità che esalta il complesso di orgoglio di onniscienza e onnipotenza e nasconde in modo ideologico, con spirito di menzogna, il senso della creaturalità, della precarietà e fragilità umane, i cristiani testimoniano la speranza proprio nella realtà creaturale fragile salvata dal Signore. In questa direzione siamo interpellate a testimoniare nella nostra esistenza la dimensione escatologica dell’affettività nell’amore oblativo, superando le molteplici e riduttive forme di narcisismo che insidiano il nostro quotidiano, in quella fedeltà all’amore e nell’amore che sorge dalla Croce di Cristo.

Quale la nostra profezia nel richiamare dentro il quotidiano i beni futuri? Non basta proclamarlo. Bisogna viverlo e testimoniarlo. In quanto donne siamo interpellate a testimoniarlo con la nostra femminilità. La sessualità umana dalla mentalità corrente viene spesso ridotta alla dimensione fisio-biologica, rimuovendo o emarginando quella spirituale che indica la vocazione all’amore, il superamento dell’individualismo e dell’egocentrismo. È richiamo al "non è bene che l’uomo sia solo" (Gn 2,18), ad uscire dall’isolamento che è in contraddizione al principio di creazione. La persona umana è fatta a immagine di Dio: soggetto, "tu" rivolto a un altro "tu" nel "noi". È creata a immagine della Trinità.

Giovanni Paolo II nella Mulieris dignitatem ha offerto contenuti e prospettive che andrebbero ripensate e condivise per promuovere una nuova consapevolezza circa l’antropologia del maschile e del femminile di fronte a una certa cultura monosessista. Benedetto XVI nella sua enciclica richiama questi contenuti proprio considerando la vita affettiva e la sua tensione verso la carità. ""Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui" (1Gv 4,16). Queste parole della Prima Lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l'immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell'uomo e del suo cammino. Inoltre, in questo stesso versetto, Giovanni ci offre per così dire una formula sintetica dell'esistenza cristiana: "Noi abbiamo riconosciuto l'amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto". Abbiamo creduto all'amore di Dio, così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita. All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva. Nel suo Vangelo Giovanni aveva espresso quest'avvenimento con le seguenti parole: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna" (3,16)" (Deus caritas est 1).

La vita affettiva nel suo dinamismo verso l’amore

L’affettività non è un dato fissato una volta per sempre, è un dono divino offerto alla creatura umana, perché lo gestisca e lo porti a pienezza, attraverso scelte buone, finalizzate alla crescita nell’amore. L’affetto non è una semplice reazione emotiva. È un sentire interiore, una percezione spirituale che domanda di essere liberata, condotta all’amore, alla definitività del dono di sé. In quanto è finalizzato alla pienezza di vita si rapporta alla bellezza, genera benessere, dà felicità. Nello stesso tempo richiama la sofferenza: non esiste crescita umana senza dolore, senza riconoscere la propria e altrui creaturalità, senza accettare la propria e altrui debolezza, senza delimitare l’onnipotenza del desiderio, senza mettere in conto il conflitto e le contraddizioni.

L’affettività ha un processo peculiare di crescita che comporta paziente attesa, attenzione, rispetto, discrezione, riserbo, pudore. Evita la spettacolarizzazione e l’ostentazione dei sentimenti; non cede a forme di ricatto e di manipolazione. Implica la responsabilità personale e la promuove negli altri. Non matura spontaneamente, per automatismi. Interpella la libertà. Invoca una presenza educativa fatta di amorevolezza, cioè di amore tradotto in dimensione educativa, capace di mediare e trasmettere i valori con una particolare sensibilità per i tempi e le situazioni di vita. Ha bisogno di rapporto interpersonale, di confronto con persone significative che propongano, non impongano, non cedano al moralismo e portino dal tu devi al tu puoi. L’affettività è aperta al futuro, ad una storia di fedeltà, quindi alla scoperta e accoglienza della vita come vocazione. Questa si traduce in forme specifiche molteplici che, se genuine, portano alla comunione, alla sintonia.

Oggi possiamo constatare anche il risvolto negativo dell’ambito affettivo: la sua banalizzazione nell’erotismo provoca una crescente paura nelle e delle relazioni affettive durature. Non raramente coloro che ostentano sicurezza nel loro individualismo nascondono una grande fragilità relazionale, una difficoltà a intessere rapporti significativi e fedeli. Vi è chi si rifugia nel lavoro, o si arresta in modo narcisistico al legame affettivo materno, oppure è preso da un senso d’angoscia che lo chiude nella passività fatalistica. La paura ostacola il riconoscimento dell’altro nella sua alterità e nel suo valore singolare e unico.

Il mondo giovanile nel campo affettivo è particolarmente vulnerabile; va accompagnato perché possa percorrere in maniera positiva il cammino di crescita dell’affettività all’amore oblativo. La Chiesa, con la famiglia, è il luogo favorevole per maturare negli affetti aprendoli all’amore e alla carità. Non lo è automaticamente. Lo è nella misura in cui si lascia convertire dal Signore e si fa spazio di accoglienza. Lasciandosi evangelizzare da Gesù, diventa evangelizzatrice anche e soprattutto lì dove i sentimenti sono feriti dalla sopraffazione, dal tradimento, dall’abbandono, dalla burocrazia dei rapporti, dalla stanchezza e dalla routine, costruendo relazioni buone, costruttive, non seduttive.

Nella Chiesa, soprattutto gli adulti dovrebbero testimoniare un modo maturo di gestire gli affetti, non fidandosi delle proprie forze, come se fossero già arrivati alla meta, ma assumendo la propria vita affettiva, gestendola e orientandola nell’amore fedele secondo la logica evangelica, con l’aiuto della grazia. In questo cammino devono costruirsi come personalità equilibrate, serene, capaci di discernimento, di ascolto, di rapporti fraterni e amorevoli. Vivendo di amore, diventano punti di riferimento per le nuove generazioni.

Le persone consacrate si inseriscono in questo cammino ecclesiale proprio per un particolare riferimento all’ambito degli affetti. Infatti con la loro vita, dedicando a Lui e al suo Regno tutte le proprie forze di amore, testimoniano che ogni vocazione è accoglienza della carità di Dio e risposta a Lui nel servizio degli altri. Esse ricordano la sorgente teologale dell’amore soprattutto attraverso la verginità che richiama quella verginità del cuore e degli affetti che nasce e si alimenta dell’intima e feconda comunione con il Signore.

È il senso della triade simbolica verginità-sponsalità-maternità/paternità spirituali che qualifica la loro scelta di vita. È sempre l’amore-carità alla base, l’amore-carità che il Signore effonde nei nostri cuori perché lo irradiamo nel mondo per la speranza di tutti. L’Eucaristia è il centro, la sorgente di questo amore.

Don Bosco ha educato i ragazzi e i giovani, proprio nella fase della vita in cui il mondo degli affetti esplode e richiede una riorganizzazione, indicando anche con l’esempio la fonte di vita che è la Comunione, quindi la Confessione e la tenera devozione alla Madre di Dio. L’indicazione vale non solo per i ragazzi e i giovani, ma per ogni cristiano.

Marcella Farina
Pontificia Facoltà Auxilium
Via Cremolino, 141 - 00166 Roma


1. Il sito www.convegnoverona.it  contiene il materiale del Convegno, quindi anche la relazione di Raffaella Iafrate.

2. Testimoni di Gesù risorto speranza del mondo, n. 10.

3. Ivi n. 15.

4. Cf M. Pera–J. Ratzinger, Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, islam, Milano, Mondatori 2004; J. Ratzinger, L’Europa di Benedetto nella crisi delle culture, Libreria Editrice Vaticana-Edizioni Cantagalli, Roma-Siena 2005.

 

 

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