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In
queste brevi note voglio condividere l’esperienza di comunione
ecclesiale vissuta nel IV Convegno Nazionale della Chiesa Italiana
celebrato a Verona dal 16 al 20 ottobre, riservando una particolare
attenzione al primo ambito, la vita affettiva, per il suo
singolare riflesso nella verginità consacrata.
La riflessione è stata
introdotta dalla relazione della prof.ssa Raffaella Iafrate1
e coinvolge l’intera comunità cristiana all’esercizio del
discernimento per testimoniare la speranza che è Gesù
risorto dandole piena cittadinanza nel mondo. Si parla di esercizio
per sottolineare che il discernimento è un modo di essere, una qualità
del nostro esserci nella storia, la via concreta che porta il
Vangelo nella vita quotidiana.
Donne e
uomini testimoni di speranza nella storia
Come essere uomini e
donne che testimoniano nella storia la speranza?2
La risposta sta nel raccontare con la vita le grandi opere del
Signore, secondo lo spirito del Magnificat. Maria che comprende
se stessa, la sua missione, la storia intera ci è guida e maestra nella
sequela di Gesù, è immagine perfetta della Chiesa, punto di
riferimento di ogni vocazione. In questo narrare la Chiesa italiana
mette sul candelabro, tra le esperienze profetiche di futuro, la
vita consacrata. È un appello per le persone consacrate a lasciar
trasparire dalla loro esistenza la forza dirompente della speranza
cristiana, offrendo il proprio apporto nell’edificazione del popolo di
Dio e nell’evangelizzazione del mondo.
La vita consacrata
entra nei cinque ambiti come profezia di futuro, non in astratto, in
modo teorico, ma per mezzo delle persone consacrate. Certo, essi
"hanno una valenza antropologica che interpella ogni cristiano e
ogni comunità ecclesiale […] per fare emergere un sentire e un
pensare illuminato dalla luce del Vangelo".
L’ambito della vita
affettiva ha una particolare incidenza perché riguarda la dimensione
più elementare e permanente della persona nella sua interiorità e nel
suo modo di relazionarsi con l’Altro, con gli altri, con l’universo.
Essa, però, "subisce oggi un potente condizionamento in direzione
di un superficiale emozionalismo, che ha spesso effetti disastrosi sulla
verità delle relazioni. L’identità e la complementarietà sessuale,
l’educazione dei sentimenti, la maternità/paternità, la famiglia e,
più in generale, la dimensione affettiva delle relazioni sociali […],
le varie forme di rappresentazione pubblica degli affetti hanno un
grande bisogno di aprirsi alla speranza e quindi alla ricchezza della
relazione, alla costruttività della generazione e del legame tra
generazioni".3
Secondo l’approccio
di una pastorale integrata, spesso richiamato nel convegno, l’ambito
va rapportato agli altri quattro, valorizzando tre direttrici: missione,
cultura, santità. È facile intuire come noi donne consacrate siamo
interpellate personalmente e comunitariamente perché grazie al dono
della verginità, dedichiamo al Signore e al suo Regno tutte le nostre
forze di amore. Alcune domande della Traccia ci aiutano ad interrogarci,
perché il nostro mondo affettivo sia sempre più e sempre più
radicalmente evangelizzato.
Come integrare in modo
autentico gli affetti nell’unità dell’esperienza razionale e
morale? Questa prima domanda
spinge a coniugare vita affettiva, razionalità e morale, di fronte ad
una mentalità che spesso enfatizza l’emozione e l’edonismo,
emarginando la ragione, la responsabilità etica, la scelta vocazionale.
La verginità suppone questa integrazione e la approfondisce, perché si
traduce nell’amare Dio con cuore indiviso e nel farsi carico del
prossimo per suo amore. È, così, un luogo fertile in cui coniugare
ragione e sentimento, affetto e istanza etica, realizzazione di sé e
oblatività.
Quale considerazione ha
nella comunità cristiana l’educazione a una vita affettiva secondo lo
Spirito? Questa seconda domanda
verte sull’educazione, perché la vita affettiva non è buona
automaticamente, ma va educata, evangelizzata. L’interrogativo ci
provoca nella concretezza del nostro cammino evangelico, perché a noi
non mancano occasioni di formazione e autoformazione: ci chiama alla
conversione nella vita quotidiana, oltrepassando la routine e l’abitudine,
divenendo sempre più rivelazione dell’amore di Cristo.
Come aiutare a
formulare un giudizio culturale e morale sulla mentalità corrente a
riguardo della vita sessuale e sentimentale? Questa
terza domanda orienta verso la capacità di discernimento per un
giudizio culturale e morale sulla mentalità corrente. È una
provocazione a verificare il nostro essere "nel" e non
"del" mondo, a incarnare il Vangelo nella storia, a
testimoniare che l’amore di Cristo nulla toglie a ciò che è
genuinamente umano, ma lo purifica e lo qualifica, portandolo a
pienezza. La verginità consacrata è come una segnaletica che indica la
dimensione teologica della vita affettiva, il suo compimento nella
carità.
Di quali aiuti ha
bisogno la famiglia per tener desta la fedeltà alla sua vocazione?
Questa quarta domanda fa interrogare sugli aiuti da offrire alla
famiglia perché sia fedele alla sua vocazione oggi, in un contesto
socio-culturale in cui rischia di essere oscurata nei suoi valori: La
Chiesa è chiamata in causa, come comunione e comunità, ad accompagnare
le coppie e le famiglie non limitando la sua azione educativa alla
celebrazione del sacramento del matrimonio, ma divenendo sempre più
luogo di ascolto, di affetto, di amicizia, di sollecitudine. La donna
consacrata collabora nello svolgimento di questo compito ricordando con
la vita che la sorgente dell’amore è Dio.
Dalle domande emerge
costantemente la visione cristiana della persona umana, visione chiamata
in causa costantemente nel Convegno di Verona. Il Papa, nel suo
discorso, lo ha sottolineato: "Il Creatore del cielo e della terra,
l'unico Dio che è la sorgente di ogni essere, questo unico Logos,
questa ragione creatrice, sa amare personalmente l'uomo, anzi lo ama
appassionatamente e vuole essere a sua volta amato da lui. Dà vita
perciò a una storia d'amore con Israele, il suo popolo, e in questa
vicenda, di fronte ai tradimenti del popolo, il suo amore si mostra
ricco di inesauribile fedeltà e misericordia, è l'amore che perdona al
di là di ogni limite. In Gesù Cristo un tale atteggiamento raggiunge
la sua forma estrema, inaudita e drammatica".
La
speranza profetica dell’umanesimo cristiano
Gesù Risorto, speranza
del mondo, è la sorgente della testimonianza. Egli, l’immagine di Dio
secondo la quale siamo creati, ci rivela il mistero di Dio e il nostro
stesso mistero, due misteri che si richiamano reciprocamente. Ci rivela
fino a che punto Dio è Amore, mistero di comunione del Padre, del
Figlio e dello Spirito. Ci rivela, contemporaneamente, fino a che punto
la creatura umana è fatta per ricevere e donare amore, è chiamata a
vivere l’unico comandamento dell’amore di Dio e del prossimo. Nella
sua persona, prima che nella sua missione, instaura un profondo e
incancellabile rapporto fra Trinità e umanità, non in astratto, ma
nella concreta esistenza umana.
Nella sua vita terrena
ha vissuto una vita affettiva pienamente umana. In lui la Trinità
effonde il suo infinito amore attraverso il cuore umano il quale, così,
diventa capace di amare "fino alla fine", nella misericordia
senza limiti. Con la sua scelta di vita celibataria ha dato origine a
una nuova parentela nella fede; ha edificato la nuova famiglia dei figli
di Dio non fondata "sulla carne e sul sangue", ma nella
grazia, nel compimento della volontà del Padre. Indica, così, che ogni
vocazione all’amore si comprende dentro il suo mistero, dentro il suo
amore verginale che giunge fino al dono totale di sé.
La vita teologale, la
partecipazione alla stessa vita divina, non cammina parallela all’esperienza
umana, ma si radica in essa e la conduce a pienezza, proprio in virtù
dell’Incarnazione. Gesù, infatti, richiama e compie il principio
di creazione, riportando alle origini l’amore umano deviato dal
cuore duro, degenerato dal peccato (cf Gn 1-3). Un esempio eloquente
sono le controversie di Gesù: sulla indissolubilità del matrimonio (Mc
10,1-12), sul celibato per il Regno (Mt 19,10-12), sul tributo a Cesare
(Mc 12,13-17), sulla resurrezione (Mc 12,18-27). Egli chiede ai suoi
discepoli l’amore con cuore indiviso. Non è semplicemente un
imperativo morale. È una grazia. Un dono inestimabile. C’insegna che
la pienezza di umanità sta nell’integrità del cuore e della vita,
resa possibile dal suo amore.
Nella via dell’amore
vi sono alcuni che lo seguono condividendo la sua scelta di vita
celibataria. La condividono anche le donne (Lc 8,1-2). Così, fin dalle
origini, nella Chiesa vi sono le "vergini", che nei secoli
avranno una genealogia ricchissima di carismi e di fecondità di opere
evangeliche. Risplende fra tutte, come punto di riferimento per ogni
vocazione, la Vergine Maria, Madre di Gesù e Madre della Chiesa. È
icona della Chiesa nella sua verginità, sponsalità, maternità. È
importante proclamare questo messaggio antropologico che scaturisce da
Gesù, il Crocifisso Risorto, soprattutto oggi, in un contesto
secolarizzato, impoverito di valori trascendenti.
Benedetto XVI, da
teologo, ha sottolineato come la svolta di civiltà attuale può dare
consistenza alla pacifica convivenza superando il vivere moralmente,
come se Dio non esistesse, con il vivere mettendo in conto l’esistenza
di Dio. Ha invitato, così, gli atei a vivere davanti a Dio, per
sperimentare la ricchezza di significato che ne deriva per la propria
esistenza nel mondo. Alcuni hanno accolto questa sua sfida.4
Il Figlio di Dio nel
mistero dell’incarnazione della sua vicenda terrestre e della sua
Pasqua apre orizzonti di senso inimmaginabili all’esistenza umana in
tutte le sue espressioni, in tutti le fasi del suo sviluppo. L’essere
concepito da Maria Vergine per opera dello Spirito Santo, i trent’anni
della vita nascosta, il pellegrinare per il Regno, il compimento della
sua vicenda terrena nella Pasqua costituiscono il contesto vitale, l’humus
fecondo in cui la nostra vita acquista senso, redenzione, salvezza. Egli
rischiara le nostre tenebre attraverso la sua concreta umanità
glorificata nella resurrezione e ci dona la vita nuova, trasformando la
nostra terra in cieli nuovi e terra nuova.
Quando la sofferenza ci
pesa come un macigno e si sembra assurda e sorgono insistenti le
domande: "Perché il dolore? Perché la morte dell’innocente?
Perché il giusto perseguitato e ucciso? Ma Dio dov’è?". La
risposta è Gesù Cristo che accoglie e vive la sofferenza, persino
quella ingiusta e umiliante, la morte di croce, come luogo di
misericordia in cui la sua vita donata genera vita. Guardando il
Crocifisso con gli occhi rinnovati dalla sua grazia possiamo esclamare: Ave
Crux spes unica! Non la croce salva, ma la Croce di Cristo.
Misteriosamente egli è accanto a chiunque soffre per la verità, la
giustizia, la libertà. La sua resurrezione è la sorgente di questa
fecondità: risorge da morte come primizia della nuova creazione, come
primogenito dei fratelli chiamati a formare la Famiglia di Dio.
Non è semplicemente
affermare l’immortalità dell’anima, ma è proclamare il dono della
vita nuova in cui il nostro corpo è trasfigurato e glorificato. Quale
dignità ha il corpo per il fatto che è stato assunto dallo stesso
Figlio di Dio per portare al mondo la salvezza! Quale dignità dal fatto
che l’Eucaristia è mistero di comunione mediante il suo corpo e il
suo sangue! Quale dignità l’essere creati a immagine di Dio in Lui!
Nel Convegno un
delegato ha affermato: "Non dobbiamo vergognarci di vivere e
proclamare l’antropologia cristiana; dobbiamo darle cittadinanza nel
mondo contemporaneo". È l’invito a valorizzare la ricchezza dell’umanesimo
evangelico con le sue valenze profetiche, la sua novità, la sua forza
dirompente, esplicitandolo a livello di consapevolezza e traducendolo in
prassi". Un altro delegato ha detto: "Dobbiamo annunciare e
testimoniare Gesù risorto dentro l’antropologia del limite,
introdurre nella nostra vita affettiva la dimensione escatologica della
speranza, proclamare la speranza del Cielo nei limiti della terra,
ponendo nel limite i semi dell’eternità".
Di fronte ad una
mentalità che esalta il complesso di orgoglio di onniscienza e
onnipotenza e nasconde in modo ideologico, con spirito di menzogna, il
senso della creaturalità, della precarietà e fragilità umane, i
cristiani testimoniano la speranza proprio nella realtà creaturale
fragile salvata dal Signore. In questa direzione siamo interpellate a
testimoniare nella nostra esistenza la dimensione escatologica dell’affettività
nell’amore oblativo, superando le molteplici e riduttive forme di
narcisismo che insidiano il nostro quotidiano, in quella fedeltà all’amore
e nell’amore che sorge dalla Croce di Cristo.
Quale la nostra
profezia nel richiamare dentro il quotidiano i beni futuri?
Non basta proclamarlo. Bisogna viverlo e testimoniarlo. In quanto donne
siamo interpellate a testimoniarlo con la nostra femminilità. La sessualità
umana dalla mentalità corrente viene spesso ridotta alla dimensione
fisio-biologica, rimuovendo o emarginando quella spirituale che indica
la vocazione all’amore, il superamento dell’individualismo e dell’egocentrismo.
È richiamo al "non è bene che l’uomo sia solo" (Gn 2,18),
ad uscire dall’isolamento che è in contraddizione al principio di
creazione. La persona umana è fatta a immagine di Dio: soggetto,
"tu" rivolto a un altro "tu" nel "noi". È
creata a immagine della Trinità.
Giovanni Paolo II nella
Mulieris dignitatem ha offerto contenuti e prospettive che
andrebbero ripensate e condivise per promuovere una nuova consapevolezza
circa l’antropologia del maschile e del femminile di fronte a una
certa cultura monosessista. Benedetto XVI nella sua enciclica richiama
questi contenuti proprio considerando la vita affettiva e la sua
tensione verso la carità. ""Dio è amore; chi sta
nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui" (1Gv
4,16). Queste parole della Prima Lettera di Giovanni
esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana:
l'immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell'uomo e
del suo cammino. Inoltre, in questo stesso versetto, Giovanni ci offre
per così dire una formula sintetica dell'esistenza cristiana: "Noi
abbiamo riconosciuto l'amore che Dio ha per noi e vi abbiamo
creduto". Abbiamo creduto all'amore di Dio, così il
cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita.
All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una
grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che
dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva. Nel
suo Vangelo Giovanni aveva espresso quest'avvenimento con le seguenti
parole: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio
unigenito, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna"
(3,16)" (Deus caritas est 1).
La vita
affettiva nel suo dinamismo verso l’amore
L’affettività non è
un dato fissato una volta per sempre, è un dono divino offerto alla
creatura umana, perché lo gestisca e lo porti a pienezza, attraverso
scelte buone, finalizzate alla crescita nell’amore. L’affetto
non è una semplice reazione emotiva. È un sentire interiore, una
percezione spirituale che domanda di essere liberata, condotta all’amore,
alla definitività del dono di sé. In quanto è finalizzato alla
pienezza di vita si rapporta alla bellezza, genera benessere, dà
felicità. Nello stesso tempo richiama la sofferenza: non esiste
crescita umana senza dolore, senza riconoscere la propria e altrui
creaturalità, senza accettare la propria e altrui debolezza, senza
delimitare l’onnipotenza del desiderio, senza mettere in conto il
conflitto e le contraddizioni.
L’affettività ha un
processo peculiare di crescita che comporta paziente attesa, attenzione,
rispetto, discrezione, riserbo, pudore. Evita la spettacolarizzazione e
l’ostentazione dei sentimenti; non cede a forme di ricatto e di
manipolazione. Implica la responsabilità personale e la promuove negli
altri. Non matura spontaneamente, per automatismi. Interpella la
libertà. Invoca una presenza educativa fatta di amorevolezza, cioè di
amore tradotto in dimensione educativa, capace di mediare e trasmettere
i valori con una particolare sensibilità per i tempi e le situazioni di
vita. Ha bisogno di rapporto interpersonale, di confronto con persone
significative che propongano, non impongano, non cedano al moralismo e
portino dal tu devi al tu puoi. L’affettività è aperta
al futuro, ad una storia di fedeltà, quindi alla scoperta e accoglienza
della vita come vocazione. Questa si traduce in forme specifiche
molteplici che, se genuine, portano alla comunione, alla sintonia.
Oggi possiamo
constatare anche il risvolto negativo dell’ambito affettivo: la sua
banalizzazione nell’erotismo provoca una crescente paura nelle
e delle relazioni affettive durature. Non raramente coloro che ostentano
sicurezza nel loro individualismo nascondono una grande fragilità
relazionale, una difficoltà a intessere rapporti significativi e
fedeli. Vi è chi si rifugia nel lavoro, o si arresta in modo
narcisistico al legame affettivo materno, oppure è preso da un senso d’angoscia
che lo chiude nella passività fatalistica. La paura ostacola il
riconoscimento dell’altro nella sua alterità e nel suo valore
singolare e unico.
Il mondo giovanile
nel campo affettivo è particolarmente vulnerabile; va accompagnato
perché possa percorrere in maniera positiva il cammino di crescita dell’affettività
all’amore oblativo. La Chiesa, con la famiglia, è il luogo
favorevole per maturare negli affetti aprendoli all’amore e alla
carità. Non lo è automaticamente. Lo è nella misura in cui si lascia
convertire dal Signore e si fa spazio di accoglienza. Lasciandosi
evangelizzare da Gesù, diventa evangelizzatrice anche e soprattutto lì
dove i sentimenti sono feriti dalla sopraffazione, dal tradimento, dall’abbandono,
dalla burocrazia dei rapporti, dalla stanchezza e dalla routine,
costruendo relazioni buone, costruttive, non seduttive.
Nella Chiesa,
soprattutto gli adulti dovrebbero testimoniare un modo maturo di
gestire gli affetti, non fidandosi delle proprie forze, come se fossero
già arrivati alla meta, ma assumendo la propria vita affettiva,
gestendola e orientandola nell’amore fedele secondo la logica
evangelica, con l’aiuto della grazia. In questo cammino devono
costruirsi come personalità equilibrate, serene, capaci di
discernimento, di ascolto, di rapporti fraterni e amorevoli. Vivendo di
amore, diventano punti di riferimento per le nuove generazioni.
Le persone
consacrate si inseriscono in questo cammino ecclesiale proprio per
un particolare riferimento all’ambito degli affetti. Infatti con la
loro vita, dedicando a Lui e al suo Regno tutte le proprie forze di
amore, testimoniano che ogni vocazione è accoglienza della carità di
Dio e risposta a Lui nel servizio degli altri. Esse ricordano la
sorgente teologale dell’amore soprattutto attraverso la verginità che
richiama quella verginità del cuore e degli affetti che nasce e si
alimenta dell’intima e feconda comunione con il Signore.
È il senso della
triade simbolica verginità-sponsalità-maternità/paternità spirituali
che qualifica la loro scelta di vita. È sempre l’amore-carità alla
base, l’amore-carità che il Signore effonde nei nostri cuori perché
lo irradiamo nel mondo per la speranza di tutti. L’Eucaristia è il
centro, la sorgente di questo amore.
Don Bosco ha educato i
ragazzi e i giovani, proprio nella fase della vita in cui il mondo degli
affetti esplode e richiede una riorganizzazione, indicando anche con l’esempio
la fonte di vita che è la Comunione, quindi la Confessione e la tenera
devozione alla Madre di Dio. L’indicazione vale non solo per i ragazzi
e i giovani, ma per ogni cristiano.
Marcella Farina
Pontificia Facoltà Auxilium
Via Cremolino, 141 - 00166 Roma
1.
Il sito www.convegnoverona.it
contiene il materiale del Convegno, quindi anche la relazione di
Raffaella Iafrate.
2.
Testimoni di Gesù risorto speranza del mondo,
n. 10.
3.
Ivi n. 15.
4.
Cf M. Pera–J. Ratzinger, Senza radici. Europa, relativismo,
cristianesimo, islam, Milano, Mondatori 2004; J. Ratzinger, L’Europa
di Benedetto nella crisi delle culture, Libreria Editrice
Vaticana-Edizioni Cantagalli, Roma-Siena 2005.
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