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Perché vivere? Che senso ha la
vita? La riflessione di Luigi Santucci, in apertura al noto volume Il vizio di
vivere di Rosanna Benzi, la donna che dal 21 marzo 1962 (aveva 13 anni), al 4
febbraio 1991 - è rimasta immobile in un polmone d’acciaio, mi sembra
illuminante in proposito. «Tutta la sapienza (è la “lezione” di lei) si riassume
in una parola: la vita. “Forse qualcuno può scegliere la morte, io scelgo la
vita, sempre”. E “vita” per Rosanna non è già un sopravvivere scommettitario,
più o meno ingordo o stoico o teatralmente eroico. È invece un vivere come
regina, un regnare. Il suo “polmone d’acciaio” diventa allora un trono».
Oggi, in verità, la forte
domanda per una cultura di vita, che è sinonimo di gioia, festa, dono,
comunione, amore, contrasta con la mostruosa ostensione di violenza, che è la
negazione di ogni convivenza e del futuro stesso dell’umanità. Nella nostra
epoca si sono fatti progressi straordinari per salvare ad ogni costo la vita,
per prolungarla, per promuoverne una migliore qualità. Nello stesso tempo si
constata una diffusa insensibilità di fronte all’eliminazione di milioni di
persone alle quali non si riconosce alcun valore, allo spreco di esistenze umane
buttate via banalmente, al disprezzo e al disinteresse verso vite ignorate,
oltraggiate o sfruttate.
Dai mass-media apprendiamo con
ammirazione le notizie di gesti eroici per salvare una vita. Questi episodi
pubblicizzati non sono che il richiamo ai mille miracoli che si compiono nel
silenzio di tante case, dove uomini e donne rinnovano ogni giorno il miracolo
del rispetto, della protezione e della promozione della vita. Gli stessi mezzi
di comunicazione sociale, d’altra parte, ci documentano ogni giorno la terribile
realtà di vite violate, massacrate, distrutte. Il singolo credente, le comunità
cristiane, le persone consacrate soprattutto, come possono favorire, farsi
promotrici e custodi di ogni forma di vita? In particolare, quale messaggio di
vita deve comunicare e testimoniare chi è alla sequela del «Signore della vita»
e nutre verso di lui un rapporto di amore sponsale?
Alla luce della parola di Dio
sappiamo che ogni vita porta in sé l’impronta dell’amore di chi l’ha creata e
salvata. Ogni vita riflette, anche se talvolta in modo deformato, l’immagine di
Dio, «amante della vita» (Sap 11,26), che Cristo è venuto a restituire allo
splendore della primitiva somiglianza. La vita non è una proprietà da possedere
egoisticamente, ma un dono da accogliere con riconoscenza; non è un gioco
arbitrario, ma un progetto di amore; non è un incidente senza significato, ma
una vocazione da realizzare; non è un problema difficile da risolvere, ma un
mistero da contemplare con umiltà e stupore.
Per questo ogni vita è
preziosa:
«la vita donata di chi vive
secondo il Vangelo,
la vita sprecata di chi vive nella banalità,
la vita bruciata del tossicodipendente,
la vita apparente dei divi dello sport e dello spettacolo,
la vita offerta dei portatori di handicap,
la vita arrabbiata di chi non trova un senso per vivere,
la vita spenta di chi si trascina senza speranza,
la vita promessa di chi nasce,
la vita scartata di chi non vede la luce,
la vita sfiorita di chi si avvia al tramonto,
la vita ferita di chi soffre per malattia,
la vita spezzata delle vittime del lavoro,
la vita impegnata di chi si dedica al bene degli altri,
la vita offesa di chi è oppresso e sfruttato,
la vita insultata di chi è senza lavoro e senza casa,
la vita tradita di chi muore di fame e di sete,
la vita inaridita di chi vive senza amore…» (G. Colombo).
La vita ha tanti volti, tristi
o sorridenti, ma in ognuno di essi sono impressi i tratti del Creatore. In ogni
volto è presente un invito e una provocazione all’accoglienza. Troppo spesso si
cede alla tentazione di discriminare: ci sono vite da difendere e da promuovere,
altre che lasciano indifferenti, altre ancora che provocano un senso di rifiuto.
Per il cristiano e le persone consacrate non ci sono vite che valgono e vite
senza valore: ogni vita, anche la più disastrata, è chiamata alla fiducia e alla
speranza nella pienezza di vita della risurrezione, perché Cristo ha vinto la
morte.
Nonostante tutti i tentativi di
sopprimerla, di negarla, di umiliarla o banalizzarla, la vita risorge ogni
giorno, vincendo la morte. Dalle origini, quando Jhwh, «il vivente» (Dt 5,23),
che «ama la vita» (Sap 11,26) ed è «la sorgente della vita» (Sal 36,10), soffia
nelle narici dell’essere umano «un alito di vita» per cui «divenne essere
vivente» (Gn 2,7), l’umanità ha sempre sofferto la nostalgia dell’«albero della
vita» (Gn 2,9), che il peccato ha reso inaccessibile. L’alternativa è sempre
presente nella storia umana, come scelta tra due vie: la via della maledizione,
cioè della morte, e la via della benedizione, cioè della vita.
Amiche lettrici e lettori, sono
trascorsi quasi dodici anni dalla pubblicazione della lettera enciclica
Evangelium vitae di Giovanni Paolo II (25 marzo 1995): è la riaffermazione più
ferma e solenne che sia stata compiuta nella storia della Chiesa cattolica del
valore sacro della vita umana e della sua inviolabilità. Il testo è nato come
frutto di una lunga e sofferta riflessione ecclesiale. L’enciclica Evangelium
vitae ha tuttora una drammatica attualità. Perché troppo odio vi è ancora nel
cuore umano, troppe guerre stragi vendette, troppo dolore in ogni angolo della
terra. Troppo smarrimento delle coscienze, per cui «scelte un tempo unanimemente
considerate come delittuose e rifiutate dal comune senso morale, diventano a
poco a poco socialmente rispettabili» (EV 4). Così «in nome dei diritti della
libertà individuale» si giunge al «grave e inquietante fenomeno
dell’eliminazione di tante vite umane nascenti o sulla via del tramonto» (EV 4).
Situazione drammatica, dinanzi
alla quale la Chiesa ha elevato ancora una volta la voce, perché «ogni minaccia
alla dignità e alla vita dell’uomo non può non ripercuotersi nel cuore stesso
della Chiesa, non può non toccarla al centro della propria fede
nell’incarnazione redentrice del Figlio di Dio, non può non coinvolgerla nella
sua missione di annunciare il Vangelo della vita in tutto il mondo e ad ogni
creature» (EV 3).
Di fronte alla realtà della
vita, alla cui origine c’è l’amore di Dio, di fronte a questa realtà fragile e
precaria siamo interpellati:
ad accogliere la vita, che
dipende da Dio ed è suo dono;
ad annunciare Cristo-Vita che è più forte di ogni morte;
a cantare il proprio Magnificat quale inno alla vita;
ad offrire al mondo d’oggi gesti di apertura e germogli di vita;
in definitiva ad ascoltare il Verbo della vita
per incarnarlo in sé e donarlo al fratelli.
In questa prospettiva ognuno di
noi, come Maria, Madre della Vita, è chiamato ad opporsi a ogni espressione di
male e di morte, di emarginazione e di schiavitù, di chiusura e di egoismo, per
divenire essere umano ospitale e fraterno, disponibile e festoso, umile creatura
che attraverso l’energia dello Spirito genera ovunque Gesù-Vita, sintesi di
verità, di giustizia, di amore, di speranza.
Maria Marcellina Pedico
delle Serve di Maria Riparatrici
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