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Zygmunt
Bauman, uno dei più grandi sociologi viventi, nelle sue ultime opere (vedi, fra
le altre, Modernità liquida, Roma-Bari
2002; Amore liquido, Roma-Bari 2004; Vita
liquida, Roma-Bari 2006; Homo consumens, Gardolo 2007) ha indicato nella «liquidità»
la caratteristica saliente dell’epoca post-moderna. Scrive, ad esempio,
nell’Introduzione a Vita liquida: «“Liquido” è il tipo di vita che si
tende a vivere nella società liquido-moderna. Una società può essere definita
“liquido-moderna” se le situazioni in cui agiscono gli uomini si modificano
prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi in abitudini e
procedure... In una società liquido-moderna gli individui non possono
concretizzare i propri risultati in beni duraturi: basta un attimo perché le
attività si trasformino in passività e le capacità in incapacità... La vita
liquida è, insomma, una vita precaria, vissuta in condizioni di continua
incertezza. Le preoccupazioni più acute e ostinate che l’affliggono nascono
dal timore di esser colti alla sprovvista, di non riuscire a tenere il passo di
avvenimenti che si muovono velocemente, di rimanere indietro, di non accorgersi
delle “date di scadenza”, di appesantirsi con il possesso di qualcosa che
non è più desiderabile... Tra le arti del vivere liquido-moderno e le abilità
che esse richiedono, sapersi sbarazzare delle cose diventa più importante che
non acquisirle. La vita nella società liquido-moderna non può mai fermarsi.
Deve modernizzarsi o perire. Ciò che conta è la velocità, non la durata» (pp.VII-IX).
Per
una vita il sociologo polacco Bauman ha studiato la «società liquida», quella
senza legami stabili, che dura fin tanto che c’è l’interesse di uno dei due
partner; quella modellata sull’usa e getta, sul desiderio di consumo,
sull’impegnarsi finché si ha voglia senza assumersi responsabilità di
qualsiasi genere.
Il consumo come metro di ogni nostra azione non è
fatto per elevare la lealtà e la dedizione nostra per l’altro. Al contrario,
è pensato per passare in continuazione da un desiderio all’altro, per
spegnere in fretta quelli vecchi e creare posti per altri nuovi. La vita liquida
è una vita di consumi, soddisfatti o rimborsati. Essa contrassegna il mondo e
ogni suo frammento, animato e inanimato, come oggetti di consumo, che perdono la
propria utilità, attrazione, potere di seduzione e, quindi, di valore, a mano a
mano che vengono usati. Per sottrarsi al disagio di restare indietro, sottolinea
Bauman, occorre tenere a mente che è nella natura delle cose esigere vigilanza,
ma non fedeltà. Nel mondo liquido-moderno la fedeltà è causa di vergogna, non
di orgoglio.
Oggigiorno
si parla molto di relazioni, è l’argomento sulla bocca di tutti. Alcuni
sociologi, abituati a confezionare teorie in base a statistiche tratte dai
sondaggi d’opinione e dalle banalità in essi registrate, balzano subito alla
conclusione che i loro contemporanei sono tutti alla ricerca di amicizie,
legami, aggregazioni, comunità. In realtà, oggi l’attenzione tende a
incentrarsi sulle soddisfazioni che le relazioni si spera arrechino proprio
perché per qualche verso non sono state ritenute pienamente e realmente
soddisfacenti.
Nella
società liquido-moderna, dunque, anche le relazioni sono deboli, per cui si
cerca di averne a non finire, in modo da poter trovare qua e là comprensione o
simpatia, qualcosa che ci soddisfi. Il fatto è – come ricorda Benedetto XVI
nell’enciclica Deus caritas est –
che non funziona così. Piuttosto il contrario. Più le relazioni diventano
facili a rompersi, a usa e getta, meno c’è motivazione a combattere le
difficoltà che lo stare assieme comporta di volta in volta. La fluidità dei
rapporti è il paradosso della postmodernità liquida. Tuttavia, più si evitano
impegni stabili e duraturi per timore di esserne poi vincolati, più si avverte
la necessità di relazioni solide e amicizie durature. Però siamo incapaci di
fare il passo. Di fronte al «per sempre» ci troviamo impauriti. Solo che,
senza un impegno esclusivo e nel tempo, i nostri legami sono fragili. Questo
crea uno stato di ansietà permanente in cui è sprofondato l’uomo d’oggi.
Se non si cambia rotta, il nostro futuro sarà oscuro e gravido di conseguenze.
Con il suo timbro inconfondibile, l’acuta analisi
sociologica di Bauman apre una nuova finestra sull’oggi per scandagliare
minacce e opportunità. Ma quando pensa a relazioni autentiche, all’amore vero
con la A maiuscola, volge lo sguardo a lei, Janina, la moglie che da sessant’anni
gli è al fianco. In questa società liquida, che per definizione evita legami
duraturi ed esclusivi e totalità dell’amore, testimonia Bauman: «Io e Janina
sappiamo che stare insieme significa anche sacrificio e accettazione
dell’altro, pure quando è faticoso. Ma per noi lo stare insieme, il volerci
bene e l’essere uniti "finché morte non ci separi" è una
prospettiva molto più bella, che l’essere separati e vivere la libertà dello
stare da soli».
Amiche lettrici e cari lettori,
il discorso appena abbozzato viene ripreso nel Dossier a più voci, volte a
orientare alla ricerca di come educarsi alle relazioni durature, perché la
persona - e quindi la religiosa - incapace di relazioni manca di qualche cosa di
essenziale che compromette l’intera personalità e l’efficacia della
missione. Ricuperare «la grazia delle relazioni» (A. Cencini), indicando
obiettivi e il percorso per raggiungerli è, dunque, l’intento del Dossier del
presente numero di Consacrazione e
Servizio. Qui basta richiamare Bruno Secondin, che introduce l’argomento
con le seguenti parole: «La Sacra Scrittura è ricca di storie di conflitti, di
contrasti aspri, di divisioni. Gli esempi potrebbero essere infiniti: a
cominciare dalla “paura” di Adamo dopo la disobbedienza nel Paradiso
terrestre (Gn 3,10), con la conseguente “inimicizia” tra la stirpe di Eva e
la stirpe del serpente (Gn 3,15 ), e passando per l’invidia rabbiosa di Caino
di fronte al fratello Abele (Gn 4,1-8). E poi via via scorrendo la storia sacra
si può dire che quasi non v’è pagina che non mostri la fatica di andare
d’accordo, il moltiplicarsi di riconciliazioni e di rotture, di alleanze e di
tradimenti, di banchetti di pace e di violenze barbare».
Seguendo l’itinerario della rivista, anche questo numero si apre con
una breve meditazione biblica di Diana Papa, delle Povere sorelle di S. Chiara,
tutta incentrata sulla vita di fede. Molto suggestivo il profilo spirituale che
mons. Francesco Lambiasi, vescovo di Rimini, traccia di Rita Dametto, una
salesiana impegnata e sorridente. La rubrica Orizzonti presenta tre contributi
quanto mai significativi. Suor Luciagnese Cedrone, membro del consiglio di
redazione, delinea la figura di don Andrea Santoro quale profeta di dialogo.
Alfonso Langella, membro del consiglio dell’Associazione mariologica
interdisciplinare italiana, relaziona sul recente convegno dell’Associazione
sul tema: «Maria, donna in relazione». Michela Marinello, delle Serve di Maria
Riparatrici, laureanda presso il Centro Studi Ecumenici «S. Bernardino» di
Venezia, ci informa sull’Assemblea Ecumenica Europea svoltasi a Sibiu in
Romania. La scheda di suor Teresa Braccio, delle Figlie di San Paolo, sul film:
«Centochiodi» conclude i contributi
di questo numero. Ci attende quindi la lettura di un fascicolo ricco di
contenuti e di provocazioni. Buona lettura!
Maria Marcellina Pedico
delle Serve di Maria Riparatrici
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