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L'ambito del discorso
Per
pensare a processi maturativi della nostra personalità è necessario
fissare anzitutto quali obiettivi esistenziali - cioè, a lungo termine e
persino per tutta la vita - ci proponiamo e, dunque, in quale senso
guardiamo la nostra evoluzione. È certo che ogni persona ha nel proprio
patrimonio genetico una tensione verso l’autorealizzazione, termine che
comprende lo sviluppo delle potenzialità che «sente» di avere, come pure
il compimento dei significati esistenziali che a mano a mano va
scoprendo e facendo propri. Questo approccio è ancor più marcato
nell’orizzonte cristiano, perché la ragione di ogni comunicazione di
fede è appunto che ciascuna persona «viva e viva pienamente» (Gv 10,10),
laddove le beatitudini osano perfino proporre un modello di felicità, di
beatitudine, sperimentabile già nella nostra vicenda storica.
Tenuto conto di questi dati, la
maturazione è un processo evolutivo che avrà termine solo nel morire e
che - nelle diverse età della vita - attraverso le scelte che operiamo
nelle differenti circostanze socioculturali, porta a compimento la
nostra identità, cioè il nucleo soggettivo più profondo e
sostanzialmente continuo che segna la nostra esistenza e che, secondo
l’ottica (anche) cristiana contiene la «firma» che Dio ha posto su
ciascun essere umano chiamandolo alla vita. In termini più
specificamente cristiani possiamo dire che l’obiettivo del nostro
processo maturativo è quello di realizzare nella storia le condizioni
per rispondere a quel nome che per noi è stato scritto nei cieli.
Nei modelli psicologici che
descrivono la personalità, questo nucleo identitario, che ne sostiene e
veicola i tratti costanti ed in qualche modo definiti se non definitivi,
spesso viene chiamato «Sé». Quest’ultimo concetto potrebbe essere
rappresentato come l’insieme delle potenzialità di una persona, sia a
livello cosciente che inconscio, che potrebbero maturare in condizioni
favorevoli. Tra le costanti che il Sé sviluppa vi sono:
a) l’identità corporea, legata alla
conoscenza del proprio corpo e delle realtà ambientali cui apparteniamo
o che ci appartengono;
b) la nostra identità sociale e
relazionale, che comprende le percezioni che attribuiamo agli altri su
di noi, il nostro ruolo sociale ed i modelli sia normativi che
partecipativi dell’ambiente in cui viviamo;
c) ed infine la nostra identità
spirituale, a partire dall’autoconsapevolezza che ciascuno ha di sé -
soprattutto del limite di essere creatura - e delle aperture agli altri,
fino alla trascendenza, e di ciò che questo può comportare.
Queste dimensioni nel nostro vissuto
sono contemporanee ma sovente disomogenee, di qui il compito
esistenziale di integrarle armonicamente.
Conoscenza di sé
Tutte le tradizioni sapienziali e
spirituali, come pure i percorsi psicologici contemporanei, insistono
nel porre la conoscenza di sé quale punto di partenza di ogni processo
di maturazione umana e spirituale. Le dimensioni che ci consentono una
certa conoscenza di noi stessi possono essere sintetizzate a due: la
prima e più immediata è l’attenzione alle reazioni degli altri.
Queste ultime certamente riflettono, in qualche misura, una percezione
di come siamo e di come interagiamo e quasi mai sono prive di contenuti
veritieri. Il modo con cui accogliamo le reazioni altrui è fondamentale
per comprendere una parte importante della nostra identità: cioè se ci
collochiamo al centro dell’universo, oppure in «rete» con gli altri. La
domanda: «Chi sono io in questa relazione, di fronte a questo commento o
atteggiamento?» ci introduce sempre più nella conoscenza di noi stessi,
nella scoperta della nostra vera identità, benché questa rimanga sempre,
entro certi limiti, un mistero. Vedremo allora se siamo persone che
rifiutano il giudizio altrui, che lo banalizzano, o se siamo sempre
occupati a guardare gli altri, sempre intenti a scovare i loro errori e
ad attribuire loro le ragioni della nostra inquietudine o dei nostri
malesseri, forse per sfuggire alla verità del nostro Sé, o se invece
siamo aperti ad un’accettazione serena degli altri e dei loro modi di
relazionarsi con noi, formando appunto una trama di relazioni che sola
può valorizzare ciascuno e rispondere alle esigenze sociali.
La seconda dimensione - più
introspettiva - che ci introduce alla conoscenza di noi stessi è la
presa d’atto delle nostre risorse e dei nostri limiti, per cercare di
accettarci come siamo: questa è la base per qualsiasi evoluzione.
Sottolineo l’importanza di prendere coscienza delle nostre capacità,
evitando atteggiamenti di pseudo umiltà. Il riconoscersi delle abilità
comporta, infatti, anche la relativa assunzione di responsabilità e da
qui nasce una sana autostima. Conoscere, contestualmente, anche i propri
limiti e confrontarsi con essi è condizione irrinunciabile della verità
e della pacificazione della nostra vita. In questo ambito rientra il
riconoscere le emozioni, gli impulsi, i conflitti e quell’insieme di
processi vitali che ci attraversano, ma che non riusciamo a dominare o a
vivere con serenità.
Una auto-chirurgia
scomoda
Vi è una operazione così dolorosa che
chiamo appunto «auto-chirurgia»: essa consiste nel superare e
abbandonare le illusioni. In alcuni momenti della nostra vita le offerte
che ci si presentano (ci sarebbe da fare... potresti fare...) e i
progetti personali, talora anche istituzionali, sono così ricchi che è
difficile operare delle scelte significative e coerenti con il progetto
di consacrazione al vangelo ed è, invece, assai facile che vengano
alimentate le nostre illusioni, sovente di matrice inconscia.
L’ampliamento dell’istituto o la permanenza nelle diverse case, la
nostra e sua «immagine», il riconoscimento o meno del nostro ruolo, la
facilità con cui ci riteniamo competenti su vari argomenti («... non è
il mio campo, però posso dire...») sono alcune delle illusioni più
frequenti che, con realismo, dobbiamo accettare di aver assecondato più
volte nel corso della vita e che dobbiamo cercare di... riconoscere per
quello che sono - illusioni, appunto - la cui radice, molto spesso, è
nella non accettazione di noi stessi, del contesto in cui viviamo, e
forse anche della fatica che comporta il vivere autenticamente quell’essere
«segno» delle realtà che non passano, cui è ordinata appunto la vita
consacrata.
Questo trattamento così ruvido su noi
stessi non è fine a se stesso e neppure serve come percorso per una
qualche forma sublime di maturità: il lavorio di elaborazione delle
illusioni risponde, invece, alla necessità di liberare nella nostra
mente degli spazi per poter cogliere con più partecipazione e gioia il
presente che stiamo vivendo. Infatti, se abbiamo cercato di superare
gradualmente le nostre infiltrazioni egocentriche (o narcisistiche) e
siamo divenuti capaci di riconoscere le illusioni, possiamo vivere la
dimensione che è la più opportuna per maturare ed esprimere la nostra
maturità: il presente.
Presente: tempo della
fioritura
Il presente è infatti l’ambito in cui
la nostra identità può realmente incidere e preparare anche il futuro.
Vivere il presente indica aver compiuto delle reali scelte prioritarie,
che si traducono anzitutto nella capacità di vivere il tempo in modo
personale, scegliendo cioè di investire le nostre energie in quei campi
che nutrono la nostra interiorità e sostengono la gioia di vivere, anche
nelle situazioni più difficili. In questo, possiamo trovare forse due
riferimenti importanti. Per un verso, saper determinare dei tempi
privilegiati per le relazioni, a cominciare da quella con Dio. Per tempi
privilegiati intendo appunto quegli spazi di tempo che sono
qualitativamente i migliori, quelli in cui «rendiamo» di più. Non mi
riferisco quindi alla preghiera o agli impegni comunitari, ma a quel
tempo di relazione con Dio e con gli altri che noi sappiamo essere il
migliore - appunto, «di qualità» - per esprimerci. L’altro importante
riferimento può essere il vivere intensamente l’anno liturgico, cioè un
tempo che non è scandito sulle realtà sociali o lavorative, bensì ci
riporta alla presenza costante di Gesù Cristo nella storia, proponendoci
non solo i misteri della nostra fede ma, ancor di più, le qualità umane
e spirituali che la successione delle diverse «stagioni» liturgiche di
volta in volta propone affinché, attraverso un leale confronto con esse,
apprendiamo a vivere con pienezza il nostro tempo, protese/i a far
nostri gli stessi sentimenti di Cristo. Qui si perviene ad una maturità
- benché sempre dinamica e mai compiuta - che gradualmente modula le
varie fasi della nostra vita, sospingendoci a quel silenzio e a quella
pacificazione dove solo riusciamo a sentire la Parola senza
interferenze.
Maturità, personalità
e solidarietà
La complessità delle condizioni
odierne può rendere più laborioso un cammino di autentica
autorealizzazione e, quindi, il processo maturativo. Spesso travolti
dalle «necessità», dalla lunghezza dei processi decisionali delle
istituzioni religiose e degli enti pubblici, fatichiamo a salvaguardare
degli spazi, in cui riflettere intensamente sul nostro processo
maturativo e sulle risoluzioni che esso esige nei differenti momenti
della nostra vita. Il rischio è una scontentezza di fondo, nascosta e
«drogata» dall’inseguire attività per il «bene» comune, che non consente
di vivere il presente consapevolmente e fin troppo spesso conduce a
stati di delusione verso la vita o di rimpianto, oltre che di
inadeguatezza quando si diventa... vecchi.
Le suggestioni sopra fornite possono
essere di aiuto a radicarci nella fiducia che accogliere l’azione dello
Spirito, che guida i nostri passi nel cammino della maturazione del
nostro Sé, ci permette di prendere coscienza del valore, innanzi tutto
della propria vita, e poi di ogni vita. Da questa consapevolezza deriva
la scoperta che rendersi disponibili con calma e pacificazione alla
forza creatrice, perché essa ci trasformi compiutamente in figlie/i del
Padre, è fonte di serenità, di pacificazione, di fiducia nel futuro e
nella vita, di cui s’imparano ad apprezzare i molteplici doni, che poi
si esprimono - anche nel nostro lavoro - attraverso relazioni, non già
di immagine, bensì solidali ed autentiche. Questo modo di perseguire la
maturità costituisce anche un messaggio importante - se non il più
importante - che la vita consacrata possa offrire alle società e alle
culture di oggi.
Lucio M.
Pinkus
Comunità Santa Maria dei Servi
Via Mantova, 9 – 38062
Arco (Trento)
Letture suggerite
A. GrÜn,
La pace del cuore, Queriniana, Brescia 2006.
L. Pinkus,
Psicodinamica della vita consacrata, LDC, Torino 2000.
L. Pinkus,
«La persona umana: prospettive psicobiomediche e orizzonti teologici»,
in Insieme per servire 59, gennaio-marzo 2004, 8-26.
V.
Vaccari-A. Zucconi, «La
terapia centrata sul cliente di Carl Rogers», in
L. Cionini (a cura di),
Psicoterapie. Modelli a confronto, Carrocci, Roma 1998, 219-239.
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