n. 11 novembre 2007

 

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«Chi sono io in questa relazione?»
La relazione con se stessi

di Lucio Pinkus

 

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L'ambito del discorso

Per pensare a processi maturativi della nostra personalità è necessario fissare anzitutto quali obiettivi esistenziali - cioè, a lungo termine e persino per tutta la vita - ci proponiamo e, dunque, in quale senso guardiamo la nostra evoluzione. È certo che ogni persona ha nel proprio patrimonio genetico una tensione verso l’autorealizzazione, termine che comprende lo sviluppo delle potenzialità che «sente» di avere, come pure il compimento dei significati esistenziali che a mano a mano va scoprendo e facendo propri. Questo approccio è ancor più marcato nell’orizzonte cristiano, perché la ragione di ogni comunicazione di fede è appunto che ciascuna persona «viva e viva pienamente» (Gv 10,10), laddove le beatitudini osano perfino proporre un modello di felicità, di beatitudine, sperimentabile già nella nostra vicenda storica.

Tenuto conto di questi dati, la maturazione è un processo evolutivo che avrà termine solo nel morire e che - nelle diverse età della vita - attraverso le scelte che operiamo nelle differenti circostanze socioculturali, porta a compimento la nostra identità, cioè il nucleo soggettivo più profondo e sostanzialmente continuo che segna la nostra esistenza e che, secondo l’ottica (anche) cristiana contiene la «firma» che Dio ha posto su ciascun essere umano chiamandolo alla vita. In termini più specificamente cristiani possiamo dire che l’obiettivo del nostro processo maturativo è quello di realizzare nella storia le condizioni per rispondere a quel nome che per noi è stato scritto nei cieli.

Nei modelli psicologici che descrivono la personalità, questo nucleo identitario, che ne sostiene e veicola i tratti costanti ed in qualche modo definiti se non definitivi, spesso viene chiamato «Sé». Quest’ultimo concetto potrebbe essere rappresentato come l’insieme delle potenzialità di una persona, sia a livello cosciente che inconscio, che potrebbero maturare in condizioni favorevoli. Tra le costanti che il Sé sviluppa vi sono:

a) l’identità corporea, legata alla conoscenza del proprio corpo e delle realtà ambientali cui apparteniamo o che ci appartengono;

b) la nostra identità sociale e relazionale, che comprende le percezioni che attribuiamo agli altri su di noi, il nostro ruolo sociale ed i modelli sia normativi che partecipativi dell’ambiente in cui viviamo;

c) ed infine la nostra identità spirituale, a partire dall’autoconsapevolezza che ciascuno ha di sé - soprattutto del limite di essere creatura - e delle aperture agli altri, fino alla trascendenza, e di ciò che questo può comportare.

Queste dimensioni nel nostro vissuto sono contemporanee ma sovente disomogenee, di qui il compito esistenziale di integrarle armonicamente.

Conoscenza di sé

Tutte le tradizioni sapienziali e spirituali, come pure i percorsi psicologici contemporanei, insistono nel porre la conoscenza di sé quale punto di partenza di ogni processo di maturazione umana e spirituale. Le dimensioni che ci consentono una certa conoscenza di noi stessi possono essere sintetizzate a due: la prima e più immediata è l’attenzione alle reazioni degli altri. Queste ultime certamente riflettono, in qualche misura, una percezione di come siamo e di come interagiamo e quasi mai sono prive di contenuti veritieri. Il modo con cui accogliamo le reazioni altrui è fondamentale per comprendere una parte importante della nostra identità: cioè se ci collochiamo al centro dell’universo, oppure in «rete» con gli altri. La domanda: «Chi sono io in questa relazione, di fronte a questo commento o atteggiamento?» ci introduce sempre più nella conoscenza di noi stessi, nella scoperta della nostra vera identità, benché questa rimanga sempre, entro certi limiti, un mistero. Vedremo allora se siamo persone che rifiutano il giudizio altrui, che lo banalizzano, o se siamo sempre occupati a guardare gli altri, sempre intenti a scovare i loro errori e ad attribuire loro le ragioni della nostra inquietudine o dei nostri malesseri, forse per sfuggire alla verità del nostro Sé, o se invece siamo aperti ad un’accettazione serena degli altri e dei loro modi di relazionarsi con noi, formando appunto una trama di relazioni che sola può valorizzare ciascuno e rispondere alle esigenze sociali.

La seconda dimensione - più introspettiva - che ci introduce alla conoscenza di noi stessi è la presa d’atto delle nostre risorse e dei nostri limiti, per cercare di accettarci come siamo: questa è la base per qualsiasi evoluzione. Sottolineo l’importanza di prendere coscienza delle nostre capacità, evitando atteggiamenti di pseudo umiltà. Il riconoscersi delle abilità comporta, infatti, anche la relativa assunzione di responsabilità e da qui nasce una sana autostima. Conoscere, contestualmente, anche i propri limiti e confrontarsi con essi è condizione irrinunciabile della verità e della pacificazione della nostra vita. In questo ambito rientra il riconoscere le emozioni, gli impulsi, i conflitti e quell’insieme di processi vitali che ci attraversano, ma che non riusciamo a dominare o a vivere con serenità.

Una auto-chirurgia scomoda

Vi è una operazione così dolorosa che chiamo appunto «auto-chirurgia»: essa consiste nel superare e abbandonare le illusioni. In alcuni momenti della nostra vita le offerte che ci si presentano (ci sarebbe da fare... potresti fare...) e i progetti personali, talora anche istituzionali, sono così ricchi che è difficile operare delle scelte significative e coerenti con il progetto di consacrazione al vangelo ed è, invece, assai facile che vengano alimentate le nostre illusioni, sovente di matrice inconscia. L’ampliamento dell’istituto o la permanenza nelle diverse case, la nostra e sua «immagine», il riconoscimento o meno del nostro ruolo, la facilità con cui ci riteniamo competenti su vari argomenti («... non è il mio campo, però posso dire...») sono alcune delle illusioni più frequenti che, con realismo, dobbiamo accettare di aver assecondato più volte nel corso della vita e che dobbiamo cercare di... riconoscere per quello che sono - illusioni, appunto - la cui radice, molto spesso, è nella non accettazione di noi stessi, del contesto in cui viviamo, e forse anche della fatica che comporta il vivere autenticamente quell’essere «segno» delle realtà che non passano, cui è ordinata appunto la vita consacrata.

Questo trattamento così ruvido su noi stessi non è fine a se stesso e neppure serve come percorso per una qualche forma sublime di maturità: il lavorio di elaborazione delle illusioni risponde, invece, alla necessità di liberare nella nostra mente degli spazi per poter cogliere con più partecipazione e gioia il presente che stiamo vivendo. Infatti, se abbiamo cercato di superare gradualmente le nostre infiltrazioni egocentriche (o narcisistiche) e siamo divenuti capaci di riconoscere le illusioni, possiamo vivere la dimensione che è la più opportuna per maturare ed esprimere la nostra maturità: il presente.

Presente: tempo della fioritura

Il presente è infatti l’ambito in cui la nostra identità può realmente incidere e preparare anche il futuro. Vivere il presente indica aver compiuto delle reali scelte prioritarie, che si traducono anzitutto nella capacità di vivere il tempo in modo personale, scegliendo cioè di investire le nostre energie in quei campi che nutrono la nostra interiorità e sostengono la gioia di vivere, anche nelle situazioni più difficili. In questo, possiamo trovare forse due riferimenti importanti. Per un verso, saper determinare dei tempi privilegiati per le relazioni, a cominciare da quella con Dio. Per tempi privilegiati intendo appunto quegli spazi di tempo che sono qualitativamente i migliori, quelli in cui «rendiamo» di più. Non mi riferisco quindi alla preghiera o agli impegni comunitari, ma a quel tempo di relazione con Dio e con gli altri che noi sappiamo essere il migliore - appunto, «di qualità» - per esprimerci. L’altro importante riferimento può essere il vivere intensamente l’anno liturgico, cioè un tempo che non è scandito sulle realtà sociali o lavorative, bensì ci riporta alla presenza costante di Gesù Cristo nella storia, proponendoci non solo i misteri della nostra fede ma, ancor di più, le qualità umane e spirituali che la successione delle diverse «stagioni» liturgiche di volta in volta propone affinché, attraverso un leale confronto con esse, apprendiamo a vivere con pienezza il nostro tempo, protese/i a far nostri gli stessi sentimenti di Cristo. Qui si perviene ad una maturità - benché sempre dinamica e mai compiuta - che gradualmente modula le varie fasi della nostra vita, sospingendoci a quel silenzio e a quella pacificazione dove solo riusciamo a sentire la Parola senza interferenze.

Maturità, personalità e solidarietà

La complessità delle condizioni odierne può rendere più laborioso un cammino di autentica autorealizzazione e, quindi, il processo maturativo. Spesso travolti dalle «necessità», dalla lunghezza dei processi decisionali delle istituzioni religiose e degli enti pubblici, fatichiamo a salvaguardare degli spazi, in cui riflettere intensamente sul nostro processo maturativo e sulle risoluzioni che esso esige nei differenti momenti della nostra vita. Il rischio è una scontentezza di fondo, nascosta e «drogata» dall’inseguire attività per il «bene» comune, che non consente di vivere il presente consapevolmente e fin troppo spesso conduce a stati di delusione verso la vita o di rimpianto, oltre che di inadeguatezza quando si diventa... vecchi.

Le suggestioni sopra fornite possono essere di aiuto a radicarci nella fiducia che accogliere l’azione dello Spirito, che guida i nostri passi nel cammino della maturazione del nostro Sé, ci permette di prendere coscienza del valore, innanzi tutto della propria vita, e poi di ogni vita. Da questa consapevolezza deriva la scoperta che rendersi disponibili con calma e pacificazione alla forza creatrice, perché essa ci trasformi compiutamente in figlie/i del Padre, è fonte di serenità, di pacificazione, di fiducia nel futuro e nella vita, di cui s’imparano ad apprezzare i molteplici doni, che poi si esprimono - anche nel nostro lavoro - attraverso relazioni, non già di immagine, bensì solidali ed autentiche. Questo modo di perseguire la maturità costituisce anche un messaggio importante - se non il più importante - che la vita consacrata possa offrire alle società e alle culture di oggi.

 

Lucio M. Pinkus
Comunità Santa Maria dei Servi
Via Mantova, 9 – 38062 Arco (Trento)

 

Letture suggerite

A. GrÜn, La pace del cuore, Queriniana, Brescia 2006.

L. Pinkus, Psicodinamica della vita consacrata, LDC, Torino 2000.

L. Pinkus, «La persona umana: prospettive psicobiomediche e orizzonti teologici», in Insieme per servire 59, gennaio-marzo 2004, 8-26.

V. Vaccari-A. Zucconi, «La terapia centrata sul cliente di Carl Rogers», in L. Cionini (a cura di), Psicoterapie. Modelli a confronto, Carrocci, Roma 1998, 219-239.

 

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