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La
risposta alla domanda del titolo è positiva: ancora oggi ci sono martiri
cristiani; ancora oggi la Chiesa è Chiesa di martiri; ancora oggi la
Chiesa onora questi suoi figli, fedeli a Gesù fino al sacrificio della
loro vita.
La Chiesa perseguitata
Diamo qualche esempio recente. Il 4 ottobre
2008, nella cattedrale di san Giusto Trieste,
è stato beatificato il martire Francesco
Giovanni Bonifacio, nato a Pirano d'Istria (nell’odierna Slovenia) nel
1912 e morto in odio alla fede il giorno 11 settembre 1946 a Villa
Gardossi (nell’odierna Croazia). Era un giovane sacerdote che, in un
clima di odio antireligioso, svolgeva con dedizione il suo ministero
pastorale, pregando, facendo catechesi e testimoniando con coraggio gli
eterni valori del Vangelo. Un giorno, fu catturato dai miliziani titini
e portato nel bosco. Dopo essere stato torturato fu scaraventato in una
foiba,
come la carcassa di un cane. I suoi resti non furono mai ritrovati. Non
basterebbero i pianti di cento mamme per accompagnare il dolore di tanto
supplizio. Il martirio di questo sacerdote è la prova concreta della sua
carità verso Dio e verso il prossimo.
Il 24 novembre 2008 a Nagasaki sono stati
beatificati 188 martiri giapponesi, uccisi nelle persecuzioni degli
inizi del secolo XVII. Di essi, quattro erano sacerdoti, uno religioso,
gli altri tutti laici, gente comune, ma anche nobili, samurai e perfino
intere famiglie con donne, bambini (18 i bambini sotto i cinque anni).
Le loro storie sono commoventi come sono tutte le storie tragiche degli
innocenti.
Quella, ad esempio, del samurai Zaisho
Shichiemon, battezzato il 2 luglio 1608, ricorda i martiri dei primi
secoli cristiani. Nonostante l’avversione del suo signore feudale e pur
consapevole del rischio mortale cui andava incontro, volle ricevere il
battesimo: «Ho compreso
che la salvezza sta nell’insegnamento di Gesù
– diceva – e nessuno potrà separarmi da Lui». Qualche mese dopo, il 17
novembre 1608,fu messo a morte davanti a casa sua.
Nella persecuzione del 1619, Tecla Hashimoto,
incinta del suo quarto bambino, fu crocifissa e bruciata viva insieme
alle altre tre figlie,di cui una aveva solo tre anni. Mentre divampavano
le fiamme la bambina di tredici anni grida: «Mamma, non riesco a vedere
più nulla!». «Non temere – fa la mamma – non temere, fra poco vedrai
tutto con chiarezza.
Tra questi martiri spicca la figura di padre
Pietro Kibe. Da giovane seminarista fu esiliato a Macao. Volendo
rientrare in Giappone come missionario, dopo un viaggio avventuroso per
l’Asia, giunse a Roma, dove nel 1620 fu ordinato sacerdote. Nonostante i
divieti delle autorità giapponesi, padre Pietro riesce a rientrare di
nascosto in patria. Vive nell’ombra e celebra messe clandestine. Un
giorno, si reca da un missionario apostata, per farlo ritrattare. Ma
l’ex missionario rifiuta. Nel 1639, la polizia riesce a catturarlo.
Portato a Edo – l’antica Tokyo – fu torturato e ucciso.
Questa carneficina di cristiani è avvenuta
anche in Europa nel secolo scorso. Il 28 ottobre 2007, in Piazza san
Pietro, sono stati beatificati circa cinquecento martiri spagnoli caduti
durante la sanguinosa guerra civile degli anni 1934-1937. Si tratta di
ben 498 fedeli – vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, madri e
padri di famiglia, anziani e giovani, uomini e donne di ogni età e
condizione – provenienti da molte diocesi spagnole (Barcellona, Burgos,
Toledo, Cuenca, Ciudad Real, Mérida-Badajoz, Madrid, Oviedo, Jaén,
Santander, Cartagena, Girona). Sono numerosissimi i religiosi:
domenicani, carmelitani, fratelli delle scuole cristiane, salesiani,
trinitari, maristi, agostiniani, monfortani, minori francescani. Tra le
religiose martirizzate ci sono carmelitane della carità, francescane
figlie della misericordia, figlie del SS. e Immacolato Cuore di Maria,
serve adoratrici del SS. Sacramento.
Al di fuori di questo gruppo, ci sono altri
martiri della stessa epoca, che attendono il riconoscimento ufficiale
della Chiesa. La guerra civile fu un periodo di persecuzione spietata,
che pervase la Spagna intera, provocando distruzione e morte. Tra le
tante vittime, si può ricordare la figura semplice e luminosa del
seminarista Manuel Aranda Espejo, della diocesi di Jaén, ucciso a
vent’anni, durante le vacanze del 1936. Il suo delitto era semplicemente
quello di essere cristiano e, per di più, seminarista, impegnato nella
catechesi ai bambini, nella preghiera, nella preparazione dei giovani al
matrimonio. Fatto prigioniero, gli proposero di calpestare le sacre
immagini e di bestemmiare. Senza risultato. Lo gettarono in una
cisterna, lo destinarono ai lavori più umili e mortificanti. Ma egli
restò sempre fedele alla sua vocazione. L’8 agosto lo portarono fuori
del paese, lo percossero e, all’ennesimo rifiuto di bestemmiare il nome
del Signore, lo uccisero con tre colpi di pistola, abbandonandolo in una
fossa comune. I suoi resti mortali sono ora custoditi nel santuario di
Nostra Signora della città di Martos. In sua memoria, è stato fondato
nel 1989 il Centro di Orientamento Vocazionale “Manuel Aranda” per gli
aspiranti al sacerdozio.1
Una persecuzione planetaria
Le persecuzioni anticristiane non sono
finite. Continuano ancora oggi in molte parti del mondo, soprattutto in
Asia e in Africa. Appartengono alla cronaca recente l’uccisione di
vescovi e sacerdoti e l’esodo in massa dei cristiani iracheni in fuga
dalla loro patria. Fece scalpore sulla stampa internazionale l’uccisione
in Iraq dell’arcivescovo cattolico, Paulos Faraj Rahho. Rapito il 29
febbraio 2008 a Mosul, al termine della
Via Crucis,
all’uscita dalla chiesa dello Spirito Santo – la stessa dove un anno
prima, il 3 giugno 2007, erano stati uccisi il parroco e tre diaconi –
il suo corpo fu rinvenuto il 13 marzo 2008, seppellito nei dintorni
della città. Uomo di pace e di dialogo, era particolarmente vicino ai
poveri, agli emarginati e agli handicappati, per i quali aveva dato vita
all’associazione “Gioia e Carità”, per il sostegno di queste persone e
delle loro famiglie.
Nello stato indiano di Orissa sta infuriando
una spaventosa caccia ai cristiani, costretti con la minaccia di morte
ad abiurare alla loro fede. Una fonte dell’All
India Christian Council riporta
che, da parte degli hindù, viene data una ricompensa di circa 250
dollari, più cibo benzina e superalcolici, a chi uccide un sacerdote
cattolico o un pastore protestante. Nel villaggio di Kanjamedi (Orissa)
è stato trovato morto, il 18 dicembre scorso, il catechista Yuvraj Digal,
di quarant’anni, aggredito brutalmente qualche giorno prima. Circondato
da fanatici hindù, era stato insultato e picchiato solo perché possedeva
una Bibbia. Alle uccisioni vanno aggiunte la distruzione di chiese,
scuole, conventi, per estirpare la presenza cristiana dal territorio.2
Il 25 agosto scorso, la giovane religiosa
Meena Barwa veniva denudata, stuprata da un hindù, fatta sfilare in un
villaggio e minacciata di morte. Il 24 ottobre, suor Meena, convinta
dalla superiora generale delle Missionarie della Carità, coprendosi il
volto, ha tenuto una conferenza stampa per denunciare la polizia, che
aveva osservato tutto senza difenderla e che, anzi, aveva cercato di
dissuaderla dallo sporgere denuncia.3
Le violenze sono all’ordine del giorno in
India già da qualche tempo. Ad esempio, nel settembre 1999 ci fu
l’uccisione del sacerdote cattolico Arul Doss. Si tratta di odio,
dettato da motivazioni prettamente religiose, dall’esclusività che
l’induismo rivendica nei confronti dei cittadini indiani.
Dal
Dossier Fides 2008 apprendiamo che
sono stati venti i sacerdoti, i religiosi e gli operatori di pastorale
cattolici, uccisi in odio alla fede nel 2008. Tra questi ci sono Boduin
Ntamenya, volontario laico, originario di Goma (Nord Kivu), 52 anni, sei
figli, ucciso il 15 dicembre, e il salesiano Johnson Moyalan, il primo
sacerdote cattolico ucciso nel Nepal, il 1° luglio. In complesso, tra
questi venti ci sono sedici sacerdoti (9 diocesani, 7 religiosi), un
religioso, due volontari laici, un uomo e una donna. Nove di questi
testimoni erano originari dell’Asia (India, Sri Lanka, Kazakhstan,
Filippine), sei dell’America (due messicani, un colombiano, un
venezuelano, un brasiliano, un ecuadoriano), tre dell’Africa (Kenya,
Nigeria, Repubblica democratica del Congo) e due dell’Europa
(Inghilterra e Francia). Ancora, di questi venti, otto sono stati uccisi
in Asia, cinque in America latina e due in Europa, entrambi in Russia.
Un commentatore, a ragione, parla di un
mosaico di volti: «Un’immagine di Chiesa plurale, dove ogni vocazione
non è esente dal “rischio” del sangue”. Una Chiesa senza frontiere, dove
tutte le comunità – tanto quelle di antica tradizione quanto quelle più
giovani -manifestano la loro fedeltà coraggiosa al Vangelo».4
In questi giorni, nel febbraio 2009, la persecuzione anticristiana ha
raggiunto anche lo stato indiano dell’Assam, dove i cattolici sono stati
costretti a subire violenza fisica e verbale ad opera di estremisti
hindù. Testimoni raccontano, che, dopo aver partecipato a una funzione
religiosa, sacerdoti e fedeli cattolici sono stati assaliti da una folla
di seicento hindù, costretti a lasciare i loro mezzi di locomozione e a
camminare fino ai battelli, per una distanza di cinque chilometri a
piedi nudi, sotto gli insulti, le sassate e le minacce di percosse
fisiche.5
L’uso equivoco di «martire»
Come si vede, la mappa della fede
perseguitata e negata è ampia e copre tutti i secoli e tutti i
continenti. Del resto, la Chiesa ha sempre dovuto navigare
“controcorrente”. Il Vangelo, infatti, è la buona notizia, che, però,
non trova facile udienza presso i cuori chiusi all’amore e alla verità.
Parlando degli
odierni testimoni
della fede non si è volutamente usata la
parola martire.
Il termine martire
è, infatti, la qualifica ufficiale che la
Chiesa dà ai suoi fedeli, dopo la verifica minuziosa dell’offerta della
loro vita.
Purtroppo, tale parola viene spesso applicata
in modo inesatto ai fanatici, che si fanno esplodere in nome della loro
fede e in odio alla fede o alle idee altrui, provocando stragi di
innocenti. Come si può subito notare, la differenza è abissale. Mentre
il martire cristiano è vittima innocente di spietati carnefici, questi
kamikaze,
sedicenti martiri, sono dei suicidi esaltati e dei veri carnefici di
vittime incolpevoli. Inoltre, il martire cristiano offre liberamente la
vita per Gesù, perdonando ai loro assassini e dando una testimonianza di
amore, i terroristi invece provocano la morte dei loro supposti nemici,
offrendo una testimonianza di odio e di ferocia inaudita, come fu, ad
esempio, la strage delle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 a New
York.
A ragione, quindi, si parla di uso distorto
del concetto di martirio da parte dei fondamentalisti musulmani. Il loro
non è martirio, ma assassinio e crimine. Le consuete immagini di giovani
con in mano il Corano e la cintura imbottita di tritolo, più che
testimonianze di fede, sono icone tragiche di crisi, di disperazione e
di solitudine, che provocano solo orrore e repulsione.6
Il concetto cristiano di
martire
Qual è allora il significato cristiano di
martire?
Nella tradizione cattolica, il martirio è un atto supremo di amore verso
Dio. Più concretamente, il martirio è la volontaria accettazione e
sopportazione della morte per testimoniare la propria fede in Cristo.
Mediante l’effusione del sangue, il martire è reso simile a Gesù, che
liberamente accettò la morte in croce per la salvezza del mondo. Il
martirio è quindi una compartecipazione al sacrificio redentore di
Cristo. Per questo è stato sempre altamente stimato dalla Chiesa come
dono insigne e come suprema prova di carità.
A cominciare dal primo martire cristiano, il
diacono santo Stefano, e dai dodici Apostoli, la maggior parte dei quali
morì martire, molti battezzati sono stati chiamati a confessare Cristo
davanti agli uomini e a seguirlo sulla via della croce durante le
persecuzioni, che non sono mai mancate nella storia della Chiesa.
Tristemente famose restano le persecuzioni antiche, promosse dagli
imperatori romani, ma altrettanto spietate – oltre a quanto è stato
accennato prima – sono risultate anche le persecuzioni del secolo
scorso, in Messico, in Spagna, nei paesi comunisti, durante il regime
nazista.
Si può dire che accanto al filo dorato
dell’Eucaristia c’è anche il filo rosso del martirio, che raccoglie in
un’unica offerta spirituale al Padre i venti secoli del cristianesimo.
Le persecuzioni restano una costante della vita della Chiesa. E la madre
Chiesa opera un continuo discernimento per la valorizzazione delle
testimonianze martiriali dei suoi figli.
Si pensi al martirio di due grandi figure di
consacrati: del conventuale polacco, san Massimiliano Kolbe, ucciso nel
lager di Auschwitz, e di Edith Stein, l’ebrea convertita al
cristianesimo, diventata carmelitana col nome di Teresa Benedetta della
Croce, sterminata nel contiguo lager di Birkenau e canonizzata da
Giovanni Paolo II nel 1998.
Ma resteranno per sempre sconosciuti gli
innumerevoli volti dei testimoni periti durante i regimi atei e
totalitari, il cui sacrificio si consumò nella quasi assoluta
clandestinità, senza lasciar traccia, se non i loro corpi straziati (e
talvolta neppure questi).
L’identità del martire: «Sono cristiano»
Studi più approfonditi sul martirio ne hanno
rivelato il significato.7 Il martire è il
battezzato fedele a Cristo fino al dono della vita. La loro vera e
unica identità è quella di “essere cristiani”. Così, infatti, rispondeva
il diacono Santo, uno dei martiri di Lione, ai suoi giudici e ai suoi
carnefici. Ecco il racconto di Eusebio di Cesarea, nella sua
Storia
Ecclesiastica:
«Quanto a Santo, anch’egli sopportò coraggiosamente tutte le brutalità
che con smisurata e inumana violenza gli furono inflitte dagli uomini.
Speravano, gli empi, con l’insistenza e la durezza dei supplizi, di
strappargli di bocca qualcosa di blasfemo, ma quegli fece loro fronte
con fermezza [...]. Qualsiasi cosa gli fosse chiesta rispondeva, in
lingua latina: “Sono cristiano”. Questo e soltanto questo egli
invariabilmente dichiarava quale nome, cittadinanza, stirpe, tutto».8
L’identità del martire è il suo battesimo in
Cristo, al di là della sua nazione, della sua cultura, della sua stessa
famiglia. E la loro tenacia nella fede era certo frutto di una volontà
virtuosa, ma soprattutto dono di grazia da parte di Dio: «Non vedi che i
cristiani vengono gettati alle belve perché rinneghino Cristo, e non
sono vinti? Non vedi che, più ne condannano a morte, più si accrescono
di numero? È chiaro: questo non può essere frutto dell’agire umano, ma
della potenza di Dio, ed è una prova della sua presenza».9
La Chiesa fin dall’inizio è stata segnata dal
martirio, secondo la parola profetica del Signore Gesù: «Beati i
perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei
cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo,
diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia» (Mt 5,10-11).
«Guardatevi dagli uomini, perché vi
consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe;
e sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia, per dare
testimonianza a loro e ai pagani. E quando vi consegneranno nelle loro
mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire, perché vi
sarà suggerito in quel momento ciò che dovrete dire: non siete infatti
voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi» (Mt
10,17-20).
Il martirio è il sigillo della Chiesa
pellegrina sulla terra: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche
voi» (Gv 15-20).
San Paolo, il persecutore di Cristo e dei
cristiani, divenuto poi predicatore della buona novella di Gesù, ci
offre la chiave per comprendere la fortezza e la costanza dei martiri. È
la grazia di Cristo che trasforma la loro debolezza in testimonianza
eroica: «Ed egli mi ha detto:
"Ti basta la mia grazia; la mia potenza
infatti si manifesta pienamente nella debolezza". Mi vanterò quindi ben
volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di
Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle
necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando
sono debole, è allora che sono forte» (cf 2Cor 12,9-10).
Spiritualità del martirio
San Paolo ha per primo tracciato una vera e
propria spiritualità del martirio, quando nella Lettera ai Romani
confessa che niente può separare il cristiano dall’amore di Cristo: «Chi
ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione,
l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?
Proprio come sta scritto: per causa tua siamo messi a morte tutto il
giorno, siamo trattati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose
noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati. Io sono
infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né
presente né avvenire, né potenze, né altezza, né profondità, né
alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo
Gesù, nostro Signore» (Rm 8,35-39).
Il martire, infatti, risulta vincitore in
Cristo risorto, mentre l’aguzzino rimane nella valle oscura della morte.
Per il martire vivere è Cristo e morire un guadagno (cf. Fil 1,21):
«Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo
vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di
Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20).
La compartecipazione alla croce di Cristo
rende il martire solidale nella redenzione dell’umanità. Le sue
sofferenze sono il sigillo della sua appartenenza a Cristo: «Perciò sono
lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo quello che nella
mia carne manca ai patimenti di Cristo» (Col 1,24).
La
sequela Christi è la sequela
dell’Agnello immolato. Nella comunione con Gesù i martiri non temono la
sofferenza, la rinuncia e perfino la perdita della loro vita. Passati
attraverso la grande tribolazione, essi lavano le loro vesti nel sangue
dell’Agnello per godere eternamente la visione beata di Dio: «Uno dei
vegliardi allora si rivolse a me e disse: "Quelli che sono vestiti di
bianco, chi sono e donde vengono?". Gli risposi: "Signore mio, tu lo
sai". E lui: "Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande
tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue
dell'Agnello. Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano
servizio giorno e notte nel suo santuario; e Colui che siede sul trono
stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame, né avranno
più sete, né li colpirà il sole, né arsura di sorta, perché l'Agnello
che sta in mezzo al trono sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti
delle acque della vita. E Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi"» (Ap
7,13-17).
Nei martiri si realizza l’identità mistica
con Cristo. L’assalto contro il martire è un ulteriore assalto contro
Cristo, che è presente e soffre col suo testimone fedele. «Non temere:
sono qua io, combatterò con te», dice Gesù a Perpetua.10
E la donna si avvia serena al supplizio. Infatti, non va a morire ma a
vivere con Gesù.
Il martirio diventa la porta della vita:
«”Perché hai fretta di morire?” – fu chiesto a Pionio prima del
martirio. “Non di morire – fu la risposta – ma di vivere”».11
È la realizzazione della parola di Gesù: «Chi
perderà la propria vita per causa mia, la troverà» (Mt 16,25).
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Queste brevi considerazioni sul martirio e
sui martiri possono ricordare ai consacrati e alle consacrate il loro
“martirio bianco” e cioè il loro impegno di fedeltà cordiale alla
sequela Christi
per tutta la vita, mediante i voti di
povertà, castità e obbedienza. La Chiesa e il mondo, oggi più che mai,
hanno bisogno di questa loro testimonianza di santità.
NOTE
1. Cf. A.
Aranda Clavo, «Martitio y
vocacione: el testimonio de un seminarista mártir»
in Conferencia Episcopal
Española, Mártires del siglo XX en España, Mardrid,
Edice 2008, 153-162.
2. Si vedano gli articoli
contenuti nel quotidiano Avvenire
del 23 novembre 2008 p. 3, del 19
dicembre 2008 p. 23, del 31 dicembre 2008, p. 7.
3. Cf
L.LARIVERA,
«Le persecuzioni contro i cristiani in
India», in La Civiltà Cattolica
159 (2008), IV, 410.
4. G.
FAZZINI, «Una lezione di
vita dai testimoni scomodi della fede», in
Avvenire,
31 dicembre 2008, 2.
5. Cf «Nello Stato indiano
dell’Assam nuove violenze sui cattolici», in
L’Osservatore Romano,
3 febbraio 2009, 6.
6. Cf l’analisi al riguardo
di K. FOUAD ALLAM, «Il
martirio nell’Islam contemporaneo», in
Amore di Dio,
Brescia, Morcelliana 2008, 275-287.
7. Cf ad esempio, lo studio
di M. SUSINI,
Il martirio cristiano esperienza di incontro
con Cristo, Dehoniane, Bologna
2002.
8.
EUSEBIO DI CESAREA,
Storia Ecclesiastica,
V, 1,20.
9.
A Diogneto,
VII,7.
10.
Passione di Perpetua,
10,4.
11.
Martirio di Pionio,
20,5.
Angelo Amato
Prefetto della Congregazione per le
Cause dei Santi
Piazza Città Leonina, 1 - 00193
Roma
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