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Parlare
di miti e fantasmi dei giovani potrebbe significare solo e soprattutto
cose effimere, vite spensierate, sogni senza prospettiva, mondo dei
balocchi che attendono di evaporare per lasciare spazio finalmente alla
dura realtà che uccide sogni e futuro, slanci e tensioni. “Tieni i piedi
per terra. Quando è che imparerai a difenderti, a fare i tuoi interessi,
a lasciare le tue fantasie e a metterti a posto”. Fare soldi, mettersi a
posto come unica prospettiva di una vita che fa fatica a stare nelle
sbarre impossibili di un mondo senza ideali.
Invece intendo descrivere le
costanti della loro vita pur legate a sogni e desideri e i fantasmi che
purtroppo sono i possibili incantesimi che la pressione de gli adulti
mette in campo per non assumersi responsabilità vere per il loro
futuro.
Tra privilegi e
domande
Tra i giovani è alta la
consapevolezza di essere privilegiati nella vita. Rasenta quasi uno
stato di superiorità nei confronti delle generazioni più adulte, anche
giovanili. È una sorta di diritto acquisito e non messo mai in
discussione. Nessuno mi deve dire niente. La vita è mia. Ho su di essa
il mio diritto assoluto. Mi aspetto di essere rispettato e lasciato in
pace.
Ma da questo modo di vivere si deve
ogni tanto uscire, sballare, perché così come è la vita non è
soddisfacente, è esperienza normale. Lo sballo però ti porta una serie
di conseguenze negative: le lagne dei genitori, il restare intronati per
molto tempo, il perdere qualità espressive, il ritorno deludente alla
normalità… ma ne valeva la pena! Sacrifico la tranquillità a un buco da
cui vedere un altro orizzonte, anche se è falso. Ho bisogno di novità,
di rompere la routine,
di dire che ci sono a modo mio, di cercare dove sta il gusto della vita.
Un’altra grande necessità è di poter
stare in compagnia, che ancora non è amicizia, ma è dire, parlare,
sparare idiozie, sentirsi, vedersi, oltre ogni momento virtuale che pure
aiuta in questa direzione. Contenti di stare gratis a viversi. Con tutti
gli strumenti che condiscono lo stare assieme, la sigaretta, lo
spinello, il cellulare con qualche foto non troppo castigata, le sonerie
e la raccolta di mpeg o l’ipod.
Le domande di senso hanno sempre un
sopravvento indiscusso.
Essere giovani è sentire che nel
pieno dello star bene ti assale un voglia di oltre, di completezza, di
pienezza che non riesci a sperimentare. Hai un cuore che si allarga
sempre più, le esperienze fatte non sono capaci di colmarlo.
Essere giovani è sentirsi dentro un
desiderio di altro cui non riesci a dare un volto, anche il ragazzo più
bello che sognavi, ti comincia a deludere e la ragazza del cuore ti
accorgi che ti sta usando.
Essere giovani è alzarti un giorno e
domandarti, ma dove sto andando, che faccio della mia vita, chi mi può
riempire il cuore? Posso realizzare questi quattro sogni che ho dentro?
Che futuro ho davanti?
Essere giovani è avere una sete che
non ti passa con la birra; aver rotto tutti i tabù di ogni tipo:
spinello, coca, ragazzo, ma sentire ancora un vuoto.
Chi li aiuta a rispondere a queste e
altre infinite domande?
Nell’affrontare la vita si è sempre
soli; già nell’età della preadolescenza sei lasciato solo con un
bagaglio di informazioni che non vengono interiorizzate e valutate sotto
un aspetto etico; c’è consumo di esperienze senza guida. Ognuno si deve
fare un giudizio da solo, senza riferimenti e senza poter inquadrare le
informazioni in una sequenza vitale di rapporti e di confronti.
Oggi i giovani hanno molta
disponibilità ad ascoltare la verità, un rifiuto assoluto di qualsiasi
imposizione ideologica, sono sempre in attesa di qualche novità, godono
di grande libertà di movimento, che spesso usano come fuga dalla realtà…
Fantasmi di
precarietà
Chiamo fantasmi dei giovani le
precarietà, come cifra interpretativa di una lunga stagione della vita
giovanile, che si condensa maggiormente nel lavoro e in tutti gli
elementi di stabilità di cui ha bisogno un giovane: la vita affettiva e
la prospettiva di una famiglia; l’esperienza di fede e di condivisione
della speranza.
Precarietà nel lavoro
Se c’è un’esperienza che a poco a
poco sta coinvolgendo tutti i giovani del terzo millennio essa è fatta
di precariato, flessibilità, certezza di non avere un posto di lavoro
fisso, soprattutto se è il primo, duttilità. Il lavoro non è più una
tappa finale irreversibile, ma ha alcune caratteristiche tipiche:
eterogeneo, diseguale, parziale, una esperienza intermittente.
Diffusione di periodi di lavoro brevi, orario limitato, lavoro
occasionale. È pur vero che i giovani in questo modo hanno smesso di
stare ad aspettare gli adulti che lottavano per tenersi il posto loro1 e
hanno trasformato la disoccupazione in precarietà, ma resta il fatto che
devi per un bel po’ di anni continuare a cambiare, sperando che i
cambiamenti prima o poi ti diano quel che promettono. Ti fai sicuramente
una buona esperienza nel creare il
curriculum
e nel fare colloqui per l’assunzione.
Precarietà è ricerca, è mettere a
prova le proprie qualità e la capacità di adattamento; precarietà è
cambiare ambienti e poter fare utili confronti; precarietà è farsi
un’esperienza di rapporti con varie persone, con il datore di lavoro,
con i compagni di lavoro che cambiano continuamente; precarietà è dare
corpo a progetti e non pagare eccessivamente se risultano sbagliati o
deboli: si può ricominciare di nuovo in altri contesti e con altre
condizioni; precarietà è star sospesi nella vita e continuamente
rimandare le decisioni che si fa fatica a prendere.
Precarietà però è anche sentirsi di
nessuno, essere usato con finanziamenti promozionali per una migliore
qualificazione e non vederne nemmeno l’ombra. Precarietà è anche non
riuscire a mettere radici, è non poter avere uno stipendio fisso e
quindi il mutuo per affrontare le spese necessarie se vuoi mettere su
casa. Precarietà è essersi preparati e qualificati a fare qualcosa di
bello che ti piace e adattarsi per troppo tempo a vivere di rimedi.
Per molti è crisi nera. È continuare
a rimandare le scelte fondamentali della vita o per lo meno avere una
copertura ufficiale per camuffare l’incapacità di scegliere la propria
strada. Chi ha puntato su una identità da immagine si sente frustrato,
perché non sempre le immagini che gli vengono appiccicate gli vanno
bene. Se vivi un rapporto di coppia i problemi sono moltiplicati per due
e sicuramente non sono risolti contemporaneamente.
Precarietà nei
sentimenti
Ieri si decideva a diciott’anni. È
finita l’età della stupidera, è ora di mettere la testa a posto. Se non
vuoi lavorare va all’università e decidi da che parte stare, se vuoi
lavorare sappi che sarai sempre come hai cominciato. Non fare come me,
cercati un futuro più arioso. Hai una ragazza? Mettiti a posto intanto
che ti possiamo dare una mano anche noi. Hai il ragazzo? Tienitelo
stretto, altrimenti farai la “zia”. E si andava a studiare decisi:
ingegnere, medico, avvocato, insegnante, ricercatore… oppure ci si
fermava in un buon lavoro e cominciavano ad arrivare soldi e
soddisfazioni. Ci si poteva anche sposare. Una fatica boia a trovare la
casa, ma prima o poi si riusciva. Oggi a diciott’anni non decidi un bel
niente e se per caso ti sei buttato
su una strada con un po’ di ingenuità, a 25 anni rimetti tutto in
discussione, affetti compresi, ragazzo o ragazza compresi. Hai davanti
anche tu qualche amico che s’è sposato, ma ha già abbandonato. E’ già
ritornato a fare l’amico nella tua banda. E’ mancato solo un anno, forse
due e te lo trovi a cercare di dimenticare, a fingere di poter fare lo
scemo, ma non ci riesce più. Debolezza! Chi me lo fa fare di definire i
miei sentimenti. Chissà che cosa mi nascerà in cuore nei prossimi anni,
o chi mi potrà stregare nei molteplici ambienti in cui dovrò
pellegrinare per trovare lavoro!?
Precarietà nella fede
C’è qualcuno che può dire senza
ingannarmi: sarai felice se… La pienezza della gioia è… C’è qualcuno che
mi può dire dove sta la pienezza della vita, che non mi dice che devo
far tacere i sogni, ma che posso realizzarli?Quando un giovane cerca di
notte la discoteca guarda i
laser
che tagliano il cielo, indicano la direzione di partenza ed è quella che
a loro serve, ma a noi serve il punto di arrivo. E si perdono nel buio.
C'è un laser
che mi indica non solo la direzione
giusta, ma l’obiettivo, lo scopo finale vero? Soprattutto esiste
qualcuno che è la felicità, che mi toglie dall’attenzione alle cose, ma
che mi riempie lui come persona di felicità perché è la felicità stessa?
Voglio avere vita piena, voglio una
vita alla grande, non mi interessano le mezze misure, non mi adatto al
galateo con cui mi state ingessando la vita. Vivo una vita sola e la
voglio vivere al massimo. Non mi dire che bisogna tenere i piedi per
terra, che devo cominciare a mettere la testa a posto, che è finito il
tempo delle pazzie. Non voglio limiti, non m’interessa se è una vita
spericolata o piena di guai, io voglio vivere una vita piena. È la
ricerca di felicità come sete perenne di Dio e che trova nella fede una
prospettiva sicura. Ma queste domande non riescono a giungere, ad
affiorare, a trovare fiato per dirsi in chiesa alla messa delle 11,
abitano le compagnie, la scuola, il lavoro, le notti, i pub, il
territorio…
Eppure c’è una comunità che è fatta
apposta per mettersi in ascolto di queste domande. C’è un popolo che è
destinatario delle domande di felicità degli uomini e che possiede le
sorgenti per appagare la sete. E’ una comunità povera, un popolo
cocciuto e infedele, ma che per sentieri spesso tortuosi è sempre
riuscito a non perdere la vera direzione della sorgente. E’ la Chiesa.
Oggi questa comunità è sfidata ad annunciare il tesoro che possiede, a
cambiare i fantasmi in realtà.
Domenico Sigalini
Vescovo di Palestrina
Piazza G. Pantanelli, 8
00036 Palestrina (Roma)
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