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Premessa
doverosa: questa mia comunicazione, per quanto articolata, non può
essere altro che una riflessione condivisa; io sono una giornalista, non
una specialista di questo settore. Infatti, in genere mi occupo di
Storia Contemporanea e di Storia del Giornalismo, ma da anni metto la
mia professionalità a disposizione delle Suore Domenicane di Santa
Caterina da Siena, con le quali condivido il carisma, il cammino di fede
e il lavoro, ovviamente secondo il mio
status
di laica e le mie
competenze professionali e non.
Entriamo, quindi, nel
merito del nostro incontro.
Il mondo che scorre
sotto i nostri occhi, dalle immagini della televisione alle pagine dei
giornali, fino ai media di nuova generazione, mondo del quale tutti,
ciascuno a suo modo, facciamo parte, è una minima porzione di quella che
è la realtà, del mondo stesso. È la visione che i mezzi di comunicazione
ci danno.
Più fonti si consultano
(giornali, telegiornali, programmi di approfondimento, internet), più si
amplia la visuale e la possibilità di arrivare il più vicino possibile
alla realtà, ma la nostra visione della realtà non sarà mai totalmente
sovrapponibile ad essa, o totalmente esatta. Esiste uno scarto tra la
realtà e il racconto, anche per immagini, della stessa. È una pretesa
vana quella di arrivare al nocciolo della realtà e alla verità
oggettiva.
Del resto, per il
credente, Signore della storia e del creato, la Verità stessa, è solo
Dio, Uno e Trino.
Questa prima
riflessione già ci pone in una particolare ottica.
Interpellati
Innanzitutto
consideriamo un verbo che ci sfida: interpellare. È un verbo di
derivazione latina, che prende origine da “interrompere con obiezioni”,
rivolgere domande, ma anche dirigere. Nel primo significato della lingua
italiana, comunque, è rivolgere a qualcuno una domanda, mentre nel
linguaggio giuridico è chiedere l’adempimento di un’obbligazione.
Scegliere di utilizzare
tale verbo significa entrare direttamente in argomento, abbandonare una
sorta di algido distacco. Si tratta di un verbo “forte”, quasi
obbligante, da leggersi come se sottintendesse un dovere. Già questo ci
dice che siamo nel campo dell’impegno e non della pura osservazione dei
fenomeni, anche se questa ha una sua innegabile importanza.
Allora, di sicuro il
mondo in cui viviamo interpella tutti coloro che, vivendoci, sono
disposti ad esser chiamati in causa, quindi ad esserci, come soggetti
attivi e non passivi della storia nel suo prodursi.
Non entriamo,
volutamente, in merito alla discussione sul concetto, molto dibattuto,
di Storia, lo utilizziamo nella sua accezione più comune e corrente.
In che modo il mondo
odierno interpella e chiama in causa la vita religiosa specie quella
femminile? E ancora, che cosa la vita religiosa può dare al medesimo?
Per rispondere, o per
cercare almeno alcune risposte, a questa domanda ci sarà spazio nel
dibattito; in sede di comunicazione, si può partire dalla conoscenza di
due fattori: 1. come, a grandi linee, è il mondo di oggi; 2. se, e in
quel caso, come la vita religiosa è disposta a confrontarsi con esso.
Solo soggettività
e neopaganesimo?
Il mondo occidentale
vive un periodo di forte secolarizzazione (non è una novità assoluta, ma
il fenomeno non ha mai avuto la portata odierna, frutto della
globalizzazione), quasi di spoliazione e negazione totale di quelli che
sono stati alcuni suoi valori fondanti, tratti dalla civiltà greca e da
quella giudaicocristiana, che ne sono stati e, per quanto si dica, ne
restano alle basi.
L’inizio del terzo
millennio, però, sembra mancare di radici salde, oppure sembra aver
tagliato quelle che da sempre avevano sostenuto le categorie di
riferimento valoriale, alla ricerca, forse, di nuovi elementi fondanti,
ma che per il momento non sembrano essere reperiti, se non nella
esasperazione della soggettività, elevata a norma universale o quasi.
Tutto ciò, ovvio, con le debite eccezioni, che, fortunatamente,
esistono.
I valori della vita
sono manipolati teoricamente e, purtroppo, anche praticamente (vedi la
recente vicenda Englaro), la sua sacralità da molti non è neppure
considerata tale. Al termine “persona”, che tante implicazioni sottende,
si sostituisce quello di individuo, con il suo diverso bagaglio
valoriale.
A volte si ha la netta
impressione che tale sostituzione sia fatta senza neppure sapere quali
distinguo contengono queste due parole, che nel parlato corrente
finiscono spesso per essere, magari, usate come sinonimi.
Per certi aspetti, pare
di essere ritornati all’epoca dei Sofisti presocratici, quando l’uomo
era misura di tutte le cose e del mondo, intendendo tale uomo con la
minuscola, non come genere umano, bensì come singolo. L’uomo pone se
stesso al centro del mondo, non come Dio lo aveva posto nell’Eden,
piuttosto esso si pone come auto-creatore di un eden plastificato e
fittizio, giocato sul tutto e subito, dove il fine giustifica qualunque
mezzo.
Attorno a noi si
leggono inquietanti messaggi di un neopaganesimo imperante (tale
termine, ad esempio, è stato utilizzato anche per indicare l’ideologia
del regime nazista), che vede nel culto del corpo giovane, bello e sano
e nell’appagamento dei suoi sensi e delle sue pulsioni, fisiche e
mentali (qualunque esse siano), il solo fine da perseguire.
La vita è qui, adesso,
subito “del doman non c’è certezza”, in realtà, non c’è un domani,
inteso come tensione interiore, come progetto e se di progetti si parla,
sono sempre a breve termine.
Recenti fatti di
cronaca ci hanno drammaticamente messo di fronte alla concezione che
sottende al seguente enunciato: la vita mi appartiene e ne dispongo come
credo, dal suo inizio
alla fine. Tutto
questo, magari, in perfetta buona fede. Che tristezza, che povertà e,
soprattutto, che mancanza di speranza e di carità!
Davvero Dio è
morto?
Ma quale dio è morto,
quello di Nietzsche, o quello che ci eravamo costruiti a nostra immagine
e somiglianza? Un dio così non è Dio. Solo Gesù di Nazaret, che è morto
ed è risorto, è vero Dio e vero uomo. Qui sta tutto il nocciolo della
differenza. Il resto o è aria fritta, visioni consolatorie stile
New Age,
o preludio al vuoto e alla disperazione.
Una società come la
nostra, che dice di volere il meglio, dovrebbe solo fare salti di gioia
a sentire l’annuncio della Buona Novella, eppure, nella maggior parte
dei casi, questi salti di gioia non si vedono. E’ colpa di coloro che
devono testimoniare questo annuncio e che non sanno arrivare ai cuori?
Oppure, come è diventato un classico, è colpa della società (come se
fosse altro da noi, quasi un comodo capro espiatorio)?
Il Regno di Dio inizia
qui adesso. Certo c’è una via da percorrere, ci sono sacrifici da
mettere in conto (ma sacrifici ci sono sempre, risparmiare per comprare
un’auto di grossa cilindrata è un sacrificio), c’è da uscire dall’io per
entrare in contatto rispettoso e vero con un tu, che va valorizzato e
riconosciuto come fine e non come mezzo.
Insomma è una scelta
per veri atleti dello spirito, non per palestrati vestiti con abiti
griffati e con il cuore ingombro di cianfrusaglie, che impediscono di
trovare uno spazio per altri possibili valori. Il Vangelo parla chiaro:
dove sono i nostri interessi, là si trova pure il nostro cuore.
La vita religiosa
smuove le coscienze?
La vita religiosa
smuove le coscienze e fa vedere, toccare con mano che Dio si è fatto
carne, ha accettato di morire, ma è risorto? In caso contrario si
parlerebbe di Gesù come di una grande della storia, ma la nostra fede
sarebbe vana. Vita religiosa è un termine astratto, la realtà è
costituita da donne e uomini che hanno scelto questa strada e nel loro
essere religiosi mantengono e dovrebbero esaltare il loro essere donne o
uomini. L’annuncio è più che mai attuale ed urgente, perché i falsi
profeti dilagano e fanno proseliti.
A che cosa serve essere
belli di fuori se dentro non c’è nulla? A che cosa serve inseguire il
mito dell’eterna giovinezza e della salute perfetta, se la vita,
impietosa, tutti i giorni ci mostra, nostro malgrado o per fortuna, che
la realtà è diversa da quella dei manifesti pubblicitari e degli spot
televisivi (spesso pure volgari)?
È ancora, qui, in
questa scissura tra i desideri impossibili e la realtà oggettiva, che la
vita religiosa può e deve fare breccia e proporre quanto il mondo
contingente non sa dare: luce e speranza non effimere; carità, non
briciole di elemosina distratte, il mondo è affamato di certezze, ma
sembra che cerchi il contrario.
Perché giocarsi la vita
sui piccoli progetti di basso cabotaggio, quando c’è la possibilità di
poterla mettere a frutto per un progetto più grande? Perché, non
accettare una sfida più alta? È davvero così impossibile e scomodo?
È qui che la vista
religiosa può dare il suo esempio, può mettere in essere un contatto,
può allungare una mano e cercare quella di chi non sa più trovare un
appiglio. Bisogna guardarsi attorno, allora si scopre che di persone in
queste situazioni ce ne sono tante (magari nascoste dietro sorrisi di
circostanza), che allungano una mano e non trovano una salda presa, che
li salvi dal baratro nel quale il facile edonismo di pronto consumo li
sta precipitando. Un esempio pratico può essere quello del contatto, nel
mondo della scuola, con genitori divorziati e che hanno un nuovo
compagno/a. Molti di loro si sentono esclusi, ma sono “affamati” della
Parola. Questo sta diventando sempre di più un nuovo campo di
apostolato, con la sua complessità e specificità, quindi con una
preparazione
ad hoc. Sono
fratelli da non abbandonare.
La percezione e il
senso del tempo
Sono cambiati il senso
e la percezione del tempo. Eppure il tempo resta lo stesso, ma è venuto
meno, o sta venendo meno, il tempo del pensiero puro (la metafisica è
studiata e approfondita in pochi atenei), il tempo della meditazione,
con essi si è cancellato anche quello della preghiera, sostituito da
quello della chiacchiera, del salotto televisivo e del silenzio
domestico. Un silenzio non di interiorizzazione, ma impastato di un
nulla da comunicare, salvo banalità.
È venuto meno il tempo
del sacro e della festa, sostituiti da quello dei grandi eventi di massa
o meno, oppure da uno scorrere continuo, dove tutto è uguale (per
esempio la domenica molti negozi restano aperti, lo
shopping
è diventato un rito).
In questo ha giocato un suo ruolo la nascita, tra la fine del XIX e gli
albori del ventesimo secolo, del “tempo libero”, inteso come extra
lavorativo, non solo per ritemprare le forze, ma anche come segno di
disimpegno rispetto al sacro, a favore del profano.
La vita religiosa (le
donne e gli uomini che vi si sono consacrati) può e deve confrontarsi,
con questi vuoti o questi “pieni” di senso diverso; innanzitutto
riconoscerli e quindi essere ben consapevole, preparata, presente ed
informata, con una propria proposta alternativa forte e ben veicolata.
Nel mondo, ma non del
mondo, per guadagnare più fratelli alla fede in Cristo.
Sporcarsi le mani
Essa deve essere
disponibile e disposta a “sporcarsi le mani” con questa società, dove il
termine “prossimo” sembra indicare solo un aggettivo di luogo (quasi il
vicino del metro, uno sconosciuto, non un fratello) e non, invece, una
condizione di vicinanza interiore, di prossimità dello spirito, quale è
quella che il Vangelo non smette e non smetterà mai di insegnarci. Le
donne, le religiose non sentono con maggiore urgenza questa necessità di
prendersi a cuore, come madri, come sorelle, come amiche, questo
prossimo spesso lasciato a se stesso?
Il tempo dell’uomo
sembra essere diventato qualcosa di avulso dalla realtà, qualcosa di
virtuale (se male usato internet “crea” l’illusione di mondi
alternativi), eppure, che lo voglia o meno, anche esso rientra in
questo. In merito si può fare riferimento al fenomeno di
Second
life
un mondo virtuale
“creato” (qualcosa di simile eppure diverso rispetto ai “giochi di
ruolo”) su internet. Qui le persone si creano una identità “altra” in un
mondo “vero” alternativo;
Avatar,
dal sanscrito – ovvero manifestazione terrena di una divinità - oggi
significa, appunto, dar vita ad un
alter ego
per questo mondo di
internet. Questa non è solo fantasia, ma può trasformarsi in una
pericolosa fuga dalla realtà. Il virtuale scambiato per reale.
Come parlare di Dio a
gente che si è “autoricreata” una vita? Non è facile, ma una scelta del
genere denota un vuoto di senso, un bisogno di affermazione e di amore,
sul quale la proposta religiosa può tentare un approccio “vero”,
soprattutto con i più giovani. Già l’avvento della illuminazione prima a
gas e poi elettrica, aveva dato una scossa alla percezione del tempo (il
“diurno”, il tempo del fare e, magari del divertirsi si è prolungato, ma
anche quello del bene), l’avvento del computer lo ha schiacciato in un
presente irreale. Ne siamo consapevoli fino in fondo?
Vale la pena ricordare
e far ricordare a chi lo dimentica, che a noi è dato un solo tempo per
vivere. Arrivati alla fine di questo, non si ricomincia come in un film
che si riarrotola e riparte. Questo tempo è unico, per ciascuno di noi,
anche se vissuto in mezzo agli altri e con essi condiviso e per la sua
unicità è prezioso e irripetibile (mentre oggi spesso si vive con una
concezione seriale di tutto). Va comunque, però, reso a Cesare quel che
è di Cesare: anche internet propone nuove modalità per un approccio
religioso, ci sono molti siti cattolici ben fatti, che possono essere di
aiuto in questa nuova forma di pastorale.
La risposta può essere
solo forte, o non essere. Per questo ci sarà ampio spazio per dibattere.
Non è forse compito
della vita religiosa, sulla scia del suo Maestro, creare “scandalo”
parlando di un’Eternità che non è quella dell’attimo fuggente, ma quella
dell’amore di Dio? Non è forse suo compito farsi schernire per la
sobrietà che deve, con umiltà, contrapporre alla ricchezza di pochi, la
quale corrisponde alla povertà totale, quando non alla morte per fame di
tanti? Non è suo dovere, rischiare il martirio quotidiano dell’essere
messi all’indice, perché ripone la sua fiducia, non nell’uomo, oggi
misura di molte - quando di non tutte le cose - ma nel suo Creatore?
Altro che interpellati. Si è tirati per i capelli a gridare che questo
mondo ha bisogno di fiducia, di amore, di speranza, fede e di carità
(solo Dio, però, è carità perfetta) di gesti di coraggio quotidiani, non
fini a se stessi, ma portatori di un messaggio di vita. Le religiose, in
quanto donne, dovrebbero essere le prime a sentire questo fremito
vitale, a farlo proprio e, dove manca, a suscitarlo.
Agire controcorrente
La vita delle donne (ma
spesso anche di bambini e uomini) oggi è più che mai mercificata (spesso
lo è stata, ma oggi pare sia la norma); qui le religiose possono offrire
un modello alternativo e, nella sua semplicità, dirompente. È difficile
contrapporre una sobria divisa o un anonimo abbigliamento ad un
ammiccante paio di tacchi a spillo e ad un abito
glamour,
eppure i tacchi alla fine fanno cadere e il
glamour
sfiorisce prima di una
rosa, resta l’habitus
interiore
del credente e della credente, con l’eleganza “dei gigli del campo”, che
nessuno stilista, se non Dio stesso, sa riprodurre.
Le donne hanno in
questo una sensibilità particolare, quasi una marcia in più, quindi le
religiose, forse soprattutto loro, anche perché sorrette da una
comunità, hanno la possibilità di “ingranarla”, perché la loro vita sia
sempre più servizio e stimolo agli altri. Essere per fare, per dare.
In un mondo dove il
sesso è moneta corrente e svilita, fino alla violenza dello stupro, la
castità non ha la spada spuntata per fronteggiare questi atteggiamenti,
ma si pone come “contraddizione”, come modello
altro,
che deve turbare e disturbare, nel solco dell’amore forte e possente di
Dio, fatto uomo nel grembo di una Vergine, una donna che ha detto sì
fidandosi, credendo all’incredibile, ma all’incredibile della fede in
Dio, non all’incredibile che tanti ciarlatani spacciano, oggi, come
panacea dai mali della vita (i fenomeni di depressione e suicidio sono
aumentati nelle società ricche: questo dovrebbe far pensare ed incrinare
alcune certezze). Il richiamo a Maria, vergine e madre, vuole essere un
richiamo alla generazione materiale e, soprattutto, spirituale
unicum
di ogni donna, laica o
consacrata. Certo, con modalità diverse, il mondo ha più che mai bisogno
di questo essere madri nello spirito per germogliare e crescere la
spiritualità. Se restano parole, saranno anche belle, ma non servono a
nulla.
Tanti ragazzi e
ragazze, ma anche bambini, sono soli pur avendo una famiglia. È questo
il prossimo da rendere “proprio figlio” e al quale insegnare, con
sollecitudine ed affetto materni, a credere nel Dio dell’amore, perché a
queste persone si può e si deve dare amore, non concettuale, ma fatto di
attenzioni e gesti concreti.
Possiamo anche parlare
di una nuova
concezione del corpo.
Infatti i trapianti e le protesi artificiali hanno “allargato” la nostra
realtà corporea. Le medicine, per molte malattie fino a poco tempo fa
considerate incurabili, allungano la vita. È il caso dei malati di
Aids;
anche questi sono fratelli da seguire con un contatto pastorale, come
sono da aiutare alcuni trapiantati (il Signore ti dà la possibilità di
ampliare il tempo a tua disposizione), ma soprattutto le famiglie dei
donatori (perché il Signore mi ha tolto mio figlio? La donazione è il
massimo dell’altruismo, oppure contiene, comprensibilmente, la volontà
di mantenere in vita “qualcosa” del proprio caro?). Qui c’è spazio per
tanta, davvero tanta testimonianza di speranza e carità, accanto alla
ferma presa di posizione contro la mercificazione estrema, quella del
mercato degli organi. Il nostro corpo è tempio dello Spirito Santo e
destinato alla resurrezione. Quanti se lo ricordano, nella quotidianità,
con comportamenti conseguenti? I religiosi devono essere dei “pro
memoria” viventi.
Libertà o
obbedienza?
E che dire della
dirompente attualità di un voto di obbedienza, da contrapporre ad un
erroneo concetto di libertà, che, persa la bussola, sta rendendo la
persona prigioniera di se stessa, fino a soffocarla? Sì, per chi ha
coraggio di subire lo scherno, lo spazio e le richieste di azione sono
tante.
La vita religiosa non è
in fuori
gioco. Anzi,
ha il diritto-dovere
di alzare il
cartellino rosso e di
chiedere che
il gioco sia sospeso
e lo si
riprenda con regole corrette.
Anche se ciò
non accade,
la richiesta
va fatta, altrimenti o
si è ciechi,
o, alla fine, si diventa
complici.
Questo mondo patinato
promette tutto, ma non dà nulla gratis, non solo, lascia presto soli e
con la bocca amara. Un mondo che in un attimo crea idoli, o li distrugge
e li getta via, come fazzoletti di carta usati. Problemi, ma in questo
mondo non tutto è allo sbando. Attenzione al pessimismo che non
costruisce.
Attenzione, a non
cadere nel pessimismo del dire che, ormai, tutto è inutile. No, ci sono
persone, consacrate e laiche (del resto tutti i battezzati sono parte
della Chiesa), che, tutti i giorni, remano contro corrente. Non
arriverebbero mai da nessuna parte, se pilota della loro barca (grande o
piccola che sia) non fosse Dio stesso. Ebbene, in questo mondo neopagano
c’è bisogno di persone che spendano (che sprechino, secondo la visione
corrente) la loro vita per gli altri, in nome dell’unico Padre. C’è
bisogno di donne innamorate di Cristo, come lo fu Caterina da Siena,
solo per citare l’esempio della patrona d’Italia, e per questo pronte a
farsi tutto per tutti i fratelli.
Onestamente, bisogna
segnalare che non mancano persone di buona volontà, le quali si dedicano
agli altri, ma in senso “orizzontale”, senza una visione “verticale”,
ovvero all’interno di un progetto più alto, dove lo scoramento, che è
sempre dietro l’angolo, va combattuto con la preghiera.
Per fortuna c’è la
preghiera
Già, la preghiera. Il
termine oggi sembra obsoleto, ma il suo valore non è analizzabile con le
categorie di questo mondo, eppure se non ci fossero tante preghiere che
lo sostengono è possibile che, in esso, le brutture sarebbero molte di
più di quelle che già ci sono. Alcuni recenti studi scientifici (ne
hanno dato conto i giornali) hanno dimostrato anche che, su un campione
di persone affette dalla stessa patologia, reagiscono meglio o,
addirittura guariscono, quanti pregano, rispetto agli altri che non lo
fanno. C’è, dunque un valore terapeutico nella preghiera e, soprattutto,
una disposizione di animo diversa nei confronti della vita e delle sue
prove.
Allora questo mondo,
dietro le quinte scintillanti di una parvenza hollywoodiana è tutto
marcio? Per fortuna no, l’immagine dei mass media è vera solo in parte,
perché il bene, per sua natura non fa notizia, ma è possibile e
probabile che nel mondo sovrasti, di gran lunga, il male, che ci è posto
tutti i giorni sotto gli occhi, occhi che vanno “allenati” a
riconoscerlo. Tanto che verrebbe da chiedersi, se dietro questa visione
negativa non ci sia un’abile regia diabolica, che voglia spingerci allo
scoraggiamento e alla disperazione. Questa potrebbe, addirittura, essere
una nuova forma di tentazione.
La vita religiosa con
la preghiera e l’esempio deve ricordare che l’amore di Dio è presente,
che Dio consente, ma non è causa diretta del male, il quale deriva dalla
nostra natura corrotta dal peccato originale. La presenza di Dio è
“fatta” di perdono ed accoglienza, è come il padre del “figliol prodigo”
che ci aspetta, per vederci, alla fine, tornare tra le sue braccia.
Si è in pochi a fare da
diga al male dilagante? Si è in pochi a mostrare modelli alternativi e
salvifici? Se ragionassimo secondo le nostre forze, la battaglia sarebbe
persa in partenza, ma non tocca a noi salvare e convertire il mondo, a
noi tocca convertirci in prima persona, pregare e non stancarci mai di
testimoniare; il resto è nelle mani di Dio, è Lui, per il credente,il
vero motore del mondo e non un motore immobile di aristotelica memoria,
ma un fulcro di amore che vuole la salvezza di tutti e nella sua
magnanimità ci interpella, ciascuno personalmente e tutti come comunità,
partecipi della Comunione dei Santi.
Rosaria Marchesi
Coniugata,
giornalista
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