n. 2
febbraio 2010

 

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«Non temere Abram...» (Gen 15,1-6)
Il cammino verso la libertà

di TIZIANO LORENZIN

 

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Abbiamo visto che Abramo era emigrato con il padre a Carran, ma questo non è un luogo tanto differente da Ur dei Caldei. La sventura e la morte lo accompagnano anche là. Tuttavia Abramo non agisce spinto dalla disperazione. Egli ascolta l’invito del Signore e liberamente obbedisce. Non deve rassegnarsi ad abitare ad Carran. A settantacinque anni, con il cuore spezzato, si stacca dal padre giunto all’età di centoquarantacinque anni, lasciandolo alle cure probabilmente del fratello più giovane, Nacor. Il Signore però ha provveduto anche a Terach, donandogli altri sessanta anni di vita. Abramo deve riprendere il cammino verso la vita, partendo però da una scelta divina e così lo vediamo in viaggio, mentre impianta la tenda di luogo in luogo nella terra che il Signore gli ha promesso. La strada verso la libertà piena è per lui un itinerario nell’obbedienza della fede. Abramo impara lentamente a obbedire, permettendo così al Signore di compiere le sue promesse, che sembrano impossibili e si riveleranno come un dono d’amore.

La libertà è rischiosa

         Il Signore non lo costringe mai; non lava il cervello a colui che egli chiama: dialoga con lui con l’amore e la severità del padre. Questa libertà è rischiosa però. In un attimo, invece della benedizione può subentrare l’esperienza della maledizione. Abramo, infatti, costretto da una carestia, pensa che anche la terra promessa sia una terra di morte e se ne va alla ricerca del pane in Egitto. La vita annunciatale dal Signore gli sembra tanto lontana. Egli ora deve soddisfare un bisogno impellente; non può aspettare e preferisce il luogo della schiavitù, l’Egitto, a quello della libertà: la terra promessa. Non solo. Rischia anche di perdere ciò per cui era partito: una discendenza. Riconoscendo che Sara sua moglie era bella e che il Faraone poteva invaghirsi di lei, non la difende, ma la abbandona al suo destino dicendole: «Di’ dunque che sei mia sorella, perché io sia trattato bene per causa tua e io viva per riguardo a te» (Gn 12,13). Espone la moglie all’adulterio. All’amore di Sara preferisce la propria vita, ripetendo ancora una volta il peccato di Adamo, che si difende dal Signore accusando Eva. Dio però è sempre all’opera e non abbandona il suo servo anche se peccatore, come non ha abbandonato la prima coppia. Una malattia colpisce vistosamente il Faraone e la sua corte. E gli Egiziani, esperti in diagnosticare malattie alla pelle, deducono che si tratta di una punizione divina per il peccato di adulterio. Questo è confermato anche dal libro dei Proverbi: «L’adultero è privo di senno, solo chi vuole rovinare se stesso agisce così» (Pro 6,32).

Abramo viene immediatamente estradato dall’Egitto, accompagnato fino alla frontiera dai soldati egiziani. E può ritornare nel Canaan libero con la moglie e tutti i suoi beni, compreso il risarcimento datogli dal Faraone. Il Signore è ancora misteriosamente presente: il Faraone, che è la parte lesa, si dichiara da sé colpevole di peccato d’adulterio, e Abramo che l’aveva messo nell’occasione è stranamente beneficato. Solo il Signore, infatti, riesce a trasformare una situazione di peccato in occasione di benedizione per l’uomo che l’ha commesso.

I piani di Dio e quelli dell’uomo

Ritornato nel Negheb Abramo riprende il suo viaggio, andando di tappa in tappa fino a Betel, nello stesso posto dove un tempo aveva impiantato le tende e aveva eretto un altare al Signore. E là ancora una volta egli prega il Signore, affinché gli illumini il cammino da fare. Sembra, infatti, cominci a mancare lo spazio vitale. Abramo e il nipote Lot non possono più abitare insieme. La separazione però è pacifica. Abramo non è un violento e un prepotente. Egli, il più forte, divide, Lot, il più debole, sceglie. Lot sceglie la parte più bella, ma noi lettori già sappiamo che quelle terre sono abitate da gente malvagia e là avverrà una catastrofe, che Lot ancora non s’immagina.

Abramo sta sbagliando nel ritenere il suo nipote Lot, suo erede. Il Signore lo invita paternamente; lo prega di fissare gli occhi sulla terra che ha davanti. Questa è la terra che sarà donata a lui e alla sua discendenza. Ma egli ribadisce anche la promessa di una discendenza di numero incalcolabile: «Renderò la tua discendenza come la polvere della terra» (Gen 13,16). Abramo pensa allora di fissare finalmente la sua residenza: leva le tende e si insedia a Ebron e qui costruisce un terzo altare al Signore, che parlandogli ha rinforzato la sua fede.

Abramo però continua a pensare che il presunto erede sia Lot, il quale in una improvvisa razzia è stato deportato fuori dalla terra promessa con tutti i suoi beni. Per questo egli si mette all’inseguimento dei rapitori, recuperando tutta la roba e soprattutto Lot, suo nipote.

Abramo si sente vittorioso e in questo stato ha un sogno profetico. Egli non ha figli; ha solo un presunto erede, Lot: il testo ebraico primitivo sembra non riportare il nome del servo Eliezer. Abramo si lamenta con il Signore, perché crede che il figlio promesso sia solo un figlio adottivo. Ma non è così. L’erede sarà un figlio biologico: «Uno nato da te» (Gen 15,4). Con una formula di cortesia Dio invita Abramo a contare le stelle del cielo. E mentre questi continua a contarle, il Signore gli conferma il numero incalcolabile dei suoi discendenti. Abramo dopo aver iniziato il suo dialogo nel dubbio, conclude rispondendo nella fede. E il Signore gli ascrive questo a titolo di merito (Gen 15,6).

Il cammino di Abramo continua

Il cammino di Abramo – abbiamo visto – è il cammino del cristiano e in particolare del religioso e della religiosa. Uno dei problemi che toccano la sensibilità profonda di chi si è consacrato con i voti al Signore è la sofferenza dei genitori vecchi e malati. La parola sta dicendo loro: «Non temere»! Il distacco dai genitori e dai parenti è la condizione per lasciar spazio alla provvidenza di Dio, che in modi impensati si prende cura di loro. Inoltre, dopo la professione religiosa, ci si scontra con il cambio di superiori, che non sono più quelli con i quali si è iniziato il cammino di discernimento vocazionale. Sembra che il taglio con i genitori sia stato solo per seguire ancora una volta la volontà di un altro. A prima vista pare che anche Abramo si sia staccato dall’obbedienza al padre per obbedire a un altro padrone, il Signore. In realtà, obbedendo al Signore, Abramo gli permette di compiere le sue promesse. Anche il religioso tanto più sperimenta di camminare verso la libertà, quanto più lestamente cammina nell’obbedienza della fede. Ma la libertà regalata dal Signore è rischiosa. La tentazione è accovacciata alle porte della casa. La fame di affetto può far preferire un piacere effimero alla felicità di una vita piena con Dio, come capitò ad Abramo in Egitto. Il religioso e la religiosa, però, sanno che Dio si è impegnato con loro; egli non teme le loro cadute e fa di tutto per riportarli nella terra, dove possono sperimentare la felicità promessa. E ai loro dubbi e angosce egli risponde con assicurazioni di una grandezza incalcolabile come le stelle del cielo.

Ancora una volta Dio realizza la promessa di vita piena fatta nel giorno della professione, se il consacrato e la consacrata continuano ad abbandonarsi a lui nella fede. Per Abramo non basta il sì iniziale: egli lo deve ripetere nei passaggi più bui della sua vita. Per questo è nostro padre nella fede.

Tiziano Lorenzin, ofmconv
Facoltà Teologica del Triveneto
Via S. Massimo, 25 – 25129 Padova

 

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