Abbiamo
visto che Abramo era emigrato con il padre a Carran, ma questo non è un
luogo tanto differente da Ur dei Caldei. La sventura e la morte lo
accompagnano anche là. Tuttavia Abramo non agisce spinto dalla
disperazione. Egli ascolta l’invito del Signore e liberamente obbedisce.
Non deve rassegnarsi ad abitare ad Carran. A settantacinque anni, con il
cuore spezzato, si stacca dal padre giunto all’età di
centoquarantacinque anni, lasciandolo alle cure probabilmente del
fratello più giovane, Nacor. Il Signore però ha provveduto anche a
Terach, donandogli altri sessanta anni di vita. Abramo deve riprendere
il cammino verso la vita, partendo però da una scelta divina e così lo
vediamo in viaggio, mentre impianta la tenda di luogo in luogo nella
terra che il Signore gli ha promesso. La strada verso la libertà piena è
per lui un itinerario nell’obbedienza della fede. Abramo impara
lentamente a obbedire, permettendo così al Signore di compiere le sue
promesse, che sembrano impossibili e si riveleranno come un dono
d’amore.
La
libertà è rischiosa
Il
Signore non lo costringe mai; non lava il cervello a colui che egli
chiama: dialoga con lui con l’amore e la severità del padre. Questa
libertà è rischiosa però. In un attimo, invece della benedizione può
subentrare l’esperienza della maledizione. Abramo, infatti, costretto da
una carestia, pensa che anche la terra promessa sia una terra di morte e
se ne va alla ricerca del pane in Egitto. La vita annunciatale dal
Signore gli sembra tanto lontana. Egli ora deve soddisfare un bisogno
impellente; non può aspettare e preferisce il luogo della schiavitù,
l’Egitto, a quello della libertà: la terra promessa. Non solo. Rischia
anche di perdere ciò per cui era partito: una discendenza. Riconoscendo
che Sara sua moglie era bella e che il Faraone poteva invaghirsi di lei,
non la difende, ma la abbandona al suo destino dicendole: «Di’ dunque
che sei mia sorella, perché io sia trattato bene per causa tua e io viva
per riguardo a te» (Gn 12,13). Espone la moglie all’adulterio. All’amore
di Sara preferisce la propria vita, ripetendo ancora una volta il
peccato di Adamo, che si difende dal Signore accusando Eva. Dio però è
sempre all’opera e non abbandona il suo servo anche se peccatore, come
non ha abbandonato la prima coppia. Una malattia colpisce vistosamente
il Faraone e la sua corte. E gli Egiziani, esperti in diagnosticare
malattie alla pelle, deducono che si tratta di una punizione divina per
il peccato di adulterio. Questo è confermato anche dal libro dei
Proverbi: «L’adultero è privo di senno, solo chi vuole rovinare se
stesso agisce così» (Pro 6,32).
Abramo viene
immediatamente estradato dall’Egitto, accompagnato fino alla frontiera
dai soldati egiziani. E può ritornare nel Canaan libero con la moglie e
tutti i suoi beni, compreso il risarcimento datogli dal Faraone. Il
Signore è ancora misteriosamente presente: il Faraone, che è la parte
lesa, si dichiara da sé colpevole di peccato d’adulterio, e Abramo che
l’aveva messo nell’occasione è stranamente beneficato. Solo il Signore,
infatti, riesce a trasformare una situazione di peccato in occasione di
benedizione per l’uomo che l’ha commesso.
I
piani di Dio e quelli dell’uomo
Ritornato nel
Negheb Abramo riprende il suo viaggio, andando di tappa in tappa fino a
Betel, nello stesso posto dove un tempo aveva impiantato le tende e
aveva eretto un altare al Signore. E là ancora una volta egli prega il
Signore, affinché gli illumini il cammino da fare. Sembra, infatti,
cominci a mancare lo spazio vitale. Abramo e il nipote Lot non possono
più abitare insieme. La separazione però è pacifica. Abramo non è un
violento e un prepotente. Egli, il più forte, divide, Lot, il più
debole, sceglie. Lot sceglie la parte più bella, ma noi lettori già
sappiamo che quelle terre sono abitate da gente malvagia e là avverrà
una catastrofe, che Lot ancora non s’immagina.
Abramo sta
sbagliando nel ritenere il suo nipote Lot, suo erede. Il Signore lo
invita paternamente; lo prega di fissare gli occhi sulla terra che ha
davanti. Questa è la terra che sarà donata a lui e alla sua discendenza.
Ma egli ribadisce anche la promessa di una discendenza di numero
incalcolabile: «Renderò la tua discendenza come la polvere della terra»
(Gen 13,16). Abramo pensa allora di fissare finalmente la sua residenza:
leva le tende e si insedia a Ebron e qui costruisce un terzo altare al
Signore, che parlandogli ha rinforzato la sua fede.
Abramo però
continua a pensare che il presunto erede sia Lot, il quale in una
improvvisa razzia è stato deportato fuori dalla terra promessa con tutti
i suoi beni. Per questo egli si mette all’inseguimento dei rapitori,
recuperando tutta la roba e soprattutto Lot, suo nipote.
Abramo si sente
vittorioso e in questo stato ha un sogno profetico. Egli non ha figli;
ha solo un presunto erede, Lot: il testo ebraico primitivo sembra non
riportare il nome del servo Eliezer. Abramo si lamenta con il Signore,
perché crede che il figlio promesso sia solo un figlio adottivo. Ma non
è così. L’erede sarà un figlio biologico: «Uno nato da te» (Gen 15,4).
Con una formula di cortesia Dio invita Abramo a contare le stelle del
cielo. E mentre questi continua a contarle, il Signore gli conferma il
numero incalcolabile dei suoi discendenti. Abramo dopo aver iniziato il
suo dialogo nel dubbio, conclude rispondendo nella fede. E il Signore
gli ascrive questo a titolo di merito (Gen 15,6).
Il
cammino di Abramo continua
Il cammino di
Abramo – abbiamo visto – è il cammino del cristiano e in particolare del
religioso e della religiosa. Uno dei problemi che toccano la sensibilità
profonda di chi si è consacrato con i voti al Signore è la sofferenza
dei genitori vecchi e malati. La parola sta dicendo loro: «Non temere»!
Il distacco dai genitori e dai parenti è la condizione per lasciar
spazio alla provvidenza di Dio, che in modi impensati si prende cura di
loro. Inoltre, dopo la professione religiosa, ci si scontra con il
cambio di superiori, che non sono più quelli con i quali si è iniziato
il cammino di discernimento vocazionale. Sembra che il taglio con i
genitori sia stato solo per seguire ancora una volta la volontà di un
altro. A prima vista pare che anche Abramo si sia staccato
dall’obbedienza al padre per obbedire a un altro padrone, il Signore. In
realtà, obbedendo al Signore, Abramo gli permette di compiere le sue
promesse. Anche il religioso tanto più sperimenta di camminare verso la
libertà, quanto più lestamente cammina nell’obbedienza della fede. Ma la
libertà regalata dal Signore è rischiosa. La tentazione è accovacciata
alle porte della casa. La fame di affetto può far preferire un piacere
effimero alla felicità di una vita piena con Dio, come capitò ad Abramo
in Egitto. Il religioso e la religiosa, però, sanno che Dio si è
impegnato con loro; egli non teme le loro cadute e fa di tutto per
riportarli nella terra, dove possono sperimentare la felicità promessa.
E ai loro dubbi e angosce egli risponde con assicurazioni di una
grandezza incalcolabile come le stelle del cielo.
Ancora una volta
Dio realizza la promessa di vita piena fatta nel giorno della
professione, se il consacrato e la consacrata continuano ad abbandonarsi
a lui nella fede. Per Abramo non basta il sì iniziale: egli lo deve
ripetere nei passaggi più bui della sua vita. Per questo è nostro padre
nella fede.
Tiziano Lorenzin,
ofmconv
Facoltà
Teologica del Triveneto
Via S.
Massimo, 25 – 25129 Padova