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Da
molto tempo attendevo l’uscita di un volume come quello del domenicano
Jean-Claude Lavigne,
Perché
abbiano la vita in abbondanza.
La vita religiosa (Qiqajon 2011)», afferma Enzo Bianchi nella Prefazione al
libro. «Da decenni ormai - sottolinea il priore di Bose - la vita religiosa
conosce una situazione di smarrimento di motivazioni, di mancato riconoscimento
del proprio carisma all'interno del corpo ecclesiale, di offuscamento della
propria visibilità come testimonianza evangelica». Attraverso una rilettura
della vita religiosa, «una via “formidabile”, più vicina alla lotta che a una
vita facile», frutto di esperienza diretta, ma anche di profonda conoscenza
delle fonti, di sguardo lucido sul presente e di audace speranza per il futuro,
l’Autore del volume propone un nuovo approccio: lo specifico della vita
religiosa risiede in un «distacco fecondo», una distanza (realizzata nella
preghiera, nella conversione, nella vita comune e fraterna, nel servizio
ecclesiale e nell'impegno solidale...) in vista dell'abbandono alla volontà di
Dio e dell'attaccamento ad una comunità di celibi, capace di generare orizzonti
di speranza per la Chiesa e per il mondo.
Dei sedici
capitoli in cui si struttura il volume, il decimo capitolo svolge il tema che
qui vogliamo riprendere a grandi linee, quale apporto al concerto di voci del
Dossier
dedicato proprio a «La vita fraterna». Il capitolo si apre con il titolo: «Un
cammino verso la vita fraterna» già di per sé indicativo. Si intuisce infatti
che la vita religiosa sostenuta dal Vangelo è un itinerario di conversione
continua per diventare artefici di fraternità. La vita in comune, sia pure
attraverso i suoi limiti, fa emergere diverse tappe possibili, ognuna delle
quali ha una grande importanza e nessuna può essere sottovalutata. Con la guida
dell’autore possiamo quindi percorrere le cinque tappe fondamentali proposte
come aiuto nel cammino per diventare fratelli e sorelle in modo autentico.
*****
La prima
tappa della
non
aggressione attiva,
che fa della vita religiosa una scuola di pace, è indubbiamente un passo avanti
rispetto alla violenza imperante nella nostra società o in noi, ed è inevitabile
che alcuni facciano fatica a mettersi a questa scuola. La pace è lo shalom che
Dio propone per bocca di Isaia, il cantore della pace (cf Is11,6-8); è un bene
prezioso da difendere, un tesoro che porta a godere delle vere ricchezze, e ci
immette in un vero e proprio “circolo virtuoso”. La pace è un’arte di vivere,
nella quale non è più necessario essere armati, perché ci siamo liberati dalla
paura, o almeno siamo in cammino verso questa meta.
La tappa del
“vivere con” è quella che fa della vita religiosa una scuola
dell’essere-insieme: abolisce la paura a vantaggio di una fiducia semplice e
amabile. Prendere sul serio questa tappa significa lasciare spazio alla gioia,
al riso, alla festa, al piacere dell’incontro. Il “vivere con” passa per quella
molteplicità di piccoli servizi, doni, gesti gratuiti, cose da nulla, confidenze
e momenti di tacita intesa che la vita comune richiede. Il “vivere con” ci ridà
la forza di resistere nelle avversità, grazie all’amicizia da cui procede e che
l’essere insieme consolida.
La terza
tappa fa delle vita religiosa una scuola di apertura all’alterità. Questa
tappa è più difficile delle precedenti e spesso le nostre comunità incontrano
maggiori resistenze a realizzarla, perché a volte non sono altro che
raggruppamenti di individui isolati, spesso brillanti, ma chiusi nel loro mondo.
L’apertura all’alterità privilegia il dialogo, la condivisione delle esperienze,
la circolazione della parola e un ascolto cordiale di ampio respiro, che evita i
giudizi troppo segnati dalla propria cultura.
La quarta
tappa è quella dell’ospitalità
con tutto quello che implica a livello di relazioni reciproche e di dinamismo
personale. L’ospitalità è una delle nostre grandi tradizioni, in particolare
della vita monastica: essa mira a dispensare conforto e cure, a riconoscere
l’altro in ciò che egli ha di unico e di universale nel contempo, preoccupandosi
di lui e del suo bene. Anche in questa tappa non vi sono altre strade che quella
di un’apertura al dialogo, un dialogo che permette di scoprire che l’altro, se è
vero che non mi assomiglia, è comunque una chance per me e per l’istituzione. Si
scopre così, al di là delle differenze, un’atmosfera familiare, un sentire
comune e una comune ricerca di Dio che assume sfumature molteplici.
L’ultima
tappa è quella della
fraternità
propriamente detta. È l’ideale che cerchiamo di vivere nelle nostre comunità,
seguendo sia il modello delle prime comunità cristiane, sia quello dei discepoli
attorno a Gesù. Questa ricerca ha come principale obiettivo di aiutare i
credenti a essere il più possibile simili a Cristo. In questo senso la
fraternità esprime la nuova economia introdotta dalla risurrezione, quella che
ha spinto i cristiani a vivere da fratelli e ad abbandonare la logica del
“ciascuno per sé” o della rivalità per entrare in un’amicizia fiduciosa. Il
desiderio di costruire la fraternità fa allora della vita religiosa una scuola
di comunione, edificata sulla condivisione delle nostre debolezze e delle nostre
speranze, più che su affermazioni di principio e su punti di forza.
*****
In verità
abbiamo bisogno di vivere la vita fraterna come luogo dove stabilire legami
affettivi senza sentirci sopraffatti. Al riguardo sono necessari spazi interiori
di silenzio e di pace: tempi prolungati nei quali ciascuno possa elaborare
un’immagine chiara e realistica di se stesso. A quindici anni dal documento
Vita Consecrata,
scaturito dal sinodo dei vescovi del 1994, si avverte ancora la provocazione di
alcuni suoi paragrafi dove si descrivono esigenze e caratteristiche di una vita
fraterna «come segno di un dialogo sempre possibile e di una comunione capace di
armonizzare le diversità», «in un mondo diviso e ingiusto» (VC 51).
Amiche
lettrici e cari lettori, il fascicolo di Consacrazione e Servizio che avete tra
le mani, il quarto del 2012, si apre con le consuete due rubriche. Nella prima:
«Verso
il 50° dell’Usmi»,
p. Giordano Cabra, quale testimone del cammino della vita consacrata e della sua
evoluzione dal Concilio Vaticano II ad oggi, dà voce alla parola «Consigli
evangelici».
Nell’altra rubrica: «Per
educare alla fede»,
la nostra collaboratrice Paola Bignardi dedica un’attenzione particolare a come
educare all’incontro con Gesù. La rubrica: «Orizzonti»
arricchisce il fascicolo con il contributo di Armando Matteo sul convegno
internazionale promosso dal comitato per il progetto culturale della Cei sul
tema: «Gesù, nostro contemporaneo», realizzato a Roma nei giorni 9-11 febbraio
2012.
Una parola
particolare per il «Dossier».
Sotto il titolo: «Amatevi come fratelli», tratto da 1Pietro 1,22, sono raccolti
sei studi che aprono l’orizzonte su una tematica centrale della spiritualità
contemporanea: «La vita fraterna». Si parte dal messaggio biblico del salmo 133,
quale canto della fraternità (C. Caracciolo), per poi illustrare brevemente
l’insegnamento della Chiesa sul suo valore (L. Rossi), far emergere la profezia
più attesa oggi dalle persone consacrate (F. Lambiasi), motivare la vita
fraterna come comunione di santi e peccatori (E. Citterio), presentare la
comunità quale luogo di correzione fraterna e di perdono (F. Ciardi), proporre
infine una sorta di grammatica della fraternità (C. Zanirato). Anche il presente
Editoriale
si pone sulla stessa prospettiva del Dossier.
La rubrica:
«Ascoltare-Leggere» presenta dapprima i gioielli di poesia e di musica che sono
le Antifone mariane (G. Osto), seguono: la presentazione del volume La gioia di
Daniel Ange (a cura di M. Farina) e le segnalazioni di alcuni libri (M. M.
Pedico).
Il dono
profetico della fraternità può fermentare il mondo e condurlo verso una stagione
nuova, come canta il frate-poeta David Maria Turoldo nella memoria dei Sette
Santi Fondatori dei Servi di Maria:
Tanto
l’amore li aveva intrecciati
da esser segno del Cristo vivente:
fraternità era il dono cercato,
il solo dono che offrivano al mondo.
Maria Marcellina Pedico
Serve di Maria Riparatrici
Via Monte Velino, 30 - 00141 ROMA
m.pedico@smr.it
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