Un’immagine
che spesso mi ritorna nitida alla mente, quando si parla o in qualche
maniera si accenna alla vita fraterna, è quella di una nuvolosa alba sul
mare: nubi a volte nere, a volte leggere, sul cui bordo alto il sole,
che comunque preme all’orizzonte, traccia un segno dorato, lasciando
presagire una vittoria, che renderà splendente il giorno che viene.
È
vero, la nostra epoca è segnata da varie e diverse nubi: oltre a guerre,
persecuzioni, fame, malattie, si assiste anche ad una diffusa
frammentazione dell’esistenza; prevale una sensazione di solitudine; si
moltiplicano le divisioni e le contrapposizioni. L’individualismo che si
va imponendo porta a indebolire il senso della solidarietà nelle
relazioni interpersonali, il senso di gratuità di gesti e scelte. È
facile che le persone si sentano sole, che il sostegno affettivo sia
fluttuante, a volte proprio nei rapporti parentali.
La
Chiesa, nella sua materna sollecitudine verso i consacrati, ha
sostenuto, indirizzato, corretto - attraverso un sicuro magistero - il
cammino dei religiosi nell’esprimere la comunione fraterna, quale dono
che viene dall’alto (cf Vita fraterna in comunità). Esso diventa
pure il segno visibile che è possibile nella condivisione di vita e di
ideali superare la logica corrente, la quale ha come criterio di scelta
il proprio vantaggio personale, e costruire così un futuro buono per il
mondo e per se stessi.
Sorprendersi
di
fronte alla possibilità di comunione,
accendersi
al roveto ardente che è Dio-Trinità,
stupirsi
dell’ordito che lo Spirito tesse nella quotidianità della vita fraterna,
affidarsi
al
Dio-Amore in totale disponibilità: sono gli atteggiamenti interiori
sapienziali per una vita fraterna di qualità, che la Chiesa e i nostri
contemporanei attendono dai consacrati.
Sguardo del cuore
sulla Trinità
Il
beato Giovanni Paolo II affermava nella lettera apostolica
Novo
Millennio Ineunte
(2001), quasi compendio del magistero contenuto nei documenti
fondamentali per la vita religiosa –
La
vita
fraterna in comunità
(1994) e
Vita
consecrata
(1996) - che la spiritualità, a cui la Chiesa tutta è fortemente
chiamata, è quella della comunione: «Occorre promuovere - affermava il
Papa – una spiritualità della comunione, facendola emergere come
principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il
cristiano, dove si educano i ministri dell'altare, i consacrati, gli
operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità.
Spiritualità della comunione significa innanzitutto sguardo del cuore
portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va
colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto» (NMI 43).
La
sorgente della comunione sgorga dal cuore della Trinità, fonte davvero
inesauribile di amore. La circolarità di questo amore è la ragione
stessa dell’esistere di Dio, che lo comunica continuamente ad ogni
creatura, poiché a sua immagine è stata creata. Per questo l’intima
natura della persona è comunionale. Ogni cristiano è chiamato ad aderire
al progetto di Dio per il mondo, vincendo la divisione che il peccato ha
creato nelle relazioni ad ogni livello.
«Da
questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni
per gli altri» (Gv13,35): le parole di Gesù ci fanno ben capire che la
relazione di comunione è veramente manifestazione di quell’amore che,
sgorgando dal cuore del Padre, ci inonda attraverso lo Spirito che Gesù
stesso ci dona. Solo rendendo visibile questa realtà, la Chiesa,
famiglia di Dio, è il segno di una profonda unione con Dio e si professa
come la dimora entro cui questa esperienza è possibile ed è vivificante
per tutti.
Cristo Signore, chiamando alcuni a condividere la sua vita, forma una
comunità che rende visibile «la capacità di comunione dei beni,
dell’affetto fraterno, del progetto di vita e di attività, che proviene
dall’aver accolto l’invito a seguirlo più liberamente e più da vicino» (VFC
10).
Come
non lasciarsi sorprendere da allegrezza interiore, che si genera di
fronte alla gratuità del dono della comunione? Viene posta nelle mani
delle creature la possibilità di un esistere che poggia sulla relazione
comunionale, che è un’ontologica esigenza. Questa necessità crea
nell’intimo della persona una nostalgia di amore, che si placa solo
nella misura in cui gli occhi del cuore sono persi nel cuore della
Trinità.
La comunione
fraterna «spazio teologale»
Consapevoli che la comunione è un dono, non si può neppure pretendere di
comprendere la comunità religiosa pensandola come prodotto di impegno
solamente umano. La vita consacrata si origina da una pura gratuità:
Cristo ci vuole in rapporto con sé, per questo ha dato la sua vita, per
questo continua a camminare tra le nostre quotidianità, per questo vede
e chiama alcuni. Se il cuore e la vita di una persona si aprono allo
stupore di questa predilezione, non può non fiorire la gratitudine. È
questa mescolanza di stupore e gratitudine che muove verso l’altro,
verso la sorella e il fratello che condividono la fede nell’unico
Signore, la chiamata a stare con lui nella stessa Famiglia religiosa.
Allora la comunità è fatta di persone che mi appartengono, di cui colgo
il positivo e lo valorizzo come dono per me. Non c’è spazio quindi per
tentazioni di egoismo, di competizione, di gelosie.
La
comunione fraterna è definita «spazio
teologale
in
cui si può sperimentare la mistica presenza del Signore risorto (cf Mt
18,20). Questo avviene grazie all’amore reciproco di quanti compongono
la comunità, un amore alimentato dalla Parola e dall'Eucaristia,
purificato nel Sacramento della Riconciliazione, sostenuto
dall'implorazione dell'unità, speciale dono dello Spirito per coloro che
si pongono in obbediente ascolto del Vangelo» (VC 42).
La
comunione fraterna è riflesso del modo di essere e di darsi di Dio. In
altri termini, non è possibile amare l’altro senza amarlo in Dio ed è
l’unico modo per non ridurre la sorella o il fratello ad oggetto di
possesso. Soltanto attraverso il cuore di Dio si può accogliere la
diversità crocifiggente dell’altro e «confessare la potenza dell’azione
riconciliatrice della grazia, che abbatte i meccanismi disgregatori
presenti nel cuore dell’uomo e nei rapporti sociali» (VC 41b).
È
utopia tutto questo? Certamente no, poiché un’umanità riconciliata è il
segno di riconoscimento che Gesù ha lasciato per i suoi: la redenzione
‘diviene’ nella ferialità! Non può essere che persone con un retroterra
umano differente stiano insieme in modo stabile, se ciascuna di loro non
si accende costantemente all’amore del Dio che per primo ama, che
accoglie, che perdona, che ricrea il cuore del consacrato e lo rende
capace di amore incondizionato, libero dal giudizio.
Per costruire la
fraternità
Nell’evolversi del tempo, all’interno della vita consacrata la comunità
ha dovuto adeguare il
modus vivendi
alle
mutate condizioni sociali, pur rimanendo fermi alcuni principi fondanti:
la
fraternità,
che pone l’accento sulle relazioni interpersonali nella comunità, e la
vita
in comune,
cioè «abitare la medesima casa, […] la fedeltà alle stesse norme, la
partecipazione agli atti comuni, la collaborazione nei servizi comuni» (VFC
3).
Non
è semplice né scontato quanto affermato sopra, perché il ritmo a volte
frenetico che la vita impone, porta a non dare attenzione a ciò che può
non solo salvaguardare, ma soprattutto alimentare la vita fraterna. «Dal
dono della comunione scaturisce il compito della costruzione della
fraternità, cioè del diventare fratelli e sorelle in una data comunità
dove si è chiamati a vivere insieme» (VFC 11).
Ci
sono alcuni mezzi per realizzare questo, che sono irrinunciabili. «La
comunità religiosa deve essere vigilante e prendersi il tempo necessario
per aver cura della qualità della sua vita» (VFC 13). È un intreccio di
preghiera comunitaria e preghiera personale!
«Per
vivere da fratelli e da sorelle è necessario un vero cammino di
liberazione interiore» (VFC 21). Se non vogliamo che l’uomo vecchio
prevalga, è necessario conoscere e avvalersi del supporto delle scienze
umane per una migliore conoscenza di sé, non dimenticando che c’è un
cammino ascetico da portare avanti e al quale non si può rinunciare.
Consapevoli che anche nella migliore comunità non si possono evitare i
conflitti (cf VFC 26), è altrettanto indispensabile coltivare quelle
virtù umane, che rendono piacevole e lieta ogni vita di fraternità,
quali «educazione, gentilezza, sincerità, controllo di sé, delicatezza,
senso dell’umorismo e spirito di condivisione» (VFC 27).
Altro elemento importante è sicuramente la comunicazione, che è
condivisione di vissuti. La sua mancanza «rende estraneo il fratello e
anonimo il rapporto, oltre che creare vere e proprie situazioni di
isolamento e di solitudine» (VFC 32). Bisogna avere il coraggio di
abbattere le proprie difese e accostarsi alle sorelle e ai fratelli con
fiducia e nella verità, eliminando giudizi e pregiudizi. In questo modo
si costruisce una reciprocità tale, per cui nessuno è estraneo.
La
comunità non è fine a se stessa, ma è per la persona. «La realizzazione
dei religiosi passa attraverso le loro comunità…» (VFC 25). «Il cammino
verso la maturità umana, premessa di una vita di irradiazione
evangelica, è un processo che non conosce limiti, perché comporta un
continuo arricchimento non solo di valori spirituali, ma anche di quelli
di ordine psicologico, culturale e sociale» (VFC 35). Crescere
umanamente e spiritualmente è possibile se ci si sente al proprio posto,
se si ama la propria vocazione e si è disposti a sacrificarsi per essa.
È dentro una fraternità che l’io egocentrico si apre al noi, che da un
obiettivo individualistico si converge verso un progetto comune.
L’autorità è ciò che garantisce l’unità di intenti, che anima la vita
spirituale e la missione, che consolida la comunione fraterna (cf VC
43b). Non è un esercizio di potere che può portare a dominare le
persone, bensì l’esercizio di una maternità e paternità secondo il cuore
di Dio, che permette ad una comunità di fidarsi gli uni degli altri e
insieme di affidarsi a Colui che è Uno e insieme Reciprocità.
Questo è ciò che abbiamo ereditato, questo è ciò che la vita consacrata
è chiamata a vivere oggi, perché sia profezia di futuro… «E la speranza
si tinge di bellezza!».
Lina Rossi mpda
Via Monte L’Abbate, 39
47924 Rimini