n. 7/8
luglio/agosto 2012

 

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Cammini pastorali di comunione
Per la vita consacrata in missione

MARIO ALDEGANI

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Ho suddiviso la relazione in due momenti: in questo primo incontro cercherò di individuare dei cammini pastorali di comunione dentro la realtà che ci accade intorno e all’interno della Chiesa e della società; nel secondo rifletteremo sui cammini di fiducia rivolti in particolare al servizio di governo.

Pensarci dentro la Chiesa

Vita consacrata è vita cristiana! La consacrazione battesimale costituisce e definisce l'identità di ogni cristiano, la quale non è altro che la santità. Gli stessi consigli evangelici, propri della vita religiosa, non possono considerarsi elementi esclusivi di essa: sono un'esigenza fondamentale di ogni credente, in un cammino di identificazione con Gesù Cristo. Essere religiosi (consacrati siamo tutti in forza della vocazione battesimale) è un modo specifico di essere cristiani. Il modello storico di questa esistenza cristiforme è il rapporto speciale che Gesù nella sua esistenza terrena ebbe con alcuni dei suoi discepoli. «Veramente la vita consacrata costituisce memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù» (VC 22).

Credo che sia molto importante pensarci dentro la Chiesa e in comunione con essa. Non siamo una storia “a parte”, pur avendo caratteristiche e specificità proprie. Non possiamo pensarci in modo autoreferenziale: non ha senso, né prospettiva. Sembra di dire una ovvietà, ma in pratica non è così, perché in un’ottica di comunione nella Chiesa e con la Chiesa i problemi si vedono in modo differente, le soluzioni ad essi prendono una loro direzione propria.

 C'è urgenza di riflettere sulla comunione, che preoccupa più della missione. Servono persone con il carisma della comunione. E noi siamo chiamati ad essere, in tutti i modi, quelle persone. Servono strutture comunionali. E noi siamo chiamati a favorirle. La comunione è un dono, una missione, una spiritualità per la vita consacrata. «Alle persone consacrate si chiede di essere davvero esperte di comunione e di praticarne la spiritualità» (VC 46). La comunione è una forza vitale dei nostri giorni, che si esprime con esigenze nuove: qui si gioca la vita e la morte. La comunione è tutto. È importante vedere la comunione: persone o gruppi che non sanno vedere i segni della comunione vanno verso la sterilità e la morte, non hanno futuro.

 Pertanto è necessario porre lo sguardo, l'udito e la parola dove la comunione germoglia. «Nella profondità della condizione umana giace la speranza di una presenza, il desiderio profondo di una comunione» (Fr. Roger). La comunione nella Chiesa va compresa come realtà dinamica e inclusiva: abbraccia ogni persona, soprattutto i poveri e gli oppressi, e anche il creato.

Consacrati di fronte al mondo

La vita consacrata è costituita dalla consacrazione totale e permanente a Dio, espressa tramite la professione religiosa vissuta in comunità e nella missione ed è intrinsecamente modellata dal contesto storico. Questo determina continuità e discontinuità nelle sue differenti forme, diverse anche nella sostanza.

La categoria che regola il rapporto fra i due aspetti è il mondo. Nella storia della Chiesa la relazione tra vita consacrata e mondo è stata, a volte, antagonista e ostile. La vita consacrata all'inizio rappresentava il ripudio del mondo (andando nel deserto, nel convento...). Con il Concilio Vaticano II si ha un nuovo rapporto con il mondo: la Gaudium et Spes è stata l'alba di una nuova era. Proprio nel nuovo legame con il mondo si pone la sfida teologico-pastorale per la vita consacrata: come ridefinire la propria vocazione senza perderne l’identità? E quindi occorre avere una visione del mondo basata teologicamente su una concezione positiva della creazione come dono dell'amore di Dio; della storia umana come contesto nel quale con l’incarnazione del Verbo l'umanità è chiamata alla divinizzazione; dell'umanità come oggetto della missione trinitaria di Dio che genera una nuova spiritualità.

Di conseguenza, il nostro impegno per Dio che ama il mondo non può più esprimersi in relazione al mondo e alla sua gente tramite le strategie dell'isolamento, della distanza sociale, dell'elitarismo, ma attraverso la comunione, la compassione, la condivisione.

Le sfide della postmodernità

Nel rispondere alla chiamata divina la persona consacrata non appartiene più a se stessa. Dio afferra la totalità del suo essere in modo irreversibile. Al riguardo, vi sono tre linee di cammino formativo da ripercorrere nel contesto della postmodernità. Relazione fra il proprio io e il compito apostolico. Il consacrato accetta di avere un mandato, di essere inviato; non decide da se stesso la sua missione; può solo riconoscerla e rispondervi. Solo quando il proprio compito è scoperto come missione personale, allora lo si può abbracciare con tutta libertà e desiderio. Per Gesù aver coscienza di essere mandato ha significato aver coscienza del volere del Padre. La consapevolezza del Padre fonda anche la vita dell'apostolo. Per non correre il rischio di ridurre la vocazione apostolica a volontariato assistenziale, la persona consacrata è chiamata a vivere profondamente un'antropologia filiale. Unità di vita. La scoperta della vita come missione apostolica abilita ad un profondo equilibrio spirituale, ad una maggiore armonia e unità di vita, sia nella contemplazione che nell'azione. L'idea che la missione “scarichi” o consumi la persona indica un difetto di comprensione fra persona e missione. In realtà, lo svolgimento della propria azione è il luogo dove giorno dopo giorno si è introdotti ad un rapporto sempre più profondo con il mistero di Cristo in relazione filiale con il Padre. Il concetto di missione può unire interiormente la vita del consacrato.

Vita apostolica fra individualità e appartenenza. Per l’apostolo, il carattere della propria azione è nello stesso tempo individuale e comunitario. Se è vero infatti che ogni missione è unica, come unica è la vita di ciascuno, è altrettanto vero che essa è possibile solo collocata all’interno della Chiesa, corpo di Cristo. Ciascuno è “apostolo” o “mandato” solo in comunione con la comunità che lo invia.

In un mondo globalizzato

Due sfide emergono dal mondo e dalla Chiesa di oggi: un mondo globalizzato, una Chiesa mondiale. La globalizzazione del mondo si esprime in una nuova percezione del tempo e dello spazio e crea una nuova interdipendenza fra i popoli. Così la crisi della vita consacrata tende a diffondersi rapidamente in tutto il mondo (calo numerico, percezione della sua irrilevanza). L’emergere di una Chiesa mondiale ha disintegrato la sua identificazione con l'Occidente: oggi l'appartenenza è multiculturale e la missione è multinazionale. Questo ha portato un certo disordine nella vita consacrata: la ricerca di una diversa comprensione dei suoi elementi fondamentali; la consapevolezza che l’Europa non è più l'unica fonte di missionari verso il mondo; l’espandersi dei movimenti. Questa situazione offre però alla vita consacrata molte opportunità.

Innanzitutto il valore dell'internazionalità come possibilità di comunione fra diversi. Il cammino, però, deve andare verso la “multiculturalità”, che significa in concreto permettere a tutte le culture di essere visibili nelle comunità; evitare qualsiasi tentativo di livellamento culturale, che assorbe quelle minoritarie nella cultura dominante; creare un clima in cui ogni cultura si lasci arricchire e trasformare dalle altre. Inoltre, la collaborazione intercongregazionale. Essa non è soltanto una strategia per la missione, ma affermare che la missione non è una questione nostra, è la missio Dei, più grande di quello che ogni individuo ed ogni congregazione possono fare.

Immersi nella storia

La vita consacrata ha bisogno di confrontarsi con il mondo, come ha fatto Cristo. «Nel mondo ma non del mondo»: nel mondo, cioè, con le sue lotte e le sue fatiche, in ascolto attento e partecipe delle sue voci. Gesù ha amato il mondo e ogni persona, e ne ha assunto il dolore e la sofferenza, ancor prima di denunciare e condannare il peccato. Noi siamo sempre chiamati a questo sguardo di benevolenza, uno sguardo di autentica «passione per l'umanità».

La vita consacrata apostolica è una chiamata a stare con Cristo che vive con e tra la gente, e che dona se stesso per gli altri. In una parola è vivere uniti a lui, che «passò beneficando e risanando tutti». Gli elementi che danno fondamento ad una relazione “benedicente” con la storia e con il mondo sono quelli connessi con l'incarnazione: Dio è in Cristo, e l'incarnazione coinvolge Dio nella storia. Come la Chiesa anche i religiosi e le religiose sono immersi nella storia. Dio si è avvicinato a noi in modo così misterioso che non possiamo che donargli tutta la vita.

Oltre ogni paura

Oggi scopriamo e sperimentiamo concretamente, anche nei nostri Istituti, la sfida della diversità. C'è difficoltà ad esprimere le diverse esperienze in modo che possano essere ascoltate e capite: c'è l'esigenza di un nuovo linguaggio. In questa fatica due immagini ci accompagnano e disegnano atteggiamenti come percorsi di comunione: il cammino e l’armonia. Il primo passo è il riferirsi a Gesù, l'unico che può riempire di senso la nostra vita. Questo riferimento non va dato per scontato, neppure fra noi: chiede di essere evidenziato, riconosciuto, celebrato, cantato.

In Cristo Gesù siamo e possiamo essere unità e comunione. È lui il Signore Risorto e Vivo che ci dà la certezza che è possibile crescere in questo cammino di comunione. È lui che apre le nostre porte per incontrare altri fratelli e sorelle con i quali condividere il cammino. È lui che è presente ed operante anche là dove i nostri contesti comunitari e relazionali sembrano rimanere chiusi. È lui che ci fa sperare in una nuova vita e in un mondo nuovo dove il piccolo e il povero hanno dignità di fratelli e di figli dello stesso Padre. Senza di lui, senza la sua forza dirompente, troppe porte, resistenze, barriere, autoreferenzialità restano penosamente chiuse, troppi muri eretti dalla nostra fragile umanità ci dividono in noi stessi e dagli altri, impedendoci di aprirci alla grazia che lo Spirito ha preparato per i nostri giorni.

La forza del Risorto ci libera dalla paura. La paura è il più forte ostacolo all'amore e al dono. Si dice che il contrario dell'amore non è l'odio, ma la paura. Paura di noi stessi: non ce la faccio, non sono capace... Paura del nostro passato: ho già provato tante volte, so che sbaglio, non mi fido... Paura degli altri: cosa diranno, come giudicheranno quello che dico, quello che faccio... Paura del futuro: saprò resistere, saprò essere fedele, sarò all'altezza?

Cammini “essenziali”

I nostri cammini essenziali di comunione li possiamo esprimere con l’attenzione ai poveri, il dialogo, una nuova qualità della relazione e della formazione.

Siamo chiamati a metterci nella prospettiva del debole e del vulnerabile. Questa, d'altra parte, è la prospettiva di Dio, come ci attesta la Scrittura. La vita consacrata è stata sempre all'avanguardia nella prossimità con chi soffre ed è in difficoltà. I poveri continuano ad essere una nostra via di futuro: una comunità chiusa ai poveri non può crescere spiritualmente. La sfida odierna è riconoscere e accostarsi alle nuove povertà, aprendo gli occhi sulle sue cause e domandarci se la nostra testimonianza non debba maggiormente essere di denuncia delle ingiustizie sociali e della negazione dei diritti umani.

Emerge inoltre l'istanza di un'etica universale, un'etica davvero umana. Questo può essere terreno di dialogo e di concreti percorsi tra esperienze religiose diverse. Non è questione di privilegiare ciò che è comune, sottovalutando le differenze, ma di pensare le differenze mettendosi di fronte al bisogno di verità e di comunione insito nel cuore umano. In questo senso va ingaggiato un confronto anche col secolarismo, che non va inteso come chiusura alla trascendenza.

Testimoniare la fede in Dio ed essere fedeli al carisma ci spinge ad uscire e non rimanere dentro. Dio lo si incontra fuori dell'accampamento. L'esodo è necessario. Il Dio, che pure già conosciamo e ci viene incontro,deve ancora venire anche per noi. Ciò implica riconoscerlo, sapendo abbandonare le nostre sicurezze e abitudini e la nostra tendenza al controllo o al possesso.

Tutto ciò dona nuova luce al rapporto tra identità e alterità. Il senso della propria identità (personale, cristiana, religiosa) permette di conoscere le identità altrui e non lascia in preda al relativismo. Allo stesso tempo non si può essere se stessi senza gli altri, non si può conoscere se stessi se non grazie agli altri.

Mario Aldegani
Giuseppini del Murialdo
Via del Belvedere Montello, 77 - 00166 Roma

 

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