Ho
suddiviso la relazione in due momenti: in questo primo incontro cercherò
di individuare dei cammini pastorali di comunione dentro la realtà che
ci accade intorno e all’interno della Chiesa e della società; nel
secondo rifletteremo sui cammini di fiducia rivolti in particolare al
servizio di governo.
Pensarci dentro la
Chiesa
Vita consacrata è vita cristiana! La consacrazione battesimale
costituisce e definisce l'identità di ogni cristiano, la quale non è
altro che la santità. Gli stessi consigli evangelici, propri della vita
religiosa, non possono considerarsi elementi esclusivi di essa: sono
un'esigenza fondamentale di ogni credente, in un cammino di
identificazione con Gesù Cristo. Essere religiosi (consacrati siamo
tutti in forza della vocazione battesimale) è un modo specifico di
essere cristiani. Il modello storico di questa esistenza cristiforme
è il rapporto speciale che Gesù nella sua esistenza terrena ebbe con
alcuni dei suoi discepoli. «Veramente la vita consacrata costituisce
memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù» (VC 22).
Credo che sia molto importante pensarci dentro la Chiesa e in comunione
con essa. Non siamo una storia “a parte”, pur avendo caratteristiche e
specificità proprie. Non possiamo pensarci in modo autoreferenziale: non
ha senso, né prospettiva. Sembra di dire una ovvietà, ma in pratica non
è così, perché in un’ottica di comunione nella Chiesa e con la Chiesa i
problemi si vedono in modo differente, le soluzioni ad essi prendono una
loro direzione propria.
C'è urgenza di riflettere sulla comunione, che preoccupa più
della missione. Servono persone con il carisma della comunione. E noi
siamo chiamati ad essere, in tutti i modi, quelle persone. Servono
strutture comunionali. E noi siamo chiamati a favorirle. La comunione è
un dono, una missione, una spiritualità per la vita consacrata. «Alle
persone consacrate si chiede di essere davvero esperte di comunione e di
praticarne la spiritualità» (VC 46). La comunione è una forza vitale dei
nostri giorni, che si esprime con esigenze nuove: qui si gioca la vita e
la morte. La comunione è tutto. È importante vedere la comunione:
persone o gruppi che non sanno vedere i segni della comunione vanno
verso la sterilità e la morte, non hanno futuro.
Pertanto è necessario porre lo sguardo, l'udito e la parola dove la
comunione germoglia. «Nella profondità della condizione umana giace la
speranza di una presenza, il desiderio profondo di una comunione» (Fr.
Roger). La comunione nella Chiesa va compresa come realtà dinamica e
inclusiva: abbraccia ogni persona, soprattutto i poveri e gli oppressi,
e anche il creato.
Consacrati di fronte
al mondo
La
vita consacrata è costituita dalla consacrazione totale e permanente a
Dio, espressa tramite la professione religiosa vissuta in comunità e
nella missione ed è intrinsecamente modellata dal contesto storico.
Questo determina continuità e discontinuità nelle sue differenti forme,
diverse anche nella sostanza.
La
categoria che regola il rapporto fra i due aspetti è il mondo. Nella
storia della Chiesa la relazione tra vita consacrata e mondo è stata, a
volte, antagonista e ostile. La vita consacrata all'inizio rappresentava
il ripudio del mondo (andando nel deserto, nel convento...). Con il
Concilio Vaticano II si ha un nuovo rapporto con il mondo: la Gaudium et
Spes è stata l'alba di una nuova era. Proprio nel nuovo legame con il
mondo si pone la sfida teologico-pastorale per la vita consacrata: come
ridefinire la propria vocazione senza perderne l’identità? E quindi
occorre avere una visione del mondo basata teologicamente su una
concezione positiva della creazione come dono dell'amore di Dio; della
storia umana come contesto nel quale con l’incarnazione del Verbo
l'umanità è chiamata alla divinizzazione; dell'umanità come oggetto
della missione trinitaria di Dio che genera una nuova spiritualità.
Di
conseguenza, il nostro impegno per Dio che ama il mondo non può più
esprimersi in relazione al mondo e alla sua gente tramite le strategie
dell'isolamento, della distanza sociale, dell'elitarismo, ma attraverso
la comunione, la compassione, la condivisione.
Le sfide della
postmodernità
Nel rispondere alla chiamata divina la persona consacrata non appartiene
più a se stessa. Dio afferra la totalità del suo essere in modo
irreversibile. Al riguardo, vi sono tre linee di cammino formativo da
ripercorrere nel contesto della postmodernità. Relazione fra il
proprio io e il compito apostolico. Il consacrato accetta di avere
un mandato, di essere inviato; non decide da se stesso la sua missione;
può solo riconoscerla e rispondervi. Solo quando il proprio compito è
scoperto come missione personale, allora lo si può abbracciare con tutta
libertà e desiderio. Per Gesù aver coscienza di essere mandato ha
significato aver coscienza del volere del Padre. La consapevolezza del
Padre fonda anche la vita dell'apostolo. Per non correre il rischio di
ridurre la vocazione apostolica a volontariato assistenziale, la persona
consacrata è chiamata a vivere profondamente un'antropologia filiale.
Unità di vita. La scoperta della vita come missione apostolica
abilita ad un profondo equilibrio spirituale, ad una maggiore armonia e
unità di vita, sia nella contemplazione che nell'azione. L'idea che la
missione “scarichi” o consumi la persona indica un difetto di
comprensione fra persona e missione. In realtà, lo svolgimento della
propria azione è il luogo dove giorno dopo giorno si è introdotti ad un
rapporto sempre più profondo con il mistero di Cristo in relazione
filiale con il Padre. Il concetto di missione può unire interiormente la
vita del consacrato.
Vita apostolica fra individualità e appartenenza. Per l’apostolo,
il carattere della propria azione è nello stesso tempo individuale e
comunitario. Se è vero infatti che ogni missione è unica, come unica è
la vita di ciascuno, è altrettanto vero che essa è possibile solo
collocata all’interno della Chiesa, corpo di Cristo. Ciascuno è
“apostolo” o “mandato” solo in comunione con la comunità che lo invia.
In un mondo globalizzato
Due sfide emergono dal mondo e dalla Chiesa di oggi: un mondo
globalizzato, una Chiesa mondiale. La globalizzazione del
mondo si esprime in una nuova percezione del tempo e dello spazio
e crea una nuova interdipendenza fra i popoli. Così la crisi
della vita consacrata tende a diffondersi rapidamente in tutto il
mondo (calo numerico, percezione della sua irrilevanza).
L’emergere di una Chiesa mondiale ha disintegrato la sua
identificazione con l'Occidente: oggi l'appartenenza è
multiculturale e la missione è multinazionale. Questo ha portato un
certo disordine nella vita consacrata: la ricerca di una diversa
comprensione dei suoi elementi fondamentali; la consapevolezza
che l’Europa non è più l'unica fonte di missionari verso il
mondo; l’espandersi dei movimenti. Questa situazione offre però
alla vita consacrata molte opportunità.
Innanzitutto il valore dell'internazionalità come possibilità di
comunione fra diversi. Il cammino, però, deve andare verso la
“multiculturalità”, che significa in concreto permettere a tutte
le culture di essere visibili nelle comunità; evitare qualsiasi
tentativo di livellamento culturale, che assorbe quelle
minoritarie nella cultura dominante; creare un clima in cui ogni
cultura si lasci arricchire e trasformare dalle altre. Inoltre,
la collaborazione intercongregazionale. Essa non è soltanto una
strategia per la missione, ma affermare che la missione non è una
questione nostra, è la missio Dei, più grande di quello che ogni
individuo ed ogni congregazione possono fare.
Immersi nella storia
La vita consacrata ha bisogno di confrontarsi con il mondo, come ha
fatto Cristo. «Nel mondo ma non del mondo»: nel mondo, cioè, con le sue
lotte e le sue fatiche, in ascolto attento e partecipe delle sue voci.
Gesù ha amato il mondo e ogni persona, e ne ha assunto il dolore e la
sofferenza, ancor prima di denunciare e condannare il peccato. Noi siamo
sempre chiamati a questo sguardo di benevolenza, uno sguardo di
autentica «passione per l'umanità».
La vita consacrata apostolica è una chiamata a stare con Cristo che vive
con e tra la gente, e che dona se stesso per gli altri. In
una parola è vivere uniti a lui, che «passò beneficando e risanando
tutti». Gli elementi che danno fondamento ad una relazione “benedicente”
con la storia e con il mondo sono quelli connessi con l'incarnazione:
Dio è in Cristo, e l'incarnazione coinvolge Dio nella storia. Come la
Chiesa anche i religiosi e le religiose sono immersi nella storia. Dio
si è avvicinato a noi in modo così misterioso che non possiamo che
donargli tutta la vita.
Oltre ogni paura
Oggi scopriamo e sperimentiamo concretamente, anche nei nostri Istituti,
la sfida della diversità. C'è difficoltà ad esprimere le diverse
esperienze in modo che possano essere ascoltate e capite: c'è l'esigenza
di un nuovo linguaggio. In questa fatica due immagini ci accompagnano e
disegnano atteggiamenti come percorsi di comunione: il cammino e
l’armonia. Il primo passo è il riferirsi a Gesù, l'unico che può
riempire di senso la nostra vita. Questo riferimento non va dato per
scontato, neppure fra noi: chiede di essere evidenziato, riconosciuto,
celebrato, cantato.
In Cristo Gesù siamo e possiamo essere unità e comunione. È lui il
Signore Risorto e Vivo che ci dà la certezza che è possibile crescere in
questo cammino di comunione. È lui che apre le nostre porte per
incontrare altri fratelli e sorelle con i quali condividere il cammino.
È lui che è presente ed operante anche là dove i nostri contesti
comunitari e relazionali sembrano rimanere chiusi. È lui che ci fa
sperare in una nuova vita e in un mondo nuovo dove il piccolo e il
povero hanno dignità di fratelli e di figli dello stesso Padre. Senza di
lui, senza la sua forza dirompente, troppe porte, resistenze, barriere,
autoreferenzialità restano penosamente chiuse, troppi muri eretti dalla
nostra fragile umanità ci dividono in noi stessi e dagli altri,
impedendoci di aprirci alla grazia che lo Spirito ha preparato per i
nostri giorni.
La forza del Risorto ci libera dalla paura. La paura è il più
forte ostacolo all'amore e al dono. Si dice che il contrario dell'amore
non è l'odio, ma la paura. Paura di noi stessi: non ce la faccio, non
sono capace... Paura del nostro passato: ho già provato tante volte, so
che sbaglio, non mi fido... Paura degli altri: cosa diranno, come
giudicheranno quello che dico, quello che faccio... Paura del futuro:
saprò resistere, saprò essere fedele, sarò all'altezza?
Cammini “essenziali”
I nostri cammini essenziali di comunione li possiamo esprimere
con l’attenzione ai poveri, il dialogo, una nuova qualità della
relazione e della formazione.
Siamo chiamati a metterci nella prospettiva del debole e del
vulnerabile. Questa, d'altra parte, è la prospettiva di Dio, come ci
attesta la Scrittura. La vita consacrata è stata sempre all'avanguardia
nella prossimità con chi soffre ed è in difficoltà. I poveri
continuano ad essere una nostra via di futuro: una comunità chiusa ai
poveri non può crescere spiritualmente. La sfida odierna è riconoscere e
accostarsi alle nuove povertà, aprendo gli occhi sulle sue cause e
domandarci se la nostra testimonianza non debba maggiormente essere di
denuncia delle ingiustizie sociali e della negazione dei diritti umani.
Emerge inoltre l'istanza di un'etica universale, un'etica davvero umana.
Questo può essere terreno di dialogo e di concreti percorsi tra
esperienze religiose diverse. Non è questione di privilegiare ciò che è
comune, sottovalutando le differenze, ma di pensare le differenze
mettendosi di fronte al bisogno di verità e di comunione insito nel
cuore umano. In questo senso va ingaggiato un confronto anche col
secolarismo, che non va inteso come chiusura alla trascendenza.
Testimoniare la fede in Dio ed essere fedeli al carisma ci spinge ad
uscire e non rimanere dentro. Dio lo si incontra fuori
dell'accampamento. L'esodo è necessario. Il Dio, che pure già
conosciamo e ci viene incontro,deve ancora venire anche per noi. Ciò
implica riconoscerlo, sapendo abbandonare le nostre sicurezze e
abitudini e la nostra tendenza al controllo o al possesso.
Tutto ciò dona nuova luce al rapporto tra identità e alterità. Il senso
della propria identità (personale, cristiana, religiosa) permette di
conoscere le identità altrui e non lascia in preda al relativismo. Allo
stesso tempo non si può essere se stessi senza gli altri, non si può
conoscere se stessi se non grazie agli altri.
Mario Aldegani
Giuseppini del Murialdo
Via del Belvedere Montello, 77 - 00166 Roma