n. 7/8
luglio/agosto 2012

 

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Il servizio della comunità dei discepoli
GRAZIA PAPOLA

 

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Invocazione allo Spirito

Vieni, o Spirito Santo,
dentro di me, nel mio cuore e nella mia intelligenza.
Accordami la tua intelligenza
perché io possa conoscere il Padre
nel meditare la parola del Vangelo.
Accordami il tuo amore
perché anche quest’oggi, esortato dalla tua Parola,
ti cerchi nei fatti e nelle persone che ho incontrato.
Accordami la tua sapienza
perché io sappia rivivere
e giudicare alla luce della tua Parola
quello che oggi ho vissuto.
Accordami la perseveranza
perché io con pazienza penetri
il messaggio di Dio nel Vangelo.
                     
(SAN TOMMASO)

Testo biblico: Marco 9, 30-37

30Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. 31Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». 32Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.

33Giunsero a Cafarnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». 34Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. 35Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». 36E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: 37«Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

 

Cammino e sequela

Il testo si compone del secondo annuncio della passione, morte e risurrezione (vv. 30-31), cui segue la reazione dei discepoli (v. 32) e la prima parte (vv. 33-37) di una istruzione che Gesù rivolge ai suoi discepoli (vv. 33-50).

L’episodio si colloca all’interno della sezione del vangelo di Marco che va da 8,27 a 10,52. Tutta la sezione è inquadrata dal termine «strada», che complessivamente ricorre 7 volte (8,27; 9,33.34; 10,17.32.46.52), perché inizia con una domanda che Gesù pone ai suoi per strada e si conclude con il cieco Bartimeo che, guarito da Gesù, decide di seguirlo per strada. In questa parte non solo Gesù è sempre per strada, ma lungo la strada parla del suo cammino, quello che lo conduce a Gerusalemme, verso il suo misterioso destino di morte-risurrezione.

Un aspetto importante che emerge in questa sezione è il significativo intreccio tra il tema del paradossale cammino/destino di Gesù e quello della sequela. Il tema della sequela inizia già in 1,16-20, che racconta la chiamata delle due coppie di fratelli e culmina nella confessione di Pietro (8,29-30); tuttavia, dopo la confessione di Pietro, la sequela di Gesù assume un connotato nuovo, perché diventa la sequela del cammino del Figlio dell’Uomo, l’adesione al suo destino. In questi capitoli risulta evidente che il cammino di Gesù ha delle implicazioni strutturali per il cammino dei discepoli. La croce non riguarda soltanto Gesù, ma anche coloro che hanno accettato di seguirlo. Il mistero e lo scandalo non appartengono solo alla via di Gesù, ma anche a quella dei suoi seguaci.

 

Il senso della croce

Dopo l’episodio della confessione di Pietro in 8,29, il racconto del viaggio è costruito secondo uno schema tripartito. Troviamo tre pannelli strutturati secondo uno schema ternario. Ogni pannello, cioè, contiene tre sequenze così disposte:

a. annuncio del cammino di passione da parte di Gesù

b. reazione dei discepoli all’annuncio

c. replica-istruzione di Gesù indirizzata ai discepoli

I tre annunci della passione risaltano immediatamente come strutture portanti; tutti e tre sono in bocca a Gesù, tutti e tre parlano della sofferenza del Figlio dell'Uomo e tutti e tre hanno come destinatari i discepoli e i Dodici.

Ai tre annunci seguono sempre le reazioni dei destinatari, i discepoli: Pietro in 8,32b, tutti in 9,32, i figli di Zebedeo in 10,35-40. Le reazioni sono improntate tutte sul tema dell’incomprensione e del fraintendimento. Il lettore percepisce da una parte che il mistero di Gesù inizia a chiarirsi e il cammino del Figlio dell’Uomo appare sempre più come un percorso di passione e di croce, dall’altra si trova di fronte a una reazione sempre più ottusa dei discepoli che ora comprendono ma non vogliono seguire il Maestro su quella strada.

A questo motivo segue la replica di Gesù, cui proseguono ulteriori istruzioni o azioni. Si tratta di una vera e propria catechesi a ondate successive: si parte da un nucleo centrale che poi si dilata in successive istruzioni o racconti che hanno lo scopo di estendere gli eventi del passato nella storia dei lettori.

Nella prima, il simbolo centrale della croce raggiunge la vita dei lettori nella loro viva attualità. Nella seconda troviamo una lunga istruzione sulla qualità e sul senso del servizio cristiano per cui il discepolo viene condotto ad accettare la croce come motivo strutturante dell’agire. Nella terza replica, l’istruzione sul capovolgimento dei ranghi nella comunità dei discepoli di Cristo e la narrazione della guarigione di Bartimeo mostrano che il vero senso della croce è seguire il Messia crocifisso sulla via della vita.

 

Gesù si consegna

La prima istruzione, quella più famosa, verte sul senso del discepolato. Chi vuol seguire il Signore deve «rinnegare se stesso», cioè prendere le distanze da se stessi per «prendere la propria croce». Il discepolo quindi è posto davanti all’alternativa tra lo scegliere la fiducia in sé e la potenza del mondo, e lo scegliere la dimenticanza di sé. Il senso della croce è questa seconda opzione e diventa il segno del dono di un Dio che non schiaccia e non esige, di una signoria che non conquista l’altro, ma lo libera servendolo.

Perciò rinnegare se stessi e prendere la propria croce (propria perché è personale) chiede un cambiamento di prospettiva: la salvezza non passa per le vie dell’egoismo e dell’idolatria di sé, ma nel rapporto con Cristo crocifisso come fondamento che dà senso al sé e alla vita. Fare della propria vita un dono, a motivo dell’adesione al vangelo di Cristo, conduce l’uomo alla salvezza. La causa di Cristo è il criterio decisivo per la riuscita della vita. Il discepolo che fa della sua vita un dono a motivo di Cristo trova l’autentica realizzazione. Ciò che dà senso alla vita, perciò, è solo il rapporto con Dio che garantisce la vita dei singoli e delle comunità; nessun altro possesso o godimento può sostituirsi a questa relazione fondamentale.

Il primo interrogativo che il nostro testo suscita riguarda il perché Gesù abbia ritenuto necessario riproporre l’annuncio riguardante il suo destino di sofferenza. La ripetizione non è un tratto proprio solo di Marco e degli altri sinottici, ma è una caratteristica di tutta la Scrittura. Di solito si ripete qualcosa perché quanto è stato detto la prima volta è stato incompreso e/o rigettato, oppure per approfondire e inculcare l’atteggiamento più rispondente. Ma ripetere ha anche un altro significato: ridicendo le cose chi parla manifesta di essere più forte delle resistenze di chi ascolta e di essere in grado oppure di avere l’intenzione di superare il rifiuto dell’altro, e inoltre così dichiara di non avere un’altra parola da dire.

Gesù e i suoi sono in viaggio, ma qui non è indicata la meta. Il viaggio avviene in incognito: Gesù non vuole far sapere ad altri dei suoi movimenti; il suo scopo, infatti, è quello di dedicarsi in maniera esclusiva alla formazione dei suoi discepoli. Nucleo di tale formazione è la comprensione della sua identità a cui è collegato in modo imprescindibile quanto accadrà a Gerusalemme.

L’annuncio è molto sobrio (più del primo e anche più del terzo). Gesù presenta quanto gli accadrà come una consegna: «il Figlio dell’Uomo sarà consegnato nelle mani degli uomini». La forma verbale è quella passiva che lascia intravedere che è Dio a consegnare il proprio Figlio. Tuttavia, si potrebbe anche interpretare questo verbo come una forma cosiddetta media, traducendolo con «si consegnerà», esprimendo in tal modo il fatto che Gesù sceglie e aderisce a questa consegna.

 

Il servizio frutto della sequela

La reazione dei discepoli è presentata nei termini di incomprensione e paura. Essi non vogliono capire e ciò crea un silenzio imbarazzato. La paura tradisce l’impedimento alla loro sequela di Gesù e alla comunione con lui. Essi temono sia Gesù sia di sentire altri particolari.

Come altre volte Gesù risponde a questa reazione attraverso una nuova istruzione. Essa si svolge in casa, un luogo di intimità e di insegnamento e avviene con la convocazione dei Dodici (v. 35a) che dà solennità al messaggio sottolineandone la portata ecclesiale. In particolare, qui Gesù istruisce i suoi discepoli sulla vita comunitaria sotto il segno della croce. L’introduzione fa menzione ancora della strada, che ricorre 2 volte: la strada, luogo del cammino del Figlio dell’Uomo verso la croce, simbolo del dono di sé e del perdere la vita, è diventata per i discepoli lo spazio della lotta per il primo posto e della corsa verso il potere.

L’istruzione comincia con una domanda di Gesù alla quale segue un silenzio imbarazzato, come se solo ora essi avvertissero e avessero coscienza dell’oggetto della loro discussione. Gesù, tuttavia, non li rimprovera, non li mortifica, non condanna il desiderio e lo sforzo di essere grandi, ma, attraverso quello che dice, dà il giusto orientamento a questa tendenza. Egli riprende la loro discussione e comunica la misura della vera grandezza.

La sua attenzione si concentra innanzitutto sul tema del servizio ai bambini che egli illustra con una parola, un gesto e un’altra parola. La formulazione iniziale è espressa con il modo indicativo, come se Gesù dicesse: «Se uno veramente vuole essere il primo – e la vostra discussione sembra indicare tale volontà – deve essere l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». L’apodeosi è costituita da due elementi: ultimo e servitore. Si ha così una contrapposizione tra «primo» (un termine che si riferisce alla dignità e al rango) e ultimo e servitore. «Ultimo di tutti» crea un contrasto paradossale con «primo di tutti», mentre «servitore di tutti» specifica cosa voglia dire «ultimo».

È evidente il parallelo tra 8,34: «se uno mi vuole seguire» e 9,35: «se uno vuole essere il primo»; queste parole sul servizio, perciò, diventano la chiave della sequela di Gesù: il campo in cui viene difatti realizzata la sequela di Gesù ed il rinnegamento di se stessi è il servizio di tutti. Per servitore si usa il termine diakonos e non doulos, cioè schiavo. Lo schiavo è colui che è proprietà di un altro alla cui volontà è sottomesso e a cui forzatamente deve prestare servizio. Diakonos invece designa una funzione; innanzitutto è colui che durante un pasto non mangia, ma si mette a disposizioni degli altri perché mangino.

Ma dal servizio di mensa la diakonia arriva a designare i vari compiti di servizio all’interno della comunità, sino ad acquistare il significato tecnico di «ministero». Diakonos perciò è chi si mette a disposizione di qualcuno, chi s’interessa vivamente dei bisogni del prossimo ed agisce in suo favore. Gli occhi di chi vuole essere primo non devono fissarsi sulla propria grandezza, ma dirigersi alle necessità del prossimo e ad un aiuto reale. È un atteggiamento continuo che viene richiesto, un impegno permanente e non tanto uno o l’altro servizio. L’affermazione è infatti generale: unico criterio guida non può essere la simpatia o la preferenza, ma la necessità di qualsiasi persona. Il testo non chiarisce in che ambito vada caratterizzato questo servizio. Gesù lo farà in seguito in maniera esplicita (cf 10,45), ma il contesto rende evidente che il senso di farsi ultimo e servitore di tutti va attinto dalla strada che il Figlio dell’Uomo sta percorrendo.

Relazione tra servizio e primato

La questione è così determinante che Luca sceglie come contesto di questo discorso l’ultima cena (Lc 22,24-27). In questo testo dai re delle nazioni e da quanti esercitano il potere e si fanno chiamare benefattori, si passa per contrasto ai discepoli. Tra loro l’autorità non è esclusa, ma è da intendere nella linea del servire. Come motivazione del contrasto tra re delle nazioni e discepoli e come chiarimento del senso con cui il più grande dei discepoli debba essere il servitore, Gesù pone la sua persona: anche se a livello espressivo questo giunge alla fine, è in realtà il fondamento di quanto precede. La condizione di servitore a cui Gesù allude si comprende alla luce di ciò che ha detto in precedenza: egli dona se stesso (22,19).

Il servizio come dono di sé si comprende come la modalità che rende visibile e concreto il senso stesso del gesto eucaristico, determinando, anche nella vita del discepolo, l’unità tra fondamento, azione e liturgia.

La ricerca della grandezza, vissuta come modalità per prevalere all’interno della comunità, ha a che fare con il servire anche come possibile ambiguità che il servizio può attraversare. È possibile, infatti, che si possa giungere a pensare che il proprio servizio sia tutto e il resto non conti, introducendo una visuale angusta, che non riesce a vedere al di là di se stessi e di ciò che sta facendo. Per evitare questo rischio occorre trovare un centro attorno a cui unificarsi e che conferisce significato. Le parole di Gesù suggeriscono che è la relazione con lui, mediata dall’ascolto della sua Parola, a conferire unità e a rendere buono il proprio servizio.

Gesù quindi illustra la parola con un gesto, ampiamente descritto per confermarne la portata e darvi rilievo. Il gesto riguarda i bambini, che però non vanno intesi come il simbolo dell’innocenza o della purezza, ma di chi è più bisognoso e dipendente. Il bambino diventa simbolo dell’impotenza della croce, un’impotenza che salva.

Il gesto è di accoglienza, che è così indicata come presupposto del servizio. Accogliere un bambino vuol dire perciò impegnarsi per lui con attenzione e responsabilità avendo di mira il suo benessere. Accogliere vuol dire perciò aprire la porta e lasciare entrare l’altro nell’ambito della propria vita e delle proprie sollecitudini. Questo è il contrario del chiudersi, del distanziarsi, del non voler sapere nulla dell’altro.

In Marco 9,37 è posta una equivalenza tra bambino e Cristo. Si suggerisce così una speciale comunione tra colui che è nel bisogno e Cristo che con la sua croce diventa il bisognoso per antonomasia. In Gesù si accoglie Dio, la comunione con Gesù è comunione con Dio e questa è la grandezza che non può essere superata.

 

BIBLIOGRAFIA

M. GRILLI, L'impotenza che salva. Il mistero della croce in Mc 8,27-10,52. Lettura in chiave comunicativa, Dehoniane, Bologna 2009.

K. STOCK, Il cammino di Gesù verso Gerusalemme. Mc 8,27–10,52, Dispense PIB, Roma 2001-2002.

59a Assemblea Nazionale - USMI

Grazia Papola osc, Biblista
Mericianum località Brodazzo, 1
25015 Desenzano del Garda (Brescia)

59a Assemblea Nazionale - USMI

 

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