Invocazione allo Spirito
Vieni, o Spirito Santo,
dentro di me, nel mio cuore e nella mia intelligenza.
Accordami la tua intelligenza
perché io possa conoscere il Padre
nel meditare la parola del Vangelo.
Accordami il tuo amore
perché anche quest’oggi, esortato dalla tua Parola,
ti cerchi nei fatti e nelle persone che ho incontrato.
Accordami la tua sapienza
perché io sappia rivivere
e giudicare alla luce della tua Parola
quello che oggi ho vissuto.
Accordami la perseveranza
perché io con pazienza penetri
il messaggio di Dio nel Vangelo.
(SAN TOMMASO)
Testo biblico: Marco 9,
30-37
30Partiti di là,
attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse.
31Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il
Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo
uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». 32Essi
però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
33Giunsero a
Cafarnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate
discutendo per la strada?». 34Ed essi tacevano.
Per la strada infatti avevano
discusso tra loro chi fosse più grande. 35Sedutosi, chiamò i
Dodici e disse loro: «Se
uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di
tutti». 36E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e,
abbracciandolo, disse
loro: 37«Chi accoglie uno solo di
questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non
accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
Cammino e sequela
Il testo si compone del secondo annuncio della passione,
morte e risurrezione (vv. 30-31), cui segue la reazione dei discepoli
(v. 32) e la prima parte (vv. 33-37) di una istruzione che Gesù rivolge
ai suoi discepoli (vv. 33-50).
L’episodio si colloca all’interno della sezione del
vangelo di Marco che va da 8,27 a 10,52. Tutta la sezione è inquadrata
dal termine «strada», che complessivamente ricorre 7 volte (8,27;
9,33.34; 10,17.32.46.52), perché inizia con una domanda che Gesù pone ai
suoi per strada e si conclude con il cieco Bartimeo che, guarito da
Gesù, decide di seguirlo per strada. In questa parte non solo Gesù è
sempre per strada, ma lungo la strada parla del suo cammino, quello che
lo conduce a Gerusalemme, verso il suo misterioso destino di
morte-risurrezione.
Un aspetto importante che emerge in questa sezione è il
significativo intreccio tra il tema del paradossale cammino/destino di
Gesù e quello della sequela. Il tema della sequela inizia già in
1,16-20, che racconta la chiamata delle due coppie di fratelli e culmina
nella confessione di Pietro (8,29-30); tuttavia, dopo la confessione di
Pietro, la sequela di Gesù assume un connotato nuovo, perché diventa la
sequela del cammino del Figlio dell’Uomo, l’adesione al suo destino. In
questi capitoli risulta evidente che il cammino di Gesù ha delle
implicazioni strutturali per il cammino dei discepoli. La croce non
riguarda soltanto Gesù, ma anche coloro che hanno accettato di seguirlo.
Il mistero e lo scandalo non appartengono solo alla via di Gesù, ma
anche a quella dei suoi seguaci.
Il senso della croce
Dopo l’episodio della confessione di Pietro in 8,29, il
racconto del viaggio è costruito secondo uno schema tripartito. Troviamo
tre pannelli strutturati secondo uno schema ternario. Ogni pannello,
cioè, contiene tre sequenze così disposte:
a.
annuncio del cammino di passione da parte di Gesù
b.
reazione dei discepoli all’annuncio
c.
replica-istruzione di Gesù indirizzata ai discepoli
I tre annunci della passione risaltano immediatamente
come strutture portanti; tutti e tre sono in bocca a Gesù, tutti e tre
parlano della sofferenza del Figlio dell'Uomo e tutti e tre hanno come
destinatari i discepoli e i Dodici.
Ai tre annunci seguono sempre le reazioni dei
destinatari, i discepoli: Pietro in 8,32b, tutti in 9,32, i figli di
Zebedeo in 10,35-40. Le reazioni sono improntate tutte sul tema
dell’incomprensione e del fraintendimento. Il lettore percepisce da una
parte che il mistero di Gesù inizia a chiarirsi e il cammino del Figlio
dell’Uomo appare sempre più come un percorso di passione e di croce,
dall’altra si trova di fronte a una reazione sempre più ottusa dei
discepoli che ora comprendono ma non vogliono seguire il Maestro su
quella strada.
A questo motivo segue la replica di Gesù, cui proseguono
ulteriori istruzioni o azioni. Si tratta di una vera e propria catechesi
a ondate successive: si parte da un nucleo centrale che poi si dilata in
successive istruzioni o racconti che hanno lo scopo di estendere gli
eventi del passato nella storia dei lettori.
Nella prima, il simbolo centrale della croce raggiunge la
vita dei lettori nella loro viva attualità. Nella seconda troviamo una
lunga istruzione sulla qualità e sul senso del servizio cristiano per
cui il discepolo viene condotto ad accettare la croce come motivo
strutturante dell’agire. Nella terza replica, l’istruzione sul
capovolgimento dei ranghi nella comunità dei discepoli di Cristo e la
narrazione della guarigione di Bartimeo mostrano che il vero senso della
croce è seguire il Messia crocifisso sulla via della vita.
Gesù si consegna
La prima istruzione, quella più famosa, verte sul senso
del discepolato. Chi vuol seguire il Signore deve «rinnegare se stesso»,
cioè prendere le distanze da se stessi per «prendere la propria croce».
Il discepolo quindi è posto davanti all’alternativa tra lo scegliere la
fiducia in sé e la potenza del mondo, e lo scegliere la dimenticanza di
sé. Il senso della croce è questa seconda opzione e diventa il segno del
dono di un Dio che non schiaccia e non esige, di una signoria che non
conquista l’altro, ma lo libera servendolo.
Perciò rinnegare se stessi e prendere la propria croce
(propria perché è personale) chiede un cambiamento di prospettiva: la
salvezza non passa per le vie dell’egoismo e dell’idolatria di sé, ma
nel rapporto con Cristo crocifisso come fondamento che dà senso al sé e
alla vita. Fare della propria vita un dono, a motivo dell’adesione al
vangelo di Cristo, conduce l’uomo alla salvezza. La causa di Cristo è il
criterio decisivo per la riuscita della vita. Il discepolo che fa della
sua vita un dono a motivo di Cristo trova l’autentica realizzazione. Ciò
che dà senso alla vita, perciò, è solo il rapporto con Dio che
garantisce la vita dei singoli e delle comunità; nessun altro possesso o
godimento può sostituirsi a questa relazione fondamentale.
Il primo interrogativo che il nostro testo suscita
riguarda il perché Gesù abbia ritenuto necessario riproporre l’annuncio
riguardante il suo destino di sofferenza. La ripetizione non è un tratto
proprio solo di Marco e degli altri sinottici, ma è una caratteristica
di tutta la Scrittura. Di solito si ripete qualcosa perché quanto è
stato detto la prima volta è stato incompreso e/o rigettato, oppure per
approfondire e inculcare l’atteggiamento più rispondente. Ma ripetere ha
anche un altro significato: ridicendo le cose chi parla manifesta di
essere più forte delle resistenze di chi ascolta e di essere in grado
oppure di avere l’intenzione di superare il rifiuto dell’altro, e
inoltre così dichiara di non avere un’altra parola da dire.
Gesù e i suoi sono in viaggio, ma qui non è indicata la
meta. Il viaggio avviene in incognito: Gesù non vuole far sapere ad
altri dei suoi movimenti; il suo scopo, infatti, è quello di dedicarsi
in maniera esclusiva alla formazione dei suoi discepoli. Nucleo di tale
formazione è la comprensione della sua identità a cui è collegato in
modo imprescindibile quanto accadrà a Gerusalemme.
L’annuncio è molto sobrio (più del primo e anche più del
terzo). Gesù presenta quanto gli accadrà come una consegna: «il Figlio
dell’Uomo sarà consegnato nelle mani degli uomini». La forma verbale è
quella passiva che lascia intravedere che è Dio a consegnare il proprio
Figlio. Tuttavia, si potrebbe anche interpretare questo verbo come una
forma cosiddetta media, traducendolo con «si consegnerà», esprimendo in
tal modo il fatto che Gesù sceglie e aderisce a questa consegna.
Il servizio frutto della
sequela
La reazione dei discepoli è presentata nei termini di
incomprensione e paura. Essi non vogliono capire e ciò crea un silenzio
imbarazzato. La paura tradisce l’impedimento alla loro sequela di Gesù e
alla comunione con lui. Essi temono sia Gesù sia di sentire altri
particolari.
Come altre volte Gesù risponde a questa reazione
attraverso una nuova istruzione. Essa si svolge in casa, un luogo di
intimità e di insegnamento e avviene con la convocazione dei Dodici (v.
35a) che dà solennità al messaggio sottolineandone la portata
ecclesiale. In particolare, qui Gesù istruisce i suoi discepoli sulla
vita comunitaria sotto il segno della croce. L’introduzione fa menzione
ancora della strada, che ricorre 2 volte: la strada, luogo del cammino
del Figlio dell’Uomo verso la croce, simbolo del dono di sé e del
perdere la vita, è diventata per i discepoli lo spazio della lotta per
il primo posto e della corsa verso il potere.
L’istruzione comincia con una domanda di Gesù alla quale
segue un silenzio imbarazzato, come se solo ora essi avvertissero e
avessero coscienza dell’oggetto della loro discussione. Gesù, tuttavia,
non li rimprovera, non li mortifica, non condanna il desiderio e lo
sforzo di essere grandi, ma, attraverso quello che dice, dà il giusto
orientamento a questa tendenza. Egli riprende la loro discussione e
comunica la misura della vera grandezza.
La sua attenzione si concentra innanzitutto sul tema del
servizio ai bambini che egli illustra con una parola, un gesto e
un’altra parola. La formulazione iniziale è espressa con il modo
indicativo, come se Gesù dicesse: «Se uno veramente vuole essere il
primo – e la vostra discussione sembra indicare tale volontà – deve
essere l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». L’apodeosi è
costituita da due elementi: ultimo e servitore. Si ha così una
contrapposizione tra «primo» (un termine che si riferisce alla dignità e
al rango) e ultimo e servitore. «Ultimo di tutti» crea un contrasto
paradossale con «primo di tutti», mentre «servitore di tutti» specifica
cosa voglia dire «ultimo».
È evidente il parallelo tra 8,34: «se uno mi vuole
seguire» e 9,35: «se uno vuole essere il primo»; queste parole sul
servizio, perciò, diventano la chiave della sequela di Gesù: il campo in
cui viene difatti realizzata la sequela di Gesù ed il rinnegamento di se
stessi è il servizio di tutti. Per servitore si usa il termine
diakonos e non doulos, cioè schiavo. Lo schiavo è colui che è
proprietà di un altro alla cui volontà è sottomesso e a cui forzatamente
deve prestare servizio. Diakonos invece designa una funzione;
innanzitutto è colui che durante un pasto non mangia, ma si mette a
disposizioni degli altri perché mangino.
Ma dal servizio di mensa la diakonia arriva a designare i
vari compiti di servizio all’interno della comunità, sino ad acquistare
il significato tecnico di «ministero». Diakonos perciò è chi si
mette a disposizione di qualcuno, chi s’interessa vivamente dei bisogni
del prossimo ed agisce in suo favore. Gli occhi di chi vuole essere
primo non devono fissarsi sulla propria grandezza, ma dirigersi alle
necessità del prossimo e ad un aiuto reale. È un atteggiamento continuo
che viene richiesto, un impegno permanente e non tanto uno o l’altro
servizio. L’affermazione è infatti generale: unico criterio guida non
può essere la simpatia o la preferenza, ma la necessità di qualsiasi
persona. Il testo non chiarisce in che ambito vada caratterizzato questo
servizio. Gesù lo farà in seguito in maniera esplicita (cf 10,45), ma il
contesto rende evidente che il senso di farsi ultimo e servitore di
tutti va attinto dalla strada che il Figlio dell’Uomo sta percorrendo.
Relazione tra servizio e
primato
La questione è così determinante che Luca sceglie come
contesto di questo discorso l’ultima cena (Lc 22,24-27). In questo testo
dai re delle nazioni e da quanti esercitano il potere e si fanno
chiamare benefattori, si passa per contrasto ai discepoli. Tra loro
l’autorità non è esclusa, ma è da intendere nella linea del servire.
Come motivazione del contrasto tra re delle nazioni e discepoli e come
chiarimento del senso con cui il più grande dei discepoli debba essere
il servitore, Gesù pone la sua persona: anche se a livello espressivo
questo giunge alla fine, è in realtà il fondamento di quanto precede. La
condizione di servitore a cui Gesù allude si comprende alla luce di ciò
che ha detto in precedenza: egli dona se stesso (22,19).
Il servizio come dono di sé si comprende come la modalità
che rende visibile e concreto il senso stesso del gesto eucaristico,
determinando, anche nella vita del discepolo, l’unità tra fondamento,
azione e liturgia.
La ricerca della grandezza, vissuta come modalità per
prevalere all’interno della comunità, ha a che fare con il servire anche
come possibile ambiguità che il servizio può attraversare. È possibile,
infatti, che si possa giungere a pensare che il proprio servizio sia
tutto e il resto non conti, introducendo una visuale angusta, che non
riesce a vedere al di là di se stessi e di ciò che sta facendo. Per
evitare questo rischio occorre trovare un centro attorno a cui
unificarsi e che conferisce significato. Le parole di Gesù suggeriscono
che è la relazione con lui, mediata dall’ascolto della sua Parola, a
conferire unità e a rendere buono il proprio servizio.
Gesù quindi illustra la parola con un gesto, ampiamente
descritto per confermarne la portata e darvi rilievo. Il gesto riguarda
i bambini, che però non vanno intesi come il simbolo dell’innocenza o
della purezza, ma di chi è più bisognoso e dipendente. Il bambino
diventa simbolo dell’impotenza della croce, un’impotenza che salva.
Il gesto è di accoglienza, che è così indicata come
presupposto del servizio. Accogliere un bambino vuol dire perciò
impegnarsi per lui con attenzione e responsabilità avendo di mira il suo
benessere. Accogliere vuol dire perciò aprire la porta e lasciare
entrare l’altro nell’ambito della propria vita e delle proprie
sollecitudini. Questo è il contrario del chiudersi, del distanziarsi,
del non voler sapere nulla dell’altro.
In Marco 9,37 è posta una equivalenza tra bambino e
Cristo. Si suggerisce così una speciale comunione tra colui che è nel
bisogno e Cristo che con la sua croce diventa il bisognoso per
antonomasia. In Gesù si accoglie Dio, la comunione con Gesù è comunione
con Dio e questa è la grandezza che non può essere superata.
BIBLIOGRAFIA
M. GRILLI,
L'impotenza che salva. Il mistero della
croce in Mc 8,27-10,52. Lettura in chiave comunicativa,
Dehoniane, Bologna 2009.
K. STOCK,
Il cammino di Gesù verso Gerusalemme. Mc
8,27–10,52, Dispense PIB, Roma
2001-2002.
59a Assemblea Nazionale - USMI
Grazia Papola osc, Biblista
Mericianum località Brodazzo, 1
25015 Desenzano del Garda (Brescia)
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