n. 7/8
luglio/agosto 2012

 

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«Sognare si può…»
Storia e profezia dei 50 anni dell’Usmi

ENRICA ROSANNA

 

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Celebrare cinquant’anni di storia. Come parlarne? Come tentare di fare una sintesi di mezzo secolo di vita? Non è impresa facile, anche se il cuore vorrebbe dire tante cose. Ho scelto di farlo con cinque parole. Una per ogni decennio. Le prime tre Sogno, Storia (che vorrei declinare nel termine Memoria), Profezia - le offre il titolo del libro commemorativo, curato da suor Biancarosa Magliano1.  Le altre due le aggiungo io. E sono: Progetto e Fecondità. Il tutto, tessuto con il filo del “genio femminile”, che contraddistingue l’Usmi.

Sogno

«Coloro che sognano ad occhi aperti conoscono molte cose che sfuggono a quanti sognano solo dormendo»2. Questa massima di Edgar Allan Poe credo possa essere utilizzata per l’esperienza dei 50 anni di vita che celebriamo.

50 anni. Una scommessa e un sogno: il sogno di una vita consacrata con il cuore pieno di Dio e pieno degli uomini e delle donne che ci vivono accanto. Una vita consacrata più ricca della Parola che delle parole complicate e ripetitive; una vita consacrata più esposta alla gratuità che all'efficienza, alla speranza che alla paura, al dialogo che alla chiusura; una vita consacrata capace di sognare; una vita consacrata più giovane e meno giovanilistica, idonea a sottolineare in modo più autentico il genio femminile; una vita consacrata che è stata e vuole continuare ad essere vita di comunione e di profezia.

Se è vero che chi sogna di giorno conosce più cose di quanti sognano solo di notte,  più densi di speranza sono i sogni di chi conserva la capacità di sognare anche se è notte; di “fare memoria” della fonte eterna, perché anche se è notte chiara è la sorgente.

In questi ultimi decenni la Chiesa e la vita consacrata hanno vissuto in una terra dolorosa, drammatica e magnifica, in un’epoca dai tratti di una «notte oscura collettiva», come diceva il nostro amato Giovanni Paolo II, citando san Giovanni della Croce3.Tra le caratteristiche di questa notte c’è il predominio del razionalismo, per cui l’umanità rischia di diventare vittima di un mero positivismo del fare e dell’avere.

La vita consacrata, in particolare il suo volto femminile, è chiamata ad essere Amore, perché “solo l’amore è credibile”; a ricordare dove sgorga la sorgente, anche se è notte4; a continuare a sognare quella sorgente di acqua che zampilla vita eterna, pur nelle difficoltà e nelle prove.

In questi anni, l’impegno portato avanti dall’Usmi, guidata da donne ricche di fede e di speranza, è stato quello di far nascere e rinascere la speranza. La speranza sveglia dalla routine, dall'apatia, dalla mediocrità e dall'indifferenza. Distrugge i germi di rassegnazione e combatte l'atrofia spirituale di chi è soddisfatto. Speranza e fiducia vanno a braccetto. Nel corso della storia chi spera confida nella vita, nelle persone, in Dio. È capace di sognare e di rendere concreto ciò che sogna. E il sogno diventa allora “vissuto”, fatto di accoglienza dei piccoli e dei poveri, di umiltà, di correzione fraterna, di preghiera comune, di perdono reciproco, di condivisione della fede, dell’affetto fraterno e dei beni materiali (cf At 2-4; 1Pt 3,8-9).

Ecco allora che la sfida, oggi, è far sì che questo sogno continui adessere realtà per ogni Istituto, dal più grande al più piccolo, da quello che ha una lunga storia di vita a quello di nuova fondazione, perché sia riscoperta la radicalità della sequela Christi. Questo sogno possiamo realizzare: seguire Gesù Cristo con rinnovato entusiasmo, essere coerenti e non tollerare ingiustizie e pigrizie, lasciare tutto per lui, Crocifisso, Morto e Risorto per noi, «il più bello tra i figli dell’uomo».

Memoria

«Io vi prego, fratelli, - scrive Simeone il Nuovo Teologo – sforziamoci con tutti i mezzi di guardare a noi stessi e alla nostra storia. […] Altrimenti non potremo mai comprendere il vero significato delle parole divine, comprenderle in modo spirituale, degno dello Spirito di sapienza».

Senza memoria non saremmo quello che siamo adesso. La memoria non è “un” passato semplicemente, ma è il “nostro” passato, quello che ci ha costruiti e plasmati. Passato personale, la nostra storia di singoli, ma anche storia di popolo, storia e memoria comuni, storia di una Istituzione: la storia dell’Usmi. L’uomo senza “radici”, cioè senza “memoria”, si sente spaesato, insicuro, debole.

Qual è la coppia felicemente sposata che non conserva gelosamente e non rivede con sentimenti di commossa gioia l’album delle foto del proprio matrimonio, o dei primi passi dei propri piccoli? Spesso sono le mamme le “custodi della memoria”: annotano le date importanti, ma anche gli avvenimenti piccoli, ma salienti, della propria famiglia. È quello che ha fatto suor Biancarosa con il volume citato e che ho letto d’un fiato con gusto e commozione. Ho rivisto tanti volti cari di sorelle ancora viventi o già nella Famiglia Usmi del cielo. Sorelle divenute - con quello che hanno realizzato - la perla preziosa della nostra memoria. della vita della Chiesa i santi sono “le persone della memoria”. Persone che sono riuscite a vivere la propria vita in maniera tale da divenire “memoria” per le generazioni successive.

Fare memoria è mettere discretamente a disposizione dell’altro il buono che la vita ha insegnato, in modo che - sia esso una persona o un Istituto religioso - possa trarne vantaggio, per vivere meglio, credere con più intensità, amare di più, conoscere sia il bene che il male. Ecco allora la lezione che ci viene da cinquant’anni di vita: essere “memoria vivente del Vangelo”. Siamo chiamate ad essere narrazione della buona notizia per le generazioni future.

Jesu dulcis memoria. È bellissimo questo inno della liturgia, attribuito a san  Bernardo di Chiaravalle. Il nostro volto di consacrate dovrebbe mostrare il dolce ricordo di Cristo. Come Francesco d’Assisi, che quando pronunciava il nome di Gesù si passava la lingua sulle labbra, così le nostre vite dovrebbero essere memoria della dolcezza di Cristo.

Profezia

Se la memoria è “ricordare” (riportare al cuore), riandare alle radici, su cui porre le basi solide della vita, l’attenzione al presente fa cogliere occasioni e opportunità da sviluppare e di cui servirsi. Lo sguardo al futuro è stimolo per non fermarsi, per andare avanti con fiducia e coraggio, per intravedere nuove possibilità e mete sempre più alte. È dei poeti scrivere di sogni, di lusinghe e gaiezze di cuori innamorati, del canto del sole e della luna, del dolore e del tormento dell’anima. È dei profeti parlare e far innamorare della luce che irradia speranza, dell’infinito mistero della vita, dell’infinita magnificenza di Dio.

Come consacrate abbiamo nella Chiesa un compito di poesia e profezia. Diceva Paolo VI: «La Chiesa ha bisogno di fuoco nel cuore, di parole sulle labbra, di profezia nello sguardo»5. Cantava padre David Maria Turoldo: «Manda, Signore, ancora profeti. Uomini certi di Dio, uomini dal cuore in fiamme, a dire agli uomini di sempre sperare».

Come i profeti, siamo chiamate ad essere donne di urto, di disturbo, di inquietudine. In quanto profeti, non siamo coloro che meglio degli altri sanno con esattezza come comportarsi nella Chiesa e nel mondo. Siamo piuttosto messi a confronto con la nostra impotenza, piccolezza e povertà. Non abbiamo la carta vincente per dire come oggi va la vita cristiana e come andrà in futuro. Tuttavia, come i profeti, vogliamo ascoltare ciò che Dio oggi ha da dire a noi, alla Chiesa e al mondo.

C’è bisogno di umiltà e onestà, di apertura e sensibilità, di ascolto di Dio e dei segni dei tempi, di un’accresciuta percezione di ciò che accade nell’oggi della storia; e c’è bisogno del dono dello Spirito per poter compiere in modo credibile ed efficace la nostra missione profetica. Per questo dobbiamo augurarci, come singole consacrate e come comunità, di essere disponibili a spalancare il cuore alla voce di Dio e ad annunciarla con la parola e con la vita.

«Appartenere al Signore - ci ha detto Papa Benedetto - vuol dire essere bruciati dal suo amore incandescente, essere trasformati dallo splendore della sua bellezza […]. Essere di Cristo significa mantenere sempre ardente nel cuore una viva fiamma d'amore»6. Questo è il significato racchiuso nell’esperienza mistica e profetica della vita consacrata. È la gioiosa scoperta delle fonti della salvezza, il ritrovamento del tesoro nascosto, l’incontro con Cristo e l’annuncio profetico del suo Regno.

Progetto

L’etimologia della parola «progetto» deriva dalla parola latina «proiectus», participio passato di «proicere» che significa «gettare». È strettamente legato a «proiectare», pro + iectare (= gettare avanti). Questo termine ci richiama l’apertura al cambiamento, al mutamento, alla trasformazione. Tuttavia, il progetto non è, come spesso siamo tentati di pensare, proiettare nel futuro ciò che siamo, possediamo e governiamo. Piuttosto è la capacità di farsi cambiare dalla storia che accade e dall’incontro con l’Altro e con gli altri, per ripensare il futuro possibile come figli del nuovo che ci è donato. In altre parole, è conversione a 360 gradi.

Da credenti e consacrate sappiamo che Dio e il suo amore ci attirano, e dunque non dobbiamo avere paura. Il dialogo con il nostro Sposo ci converte a lui, il dialogo con i fratelli ci converte alla comune verità dell’immagine e somiglianza con Dio, che ognuno ha posta nel cuore fin dalla creazione; il “nuovo nello Spirito” è la strada comune che ci conduce al Padre.

Nell’ottica del progettare, è necessario però recuperare la memoria, i sogni, la profezia che hanno fatto di noi quello che siamo, così nessuna esperienza passerà inosservata, senza lasciare il segno; nessuna esperienza sarà archiviata senza la dovuta verifica e senza la registrazione di ciò che si è conquistato. L’impegno della verifica e del riconoscimento di ciò che si è appreso deve spronarci a cercare la causa e lo scopo degli avvenimenti che accadono e toccano la nostra vita e a dare loro un senso, un senso globale, un senso nel tempo.

Fecondità

C’è ancora un passo da compiere, per raggiungere una più ampia misura, quella del cuore di Dio, che ha sempre una misura più grande della nostra normale esperienza umana, per quanto riflessa, sapiente e ragionata. Non si tratta solo di sognare il sogno di Dio, di fare memoria dell’altro per vederlo con gli occhi della nostra storia, di vivere la profezia del «già e non ancora», di cimentarsi in un progetto che faccia posto all’altro. Fatto tutto questo, Dio fa di più, genera, dà vita abbondante, feconda, ama e cura la nostra vita per quello che è e sorride per ogni pezzo di vita in più che ci fiorisce tra le mani.

Benedetto XVI, quando era ancora cardinale, scriveva: «La Chiesa è Donna. È Madre. È vivente». La Chiesa e, in essa la vita consacrata, è chiamata ad essere feconda, a partecipare - nel suo modo unico - all’opera creatrice di un Dio amante della vita, a generare alla vita. E chi meglio di una donna, e di una donna consacrata, può essere segno visibile della fecondità della Chiesa, della sua generosità, dell’apertura all’infinito?

Generare è opera che chiede grande capacità di speranza e di affidamento: con nel cuore la feconda memoria del passato dobbiamo scommettere di un futuro su cui oggi non si possono fare assicurazioni; dobbiamo scommettere su soggetti che non siamo noi stessi e che cresceranno in modo diverso da noi, su istituzioni che non sono quelle di oggi e che nasceranno dalla collaborazione, dalla comunione, dall’aiuto reciproco tra Istituti sui diversi campi della missione. È questa la fecondità, quella su misura della Trinità, della sua vita sovrabbondante che genera continuamente e ama e tiene in vita il mondo intero.

Questa misura infinita non è astratta, né generica, è fatta di cose concrete e minuscole, di gesti e parole quotidiane, di un atteggiamento che invita continuamente a benedire le vite che incontra, anzi a seminare larghezza di vita e di bellezza là dove arriva; è fatta di gesti umili e nascosti, ma coraggiosi, come quelli di chi semina e attende con pazienza che il germoglio cresca.

«Non c’è amore più grande di chi dà la propria vita per i suoi amici »: non si tratta di gesti eroici e occasionali, ma piuttosto di una vita che cerca la misura di Dio e per questo genera e cura la vita dell’altro, di tutti gli altri, senza discriminazioni. Una vita come quella delle nostre sorelle che hanno tracciato un solco prima di noi, gettando in esso il piccolo seme della loro esistenza.

Sì, sognare si può, si deve. Ma solo la capacità di sognare la speranza, con la dolce memoria di Cristo nel cuore, con la profezia nello sguardo, con progetti di amore, sarà germe di vita nuova nella fecondità dello Spirito.

Per questo, insieme preghiamo:

«Rimani con noi, Signore,
e illuminaci con la tua luce.
Riempici di dolcezza.
E se il tuo cuore ci visiterà
allora brillerà nel nostro cuore la verità
e dentro arderà la carità».
Per altri cinquant’anni … altri cento anni … Non so, non sappiamo.
Sappiamo che sarà per quanto tu vorrai, … e questo ci basta.

 

1 B. MAGLIANO, Sognare si può… 50° Usmi tra storia e profezia, Usmi, Elledici, Editrice Velar, Roma – Leumann (TO) - Gorle (BG) 2012.

2 E. A. POE, Eleonora, trad. di Franco Della Pergola, De Agostini, Novara 1985.

3 GIOVANNI PAOLO II, Omelia in occasione del viaggio apostolico in Spagna. Celebrazione della Parola in onore di san Giovanni della Croce. Segovia, 4 novembre 1982, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V/3 (1982) 1141-1142.

4 Si veda SAN GIOVANNI DELLA CROCE, Cantico dell’anima, Postulazione generale dei Carmelitani Scalzi, Roma 1963, 1047: «Quella eterna fonte sta nascosta, ma so ben dove sgorga anche se è notte. La sua origine non so, poiché non l’ha, ma so che ogni origine da lei viene, anche se è notte. So che non può esserci cosa tanto bella e che in cielo e terra bevono di quella, anche se è notte».

5 PAOLO VI, Udienza generale, mercoledì 29 novembre 1972.

6 BENEDETTO XVI, Discorso ai Superiori generali degli Istituti di vita consacrata, 22 maggio 2006.

Enrica Rosanna fma
Già Sottosegretario CIVCSVA
Via dell’Ateneo Salesiano, 81 - 00139 Roma

 

 

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