Celebrare
cinquant’anni di storia. Come parlarne? Come tentare di fare una sintesi
di mezzo secolo di vita? Non è impresa facile, anche se il cuore
vorrebbe dire tante cose. Ho scelto di farlo con cinque parole. Una per
ogni decennio. Le prime tre Sogno, Storia (che vorrei declinare
nel termine Memoria), Profezia - le offre il titolo del
libro commemorativo, curato da suor Biancarosa Magliano1.
Le altre due le aggiungo io. E sono: Progetto e Fecondità.
Il tutto, tessuto con il filo del “genio femminile”, che
contraddistingue l’Usmi.
Sogno
«Coloro che sognano ad occhi aperti conoscono molte cose
che sfuggono a quanti sognano solo dormendo»2.
Questa massima di Edgar Allan Poe credo possa essere utilizzata per
l’esperienza dei 50 anni di vita che celebriamo.
50 anni. Una scommessa e un sogno: il sogno di una vita
consacrata con il cuore pieno di Dio e pieno degli uomini e delle donne
che ci vivono accanto. Una vita consacrata più ricca della Parola che
delle parole complicate e ripetitive; una vita consacrata più esposta
alla gratuità che all'efficienza, alla speranza che alla paura, al
dialogo che alla chiusura; una vita consacrata capace di sognare; una
vita consacrata più giovane e meno giovanilistica, idonea a sottolineare
in modo più autentico il genio femminile; una vita consacrata che è
stata e vuole continuare ad essere vita di comunione e di profezia.
Se è vero che chi sogna di giorno conosce più cose di
quanti sognano solo di notte, più densi di speranza sono i sogni di chi
conserva la capacità di sognare anche se è notte; di “fare
memoria” della fonte eterna, perché anche se è notte chiara è la
sorgente.
In questi ultimi decenni la Chiesa e la vita consacrata
hanno vissuto in una terra dolorosa, drammatica e magnifica, in un’epoca
dai tratti di una «notte oscura collettiva», come diceva il nostro amato
Giovanni Paolo II, citando san Giovanni della Croce3.Tra
le caratteristiche di questa notte c’è il predominio del razionalismo,
per cui l’umanità rischia di diventare vittima di un mero positivismo
del fare e dell’avere.
La vita consacrata, in particolare il suo volto
femminile, è chiamata ad essere Amore, perché “solo l’amore è
credibile”; a ricordare dove sgorga la sorgente, anche se è notte4;
a continuare a sognare quella sorgente di acqua che zampilla vita
eterna, pur nelle difficoltà e nelle prove.
In questi anni, l’impegno portato avanti dall’Usmi,
guidata da donne ricche di fede e di speranza, è stato quello di far
nascere e rinascere la speranza. La speranza sveglia dalla routine,
dall'apatia, dalla mediocrità e dall'indifferenza. Distrugge i germi di
rassegnazione e combatte l'atrofia spirituale di chi è soddisfatto.
Speranza e fiducia vanno a braccetto. Nel corso della storia chi spera
confida nella vita, nelle persone, in Dio. È capace di sognare e di
rendere concreto ciò che sogna. E il sogno diventa allora “vissuto”,
fatto di accoglienza dei piccoli e dei poveri, di umiltà, di correzione
fraterna, di preghiera comune, di perdono reciproco, di condivisione
della fede, dell’affetto fraterno e dei beni materiali (cf At 2-4; 1Pt
3,8-9).
Ecco allora che la sfida, oggi, è far sì che
questo sogno continui adessere realtà per ogni Istituto, dal più grande
al più piccolo, da quello che ha una lunga storia di vita a quello di
nuova fondazione, perché sia riscoperta la radicalità della sequela
Christi. Questo sogno possiamo realizzare: seguire Gesù Cristo con
rinnovato entusiasmo, essere coerenti e non tollerare ingiustizie e
pigrizie, lasciare tutto per lui, Crocifisso, Morto e Risorto per noi,
«il più bello tra i figli dell’uomo».
Memoria
«Io vi prego, fratelli, - scrive Simeone il Nuovo Teologo
– sforziamoci con tutti i mezzi di guardare a noi stessi e alla nostra
storia. […] Altrimenti non potremo mai comprendere il vero significato
delle parole divine, comprenderle in modo spirituale, degno dello
Spirito di sapienza».
Senza memoria non saremmo quello che siamo adesso. La
memoria non è “un” passato semplicemente, ma è il “nostro” passato,
quello che ci ha costruiti e plasmati. Passato personale, la nostra
storia di singoli, ma anche storia di popolo, storia e memoria comuni,
storia di una Istituzione: la storia dell’Usmi. L’uomo senza “radici”,
cioè senza “memoria”, si sente spaesato, insicuro, debole.
Qual è la coppia felicemente sposata che non conserva
gelosamente e non rivede con sentimenti di commossa gioia l’album delle
foto del proprio matrimonio, o dei primi passi dei propri piccoli?
Spesso sono le mamme le “custodi della memoria”: annotano le date
importanti, ma anche gli avvenimenti piccoli, ma salienti, della propria
famiglia. È quello che ha fatto suor Biancarosa con il volume citato e
che ho letto d’un fiato con gusto e commozione. Ho rivisto tanti volti
cari di sorelle ancora viventi o già nella Famiglia Usmi del cielo.
Sorelle divenute - con quello che hanno realizzato - la perla preziosa
della nostra memoria. della vita della Chiesa i santi sono “le persone
della memoria”. Persone che sono riuscite a vivere la propria vita in
maniera tale da divenire “memoria” per le generazioni successive.
Fare memoria è mettere discretamente a disposizione
dell’altro il buono che la vita ha insegnato, in modo che - sia esso una
persona o un Istituto religioso - possa trarne vantaggio, per vivere
meglio, credere con più intensità, amare di più, conoscere sia il bene
che il male. Ecco allora la lezione che ci viene da cinquant’anni di
vita: essere “memoria vivente del Vangelo”. Siamo chiamate ad essere
narrazione della buona notizia per le generazioni future.
Jesu dulcis memoria. È
bellissimo questo inno della liturgia, attribuito a san Bernardo di
Chiaravalle. Il nostro volto di consacrate dovrebbe mostrare il dolce
ricordo di Cristo. Come Francesco d’Assisi, che quando pronunciava
il nome di Gesù si passava la lingua sulle labbra, così le nostre vite
dovrebbero essere memoria della dolcezza di Cristo.
Profezia
Se la memoria è “ricordare” (riportare al cuore),
riandare alle radici, su cui porre le basi solide della vita,
l’attenzione al presente fa cogliere occasioni e opportunità da
sviluppare e di cui servirsi. Lo sguardo al futuro è stimolo per non
fermarsi, per andare avanti con fiducia e coraggio, per intravedere
nuove possibilità e mete sempre più alte. È dei poeti scrivere di
sogni, di lusinghe e gaiezze di cuori innamorati, del canto del sole e
della luna, del dolore e del tormento dell’anima. È dei profeti
parlare e far innamorare della luce che irradia speranza, dell’infinito
mistero della vita, dell’infinita magnificenza di Dio.
Come consacrate abbiamo nella Chiesa un compito di poesia
e profezia. Diceva Paolo VI: «La Chiesa ha bisogno di fuoco nel cuore,
di parole sulle labbra, di profezia nello sguardo»5.
Cantava padre David Maria Turoldo: «Manda, Signore, ancora profeti.
Uomini certi di Dio, uomini dal cuore in fiamme, a dire agli uomini di
sempre sperare».
Come i profeti, siamo chiamate ad essere donne di urto,
di disturbo, di inquietudine. In quanto profeti, non siamo coloro
che meglio degli altri sanno con esattezza come comportarsi nella Chiesa
e nel mondo. Siamo piuttosto messi a confronto con la nostra impotenza,
piccolezza e povertà. Non abbiamo la carta vincente per dire come oggi
va la vita cristiana e come andrà in futuro. Tuttavia, come i profeti,
vogliamo ascoltare ciò che Dio oggi ha da dire a noi, alla Chiesa e al
mondo.
C’è bisogno di umiltà e onestà, di apertura e
sensibilità, di ascolto di Dio e dei segni dei tempi, di un’accresciuta
percezione di ciò che accade nell’oggi della storia; e c’è bisogno del
dono dello Spirito per poter compiere in modo credibile ed efficace la
nostra missione profetica. Per questo dobbiamo augurarci, come singole
consacrate e come comunità, di essere disponibili a spalancare il cuore
alla voce di Dio e ad annunciarla con la parola e con la vita.
«Appartenere al Signore - ci ha detto Papa Benedetto -
vuol dire essere bruciati dal suo amore incandescente, essere
trasformati dallo splendore della sua bellezza […]. Essere di Cristo
significa mantenere sempre ardente nel cuore una viva fiamma d'amore»6.
Questo è il significato racchiuso nell’esperienza mistica e profetica
della vita consacrata. È la gioiosa scoperta delle fonti della salvezza,
il ritrovamento del tesoro nascosto, l’incontro con Cristo e l’annuncio
profetico del suo Regno.
Progetto
L’etimologia della parola «progetto» deriva dalla parola
latina «proiectus», participio passato di «proicere» che
significa «gettare». È strettamente legato a «proiectare»,
pro + iectare (= gettare avanti). Questo termine ci richiama
l’apertura al cambiamento, al mutamento, alla trasformazione. Tuttavia,
il progetto non è, come spesso siamo tentati di pensare, proiettare nel
futuro ciò che siamo, possediamo e governiamo. Piuttosto è la capacità
di farsi cambiare dalla storia che accade e dall’incontro con l’Altro e
con gli altri, per ripensare il futuro possibile come figli del nuovo
che ci è donato. In altre parole, è conversione a 360 gradi.
Da credenti e consacrate sappiamo che Dio e il suo amore
ci attirano, e dunque non dobbiamo avere paura. Il dialogo con il nostro
Sposo ci converte a lui, il dialogo con i fratelli ci converte alla
comune verità dell’immagine e somiglianza con Dio, che ognuno ha posta
nel cuore fin dalla creazione; il “nuovo nello Spirito” è la strada
comune che ci conduce al Padre.
Nell’ottica del progettare, è necessario però
recuperare la memoria, i sogni, la profezia che
hanno fatto di noi quello che siamo, così nessuna esperienza passerà
inosservata, senza lasciare il segno; nessuna esperienza sarà archiviata
senza la dovuta verifica e senza la registrazione di ciò che si è
conquistato. L’impegno della verifica e del riconoscimento di ciò che si
è appreso deve spronarci a cercare la causa e lo scopo
degli avvenimenti che accadono e toccano la nostra vita e
a dare loro un senso, un senso globale, un senso nel
tempo.
Fecondità
C’è ancora un passo da compiere, per raggiungere una più
ampia misura, quella del cuore di Dio, che ha sempre una misura più
grande della nostra normale esperienza umana, per quanto riflessa,
sapiente e ragionata. Non si tratta solo di sognare il sogno di
Dio, di fare memoria dell’altro per vederlo con gli occhi della
nostra storia, di vivere la profezia del «già e non ancora», di
cimentarsi in un progetto che faccia posto all’altro. Fatto
tutto questo, Dio fa di più, genera, dà vita abbondante, feconda,
ama e cura la nostra vita per quello che è e sorride per ogni pezzo di
vita in più che ci fiorisce tra le mani.
Benedetto XVI, quando era ancora cardinale, scriveva: «La
Chiesa è Donna. È Madre. È vivente». La Chiesa e, in essa la vita
consacrata, è chiamata ad essere feconda, a partecipare - nel suo modo
unico - all’opera creatrice di un Dio amante della vita, a generare alla
vita. E chi meglio di una donna, e di una donna consacrata, può essere
segno visibile della fecondità della Chiesa, della sua generosità,
dell’apertura all’infinito?
Generare è opera che chiede
grande capacità di speranza e di affidamento: con nel cuore la feconda
memoria del passato dobbiamo scommettere di un futuro su cui oggi non si
possono fare assicurazioni; dobbiamo scommettere su soggetti che non
siamo noi stessi e che cresceranno in modo diverso da noi, su
istituzioni che non sono quelle di oggi e che nasceranno dalla
collaborazione, dalla comunione, dall’aiuto reciproco tra Istituti sui
diversi campi della missione. È questa la fecondità, quella su misura
della Trinità, della sua vita sovrabbondante che genera continuamente e
ama e tiene in vita il mondo intero.
Questa misura infinita non è astratta, né generica, è
fatta di cose concrete e minuscole, di gesti e parole quotidiane, di un
atteggiamento che invita continuamente a benedire le vite che incontra,
anzi a seminare larghezza di vita e di bellezza là dove arriva; è fatta
di gesti umili e nascosti, ma coraggiosi, come quelli di chi semina e
attende con pazienza che il germoglio cresca.
«Non c’è amore più grande di chi dà la propria vita per i
suoi amici »: non si tratta di gesti eroici e occasionali, ma piuttosto
di una vita che cerca la misura di Dio e per questo genera e cura la
vita dell’altro, di tutti gli altri, senza discriminazioni. Una vita
come quella delle nostre sorelle che hanno tracciato un solco prima di
noi, gettando in esso il piccolo seme della loro esistenza.
Sì,
sognare si può, si deve. Ma solo la capacità di sognare la
speranza, con la dolce memoria di Cristo nel cuore, con la
profezia nello sguardo, con progetti di amore, sarà germe di
vita nuova nella fecondità dello Spirito.
Per questo, insieme preghiamo:
«Rimani con noi, Signore,
e illuminaci con la tua luce.
Riempici di dolcezza.
E se il tuo cuore ci visiterà
allora brillerà nel nostro cuore la verità
e dentro arderà la carità».
Per altri cinquant’anni … altri cento anni …
Non so, non sappiamo.
Sappiamo che sarà per quanto tu vorrai, … e questo ci basta.
1 B. MAGLIANO,
Sognare si può… 50° Usmi tra storia e profezia, Usmi, Elledici, Editrice Velar, Roma
– Leumann (TO) - Gorle (BG) 2012.
2 E. A. POE,
Eleonora,
trad. di Franco Della Pergola, De Agostini, Novara 1985.
3 GIOVANNI
PAOLO
II,
Omelia in occasione del viaggio apostolico in Spagna. Celebrazione della
Parola in onore di san Giovanni della Croce. Segovia, 4 novembre 1982,
in
Insegnamenti di Giovanni Paolo II,
V/3 (1982) 1141-1142.
4 Si veda SAN
GIOVANNI
DELLA
CROCE,
Cantico dell’anima,
Postulazione generale dei Carmelitani Scalzi, Roma 1963, 1047:
«Quella eterna fonte sta nascosta, ma so ben dove sgorga anche se è
notte. La sua origine non so, poiché non l’ha, ma so che ogni origine da
lei viene, anche se è notte. So che non può esserci cosa tanto bella e
che in cielo e terra bevono di quella, anche se è notte».
5 PAOLO
VI,
Udienza generale, mercoledì 29 novembre 1972.
6 BENEDETTO
XVI,
Discorso
ai Superiori
generali degli Istituti di vita consacrata, 22 maggio 2006.
Enrica Rosanna fma
Già Sottosegretario CIVCSVA
Via dell’Ateneo Salesiano, 81 - 00139 Roma