n. 11
novembre 2012

 

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La novità del Perfectae Caritate
 

MARIA GRAZIA BIANCO

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Il testo del decreto Perfectae caritatis ha conosciuto tappe molteplici di elaborazione, numerosi emendamenti, ampia collaborazione di Padri conciliari ed è stato approvato il 28 ottobre 1965 con 2.126 voti favorevoli e 13 contrari. Non vuole definire la vita religiosa, ma promuoverne rinnovamento e adattamento; è quindi pratico e operativo.

Gli fanno da cornice la costituzione dogmatica Lumen Gentium (1964) che lo prepara, il Motu proprio attuativo Ecclesiae sanctae (1966), l’Esortazione apostolica Evangelica testificatio (Paolo VI, 1971).

Viene offerta alla Chiesa, agli Istituti religiosi, alla comunità civile, una serie di elementi che hanno avviato un deciso rinnovamento, peraltro non esaurito e ancora in atto, della vita consacrata. Ne presento alcuni elementi preponderanti: la realtà stessa del ‘rinnovamento’, i voti, la vita fraterna, la formazione.

Rinnovamento

Sottostà al documento la consapevolezza che veniamo da un principio che è la comunità degli apostoli e di quanti, uomini e donne, hanno voluto e saputo sotto l’impulso dello Spirito Santo dare inizio a una varietà di forme di vita intese ad imitare più da vicino Gesù e lo hanno seguito con maggiore libertà. L’attenzione è immediatamente posta su Gesù; il rinnovamento assume la connotazione di uno sguardo che torna alle sorgenti (Gesù attraverso la Sacra Scrittura e i singoli Fondatori/Fondatrici) e si rende conto che le mutate condizioni dei tempi e della vita esigono un adattamento della vita religiosa tale che evidenzi il contributo alla vitalità della Chiesa nel cammino della storia degli uomini e della salvezza. La varietà degli istituti è l’abito bello che la Sposa-Chiesa indossa per lo Sposo e per tutti gli invitati alle nozze.

La Scrittura è libro da avere tra le mani, nella mente e nel cuore, determinante e caratterizzante sia la preghiera di ciascuno sia la tipologia degli studi e il tono degli incontri spiccioli con gli altri, dentro e fuori di comunità. Cambia l’impostazione della preghiera per tutti i religiosi che si aprono (e si educano) ad una preghiera biblica e liturgica molto più di quanto non fosse consuetudine diffusa. Si amplia l’orizzonte e si entra in quello di Dio; si hanno in mano gli strumenti per vivere ‘dal tetto in su’, liberandosi da orizzonti chiusi e limitati che portavano alla navigazione di piccolo cabotaggio, aprendosi a coraggiosi interventi solidali, testimoni di umanità e fede gioiosa, attenti a scrutare l’orizzonte con speranza.

Si fa strada il riferimento ai fondatori-fondatrici: hanno aperto piste di cammino e modi di vita che avevano la caratteristica di non essere semplice ripetizione e maldestra imitazione di qualcosa già esistente, ma di rispondere, per la spinta dello Spirito, a necessità delle persone in momenti e ambienti particolari, quotidiani. Se, dal tempo della fondazione, alcune forme di vita non mostrano più la loro originalità e alcuni fondatori-fondatrici non sono noti ai membri stessi degli istituti, il Concilio invita a studiare pensiero e fonti, così da tornare alla genuinità delle intuizioni che hanno dato vita a precise vocazioni, a forme particolari di “speciale consacrazione”. L’espressione “speciale consacrazione” deriva da un’allocuzione di Paolo VI (23 maggio 1964): “La professione dei voti evangelici s’aggiunge alla consacrazione propria del battesimo e la completa come una consacrazione particolare, per il fatto che il fedele si offre e si consacra a Dio totalmente, facendo di tutta la sua vita un servizio a lui solo”.

Il rinnovamento si esprime come inserimento della vita consacrata nel cammino della vita cristiana: non un tertium genus, ma persone che con i voti o altri legami simili “si offrono totalmente a Dio sommamente amato, così da essere con nuovo e speciale titolo destinati al servizio e all’onore di Dio”. Morti al peccato vivono solo per Dio. Tutta la loro vita “è stata posta al servizio di Dio, e ciò costituisce una speciale consacrazione che ha le sue profonde radici nella consacrazione battesimale, e ne è un’espressione più perfetta” (PC5). Si aprirà un ampio dibattito: il religioso si consacra o è consacrato? Protagonista è l’essere umano o Dio? Solo se e quando ci si chiarisce, intendendo che vita cristiana, vita di rapporto con Dio, è quella in cui Dio e l’essere umano interagiscono e coagiscono, questo dibattito può essere superato.

Il rinnovamento si riassume, forse, in poche parole fondamentali, sulle quali e con le quali la vita religiosa lavora tuttora: (PC 5) vivere per Dio solo, amore per Cristo (lasciare ogni cosa per amore di lui, seguirlo come unica cosa necessaria, ascoltare le sue parole, sollecitudine per le cose sue), al servizio anche della Chiesa. Congiungere contemplazione (aderire a Dio con la mente e con il cuore) e ardore apostolico (collaborare alla Redenzione e dilatare il Regno di Dio). Poche espressioni che racchiudono il lavoro di questi decenni, con elementi e sfide di grande concretezza: vivere solo per Dio, effettivamente come? Con quali manifestazioni ed estensioni? Come si apre il cuore? Come vivere un’unione al Cristo così intima e completa che annunzia l’adesione totale e immediata, faccia a faccia, che si realizzerà nella gloria celeste?

I voti

Il tradizionale modo di elencare i voti, in gradazione di ascendenza (povertà, castità, obbedienza), viene sostituito da un modo di elencarli già presente in LG 43: castità, povertà, obbedienza, a evidenziare che all’origine c’è l’amore, non la rinunzia.

 

Castità

La castità viene indicata nel suo carattere positivo (PC 12); è dono della grazia (un regalo grazioso che Dio fa), arricchisce la persona e stimola il servizio di Dio e l’attività apostolica. Occorre darle cura, cioè credere nelle parole del Signore, non presumere delle proprie forze, avere riguardo della salute del corpo e della mente; occorre pratica genuina della vita fraterna. Stima della castità, ma non orgoglio o vanagloria (se ne lamentava Girolamo, ma evidentemente il rischio di questa tentazione esiste tuttora). Mortificazione e custodia dei sensi, praticare l’ascesi che permetta di dominare il proprio corpo, ma cura per la salute. Maturità psicologica e affettiva. Arricchimento della persona per un suo sviluppo integrale, una costruzione armonica personale ma non isolata, diffusiva di amore, edificazione di sé e degli altri.

Castità in vista del regno dei cieli: se i beni celesti si riassumono nella felicità del possesso di Dio faccia a faccia, in unione con tutti gli eletti, la castità fa pregustare il ‘possesso’ di Dio, allarga il cuore a tutta la comunità umana.

 

Povertà

Anche la povertà è amore al Cristo, prima di essere rinuncia (PC 13). È infatti partecipazione alla povertà del Cristo (il Figlio dell’Uomo non ha dove posare il capo; il Redentore da ricco che era si fece povero per arricchirci), non semplicemente rinuncia ai beni terrestri; è spogliamento spirituale, povertà voluta in tutto l’essere umano che si mette nel movimento dell’incarnazione: rinuncia totale dei beni in vista di un’offerta al Padre. Non semplicemente dipendenza dai superiori (quindi povertà e obbedienza), ma vita secondo l’ideale evangelico: accumulare tesori per il cielo. Non servono molte parole per ridire la forza di questo voto nel momento attuale con le sue nuove forme di povertà. Perfectae caritatis ricorda che il consacrato è soggetto, come tutti gli esseri viventi, all’obbligo, la legge comune, del lavoro. La mendicità senza lavoro non può essere considerata una forma ideale di povertà.

Sono chiamate a coesistere povertà personale e povertà collettiva. Grande è stato l’impegno di questi anni per rendere esistenziale e concreto questo invito. “Gli istituti sono tenuti a evitare ogni apparenza di lusso, di lucro eccessivo e di accumulazione dei beni”: non mirare a realizzare guadagni, anzi fare la carità all’esterno ed anche all’interno degli istituti stessi. Vivere nella povertà è anticipare che la vita eterna è dove e quando il Signore è l’unica e totale ricchezza. L’atteggiamento costante, personale e comunitario, di fiducia nella Provvidenza esclude ogni avidità nella ricerca dei beni temporali e ogni ansietà per il necessario.

 

Obbedienza

Il documento distingue natura e fondamento dell’obbedienza (PC 14), esprime raccomandazioni ai membri, consigli ai superiori, in una visione equilibrata e completa, attuale e tradizionale dell’obbedienza religiosa. A fondamento il ricordo che l’essere umano è chiamato a conformarsi alla volontà di Dio, a imitazione del Cristo, a servizio alla Chiesa. Obbedienza come atteggiamento della volontà, consacrazione di essa, dedicatio. La rinuncia della volontà può essere diretta solo a Dio, è offerta a Dio di se stessi. Valore mistico dell’obbedienza: mira a unire con Dio, perciò dilata l’essere, lo sviluppa secondo la dimensione della volontà di Dio. Implica fede: i religiosi si sottomettono in spirito di fede ai superiori, rappresentanti di Dio. Quindi sviluppare lo spirito di fede, realizzando l’accordo di volontà umane nella conformità al volere di Dio. Solo lo Spirito Santo può disporre a ciò.

Docilità a Dio, servizio di amore verso i fratelli da parte dei superiori: devono rendere conto a Dio di chi è loro affidato; quindi spirito di servizio, rispetto delle persone, promuovere la collaborazione, ascoltare mediante un vero scambio di pensiero, riconoscere la possibilità di pensare diversamente. Da parte dei religiosi spirito di fede e amore (obbedienza religiosa teocentrica o teologale), mettere a disposizione

tutte le forze umane, attitudine costruttiva d’orizzonte ecclesiale. L’obbedienza perde le forme troppo verticali e richiede cambio di mentalità, senso di collegialità, collaborazione fraterna di tutti.

Autentico concetto dell’autorità: Cristo non soltanto ha rifiutato di farsi servire ma ha esercitato l’autorità senza creare distanza tra lui e i suoi seguaci. “Presso di lui l’autorità è in linea orizzontale, discendendo dal piano di Dio a quello umano” (J. Galot, Rinnovamento della vita consacrata, 1967, 92). Ne conseguono crescita della persona umana, ampliamento della libertà interiore, sottomissione filiale a Dio, continuazione dell’obbedienza redentiva del Cristo. Capitoli e Consigli manifesteranno la partecipazione di tutti al buon andamento della comunità.

Vita fraterna

Il Perfectae caritatis parla di «vita fraterna in comune» (PC15) modificando la terminologia usuale ‘vita comune’; una modifica di non piccola portata, perché descrive il tono dei rapporti tra persone che vivono secondo la medesima lunghezza d’onda di un ideale. L’unione di più fratelli nel nome di Cristo comporta la presenza di lui: le comunità formano una vera famiglia, riunita nel nome del Signore, che gode della sua presenza. Questo stile di vita si presenta al mondo come un richiamo alla fede e richiede un cammino di unificazione tra i membri.

Il quadro dottrinale e biblico di riferimento è la prima comunità cristiana. Il Decreto presenta una vita insieme (vissuta da fratelli/ sorelle) di livello soprannaturale che si mantiene e si rifà con mezzi soprannaturali: assimilazione del Vangelo, liturgia con speciale riferimento all’Eucaristia, perseveranza nella preghiera, perdono. L’unità di tutti con lo Spirito Santo compie l’unità delle comunità religiose, dove l’amore non è virtuale, e vi suscita una vita fraterna, concretamente genuina, animata da ‘vero amore fraterno’ in cui il collante soprannaturale, lo Spirito, genera e mantiene rapporti schietti e sinceri di persone mature al lavoro nella vigna del Signore.

Quella che può sembrare un’utopia è accompagnata da espressioni scritturistiche relative al rispetto e all’aiuto: «I religiosi,   quali membri del Cristo, in fraterna comunanza di vita, si prevengano gli uni gli altri nel rispetto scambievole (Rm 12,10), portando i pesi gli uni degli altri (Gal 6,2)». La carità esprime il suo valore mistico, morale, apostolico, manifesta e previene la venuta del Cristo. Diventa segno della venuta attuale del Cristo, per cui egli trasforma gli uomini e comunica loro l’unità divina della Trinità.

Formazione

Il Concilio è consapevole che questo programma di aggiornamento dipende in massima parte dalla formazione dei membri, che va perseguita nel noviziato e oltre.

Occorrono tempi di formazione successivi al noviziato, nei quali compiere la formazione religiosa ed apostolica, dottrinale e tecnica, e una corrispondente istruzione sulla vita sociale odierna. Tutto questo consentirà ai membri della vita religiosa di essere adeguatamente acculturati rispetto al mondo teologico-ecclesiale, senza rimpianti e chiusure né avanzamenti dissennati, e di essere efficacemente presenti alla vita e a coloro che la vivono. Esseri umani - donne e uomini - vivi, conquistati dalla persona e dal messaggio di Gesù, capaci di usare la pienezza del proprio essere per vivere di amore e nell’amore, senza falsità, senza apparenze e infingimenti.

Un auspicio

Siamo abituati dai mezzi di comunicazione ad un incontro con l’altro continuo e immediato, in tempo reale. Esso, virtuale, si esplica tramite notizie, cose che diventano parole o segni di qualsiasi tipo. È il clima in cui la società, tutte le persone indistintamente, vivono adesso. Anche da questo nascono sollecitazioni nel vivere il Perfectae caritatis: Gesù incontrato con immediatezza e continuità, ma nella ricerca e nell’attuazione di un incontro reale, non virtuale. Esso, costante, passa tra cose piccole, gesti del quotidiano, viene dal vivere e si proietta nel vivere.

Questa la linea conduttrice del Decreto e la sintesi delle novità: al centro, Gesù pienamente Dio e uomo; nella vita storica delle persone, scelte operative quotidiane che manifestino presenza e prolungamento umano dell’esistenza di Gesù. L’ambiente è gravido di luci ed ombre. Ma «tutta la storia della salvezza è un progressivo rivelarsi della fedeltà di Dio, nonostante le nostre infedeltà e i nostri rinnegamenti» (Benedetto XVI, 30 maggio 2012).

Ci accompagna l’intercessione della dolcissima vergine Maria, la cui vita è modello per tutti (PC 25).

Maria Grazia Bianco
Docente di Letteratura cristiana antica presso l’UMSA
biancomg@tin.it

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