Il
testo del decreto
Perfectae caritatis
ha conosciuto tappe
molteplici di elaborazione, numerosi emendamenti, ampia collaborazione
di Padri conciliari ed è stato approvato il 28 ottobre 1965 con 2.126
voti favorevoli e 13 contrari. Non vuole definire la vita religiosa, ma
promuoverne rinnovamento e adattamento; è quindi pratico e operativo.
Gli fanno da cornice la
costituzione dogmatica
Lumen Gentium
(1964) che lo prepara, il Motu
proprio attuativo
Ecclesiae
sanctae
(1966), l’Esortazione apostolica
Evangelica testificatio
(Paolo VI, 1971).
Viene offerta alla
Chiesa, agli Istituti religiosi, alla comunità civile, una serie di
elementi che hanno avviato un deciso rinnovamento, peraltro non esaurito
e ancora in atto, della vita consacrata. Ne presento alcuni elementi
preponderanti: la realtà stessa del ‘rinnovamento’, i voti, la vita
fraterna, la formazione.
Rinnovamento
Sottostà al documento la consapevolezza che veniamo da un
principio che è la comunità degli apostoli e di quanti, uomini e donne,
hanno voluto e saputo sotto l’impulso dello Spirito Santo dare inizio a
una varietà di forme di vita intese ad imitare più da vicino Gesù e lo
hanno seguito con maggiore libertà. L’attenzione è immediatamente posta
su Gesù; il rinnovamento assume la connotazione di uno sguardo che torna
alle sorgenti (Gesù attraverso la Sacra Scrittura e i singoli
Fondatori/Fondatrici) e si rende conto che le mutate condizioni dei
tempi e della vita esigono un adattamento della vita religiosa tale che
evidenzi il contributo alla vitalità della Chiesa nel cammino della
storia degli uomini e della salvezza. La varietà degli istituti è
l’abito bello che la Sposa-Chiesa indossa per lo Sposo e per tutti gli
invitati alle nozze.
La Scrittura è libro da avere tra le mani, nella mente e
nel cuore, determinante e caratterizzante sia la preghiera di ciascuno
sia la tipologia degli studi e il tono degli incontri spiccioli con gli
altri, dentro e fuori di comunità. Cambia l’impostazione della preghiera
per tutti i religiosi che si aprono (e si educano) ad una preghiera
biblica e liturgica molto più di quanto non fosse consuetudine diffusa.
Si amplia l’orizzonte e si entra in quello di Dio; si hanno in mano gli
strumenti per vivere ‘dal tetto in su’, liberandosi da orizzonti chiusi
e limitati che portavano alla navigazione di piccolo cabotaggio,
aprendosi a coraggiosi interventi solidali, testimoni di umanità e fede
gioiosa, attenti a scrutare l’orizzonte con speranza.
Si fa strada il riferimento ai fondatori-fondatrici:
hanno aperto piste di cammino e modi di vita che avevano la
caratteristica di non essere semplice ripetizione e maldestra imitazione
di qualcosa già esistente, ma di rispondere, per la spinta dello
Spirito, a necessità delle persone in momenti e ambienti particolari,
quotidiani. Se, dal tempo della fondazione, alcune forme di vita non
mostrano più la loro originalità e alcuni fondatori-fondatrici non sono
noti ai membri stessi degli istituti, il Concilio invita a studiare
pensiero e fonti, così da tornare alla genuinità delle intuizioni che
hanno dato vita a precise vocazioni, a forme particolari di “speciale
consacrazione”. L’espressione “speciale consacrazione” deriva da
un’allocuzione di Paolo VI (23 maggio 1964): “La professione dei voti
evangelici s’aggiunge alla consacrazione propria del battesimo e la
completa come una consacrazione particolare, per il fatto che il fedele
si offre e si consacra a Dio totalmente, facendo di tutta la sua vita un
servizio a lui solo”.
Il rinnovamento si esprime come inserimento della vita
consacrata nel cammino della vita cristiana: non un tertium genus,
ma persone che con i voti o altri legami simili “si offrono totalmente a
Dio sommamente amato, così da essere con nuovo e speciale titolo
destinati al servizio e all’onore di Dio”. Morti al peccato vivono solo
per Dio. Tutta la loro vita “è stata posta al servizio di Dio, e ciò
costituisce una speciale consacrazione che ha le sue profonde radici
nella consacrazione battesimale, e ne è un’espressione più perfetta”
(PC5). Si aprirà un ampio dibattito: il religioso si consacra o è
consacrato? Protagonista è l’essere umano o Dio? Solo se e quando ci si
chiarisce, intendendo che vita cristiana, vita di rapporto con Dio, è
quella in cui Dio e l’essere umano interagiscono e coagiscono, questo
dibattito può essere superato.
Il rinnovamento si riassume, forse, in poche parole
fondamentali, sulle quali e con le quali la vita religiosa lavora
tuttora: (PC 5) vivere per Dio solo, amore per Cristo (lasciare ogni
cosa per amore di lui, seguirlo come unica cosa necessaria, ascoltare le
sue parole, sollecitudine per le cose sue), al servizio anche della
Chiesa. Congiungere contemplazione (aderire a Dio con la mente e con il
cuore) e ardore apostolico (collaborare alla Redenzione e dilatare il
Regno di Dio). Poche espressioni che racchiudono il lavoro di questi
decenni, con elementi e sfide di grande concretezza: vivere solo per
Dio, effettivamente come? Con quali manifestazioni ed estensioni? Come
si apre il cuore? Come vivere un’unione al Cristo così intima e completa
che annunzia l’adesione totale e immediata, faccia a faccia, che si
realizzerà nella gloria celeste?
I voti
Il tradizionale modo di elencare i voti, in gradazione di
ascendenza (povertà, castità, obbedienza), viene sostituito da un modo
di elencarli già presente in LG 43: castità, povertà, obbedienza, a
evidenziare che all’origine c’è l’amore, non la rinunzia.
Castità
La castità viene indicata nel suo carattere positivo (PC
12); è dono della grazia (un regalo grazioso che Dio fa), arricchisce la
persona e stimola il servizio di Dio e l’attività apostolica. Occorre
darle cura, cioè credere nelle parole del Signore, non presumere delle
proprie forze, avere riguardo della salute del corpo e della mente;
occorre pratica genuina della vita fraterna. Stima della castità, ma non
orgoglio o vanagloria (se ne lamentava Girolamo, ma evidentemente il
rischio di questa tentazione esiste tuttora). Mortificazione e custodia
dei sensi, praticare l’ascesi che permetta di dominare il proprio corpo,
ma cura per la salute. Maturità psicologica e affettiva. Arricchimento
della persona per un suo sviluppo integrale, una costruzione armonica
personale ma non isolata, diffusiva di amore, edificazione di sé e degli
altri.
Castità in vista del regno dei cieli: se i beni celesti
si riassumono nella felicità del possesso di Dio faccia a faccia, in
unione con tutti gli eletti, la castità fa pregustare il ‘possesso’ di
Dio, allarga il cuore a tutta la comunità umana.
Povertà
Anche la povertà è amore al Cristo, prima di essere
rinuncia (PC 13). È infatti partecipazione alla povertà del Cristo (il
Figlio dell’Uomo non ha dove posare il capo; il Redentore da ricco che
era si fece povero per arricchirci), non semplicemente rinuncia ai beni
terrestri; è spogliamento spirituale, povertà voluta in tutto l’essere
umano che si mette nel movimento dell’incarnazione: rinuncia totale dei
beni in vista di un’offerta al Padre. Non semplicemente dipendenza dai
superiori (quindi povertà e obbedienza), ma vita secondo l’ideale
evangelico: accumulare tesori per il cielo. Non servono molte parole per
ridire la forza di questo voto nel momento attuale con le sue nuove
forme di povertà. Perfectae caritatis ricorda che il consacrato è
soggetto, come tutti gli esseri viventi, all’obbligo, la legge comune,
del lavoro. La mendicità senza lavoro non può essere considerata una
forma ideale di povertà.
Sono chiamate a coesistere povertà personale e povertà
collettiva. Grande è stato l’impegno di questi anni per rendere
esistenziale e concreto questo invito. “Gli istituti sono tenuti a
evitare ogni apparenza di lusso, di lucro eccessivo e di accumulazione
dei beni”: non mirare a realizzare guadagni, anzi fare la carità
all’esterno ed anche all’interno degli istituti stessi. Vivere nella
povertà è anticipare che la vita eterna è dove e quando il Signore è
l’unica e totale ricchezza. L’atteggiamento costante, personale e
comunitario, di fiducia nella Provvidenza esclude ogni avidità nella
ricerca dei beni temporali e ogni ansietà per il necessario.
Obbedienza
Il documento distingue natura e fondamento
dell’obbedienza (PC 14), esprime raccomandazioni ai membri, consigli ai
superiori, in una visione equilibrata e completa, attuale e tradizionale
dell’obbedienza religiosa. A fondamento il ricordo che l’essere umano è
chiamato a conformarsi alla volontà di Dio, a imitazione del Cristo, a
servizio alla Chiesa. Obbedienza come atteggiamento della volontà,
consacrazione di essa, dedicatio. La rinuncia della volontà può
essere diretta solo a Dio, è offerta a Dio di se stessi. Valore mistico
dell’obbedienza: mira a unire con Dio, perciò dilata l’essere, lo
sviluppa secondo la dimensione della volontà di Dio. Implica fede: i
religiosi si sottomettono in spirito di fede ai superiori,
rappresentanti di Dio. Quindi sviluppare lo spirito di fede, realizzando
l’accordo di volontà umane nella conformità al volere di Dio. Solo lo
Spirito Santo può disporre a ciò.
Docilità a Dio, servizio di amore verso i fratelli da
parte dei superiori: devono rendere conto a Dio di chi è loro affidato;
quindi spirito di servizio, rispetto delle persone, promuovere la
collaborazione, ascoltare mediante un vero scambio di pensiero,
riconoscere la possibilità di pensare diversamente. Da parte dei
religiosi spirito di fede e amore (obbedienza religiosa teocentrica o
teologale), mettere a disposizione
tutte le forze umane, attitudine costruttiva d’orizzonte
ecclesiale. L’obbedienza perde le forme troppo verticali e richiede
cambio di mentalità, senso di collegialità, collaborazione fraterna di
tutti.
Autentico concetto dell’autorità: Cristo non soltanto ha
rifiutato di farsi servire ma ha esercitato l’autorità senza creare
distanza tra lui e i suoi seguaci. “Presso di lui l’autorità è in linea
orizzontale, discendendo dal piano di Dio a quello umano” (J. Galot,
Rinnovamento della vita consacrata, 1967, 92). Ne conseguono
crescita della persona umana, ampliamento della libertà interiore,
sottomissione filiale a Dio, continuazione dell’obbedienza redentiva del
Cristo. Capitoli e Consigli manifesteranno la partecipazione di tutti al
buon andamento della comunità.
Vita fraterna
Il Perfectae caritatis parla di «vita fraterna in
comune» (PC15) modificando la terminologia usuale ‘vita comune’; una
modifica di non piccola portata, perché descrive il tono dei rapporti
tra persone che vivono secondo la medesima lunghezza d’onda di un
ideale. L’unione di più fratelli nel nome di Cristo comporta la presenza
di lui: le comunità formano una vera famiglia, riunita nel nome del
Signore, che gode della sua presenza. Questo stile di vita si presenta
al mondo come un richiamo alla fede e richiede un cammino di
unificazione tra i membri.
Il quadro dottrinale e biblico di riferimento è la prima
comunità cristiana. Il Decreto presenta una vita insieme (vissuta da
fratelli/ sorelle) di livello soprannaturale che si mantiene e si rifà
con mezzi soprannaturali: assimilazione del Vangelo, liturgia con
speciale riferimento all’Eucaristia, perseveranza nella preghiera,
perdono. L’unità di tutti con lo Spirito Santo compie l’unità delle
comunità religiose, dove l’amore non è virtuale, e vi suscita una vita
fraterna, concretamente genuina, animata da ‘vero amore fraterno’ in cui
il collante soprannaturale, lo Spirito, genera e mantiene rapporti
schietti e sinceri di persone mature al lavoro nella vigna del Signore.
Quella che può sembrare un’utopia è accompagnata da
espressioni scritturistiche relative al rispetto e all’aiuto: «I
religiosi, quali membri del Cristo, in fraterna comunanza di vita, si
prevengano gli uni gli altri nel rispetto scambievole (Rm 12,10),
portando i pesi gli uni degli altri (Gal 6,2)». La carità esprime il suo
valore mistico, morale, apostolico, manifesta e previene la venuta del
Cristo. Diventa segno della venuta attuale del Cristo, per cui egli
trasforma gli uomini e comunica loro l’unità divina della Trinità.
Formazione
Il Concilio è consapevole che questo programma di
aggiornamento dipende in massima parte dalla formazione dei membri, che
va perseguita nel noviziato e oltre.
Occorrono tempi di formazione successivi al noviziato,
nei quali compiere la formazione religiosa ed apostolica, dottrinale e
tecnica, e una corrispondente istruzione sulla vita sociale odierna.
Tutto questo consentirà ai membri della vita religiosa di essere
adeguatamente acculturati rispetto al mondo teologico-ecclesiale, senza
rimpianti e chiusure né avanzamenti dissennati, e di essere
efficacemente presenti alla vita e a coloro che la vivono. Esseri umani
- donne e uomini - vivi, conquistati dalla persona e dal messaggio di
Gesù, capaci di usare la pienezza del proprio essere per vivere di amore
e nell’amore, senza falsità, senza apparenze e infingimenti.
Un auspicio
Siamo abituati dai mezzi di comunicazione ad un incontro
con l’altro continuo e immediato, in tempo reale. Esso, virtuale, si
esplica tramite notizie, cose che diventano parole o segni di qualsiasi
tipo. È il clima in cui la società, tutte le persone indistintamente,
vivono adesso. Anche da questo nascono sollecitazioni nel vivere il
Perfectae caritatis: Gesù incontrato con immediatezza e continuità,
ma nella ricerca e nell’attuazione di un incontro reale, non virtuale.
Esso, costante, passa tra cose piccole, gesti del quotidiano, viene dal
vivere e si proietta nel vivere.
Questa la linea conduttrice del Decreto e la sintesi
delle novità: al centro, Gesù pienamente Dio e uomo; nella vita storica
delle persone, scelte operative quotidiane che manifestino presenza e
prolungamento umano dell’esistenza di Gesù. L’ambiente è gravido di luci
ed ombre. Ma «tutta la storia della salvezza è un progressivo rivelarsi
della fedeltà di Dio, nonostante le nostre infedeltà e i nostri
rinnegamenti» (Benedetto XVI, 30 maggio 2012).
Ci accompagna l’intercessione della dolcissima vergine
Maria, la cui vita è modello per tutti (PC 25).
Maria Grazia Bianco
Docente di
Letteratura cristiana antica presso l’UMSA
biancomg@tin.it