Quando
nel gennaio 2006 uscì la prima enciclica di papa Benedetto XVI -
Deus Caritas
est - il filosofo cattolico
Giovanni Reale commentò: «La novità filosofica dell'enciclica è che ha
riscritto un nuovo paradigma che include eros e agape. Tu non puoi
donare, se prima non ricevi. Non puoi amare, se non sei amato. Insomma
dobbiamo dare l'amore agli altri, ma ricevendolo prima da Dio». In
questa breve ripresa del nucleo originale dell'enciclica, vorrei tentare
tre passaggi: innanzitutto esplorare cosa c'era
prima
dell'enciclica; poi cosa si respirava
intorno
sia ad
extra
che ad intra
della Chiesa; quindi provare ad entrarci
dentro.
Infine cercherò di declinarne una ricaduta nella vocazione e missione
della vita consacrata.
Il vocabolario dell’amore
Nella morale cristiana
cattolica l’amore è al centro, per il semplice fatto che è il centro
della fede cristiana: identifica Dio (“Dio è amore”) e,
conseguentemente, la persona umana, creata a immagine di Dio. Questa
focalizzazione della centralità dell’amore nella storia della teologia
morale si è registrata a partire dal Vaticano II. Prima del Concilio la
morale cattolica era impostata secondo lo schema dei comandamenti,
rinviando la categoria
amore
(carità) all’ascetica e
alla mistica. Il Vaticano II non ha prodotto alcun documento,
esplicitamente e direttamente dedicato alla teologia morale. Tuttavia
non mancano passaggi del Concilio dove, parlando di questa branca della
teologia, si raccomanda di ricapitolare tutta la morale cattolica in
base alla categoria della carità-agape (cfr OT 16).
Ma che cosa si deve
intendere per amore, secondo la Sacra Scrittura? Se si consulta la voce
corrispondente nel
Dizionario dei concetti
biblici del Nuovo Testamento,
(EDB 1976), si legge che il greco dispone di tre parole per dire
l'amore. La prima è philìa,
e indica l'amore di amicizia. La seconda è
eros,
per dire, nella sua accezione “'bassa”, l'amore passionale, fatto di
brama, di attrattiva sensibile, di piacere sensuale, mentre, nella sua
accezione “alta”, esprime il desiderio della bellezza, l'attrattiva del
divino. La terza è agàpe,
parola preferita dal greco biblico, in particolare nel NT, per esprimere
l'amore benevolo e gratuito di Dio, e, di riflesso, la carità fraterna.
Nell'enciclica
Deus Caritas
est (in seguito,
DCe),
il Papa nota che l'Antico Testamento greco usa solo due volte la parola
eros,
mentre il Nuovo Testamento non la usa mai. Delle tre parole greche
relative all'amore, gli scritti neotestamentari privilegiano
agape,
che nel linguaggio greco era piuttosto messa ai margini (n. 3). Il fatto
che il NT eviti accuratamente il termine
eros,
usando al suo posto sempre e solo
agape,
ha indotto alcuni a sostenere la tesi dell'assoluta incompatibilità,
nella concezione cristiana, tra
eros
e
agape.
Eros contro Agape
Alfiere di questa
posizione è stato Anders Nygren, teologo luterano svedese, in un suo
libro intitolato
Eros e Agape,
pubblicato in originale nel 1930, e arrivato in Italia nel 1971. In esso
l'autore contrapponeva in modo irriducibile l'amore-eros e
l'amore-agape. Il primo è centripeto, interessato e possessivo, e indica
l'amore umano per Dio; il secondo, è centrifugo, del tutto puro e
gratuito e indica l'amore divino per l'uomo. Il Nuovo Testamento ha
fatto – secondo questo autore - una scelta precisa, preferendo, per
esprimere l'amore, il termine agape e rifiutando sistematicamente il
termine eros. San Paolo sarebbe l'autore che con maggiore fedeltà ha
formulato questa antitesi radicale, ma appena il cristianesimo è entrato
in contatto con il mondo greco, si sarebbero subito escogitati tentativi
di sintesi.
Già con Origene si ha una
rivalutazione dell'eros, fino allo Pseudo-Dionigi l'Areopagita che
arriverà a scrivere: «Dio è eros», sostituendo questo termine a quello
di agape nella celebre frase di san Giovanni (1Gv 4,16). In questa linea
si collocano sant'Agostino: «Ci hai fatti, Signore, per te, e inquieto è
il nostro cuore finché non s'acquieti in te» (Conf.
1,1); san Bernardo, quando definisce il grado supremo dell'amore di Dio
come un «amare Dio per se stesso» e un «amare se stesso per Dio»; san
Bonaventura, con il suo ascensionale
Itinerario
dell'anima a Dio;
san Tommaso, che definisce l'amore di Dio effuso nel cuore del
battezzato come «l'amore con cui Dio ama noi e con cui fa sì che noi
amiamo lui».
Ma prima Lutero e poi Karl
Barth hanno invece sostenuto un contrasto insanabile tra eros e agape.
«Dove entra in scena l'amore cristiano - scrive il teologo evangelico di
Basilea - ha inizio immediatamente il conflitto con l'altro amore e
questo conflitto non ha più fine». Il Nygren si colloca in questa scia,
perché secondo lui la visione cattolica - che su questo punto coincide
con quella ortodossa - distrugge l'assoluta gratuità dell'amore di Dio.
La controprova si avrebbe dall'esperienza e dalla riflessione dei
mistici: secondo il teologo evangelico, l'amore umano per Dio, con la
sua fortissima carica di eros, altro non sarebbe che un amore sensuale
sublimato, un tentativo di stabilire con Dio un rapporto di presuntuosa
reciprocità in amore.
Aut Eros aut Agape?
Il cristianesimo, secondo
Friedriech Nietzsche, ha dato da bere del veleno all'eros, che, pur non
morendone, ne avrebbe tratto la spinta a degenerare in vizio. Commenta
il Papa: «Con ciò il filosofo tedesco esprimeva una percezione molto
diffusa: la Chiesa con i suoi comandamenti e divieti non ci rende forse
amara la cosa più bella della vita? Non innalza forse cartelli di
divieto proprio là dove la gioia, predisposta per noi dal Creatore, ci
offre una felicità che ci fa pregustare qualcosa del Divino?» (DCe
3).
Freud è andato fino in
fondo in questa linea, riducendo l'amore a eros e l'eros a
libido,
a istintiva pulsione sessuale. È la punta estrema della secolarizzazione
dell'amore: si estromette Dio dall'amore e l'amore dall'eros, fino a far
coincidere eros
e
thanatos,
amore e morte, come risulta, ad esempio, da
I fiori del male
di Beaudelaire, o da
Una stagione all'inferno
di Rimbaud, o come viene impietosamente descritto in un romanzo come
Amarsi male
di Mauriac.
Un veloce accenno al primo
di questi tre scrittori francesi. Alla voluttà e ai piaceri della carne,
anche quando li ha cercati con forsennata avidità, Charles Beaudelaire
(1821-1887) ha sempre guardato come a un consegnarsi al disfacimento e
alla morte. Ha dichiarato di essersi «inebriato unicamente di piacere,
in una eccitazione continua», ma dietro l'ebbrezza della carne in
delirio ha sempre scorto la tristezza, la rovina, la decomposizione, il
putridume. Nel finale di un suo componimento poetico, dal titolo
sintomatico,
Une charogne,
il poeta francese si rivolge alla donna amata e, attraverso di lei, alle
bellezze femminili: tutte saranno ridotte a un
letamaio
sul quale ronzano le
mosche e uno sciame di larve nere. Ecco l'efflorescenza lugubre della
corruzione e del vizio. L'amore, la cosa più bella della vita - perché
nasce dalla vita e dovrebbe generare solo vita – finisce invece ormai
per condurre fatalmente alla morte.
Bisogna però onestamente
riconoscere che questa cultura secolare che estromette l'amore
dall'eros, cioè ogni riferimento a Dio e alla grazia, rappresenta il
contraccolpo di certa teologia che, all'opposto, aveva estromesso l'eros
dall'agape. «L'agape senza eros ci appare come un “amore freddo”, un
amare “con la cima dei capelli”, più per imposizione della volontà che
per intimo slancio del cuore; un calarsi dentro uno stampo
precostituito, anziché crearsene uno proprio e irripetibile, come
irripetibile è ogni essere umano davanti a Dio. Se l'amore umano è un
corpo senz'anima, l'amore religioso così praticato è un'anima senza
corpo» (R. Cantalamessa). Se la componente legata all'affettività e al
cuore viene sistematicamente cancellata o congelata, l'esito sarà
duplice: o si va in automatico nell'esperienza dell'amore, per doverismo
o per puro volontarismo (ma che amore sarebbe un amore “automatico”?);
oppure si va in cerca di compensazioni più o meno lecite. Non è forse,
questo, il caso di certe brutte storie di persone consacrate, in cui si
verifica la triste sindrome della “monaca di Monza”?
Eros e Agape
L’enciclica
Deus Caritas est
propone una teologia e
un’antropologia in cui l’amore appare come primo principio teologico e,
di conseguenza, come principio etico: la verità che Dio è amore fonda e
struttura l’intera morale cristiana, sia a livello di vissuto che di
riflessione teorica. Pertanto l’amore non è
un
comandamento, sia pure più importante
rispetto ad altri, ma il
comandamento, di cui gli altri
non sono che determinazione e concreta realizzazione. Ma prima ancora
l'amore è avvenimento:
è l'evento dell'incarnazione del Figlio di Dio Amore che si fa carne,
viene ad abitare in mezzo a noi, e alla fine dona il suo sangue per
amore nostro; quindi viene risuscitato dal Padre per essere sempre vivo
e intercedere per noi. L’amore è lo specifico cristiano: connota
l’essere e l’agire cristiano nella Chiesa e nel mondo.
Ma la “novità”
dell'enciclica consiste nel riaffermare la sintesi cattolica
tradizionale esprimendola in un linguaggio moderno: «Eros e agape -
amore ascendente e amore discendente - non si lasciano mai separare
completamente l'uno dall'altro [...]. Anche se l'eros inizialmente è
soprattutto bramoso, ascendente – fascinazione per la grande promessa di
felicità - nell'avvicinarsi poi all'altro si porrà sempre meno domande
su di sé, cercherà sempre di più la felicità dell'altro, si preoccuperà
sempre di più di lui, si donerà e desidererà “esserci per” l'altro. Così
il momento dell'agape si inserisce in esso; altrimenti l'eros decade e
perde anche la sua stessa natura. D’altra parte l'uomo non può neanche
vivere esclusivamente nell'amore oblativo, discendente. Non può sempre
soltanto donare, deve anche ricevere. Chi vuol donare amore, deve egli
stesso riceverlo in dono [...]. La fede biblica non costruisce un mondo
parallelo o un mondo contrapposto rispetto a quell'originario fenomeno
umano che è l'amore, ma accetta tutto l'uomo intervenendo nella sua
ricerca di amore per purificarla, dischiudendogli al contempo nuove
dimensioni» (DCe
7-8). È
in Dio che eros e agape sono pienamente fusi in una sintesi totale e
armonica: «Egli ama - prosegue l'enciclica - e questo suo amore può
essere qualificato come eros, che tuttavia è anche e totalmente agape»
(n. 9).
Dunque, né irriducibile
contrapposizione tra eros e agape, né totale separazione, ma sintesi:
una sintesi integrata e inclusiva. Infatti senza l'agape, l'eros è
torbido; senza l'eros, l'amore è tiepido. L'eros è la fiamma, l'agape è
l'ossigeno. La grazia - l'amore gratuito e appassionato di Dio - dona
all'agape l'intensità ardente dell'eros, e all'eros la tenera gratuità
dell'agape. In Dio questa sintesi è perfetta e beata, in noi è e rimane
incompiuta e perfettibile: sempre da invocare e accogliere, mai da
trascurare e disperdere.
Nella vita consacrata
Quale impatto ha questo
messaggio sulla vita consacrata? E cosa ha da dire la vita consacrata al
riguardo? La vita consacrata ha da dire la parola più alta della storia,
la più forte del mondo, la più dolce della vita: Gesù Cristo. In Gesù si
intrecciano l'amore divino per l'uomo e l'amore umano per Dio. In Cristo
Dio ci ha amati con cuore d'uomo: questo è tipico e specifico del
cristianesimo, rispetto all'ebraismo, all'islamismo, al buddhismo e ad
ogni religione. Nella
Deus Caritas
est
si parla esplicitamente della vita
consacrata solo nella dedica, poiché l'enciclica è indirizzata anche
“alle persone consacrate” e poi se ne riparla implicitamente al n. 40,
dove il Papa elenca una lunga 'litania' di santi - quasi tutti monaci e
religiosi - che hanno fatto brillare l'agape come carità verso il
prossimo. Questa carità, ovviamente, è la prima e più diretta ricaduta
dell'amore verso Dio. Ma l'enciclica impegna la vita consacrata a
rilanciare il suo messaggio specifico: l'amore esclusivo - ma proprio
per questo non “escludente”! - a Gesù. Prima del fratello che si vede,
c'è l'amore del e per il Fratello,
che
si vede e si tocca: il Dio fatto carne, Gesù Cristo! La bellezza e la
pienezza della vita consacrata dipendono dalla purezza e dall'intensità
dell'amore per Cristo. «Nulla assolutamente anteporre all'amore per
Cristo», ha detto il padre del monachesimo latino, san Benedetto (e
prima ancora lo aveva affermato san Cipriano).
Qui ora bisognerebbe
citare l'interminabile canzoniere degli innamorati di Gesù, quali sono i
santi religiosi e i grandi mistici: da Francesco d'Assisi a Ignazio di
Loyola, alle tre “Terese” - d'Avila, di Lisieux, di Calcutta - a Charles
de Foucauld e a molti, moltissimi altri. Che questo fortissimo e
dolcissimo cantico dei cantici della Sposa al suo Sposo non si spenga
mai sotto il cielo!
+ Francesco Lambiasi
Vescovo di Rimini
Presidente della Commissione CEI
per il Clero e la Vita consacrata