La
fraternità è una categoria che attraversa tutta l’enciclica
Caritas in Veritate.
Essa viene vista come la chiave per il vero sviluppo, quello integrale:
per tutti gli uomini e per tutte le dimensioni della persona.
Le ferite della modernità, infatti, sono
soprattutto relative alla relazione, all’incapacità d’incontrarsi nella
reciprocità; nella postmodernità questa ferita “spirituale e
relazionale” mostra sempre più la sua drammaticità: il paradosso della
felicità nelle società opulente, dove oggi sperimentiamo una crescente
noia e solitudine, non dice forse questa indigenza relazionale?
Quali sono le domande che l'oggi, il
nostro tempo, pone all'economia e alla società? Ci sono le domande più
immediate, nei media, nella politica: queste ci parlano di crisi
finanziaria, di disoccupazione, di aumento dei consumi per uscirne; di
povertà e di ricchezza, di impoveriti dalle guerre e da un liberismo
sbagliato, ma anche degli impoveriti da un consumismo che aumenta le
aspirazioni e quindi impoverisce sempre più. In realtà, sono convinta
che ci siano oggi altri interrogativi più profondi, meno espressi, ma
estremamente urgenti.
Crisi etica e morale
La crisi che stiamo vivendo da diversi
decenni (e non da pochi anni) è una crisi etica e morale, che ha a che
fare con la categoria della fraternità: l'economia di mercato ha
raggiunto risultati straordinari sul piano della libertà e dei diritti
(eguaglianza), ma ha perso su quello della fraternità.
La più grande sfida che oggi proviene
dall'economia e dalla società globalizzata è una domanda di fraternità,
di beni relazionali, di nuovo legame sociale, di incontro vero, di
motivazioni intrinseche. Ed è questa la fraternità di cui parla
l’enciclica. Essa viene posta sempre in relazione alla gratuità. «Questa
fraternità, gli uomini potranno mai ottenerla da soli? La società sempre
più globalizzata ci rende vicini, ma non ci rende fratelli. La ragione,
da sola, è in grado di cogliere l'uguaglianza tra gli uomini e di
stabilire una convivenza civica tra loro, ma non riesce a fondare la
fraternità. Questa ha origine da una vocazione trascendente di Dio
Padre, che ci ha amati per primo, insegnandoci per mezzo del Figlio che
cosa sia la carità fraterna » (CV 19). È dunque l’amore gratuito, che
Cristo ha portato sulla terra, che può darci le chiavi per un’autentica
fraternità.
Per comprendere quanto sia vero che la
ragione può cogliere l’uguaglianza, ma non la fraternità, basti pensare
a quanto scriveva Adam Smith, unanimemente considerato il padre
fondatore della scienza economica moderna: «La gratuità è meno
essenziale della giustizia per l’esistenza della società. La società può
sussistere senza gratuità». E ancora: «La società civile può esistere
tra persone diverse […] sulla base della considerazione dell’utilità
individuale, senza alcuna forma di amore o di reciproco affetto».
Gli effetti di questo modo d’intendere la
convivenza sociale sono quotidianamente davanti ai nostri occhi. Ed ecco
perché l’enciclica lancia la sfida: «La grande sfida che abbiamo davanti
a noi […] è di mostrare, a livello sia di pensiero che di comportamenti,
che non solo i tradizionali princìpi dell'etica sociale, quali la
trasparenza, l'onestà e la responsabilità non possono venire trascurati
o attenuati, ma anche che nei rapporti mercantili il principio di
gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità possono
e devono trovare posto entro la normale attività economica […]. Si
tratta di una esigenza ad un tempo della carità e della verità» (CV 36).
L’enciclica vede dunque la gratuità, come
espressione della fraternità, quale unica prospettiva di uscita dalla
crisi e quindi di un nuovo umanesimo.
Quale messaggio per la vita consacrata?
Come religiosi ci sentiamo interpellati
da questo invito alla fraternità che ci lancia la
Caritas in Veritate:
la nostra vita fraterna dovrebbe essere, infatti, espressione di quella
carità fraterna di cui parla l’enciclica. E in un momento in cui la
domanda di fraternità è pressante, le nostre comunità possono e devono
essere quel luogo di pace e di ristoro, dove si gusta quanto è bello
vivere insieme e prendersi cura gli uni degli altri, e in particolare
dei più bisognosi. Come segnale dell’urgenza di risposte adeguate alla
domanda di fraternità, basti pensare che si moltiplicano le risposte
offerte dal mercato a questo bisogno di relazioni e di reciprocità. In
alcune nazioni, per esempio, sono in molti a pagare per un’ora di
ascolto. E sono anche in molti a servirsi di un sito, che sta spopolando
negli Stati Uniti, ma che oramai si sta diffondendo in tutto il mondo
(www.rentafriend.com).
Il servizio che offre è molto semplice:
hai bisogno di una persona che ti accompagni ad una festa? Vuoi andare a
fare una passeggiata e non sai con chi andare? Affitta un amico! Sul
sito si trova un elenco di persone divise per nazione e per città che si
rendono disponibili ad essere ‘affittate’ per qualche ora. Capiamo bene
che l’appellativo “amico” è forte e fuori luogo in questo caso. Capiamo
anche che se un fenomeno del genere si sta diffondendo, il bisogno di
relazioni è davvero grande. E le risposte a questa emergenza non possono
venire da pseudo-soluzioni offerte dal mercato, semplicemente perché i
beni relazionali primari non passano per il mercato e la gratuità che è
alla base di ogni relazione fraterna semplicemente non si può
acquistare. Si può solo coltivare.
Non c’è vita buona, nella sfera privata
come in quella pubblica, senza gratuità. E non c’è gratuità senza
carismi. È questa la ragione per la quale l’indigenza di una società
come la nostra è soprattutto indigenza di gratuità, carestia di un tocco
umano che sia fine a se stesso, carestia di gente che ci incontra e ci
avvicina perché gli interessiamo come persone.
E basta. Ai quali interessiamo anche
quando non siamo “portatori di interessi” (stakeholders), né clienti, né
fornitori, né sani, né ancora nati, magari malati terminali; anche se
non siamo meritevoli. Gente, animata da carismi, a cui interessiamo
perché siamo degli esseri umani, e basta. Un “e basta” che la società
della ricerca del profitto, dell’efficienza e del merito, non conosce
più.
L’invito della
Caritas in Veritate
è quindi rivolto anche a noi: perché la
fraternità diventi una categoria civile, bisogna andare a scuola di
gratuità. La nostra opera deve essere dunque prima di tutto, e prima
ancora delle opere concrete, la testimonianza che la fraternità,
espressione di gratuità, è possibile nelle convivenze umane.
E la fede?
A questo punto verrebbe da domandarci
cosa c’entra la fede in questo discorso. Dopo la prima enciclica di
Benedetto XVI sulla carità, e la seconda sulla speranza, tutti ci
aspettavamo una terza enciclica sulla fede. E in fondo così è stato,
perché la Caritas in Veritate,
nel proporre questo concetto di fraternità chiede di dilatare gli
orizzonti della nostra fede.
Infatti, solo una visione dell’uomo,
un’antropologia, che crede la persona fatta a immagine di un Dio
comunione, con impresso il Dio Trinità nel suo essere, può raccogliere
l’invito alla gratuità anche in questo mondo, in questa società, in
questa economia. Su questa scommessa antropologica risiede anche la
speranza che la fraternità annunciata possa non essere un’utopia (un non
luogo), ma un eutopia (un buon luogo), il luogo dell’umano.
L’enciclica ci invita a mobilitarci in
questa direzione: «L'urgenza è inscritta non solo nelle cose, non deriva
soltanto dall'incalzare degli avvenimenti e dei problemi, ma anche dalla
stessa posta in palio: la realizzazione di un'autentica fraternità». E
continua: «La rilevanza di questo obiettivo è tale da esigere la nostra
apertura a capirlo fino in fondo e a mobilitarci in concreto con il
“cuore”, per far evolvere gli attuali processi
economici
e sociali verso esiti pienamente umani» (CV 20).
Mobilitiamoci dunque in concreto e con il
cuore perché la fraternità non rimanga sullo sfondo, ma, grazie anche
alla vita delle nostre comunità, possa diventare la chiave per un nuovo
sviluppo, per un nuovo umanesimo.
Alessandra Smerilli fma
Professor of Political Economy at the Auxilium
Piazza S.
Maria Ausiliatrice, 60
00181 Roma
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