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n.2
marzo/aprile 2014

 

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Fede e vita consacrata

 di MAURIZIO BEVILACQUA

 

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«Per fede uomini e donne hanno consacrato la loro vita a Cristo, lasciando ogni cosa per vivere in semplicità evangelica l’obbedienza, la povertà e la castità, segni concreti dell’attesa del Signore che non tarda a venire»1. Questa citazione della lettera apostolica con cui Benedetto XVI indisse l’anno della fede veniva ricordata alla conclusione dell’annuale Convegno sulla vita consacrata, organizzato dall’istituto Claretianum. Il tema del Convegno - la fede nella vita consacrata - era stato scelto proprio per la sollecitazione venuta dal Papa, profondamente convinto che «il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei credenti: con la loro stessa esistenza nel mondo i cristiani sono infatti chiamati a far risplendere la Parola di verità che il Signore Gesù ci ha lasciato»2.

Come credono i consacrati?

Il Convegno si è svolto nell’aula magna della Pontificia Università Urbaniana dal 10 al 13 dicembre ed è stato introdotto dal Card. João Braz de Aviz, Prefetto della CIVCSVA, il quale, portando il saluto dei collaboratori del dicastero pontificio che presiede a servizio di tutta la vita consacrata, ha sottolineato l’importanza del tema che si sarebbe approfondito.

Il compito di avviare la riflessione è stato affidato a P. Giovanni Dalpiaz, che si è chiesto come credono le persone consacrate. Ciò che l’indagine sociologica può cogliere è sostanzialmente nella linea dell’ipotesi di lavoro da cui egli è partito: nel credere delle religiose e dei religiosi si riverberano le modalità di adesione alla verità e di manifestazione della fede che prevalgono nelle realtà sociali in cui essi vivono. In Europa costatiamo che l’appartenenza religiosa ha perso il ruolo che un tempo aveva come elemento di identificazione socialmente condiviso, mentre sorge un credere più vago e soggettivo, ma al contempo meno orientato ad attese di protezione e più attento alle questioni che riguardano il senso della vita. Parallelamente la vita consacrata matura esperienze significative in cui è luogo di riflessione, che coniuga al dato tradizionale la ricerca di nuovi linguaggi.

In molti ambiti del Sud del mondo la Chiesa si confronta fortemente con le questioni della povertà, conoscendo parallelamente una grande fioritura di vocazioni alla vita consacrata. Qui riscontriamo due tendenze. Se da un lato i temi della giustizia e della liberazione muovono e l’azione sociale e la riflessione teologica, dall’altro si moltiplicano le aggregazioni di tipo carismatico-pentecostale in cui è forte la dimensione esperienziale del credere. Dinanzi a questi fenomeni un tema tutto interno alla vita consacrata riguarda le dinamiche delle diverse famiglie religiose, sempre più internazionali e diversificate.

Alla luce della Parola

La vita consacrata, nelle sue molteplici forme, ha preso la propria ispirazione fondamentale dalla Scrittura, cogliendovi l’invito alla sequela del Signore. P. Salvatore Maurizio Sessa ha centrato la propria attenzione su Elia. Di questo profeta, il cui nome significa YHWH [il Signore] è il mio Dio, è stato approfondito il percorso di fede dal suo improvviso sorgere nella vicenda biblica (1Re 17,1), attraverso i successivi comandi ricevuti dal Signore a mettersi in cammino (17,3.9; 18,2; 19,7.15), fino al suo arrivo al monte di Dio: un ritorno alle origini in cui Elia percepisce la presenza di Dio nel «sussurro di una brezza leggera» (19,12) e riceve l’ultimo invito a riprendere la missione e ad ungere un profeta al suo posto. Così, tra voce e silenzio, nell’esperienza del deserto, si compie la fede e la missione di Elia, il profeta cui la tradizione patristica guardò come modello della vita monastica.

P. Riccardo Volo ha approfondito, invece, un episodio che lungo i secoli ha ispirato molti consacrati: la chiamata del giovane ricco. Seguendone il racconto nella versione di Marco (10,17-31), l’esegesi del testo ha sottolineato la chiamata particolare rivolta a quest’uomo, assimilabile a quella degli apostoli: «Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni, seguimi» (10,21). È proprio questo appello ad essere accolto e interpretato carismaticamente in percorsi di vita consacrata da molti discepoli e discepole del Signore. Paradigmatica in questo senso è l’esperienza di Antonio: «Rifletteva su tutte queste cose: come gli apostoli avevano abbandonato tutto e si erano messi alla sequela del Salvatore … entrò nella chiesa e capitò che in quel momento si leggesse il Vangelo; sentì il Signore dire al ricco: “Se vuoi essere perfetto vai…»3. Si può scorgere una perfetta sinergia tra l’esegesi testuale e quella carismatico-esistenziale e, alla luce di questo, il cammino di fede delle persone consacrate si può interpretare come un invito costante a passare dal timore all’amore nella sequela di Cristo.

La bellezza della fede

P. Arturo Pinacho ha studiato il tema della fede nelle poesie di Giovanni della Croce. Delineato il quadro storico nel quale si svolse la vicenda umana e religiosa del santo, l’analisi ne ha preso in esame la produzione poetica. La fede fu per lui sorgente d’ispirazione nei suoi contenuti (si pensi alle riletture bibliche delle Romanze), ma soprattutto come dimensione esperienziale mistica, come abbandono in Dio cui siamo infine chiamati. È così che la riflessione si sofferma su diversi passaggi del Cantico spirituale e sulla poesia La fonte il cui titolo completo è Canto dell’anima che si rallegra di conoscere Dio per mezzo della fede. In questa composizione Giovanni della Croce contempla il mistero di Dio, l’eterna fonte senza origine da cui deriva ogni origine, ben consapevole che ciò avviene nell’oscurità della fede, come testimonia il verso che ritma tutta la poesia: «Anche se è notte!». In modo inatteso, però, il canto diviene un inno eucaristico. Qui il Dio inconoscibile può essere visto: «Questa viva fonte, cui anelo, in questo pan di vita io la vedo, anche se è notte».

Il professor Giovanni Ancona ha proseguito la riflessione del Convegno trattando il tema della bellezza della fede. Il primo riferimento è cristologico. Possiamo, infatti, guardare a Gesù «il Pastore bello» (Gv 10,11.14) la cui bellezza, però, si manifesta nell’obbrobrio della croce. È nell’incontro con lui che l’uomo è chiamato a riconoscere il brutto che ha in sé (il proprio peccato) e ad accogliere la bellezza che gli viene donata (la filiazione divina). Nella vita dei consacrati questa comprensione della fede assume un rilievo particolare come testimonianza tramite la quale «lo sguardo dei fedeli è richiamato verso quel mistero del Regno di Dio che già opera nella storia, ma attende la sua piena attuazione nei cieli»4.

Un contributo dalla psicologia

«La psicologia non è abilitata a dimostrare o a confutare le affermazioni della fede». Con queste parole P. Giuseppe Crea ha iniziato il suo intervento sul ruolo della fede nell’itinerario formativo, in prospettiva psicologica. Ciò che lo psicologo può fare è considerare dal suo punto di vista i dinamismi del credere. Così, dopo aver esposto il ruolo che assume la fede in alcune scuole psicologiche, l’attenzione si è volta alle componenti motivazionali della religiosità nel contesto della vita consacrata. Una distinzione importante si può cogliere – usando il vocabolario di G. W. Allport – tra la religiosità estrinseca, che porta a vivere la fede in modo strumentale e funzionale, e la religiosità intrinseca «che, vissuta più in profondità considera la fede come avente valore in sé»5. Ugualmente non va confuso il dubbio patologico con quello esistenziale, proprio di chi sa porre domande che lo portino a cercare sempre più la verità. Se è evidente che lo stile relazionale è influenzato dal modo di vivere la fede, come esperienza di rapporto con Dio e con gli altri, oggi anche alcuni studi a livello neurologico sembrano confermare un collegamento positivo tra l’esperienza di fede ed aspetti cognitivi ed emotivi dell’individuo. Si può, pertanto, affermare che benessere psicologico e trascendenza restano un binomio inscindibile che accompagna il cammino verso la santità.

P. Franco Imoda ha sviluppato, invece, la propria riflessione sui momenti di crisi nei consacrati. La prima considerazione è che il contesto odierno è problematico a vari livelli, giacché tutto può essere messo in discussione, finanche l’esistenza della verità, e la vita può apparire solo come un gioco di passioni. Tenendo conto di questo ambiente, in cui vivono anche le persone consacrate, almeno nelle società occidentali, la riflessione ha approfondito la struttura, lo sviluppo e il trattamento dell’ansia, intesa come luogo in cui la crisi si configura come minaccia o come “passaggio” di crescita.

Radicati nella fede

La conclusione del Convegno è stata affidata a P. Xabier Larrañaga, che si è mosso dall’affermazione che credere è una cosa buona, positiva per l’essere umano. Questa, tuttavia, è un’affermazione che si può provare solo con l’esperienza personale. È la fede che permette di vedere la realtà nell’armonia voluta da Dio. Come affermava nel 1980 la Plenaria della Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari, «più il religioso si aprirà alla dimensione contemplativa più si renderà attento alle esigenze del Regno, sviluppando intensamente la sua interiorità teologale, perché osserverà gli eventi con quello sguardo di fede che lo aiuterà a scoprire ovunque l’intenzione divina»6. La fede, però, è buona se di fatto è buona: «Tu credi che c’è un Dio solo? Fai bene; anche i demòni lo credono e tremano!» (Gc 2,19). È lo stretto legame tra amore e fede che rende operativo il credere e dona una visione davvero nuova della realtà: «La fede conosce in quanto è legata all’amore, in quanto l’amore stesso porta una luce. La comprensione della fede è quella che nasce quando riceviamo il grande amore di Dio che ci trasforma interiormente e ci dona occhi nuovi per vedere la realtà»7.

Se vuole essere un segno, la vita consacrata deve preoccuparsi del proprio cammino di fede. Giovanni Paolo II ha affermato che ai consacrati in modo peculiare è affidato il compito di additare il Figlio di Dio fatto uomo come traguardo escatologico a cui tutto tende8. È anche per questo imprescindibile curare la nostra fede nell’attenzione alla vita spirituale e nella dimensione fraterna. È un cammino di crescita perché la fraternità diviene un invito ad avere fede e la fede condivisa fa sviluppare la comunione.

La persona consacrata di domani

Nel lontano 1966 Karl Rahner scriveva: «La persona pia di domani o sarà un “mistico”, uno cioè che ha “esperimentato” qualche cosa, o cesserà di essere pia»9.

I contributi del Convegno organizzato dal Claretianum ci mostrano che la persona consacrata di oggi e di domani continuerà ad avere qualcosa da offrire alla Chiesa e al mondo se può testimoniare un cammino di fede che matura nell’amore; un cammino nel quale è seriamente impegnata sia pure nell’oscurità.

Potrà dire parole e fare azioni significative come consacrato chi abbia sperimentato, pur nella notte della nostra condizione umana, qualche cosa che indichi a tutti – come esclamava Teresa di Gesù – che «Dio solo basta!».

1 BENEDETTO XVI, Lettera apostolica Porta fidei, 13.

2 Ibidem, 6.

3 ATANASIO DI ALESSANDRIA, Sant’Antonio Abate. La sua vita, 2,2.3, Sources Chrétiennes edizione italiana, Bologna 2013, 153.

4 GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica Vita consecrata, 1.

5 E. FIZZOTTI, Verso una psicologia della religione. 2. Il cammino della religiosità, LDC, Leumann 1995, 11.

7 FRANCESCO, Enciclica Lumen fidei, 26.

8 Cf GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica Vita consecrata, 16.

9. K.Rahner, Nuovi saggi, II, Paoline, Roma 1968, 24

 

Maurizio Bevilacqua, cmf
Largo Lorenzo Mossa, 4 - 00165 Roma

 

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