«Per
fede uomini e donne hanno consacrato la loro vita a Cristo, lasciando
ogni cosa per vivere in semplicità evangelica l’obbedienza, la povertà e
la castità, segni concreti dell’attesa del Signore che non tarda a
venire»1. Questa citazione della lettera apostolica con cui
Benedetto XVI indisse l’anno della fede veniva ricordata alla
conclusione dell’annuale Convegno sulla vita consacrata, organizzato
dall’istituto Claretianum. Il tema del Convegno - la fede nella vita
consacrata - era stato scelto proprio per la sollecitazione venuta dal
Papa, profondamente convinto che «il rinnovamento della Chiesa passa
anche attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei credenti: con
la loro stessa esistenza nel mondo i cristiani sono infatti chiamati a
far risplendere la Parola di verità che il Signore Gesù ci ha lasciato»2.
Come credono i consacrati?
Il
Convegno si è svolto nell’aula magna della Pontificia Università
Urbaniana dal 10 al 13 dicembre ed è stato introdotto dal Card. João
Braz de Aviz, Prefetto della CIVCSVA, il quale, portando il saluto dei
collaboratori del dicastero pontificio che presiede a servizio di tutta
la vita consacrata, ha sottolineato l’importanza del tema che si sarebbe
approfondito.
Il
compito di avviare la riflessione è stato affidato a P. Giovanni
Dalpiaz, che si è chiesto come credono le persone consacrate. Ciò che
l’indagine sociologica può cogliere è sostanzialmente nella linea
dell’ipotesi di lavoro da cui egli è partito: nel credere delle
religiose e dei religiosi si riverberano le modalità di adesione alla
verità e di manifestazione della fede che prevalgono nelle realtà
sociali in cui essi vivono. In Europa costatiamo che l’appartenenza
religiosa ha perso il ruolo che un tempo aveva come elemento di
identificazione socialmente condiviso, mentre sorge un credere più vago
e soggettivo, ma al contempo meno orientato ad attese di protezione e
più attento alle questioni che riguardano il senso della vita.
Parallelamente la vita consacrata matura esperienze significative in cui
è luogo di riflessione, che coniuga al dato tradizionale la ricerca di
nuovi linguaggi.
In
molti ambiti del Sud del mondo la Chiesa si confronta fortemente con le
questioni della povertà, conoscendo parallelamente una grande fioritura
di vocazioni alla vita consacrata. Qui riscontriamo due tendenze. Se da
un lato i temi della giustizia e della liberazione muovono e l’azione
sociale e la riflessione teologica, dall’altro si moltiplicano le
aggregazioni di tipo carismatico-pentecostale in cui è forte la
dimensione esperienziale del credere. Dinanzi a questi fenomeni un tema
tutto interno alla vita consacrata riguarda le dinamiche delle diverse
famiglie religiose, sempre più internazionali e diversificate.
Alla luce della Parola
La
vita consacrata, nelle sue molteplici forme, ha preso la propria
ispirazione fondamentale dalla Scrittura, cogliendovi l’invito alla
sequela del Signore. P. Salvatore Maurizio Sessa ha centrato la propria
attenzione su Elia. Di questo profeta, il cui nome significa YHWH [il
Signore] è il mio Dio, è stato approfondito il percorso di fede dal suo
improvviso sorgere nella vicenda biblica (1Re 17,1), attraverso i
successivi comandi ricevuti dal Signore a mettersi in cammino (17,3.9;
18,2; 19,7.15), fino al suo arrivo al monte di Dio: un ritorno alle
origini in cui Elia percepisce la presenza di Dio nel «sussurro di una
brezza leggera» (19,12) e riceve l’ultimo invito a riprendere la
missione e ad ungere un profeta al suo posto. Così, tra voce e silenzio,
nell’esperienza del deserto, si compie la fede e la missione di Elia, il
profeta cui la tradizione patristica guardò come modello della vita
monastica.
P.
Riccardo Volo ha approfondito, invece, un episodio che lungo i secoli ha
ispirato molti consacrati: la chiamata del giovane ricco. Seguendone il
racconto nella versione di Marco (10,17-31), l’esegesi del testo ha
sottolineato la chiamata particolare rivolta a quest’uomo, assimilabile
a quella degli apostoli: «Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e
avrai un tesoro in cielo; poi vieni, seguimi» (10,21). È proprio questo
appello ad essere accolto e interpretato carismaticamente in percorsi di
vita consacrata da molti discepoli e discepole del Signore.
Paradigmatica in questo senso è l’esperienza di Antonio: «Rifletteva su
tutte queste cose: come gli apostoli avevano abbandonato tutto e si
erano messi alla sequela del Salvatore … entrò nella chiesa e capitò che
in quel momento si leggesse il Vangelo; sentì il Signore dire al ricco:
“Se vuoi essere perfetto vai…»3. Si può scorgere una perfetta
sinergia tra l’esegesi testuale e quella carismatico-esistenziale e,
alla luce di questo, il cammino di fede delle persone consacrate si può
interpretare come un invito costante a passare dal timore all’amore
nella sequela di Cristo.
La
bellezza della fede
P.
Arturo Pinacho ha studiato il tema della fede nelle poesie di Giovanni
della Croce. Delineato il quadro storico nel quale si svolse la vicenda
umana e religiosa del santo, l’analisi ne ha preso in esame la
produzione poetica. La fede fu per lui sorgente d’ispirazione nei suoi
contenuti (si pensi alle riletture bibliche delle
Romanze),
ma soprattutto come dimensione esperienziale mistica, come abbandono in
Dio cui siamo infine chiamati. È così che la riflessione si sofferma su
diversi passaggi del
Cantico spirituale
e
sulla poesia
La
fonte
il
cui titolo completo è
Canto dell’anima che si rallegra di conoscere Dio per mezzo della fede.
In questa composizione Giovanni della Croce contempla il mistero di Dio,
l’eterna fonte senza origine da cui deriva ogni origine, ben consapevole
che ciò avviene nell’oscurità della fede, come testimonia il verso che
ritma tutta la poesia: «Anche se è notte!». In modo inatteso, però, il
canto diviene un inno eucaristico. Qui il Dio inconoscibile può essere
visto: «Questa viva fonte, cui anelo, in questo pan di vita io la vedo,
anche se è notte».
Il
professor Giovanni Ancona ha proseguito la riflessione del Convegno
trattando il tema della bellezza della fede. Il primo riferimento è
cristologico. Possiamo, infatti, guardare a Gesù «il Pastore
bello»
(Gv 10,11.14) la cui bellezza, però, si manifesta nell’obbrobrio della
croce. È nell’incontro con lui che l’uomo è chiamato a riconoscere il
brutto che ha in sé (il proprio peccato) e ad accogliere la bellezza che
gli viene donata (la filiazione divina). Nella vita dei consacrati
questa comprensione della fede assume un rilievo particolare come
testimonianza tramite la quale «lo sguardo dei fedeli è richiamato verso
quel mistero del Regno di Dio che già opera nella storia, ma attende la
sua piena attuazione nei cieli»4.
Un
contributo dalla psicologia
«La
psicologia non è abilitata a dimostrare o a confutare le affermazioni
della fede». Con queste parole P. Giuseppe Crea ha iniziato il suo
intervento sul ruolo della fede nell’itinerario formativo, in
prospettiva psicologica. Ciò che lo psicologo può fare è considerare dal
suo punto di vista i dinamismi del credere. Così, dopo aver esposto il
ruolo che assume la fede in alcune scuole psicologiche, l’attenzione si
è volta alle componenti motivazionali della religiosità nel contesto
della vita consacrata. Una distinzione importante si può cogliere –
usando il vocabolario di G. W. Allport – tra la religiosità estrinseca,
che porta a vivere la fede in modo strumentale e funzionale, e la
religiosità intrinseca «che, vissuta più in profondità considera la fede
come avente valore in sé»5. Ugualmente non va confuso il
dubbio patologico con quello esistenziale, proprio di chi sa porre
domande che lo portino a cercare sempre più la verità. Se è evidente che
lo stile relazionale è influenzato dal modo di vivere la fede, come
esperienza di rapporto con Dio e con gli altri, oggi anche alcuni studi
a livello neurologico sembrano confermare un collegamento positivo tra
l’esperienza di fede ed aspetti cognitivi ed emotivi dell’individuo. Si
può, pertanto, affermare che benessere psicologico e trascendenza
restano un binomio inscindibile che accompagna il cammino verso la
santità.
P.
Franco Imoda ha sviluppato, invece, la propria riflessione sui momenti
di crisi nei consacrati. La prima considerazione è che il contesto
odierno è problematico a vari livelli, giacché tutto può essere messo in
discussione, finanche l’esistenza della verità, e la vita può apparire
solo come un gioco di passioni. Tenendo conto di questo ambiente, in cui
vivono anche le persone consacrate, almeno nelle società occidentali, la
riflessione ha approfondito la struttura, lo sviluppo e il trattamento
dell’ansia, intesa come luogo in cui la crisi si configura come minaccia
o come “passaggio” di crescita.
Radicati nella fede
La
conclusione del Convegno è stata affidata a P. Xabier Larrañaga, che si
è mosso dall’affermazione che credere è una cosa buona, positiva per
l’essere umano. Questa, tuttavia, è un’affermazione che si può provare
solo con l’esperienza personale. È la fede che permette di vedere la
realtà nell’armonia voluta da Dio. Come affermava nel 1980 la Plenaria
della Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari, «più il
religioso si aprirà alla dimensione contemplativa più si renderà attento
alle esigenze del Regno, sviluppando intensamente la sua interiorità
teologale, perché osserverà gli eventi con quello sguardo di fede che lo
aiuterà a scoprire ovunque l’intenzione divina»6. La fede,
però, è buona se di fatto è buona: «Tu credi che c’è un Dio solo? Fai
bene; anche i demòni lo credono e tremano!» (Gc 2,19). È lo stretto
legame tra amore e fede che rende operativo il credere e dona una
visione davvero nuova della realtà: «La fede conosce in quanto è legata
all’amore, in quanto l’amore stesso porta una luce. La comprensione
della fede è quella che nasce quando riceviamo il grande amore di Dio
che ci trasforma interiormente e ci dona occhi nuovi per vedere la
realtà»7.
Se
vuole essere un segno, la vita consacrata deve preoccuparsi del proprio
cammino di fede. Giovanni Paolo II ha affermato che ai consacrati in
modo peculiare è affidato il compito di additare il Figlio di Dio fatto
uomo come traguardo escatologico a cui tutto tende8. È anche
per questo imprescindibile curare la nostra fede nell’attenzione alla
vita spirituale e nella dimensione fraterna. È un cammino di crescita
perché la fraternità diviene un invito ad avere fede e la fede condivisa
fa sviluppare la comunione.
La
persona consacrata di domani
Nel
lontano 1966 Karl Rahner scriveva: «La persona pia di domani o sarà un
“mistico”, uno cioè che ha “esperimentato” qualche cosa, o cesserà di
essere pia»9.
I
contributi del Convegno organizzato dal Claretianum ci mostrano che la
persona consacrata di oggi e di domani continuerà ad avere qualcosa da
offrire alla Chiesa e al mondo se può testimoniare un cammino di fede
che matura nell’amore; un cammino nel quale è seriamente impegnata sia
pure nell’oscurità.
Potrà dire parole e fare azioni significative come consacrato chi abbia
sperimentato, pur nella
notte
della nostra condizione umana,
qualche cosa
che
indichi a tutti – come esclamava Teresa di Gesù – che «Dio solo basta!».
1 BENEDETTO XVI, Lettera apostolica
Porta fidei,
13.
2
Ibidem,
6.
3 ATANASIO DI ALESSANDRIA,
Sant’Antonio Abate. La sua vita,
2,2.3, Sources Chrétiennes edizione italiana, Bologna 2013, 153.
4 GIOVANNI PAOLO II,
Esortazione apostolica Vita consecrata,
1.
5 E. FIZZOTTI,
Verso una psicologia della religione. 2. Il cammino della
religiosità,
LDC, Leumann 1995, 11.
7 FRANCESCO,
Enciclica Lumen fidei,
26.
8 Cf GIOVANNI PAOLO II,
Esortazione apostolica Vita consecrata,
16.
9. K.Rahner, Nuovi saggi, II, Paoline, Roma
1968, 24
Maurizio Bevilacqua, cmf
Largo Lorenzo Mossa, 4 - 00165 Roma