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È ancora possibile proporre un "umanesimo", nella società e nella cultura contemporanee? Anzi, un "nuovo" umanesimo? Con la pretesa, addirittura, di fondarlo "in Cristo"? Le Chiese italiane affermano di sì, dedicando il loro prossimo convegno decennale precisamente al tema "In Cristo, il nuovo umanesimo". Se il termine ormai non fosse abusato, sarebbe proprio il caso di parlare una vera e propria sfida, che viene lanciata dai cattolici a un mondo in cui, mai come oggi, il concetto stesso di "essere umano" viene liquidato o almeno rimesso in discussione.
L'appuntamento a Firenze 2015
Certo, questa lettura dell'appuntamento del 2015, a Firenze, suppone che il titolo citato venga preso sul serio in tutto lo spessore del suo significato. Il rischio che non lo sia c'è ed è tutt'altro che remoto. Anche per buone ragioni, che si sentono già circolare negli ambienti ecclesiali. "Non è un congresso di filosofia", dicono alcuni, appellandosi al carattere eminentemente pastorale di questo tipo di simposi. Altri sottolineano che la prospettiva della fede non può dipendere dalle mode culturali del momento storico. Altri ancora danno per scontato che le posizioni che oggi sembrano rendere assai problematico parlare di "umanesimo" siano tanto assurde da non valere la pena di prenderle in considerazione.
Se passasse qualcuna di queste linee, il Convegno ecclesiale di Firenze potrebbe dare egualmente molti frutti sul piano spirituale e comunionale, ma eluderebbe, di fatto, la sfida contenuta nella sua ambiziosa intitolazione e costituirebbe un ulteriore attestato della difficoltà che la Chiesa attuale sperimenta nel tradurre il Vangelo nella post-modernità. Perché non c'è dubbio che questa traduzione non può non passare attraverso un confronto coraggioso con gli enormi problemi che oggi minacciano di rendere retorico l'appello all' "uomo". In mancanza di questo, il binomio inscindibile tra fede e ragione – su cui ha tanto insistito la tradizione cattolica, fino all'enciclica Fides et ratio di Giovanni Paolo II e alle riflessioni sul Logos di Benedetto XVI – rischierebbe seriamente di restare sul piano delle dichiarazioni di principio, senza un concreto riscontro. E la stessa pastorale verrebbe impoverita seriamente del suo retroterra culturale, favorendo una scissione già adesso fin troppo diffusa tra ciò che i fedeli credono quando sono in chiesa e ciò che pensano quando lavorano, fanno politica, vivono in famiglia, insegnano a scuola o all'Università.
Una seria discussione sull'antropos
Bisogna prendere atto, se si vuole parlare di "umanesimo", che oggi viene messa in seria discussione l'idea che esista l'uomo (nel senso del greco anthropos, che include sia il maschio che la femmina della nostra specie). Si pensi alla rivoluzione che ha portato la teoria darwiniana dell'evoluzione delle specie. Il punto non è - come a lungo si è creduto - che l'uomo derivi o meno dalle scimmie: la Bibbia lo fa venire addirittura dal fango! Non è un problema di nobiltà degli antenati: la rivoluzione sta nel fatto che, in questa prospettiva, non c'è più una natura umana immutabile. Quella che si crede tale è solo una tappa di un processo che ha visto lentamente formarsi la specie homo sapiens e che inesorabilmente porterà al suo superamento. Da qui l'idea dell'imminenza di un post-umano che gli stessi membri di questa specie possono affrettare, con le biotecnologie di cui ormai dispongono, manipolando il loro stesso genoma e producendo così, tanti esseri quanti la fantasia creativa dei loro creatori può fare nascere. «Qui si disvela il vero progetto postumanistico: superare l'omologazione della specie ovvero l'unicità del progetto umano, per dar vita a una multiformità di subspecie umane più o meno differenti nelle funzioni, nei comportamenti, nelle vocazioni, nelle potenzialità percettive e cognitive. Gli autori postumanistici, che ne abbiano coscienza o meno, ipotizzano un mondo svuotato del significato onnicomprensivo della parola umanità, poiché immaginano un futuro dove l'uomo avrà sempre meno proprietà condivise, avendo intrapreso percorsi di riprogettazione personalizzati o settorializzati. La categoria uomo si trasformerebbe in una famiglia».
Non si tratta dei sogni di pochi visionari, ma di una prospettiva così incombente da suscitare le preoccupazioni di importanti pensatori non cristiani come Jürgen Habermas e Hans Jonas. A monte di questa emergenza, legata alla teoria evoluzionista, due questioni di principio. La prima è il rapporto tra l'essere umano e il resto del cosmo: c'è qualcosa che si può chiamare "persona" e che qualitativamente pone gli appartenenti alla specie homo sapiens, quale che sia la loro origine, in una condizione assolutamente diversa rispetto a tutti gli altri? Oppure, come sostengono certi movimenti ecologisti estremi, gli esseri umani sono solo un elemento dell'ecosistema? Oppure, come sostengono molti studiosi animalisti, il carattere personale non è proprio degli esseri umani, ma contraddistingue solo alcuni di essi (sono esclusi gli embrioni, i feti, i neonati, i malati gravi di mente, gli individui in stato vegetativo o in coma) e che è proprio, peraltro, anche di altre specie, come per esempio i primati?
La manipolazione dell'uomo, fino dove?
La seconda questione è quella dei limiti della tecnica. Fin dove si può spingere la manipolazione dell'uomo? Nella logica del postumano alcuni autori hanno notato che già oggi un individuo della nostra specie può essere, in realtà, un ibrido composto di parti biologiche umane, di parti biologiche di altre specie (si pressa per la legalizzazione degli esotrapianti, che permetterebbe ad esempio a utilizzare il fegato dei maiali per sostituire quello umano malato), di parti artificiali (peace maker, by pass, protesi artificiali, lentine a contatto, apparecchi acustici, piercing estremo, modifiche prodotte dalla chirurgia estetica, etc.). Su questa linea si è auspicato un futuro in cui la distinzione tra tecnica e natura venga del tutto superata. Come scrive Donna Haraway, ormai «la differenza tra macchina e organismo è completamente offuscata», dal momento che, come le macchine, anche «i corpi non nascono; si fanno (...). Organismo non si nasce. Gli organismi si fanno», per cui «si può ragionevolmente pensare a qualsiasi oggetto o persona in termini di smontaggio e riassemblaggio». Va in questa direzione la possibilità di far nascere degli esseri umani "in provetta", determinandone la caratteristiche artificialmente, come per qualunque altro "prodotto".
La questione del "gender"
Un secondo gruppo di problemi che mettono in discussione il concetto di natura umana è legato alla questione, oggi dibattutissima, del gender. Con questo termine si indica «la rappresentazione psicologico-simbolica, il condizionamento sociale e la costruzione storico-culturale della identità maschile/femminile (a prescindere dalla considerazione della natura)». Mentre il sesso è un dato biologico, con un riscontro genetico, anatomico e morfologico, «l'acquisizione del genere è determinata dall'osservazione e dalla ripetizione di comportamenti abituali e diffusi nel tempo e dalla conseguente accettazione interiore(…). Le femmine/donne tendono a vestirsi con le gonne, a giocare con le bambole, a preferire il colore rosa, ad essere docili e mansuete; i maschi/uomini tendono a vestirsi con i pantaloni, a giocare con le macchine e le spade, a preferire il colore azzurro, ad essere aggressivi e coraggiosi». Secondo questa nuova ottica, la rigorosa differenziazione tra uomini e donne non si fonda sulle loro caratteristiche "naturali", ma è nata da una sedimentazione culturale che, imponendo quei comportamenti - mediante l'educazione e la socializzazione - a soggetti in partenza dotati di una certa identità biologica e morfologica, ha creato l'illusione che essi ne fossero il prodotto necessario.
Ma se è così, se la "natura" non c'entra, è legittimo che ognuno segua le proprie inclinazioni senza dover rispondere a dei modelli precostituiti. Così, la teoria del gender non è stata solo funzionale alla riflessione delle femministe, ma è diventa sempre di più la bandiera dei movimenti LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender). Già nel 1973 il Diagnostic and Statistic Manual of Mental Disorders (DSM), pubblicato dall'American Psychiatric Association (APA) non ha più considerato l'omosessualità una patologia. Ma sarebbe un equivoco credere che il problema sia se ammettere o meno l'esistenza di un "terzo genere", quello omosessuale, intermedio tra i due tradizionalmente riconosciuti. Nella prospettiva del gender non c'è classificazione "naturale" che regga. Omosessualità, eterosessualità e bisessualità sono considerate schematiche classificazioni che ingabbiano e distorcono la complessità del reale e che rischiano di etichettare gli individui. In questo modo viene cancellato il concetto di "perversione" sessuale. Non c'è più rapporto con persone, animali, oggetti, che possa definirsi "anormale". Di natura si può ancora parlare, se si vuole. Ma a patto di rendersi conto che ogni individuo ha la sua.
Le tendenze della contemporaneità
Le conseguenze del darwinismo e il tema del gender sono solo due esempi di ciò che oggi è oggetto di ampia discussione nel mondo contemporaneo. Da parte dei cristiani non si può rispondere a questo ribollimento – per quanta paura esso possa suscitare (anche in autori "laici, come dicevamo) – solo con delle condanne. Certo, non si può pretendere che il convegno ecclesiale di Firenze sia dedicato direttamente a questi temi. Il suo taglio, ovviamente, non può che essere pastorale. Ma un appuntamento di così grande importanza deve essere il punto d'arrivo di una riflessione più ampia, che sicuramente deve tenere conto, se si vuole parlare di un "nuovo umanesimo", delle tendenze della cultura contemporanea. Senza la pretesa di dare risposte definitive, la comunità cristiana (e non solo un manipolo di specialisti, chiusi nelle loro torri d'avorio) deve prendere coscienza dei problemi che oggi si pongono e affrontarli, insieme agli altri uomini e donne, portando il prezioso contributo che può venire dal Vangelo. E non solo perché altrimenti i discorsi pastorali rischierebbero di apparire una versione religiosa del "mulino bianco" e di rivolgersi a interlocutori inesistenti. Ma anche per evitare che gli stessi credenti finiscano per condividere, più o meno consciamente, quelle tendenze e per coltivare la propria fede in uno spazio parallelo a quello della loro ragione. In questo modo le nuove visioni culturali dilagherebbero senza più alcuna discussione critica. E questa sarebbe la fine non solo del cristianesimo, ma anche dell'umanesimo.
1 - R. MARCHESINI, Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, Bollati Boringhieri, Torino 2005, p.237.
2 - D. J. HARAWAY, Manifesto cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, a cura di L. Borghi, intr. R. Braidotti, Feltrinelli, Milano 1995, pp.61, 142 e147.
3 - L. PALAZZANI, Il concetto di persona tra bioetica e diritto, Giappichelli Editore, Torino 1996, pp.30 e 32.
Giuseppe Savagnone
Direttore Ufficio Pastorale della Cultura
Via Francesco Ferrara, 8
90141 Palermo
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