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C'è sempre un pericolo quando si rivisita una parola. Il pericolo di inflazionarla e di conseguenza esautorarla del suo significato intrinseco. La parola che ormai è diventata leit motiv di ogni incontro è proprio questa: periferia. Una parola non nuova, ma che con ora ha assunto un significato inedito. Quando ha usato questa parola, il papa aveva chiaro quello che intendeva dire: mettere in piedi la nostra Chiesa, una chiesa aperta, farla uscire dalle sacrestie; in sintesi, una chiesa china sull'umanità e non su se stessa. Poiché andare verso le periferie implica un atteggiamento di movimento e la presa di coscienza di una meta.
Nell'anno dedicato alla Vita religiosa, viene ovvio cercare di ragionare sul nesso che può esserci tra Religiose e periferie e ci obbliga a ritornare sul tema ampio e complesso della vita consacrata ma con uno sguardo nuovo.
Che questa, la vita consacrata, stia passando un suo particolare periodo di crisi è assodato. Ce lo dicono le montagne di libri sfornate sull'argomento e che tentano di sondare, analizzare, sviscerare le motivazioni profonde che soggiacciono dentro e dietro questo sintomo. Ma forse più che cercare di carpire le ragioni socio-cultural-politiche e quant'altro, bisognerebbe avere l'ardire di chiederci, dove ci troviamo noi, religiosi e religiose in questa crisi… o semplicemente se non siamo proprio noi la causa prima di questa "recessione religiosa".
Ma non ci è lecito, oggi più che mai, trastullarci in idee che sanno più di resa che altro. È troppo facile lasciarsi andare in commenti tipo: siamo arrivate al capolinea; è meglio non esercitare l'accanimento terapeutico e via discorrendo. Questi atteggiamenti potrebbero essere paragonati ad una sorta di eutanasia religiosa. Lasciarsi andare, per mancanza di speranza. A molte è apparso quindi quasi un grido di allarme quello pronunciato da Papa Francesco ai Responsabili degli Istituti religiosi: Svegliate il mondo! Non è difficile scorgere in questo richiamo una sfida a rimetterci in pista, a scuoterci dal pericolo di entrare in una routine che asfissia la vitalità, la bellezza, l'unicità della vita consacrata. Un richiamo a riappropriarci forse dello stupore e della passione che devono caratterizzare la vita vissuta al servizio del Regno. Una opportunità per ridestare, caso mai fossero assopite, le utopie dei nostri anni giovanili.
Svegliate il mondo, ma per farlo bisogna uscire dalle nostre fortezze. Per svegliare il mondo, dobbiamo innanzi tutto essere deste noi. Alzarci e metterci in cammino, di buon mattino. È vero ci sono stati e ci sono tuttora tentativi di arginare la crisi della vita consacrata proponendo al suo interno "strategie" innovative. Ma non basta. Il maquillage che molte di noi hanno cercato di fare spesso non è capace di sostenere la prova. È alla radice che bisogna cambiare, diventando noi stesse credibili. Dobbiamo cercare di andare oltre, di lavorare in sinergia. E le periferie saranno il nostro punto di incontro, le tende allargate delle nostre comunità, che ci aiuteranno a divenire testimoni veraci della Buona Notizia, a renderci compagne di cammino dei popoli, e non solo. Far causa comune, partecipare attivamente ai processi di pace e giustizia. Abbiamo già perso parecchio tempo nel chiederci dove era missione e dove no. Ogni periferie esistenziale, riconosciuta e amata è la nostra terra di missione.
Uscire e andare verso queste periferie sarà un modo efficace per ricuperare e far nostre parole e atteggiamenti che ridaranno alla nostra scelta quella primigenia inspiratio e che ha dato vitalità alla nostra vita e alla chiesa tutta.
Quali le nostre periferie?
Potrebbe essere quasi banale, eppure le prime periferie sono proprio quelle dentro di noi, sono quelle zone d'ombra che ci abitano. Andare verso le periferie significa avere innanzitutto il coraggio di fare delle nostre comunità dei cenacoli dove si condivide il pane della sofferenza, del dubbio, della ricerca e il vino della gioia, dell'amicizia, dell'utopia. Comunità come luoghi di preghiera, di incontri, di dialogo. Solo allora, se ci alleniamo ad essere sensibili a queste periferie, allora sapremo non solo individuare "altre periferie", ma sapremo essere credibili.
Papa Francesco parla di periferie esistenziali, cioè di quei luoghi nei quali è carente la pace, la giustizia, l'equità. Se questa è la bussola che ci indica dove dirigere i nostri passi, allora le sapremo riconoscere. Ad ogni latitudine. Ma non basta. Essere donne consacrate significa essere in prima linea e avere il coraggio di prendere posizioni perché vengano riconosciuti diritti e dignità di ogni persona. Assumere un ruolo profetico che tradotto significa: dimenticarsi di sé stessi, essere capaci di osare, mettersi dalla parte dei perdenti, far assaporare, qui e adesso, lo stupore del Regno, un mondo secondo i sogni di Dio per ogni creatura. Allora viene spontaneo chiedersi: dove siamo oggi, cosa facciamo di fronte al dilagare della violenza, all'avanzare dei rigurgiti nazionalisti che prendono di mira il diversamente altro, altra. Andare verso le periferie significa che deve essere chiaro da quale parte stiamo.
L'assordante silenzio della vita religiosa su tematiche fondamentali quali la tratta delle donne, l'immigrazione, la crisi economica con il suo strascico di sofferenze e di dolore, ci sprona a domandarci dove è finita la "profezia" della vita religiosa capace di divenire spina nel fianco della Chiesa e della società.
Quale missione osare?
Sr Olga, sr Lucia, sr Bernardetta, le tre sorelle saveriane uccise lo scorso settembre u.s. in Burundi, ci insegnano che divenire cittadine delle "periferie" richiede un salto di qualità non indifferente. Significa ricuperare e vivere in profondità quei valori fondanti e che a volte sembrano essersi volatilizzate, anzi scomparsi dai nostri vocabolari. Mi vengono in mente ad esempio: parole quali sfida, determinazione, costanza, fedeltà e martirio. Dobbiamo continuamente riappropriarci dello stupore di questa nostra vita donata e arricchita dall'incontro con Dio, per farne poi dono incondizionato all'umanità.
Come le tre sorelle uccise, come le migliaia di donne che ogni giorno si mettono a fianco dell'umanità ferita, ognuna di noi dovrebbe mantenere alta la certezza che le periferie sono il luogo teologico dove Dio si manifesta. Abitare le periferie non solo sporadicamente, ma farle diventare nostro spazio vitale. Chi ci avvicina dovrebbe sentire l'odore del sudore degli impoveriti con i quali condividiamo il sogno di un mondo più equo, chi ci incontra dovrebbe intravvedere la stessa gioia incontenibile delle donne che un mattino di Pasqua vanno ad annunciare la Buona Notizia, "fresca di stampa" e non stantia. Chi ci frequenta dovrebbe percepire sempre nuovo lo stupore che emaniamo dai nostri volti per essere casa di un Dio che ci ha scelte per abitarci e che ci invita a camminare, percorrendo la strada dell'umanità, anzi di più "percorrendo l'umanità stessa".
I sogni, le speranze, le fatiche dei popoli devono guidare le nostre scelte, devono interrogare i nostri stili di vita, devono rivitalizzare le nostre strategie, devono dare sapore e colore ai nostri ministeri e se necessario devono toglierci il sonno. Perché abitare le periferie comporta uscire dall'apatia rassicurante del quieto vivere ed entrare invece dentro la vita dei popoli. Non è certo come dirlo e tanto meno come scriverlo, perché la Vita Religiosa non è un mestiere che si impara una volta per tutte, ma è un laboratorio nel quale si attinge ogni giorno dallo scrigno della Parola il coraggio di osare stili di nuova vita. Essere consacrate in cammino per le strade delle periferie significa allora essere segno dell'alleanza di Dio con l'umanità, essere segno della tenerezza del Padre verso questo nostro mondo, essere segno di una nuova opportunità dell'amore di Dio verso tutti e tutte.
In questo nostro secolo carico di sfide e di possibilità, dobbiamo avere il coraggio di riaffermare la nostra missione: essere lievito, luce e sale, ma anche olio, consolazione, ascolto, accoglienza, riparo per una società malata di solitudine esistenziale.
Svegliate il mondo, sembra ripeterci papa Francesco, e noi donne del vangelo, consacrate per il Regno, non possiamo rimanercene sedute, dobbiamo metterci in piedi, e ogni giorno andare verso l'alba, per sanare ferite, per portare olii di riconciliazione, di speranze: Dio, obbligato dalla nostra audacia inventerà ancora nuove risurrezioni, farà nuovi miracoli, guarirà questa nostra umanità. Tutta.
Elisa Kidané mc
Direttore editoriale Combonifem
Via S. Maria in Organo, 1
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