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La
libertà è uno dei valori centrali della cultura dell’Occidente. Nel bene
e nel male, la sua esaltazione, ma anche la sua manipolazione ha fatto
la storia di questi ultimi secoli, a partire dall’umanesimo e dalla
riflessione filosofica moderna. Nello stesso tempo, la vita consacrata
ha fatto molta fatica a dargli attenzione: puntando piuttosto sul grande
valore della rinuncia alla propria libertà, valorizzando ossessivamente
la sottomissione, e tutta la costellazione delle virtù di sostegno
(umiltà, silenzio, sacrificio, rinuncia, obbedienza, disprezzo di sé,
ecc.).
Anche la teologia spirituale, che
di per sé intende indicare ai credenti le vie più adeguate e costruttive
per “una vita secondo lo Spirito” – il quale è per definizione anche
Spirito di vita e di libertà (cfr. 2Cor 3,7) – ignora o snobba questo
settore. L’affermazione paolina: “per la libertà Cristo ci liberò” (Gal
5,1), oppure in senso più ampio tutto il provocatorio messaggio biblico
sulla “verità che ci fa liberi” (cfr. Gv 8,32), hanno alimentato una
spiritualità che pensava solo alle vertiginose ascensioni interiori
senza attenzione alle sfide storiche.
Col rischio, non solo per la
spiritualità, ma anche per tutta la esistenza cristiana, di alienarsi
rispetto alle correnti culturali attuali che enfatizzano la libertà. Ma
anche di far finta di nulla o di sublimare nevroticamente le sfide che
pongono le teorie antropologiche, che la negano o la sviliscono. E
infine l’aspirazione degli oppressi a vedere spezzate le loro catene e
riconosciuta la loro dignità di uomini liberi – cui la vita religiosa
deve partecipare con audacia (cfr. VC 81) – dovrebbe indurre a non
affermare per gli altri quello che poi nel sistema interno non trova
sbocchi fecondi.
Nei libri di meditazione, ma anche
nei trattati attuali di spiritualità, non si può trovare il tema della
libertà spirituale: in genere si parla di “libertà” in contesto
di contemplazione o di conformità con la volontà di Dio o di abbandono
alla divina Provvidenza. Questo silenzio, o comunque questo scarso
interesse al tema nell’esposizione delle cose importanti per la vita
spirituale, mette in dubbio la capacità dei nostri autori di stare in
ascolto dei segni dei tempi e delle sfide del nostro mondo.
Una fonte autorevole, al di sopra
di ogni sospetto, ha scritto qualche tempo fa: «La ricerca della libertà
e l’aspirazione alla liberazione, che sono tra i principali segni dei
tempi del mondo contemporaneo, hanno la loro prima radice nell’eredità
cristiana»1.
Non si può relativizzare questo dato centrale della nostra fede, né
continuare a sospettare che dietro l’enfasi moderna sull’emancipazione e
sulla libertà ci sia solo una pretesa perversa di negare la signoria di
Dio creatore2.
Nonostante le forme aberranti dell’uso e dell’abuso della libertà, essa
resta un grande e fondamentale dono che Dio ha fatto. Bisogna
continuamente metterlo in esercizio, favorendone l’uso responsabile e
autentico, senza recriminare sempre sugli abusi, che non mancheranno.
Paura
della libertà, esaltazione della libertà
Lo scopo centrale della Chiesa e
della sua missione consiste nel comunicare agli uomini la salvezza
donata mediante la morte e la risurrezione di Cristo: cioè la
restituzione della libertà, la chiamata ad un esercizio nuovo ed
esaltante della dignità di creatura, fatta ad immagine e somiglianza di
Dio (cfr. Gal 5). Questa esperienza di liberazione e di libertà ha
segnato e arricchito, in gradi diversi, la storia e la cultura dei
popoli cristiani. Ma con la modernità siamo da tempo entrati in una
nuova fase della storia della libertà vissuta dagli uomini.
Si sa che di fatto la nostra grande
tradizione spirituale ha per virtù dominante non la libertà, ma
l’obbedienza, la sottomissione passiva ad ogni autorità e non l’audacia
e la parresia. Ci sono anche altre cose importanti. E ciò nonostante, a
guardare bene, la storia del vissuto cristiano è ricca di persone –
diciamo uomini e donne spirituali – che sono stati a disagio negli
schemi, hanno preferito l’emarginazione e la persecuzione persino, pur
di conservare fedeltà a quello che lo Spirito li incitava ad essere e a
fare.
Donne e uomini di frontiera, di
creatività, di dialogo, di fraternità oltre gli schemi, seminatori e
seminatrici di speranza e provocatori audaci in nome della serietà del
Vangelo. Ma a fatica si è conservata la memoria di questa loro
contestazione profetica, animata dallo Spirito di libertà. Si è sempre
preferito dare risalto all’obbedienza all’autorità, alla fedele
osservanza delle norme standardizzate, così da mostrare la conformità
con un modello di Chiesa e di fede da viversi senza contrasti.
La società sgretolava a poco a poco
il sistema sociale basato sull’autorità assoluta, per far crescere
invece una democratizzazione della libertà, e sviluppando una serie di
principi sociali a favore dell’autonomia della persona3.
Di fronte a questo vasto fenomeno sociale e culturale di emancipazione,
la Chiesa a lungo ha visto solo i danni e le minacce, rifiutando di
vedervi del positivo, fino ai tempi recenti. Sacralizzando il rifiuto
del “mondo” e della mentalità “mondana”, ritenuta scandalosamente
rischiosa per la vita cristiana.
Alcuni esempi per tutti.
Quanta diffidenza verso la democrazia, e anche qualche solenne condanna,
nel secolo scorso! E dei diritti umani, non se n’è parlato nella Chiesa
fino a papa Giovanni XXIII e al Concilio. Stessa sorte è toccata alle
scienze della psiche, che hanno fatto un enorme progresso in questo
secolo: anche per esse solo negli ultimi decenni è stato eliminato
l’ostracismo e la negazione. Eppure avrebbero potuto aiutare già da
tempo a districare certi equivoci fra grazia e psiche, fra istituzioni
umane e valori evangelici, fra dinamica formativa e assunzione di
modelli prefissati, fra progetti di santità e proiezioni legate a varie
nevrosi.
Tutt’altro
linguaggio col Concilio
La schizofrenia non poteva durare
a lungo: prima o poi la stessa vita concreta avrebbe imposto lo
smantellamento della mentalità ostile, per creare le condizioni di un
dialogo e un confronto serio, ma anche chiarificatore. E’ avvenuto col
Concilio: la Chiesa ha assunto le dinamiche di libertà sia per quanto
riguarda i diritti della persona, sia per la democrazia politica e per
la democrazia economica, perché vi ha colto una profonda corrispondenza
con istanze ed esigenze del Vangelo4.
E’ stato con questo grande papa che infine ha avuto un grande rilievo
nel magistero sociale della Chiesa...
Quasi 40 anni fa Gaudium et Spes
segnalava che «Mai come oggi gli uomini hanno avuto un senso così acuto
della libertà, e intanto si affermano nuove forme di schiavitù sociale e
psichica» (GS 4). Del resto il tema della libertà è uno dei principali
argomenti dei testi conciliari. E sappiamo che i padri si sono spinti
fino alla proclamazione del “diritto alla libertà religiosa”, e
all’impegno a proteggere e promuovere questa “libertà religiosa” in
ordine al bene comune5.
Così al posto dell’ostilità
e del sospetto, prendeva rilievo una libertà cristiana aperta e
impegnata. Non solo la preoccupazione di liberarsi dal peccato, ma anche
la libertà attiva per realizzare i valori del regno di Dio e la sua
giustizia nella storia. Non soltanto la libertà dalle fantasie, dalle
pulsioni perverse o dagli arbitrii, ma anche il riconoscimento della
libertà di una coscienza adulta e responsabile, il “nucleo più segreto e
sacrario dell’uomo” (GS 16). Ancor di più, avviene il passaggio da una
nuova esperienza della libertà liberata, alla solidarietà con coloro che
sono privi della libertà e della dignità, come prova della sequela del
Cristo liberatore e provocatore di liberazione.
E’ quello che constatava, vent’anni
dopo il Concilio, proprio sul tema della libertà, il documento
Libertatis conscientia, istruzione della Congregazione per la
Dottrina della Fede: «Oggi a motivo delle formidabili sfide alle quali
l’umanità deve fare fronte, è divenuto necessario e urgente, in modo del
tutto nuovo, che l’amore di Dio e la libertà nella verità segnino con la
loro impronta le relazioni tra gli uomini e tra i popoli e animino la
vita delle culture... Una nuova fase della storia della libertà s’apre
davanti a noi. Le capacità liberatrici della scienza, della tecnica, del
lavoro, dell’economia e dell’azione politica daranno i loro frutti solo
se troveranno la loro ispirazione e la loro misura nella verità e
nell’amore più forti della sofferenza, rivelati agli uomini da Gesù
Cristo» (LC, n. 24).
In verità la libertà del cristiano
è un processo faticoso, uno stato di perfezionamento. Cioè una libertà
da liberare ed esercitare, una libertà da promuovere dentro le strutture
di coscienza, ma anche dentro le strutture e l’organizzazione sociale
perché diventi effettiva ed operativa nella vita degli uomini. E la
stessa concezione della libertà non può essere costruita in astratto,
facendo ricorso primariamente alle grandi nozioni teologiche, e neppure
alle visioni planetarie dei “valori”. Ma a partire dall’ascolto di ciò
che di fatto nella storia sta emergendo, nei pregi e nei difetti, nel
campo della libertà.
Quando si intende parlare a tono ai
nostri contemporanei, intercettando e interpellando vitalmente i
desideri e le fatiche della gente, bisogna avere il coraggio di non
«girare a vuoto nella gabbia del nostro pianeta» (Jonesco), per uscire
fuori dal villaggio del sempre ripetuto e della tradizione ipostatizzata.
Facendo proprie le domande contemporanee e prendendo con serietà le
utopie del mondo contemporaneo. Il Concilio ha mostrato come dobbiamo
procedere: in modo che la Parola di vita illumini l’esistenza concreta,
dopo averla guardata con occhi di simpatia e di compassione.
Cristo
risana la nostra libertà
E’ di R. Bultmann l’affermazione
che la libertà della persona e la libertà dello spirito sono «l’eredità
più nobile della tradizione occidentale». A questa eredità ha
contribuito sia la filosofia greca sia il pensiero romano, sia
soprattutto il cristianesimo. Molta storia dell’Occidente è storia della
libertà affermata, soppressa, sognata, mitizzata. Ma anche per il
cristianesimo in quanto tale la libertà è una struttura fondamentale.
Gli scritti biblici però non conoscono la libertà come tema filosofico,
ma testimoniano l’azione liberante di Dio.
Israele è nato dalla liberazione
operata da Dio in mezzo al popolo degli ebrei schiavizzati in Egitto: e
questo evento, con il passaggio all’alleanza sinaitica, resterà
paradigmatico per sempre. Gesù è l’uomo “libero” per eccellenza6.
«L’esempio della vita e della morte di Gesù ha un valore liberatorio per
le nostre libertà. Gesù libera con l’annuncio del vangelo, che è un
vangelo di libertà; egli si indirizza ai poveri e ai prigionieri, ai
ciechi e agli oppressi (Lc 4,18-19), per rendere loro una libertà che è
anzitutto un perdono dei peccati, ma che si esprime anche con dei segni
di guarigione». Paolo è il grande dottore della libertà cristiana, egli
ama usare questo registro per esprimere la realtà della salvezza: «Voi
fratelli siete stati chiamati alla libertà» (Gal 5,13). Per Giovanni
solo in Cristo v’è autentica libertà: «Se il Figlio vi libererà, sarete
veramente liberi» (Gv 8,36).
Il Cristo liberatore è dono di
libertà e sana la nostra libertà. Per cui la libertà la si può
comprendere appieno solo alla luce del mistero della rivelazione e
soprattutto della redenzione: si tratta allora di una libertà come
“dono”, di un dono che è insieme impegno aperto, cammino da percorrere,
progetto da assumere. Una libertà in divenire, vissuta nella precarietà
dello stato di creatura e di creatura lapsa, rigenerata dalla grazia. E’
quindi essenzialmente libertà cristologica: in quanto
espressione della nostra sequela di Cristo, che è donatore di vita e di
libertà7.
Questa libertà donata viene
alimentata e resa veridica in noi dallo Spirito: ma non per
destoricizzare il legame con il profeta messianico dei poveri, ma per
vivere la libertà proprio nella stessa prospettiva. Il modo di Gesù di
risolvere i conflitti con la classe dirigente, le sue risposte a
Nicodemo, alla samaritana, al giovane ricco, al dottore della legge, a
chi lo supplica, lo mostrano capace di orientare l’uomo alla vera
libertà, superando la contingenza e la banalità di risposte comode.
Quella che Cristo ci dona è una
libertà pagata a caro prezzo, che si presenta da un lato come
profanazione degli idoli legalistici e religiosi, che in nome di Dio
tenevano abusivamente sotto giogo la gente. E dall’altro come forza di
scardinamento dei pregiudizi e delle emarginazioni, per convocare tutti,
a partire dagli ultimi (cfr. Mt 20,8), ad una nuova fraternità,
ad una convivialità festosa e liberante. La Chiesa è la memoria viva di
questo evento, di questo modo di porsi nella storia: per essere se
stessa deve essere sacramento della libertà, custode di una libertà
sovversiva che ha rigenerato il mondo, e continuamente lo mette in
tensione, per una verità ancora più profonda, che rimanda sempre ad un
“oltre”, un “non ancora”.
Per quanto creata e debole,
la libertà che lo Spirito rende vitale in noi, è segno e partecipazione
della grande carità di Cristo e della sua capacità di essere un uomo
libero. Egli era oltre gli schemi, oltre le paure, capace di recuperare
ogni risorsa debole, ogni sincera ricerca della verità, ogni anelito ad
una vita degna. Una libertà spirituale intenta solo a gestire il proprio
perfezionamento interiore lontano dalla storia, dalle tragedie umane,
dalle crisi di dignità e di senso dei nostri contemporanei, dubito ci
dia molto aiuto oggi. E soprattutto non è quella che hanno vissuto i
grandi santi fondatori.
La
libertà è un progetto aperto
«L’autentica attitudine di libertà
– scriveva R. Guardini – implica da una parte il coraggio di essere
veramente liberi con tutto ciò che questa libertà comporta di obblighi e
di pericoli, dall’altra parte implica l’accettazione del proprio essere
finito che non è veramente possibile se non nella sottomissione a Dio e
al suo cospetto». L’umanità libera di Gesù, abbiamo già detto, è
mediatrice delle nostre libertà salvate: l’impegno per la liberazione
totale è allora ovvia conseguenza della fede che vuole incidere sulle
sorti umane.
La libertà è un progetto aperto, un
divenire esperti di autodeterminazione, di autonomia, di solidarietà
corresponsabile. Non v’è vera libertà senza la possibilità data alle
persone di scegliere autonomamente. Ma tali possibilità oggi,
all’apparenza molto numerose, non sono poi così comode e facili: è una
“libertà situata”8.
Inoltre dentro la Chiesa non tutti riescono a vedere l’esercizio della
libertà liberata. A volte essa sembra piuttosto una organizzazione dove
perfino i più elementari diritti umani vengono dimenticati, o diminuiti
in nome di una “verità” gestita da pochi e perfino di una “comunione”
interpretata talora in termini di sottomissione e dipendenza.
La Chiesa come comunità dei fedeli
di Cristo, resi liberi dalla sua croce e nuovi dal suo Spirito, è
l’ambito privilegiato nel quale sperimentare, vivere e testimoniare la
libertà. Non c’è dubbio che la Chiesa ha sempre parlato di libertà
umana, ma in senso prettamente soteriologico (di salvezza) o in termini
filosofici-metafisici (astratti), e poco o mai delle sue forme sociali o
politiche, salvo per i diritti della Chiesa, la famosa “libertas
Ecclesiae”.
Di certo le cose sono molto
cambiate nella seconda metà del secolo scorso: fino al punto che oggi
forse la Chiesa è una delle poche grandi istituzioni che difendono
davvero la dignità radicale dell’uomo, di ogni uomo. Nel giro di qualche
decennio, la Chiesa è diventata la voce di chi non ha voce, la coscienza
critica che scuote le idolatrie dei prepotenti, l’autorità morale che
interpella le coscienze e chiama alla solidarietà e alla giustizia.
In questo nuovo modo di porsi di
fronte alla storia e alla cultura, la vita consacrata non può stare al
margine: perché si tratta di un orientamento che la deve coinvolgere
radicalmente. Oggi deve elaborare simbologie e linguaggi, itinerari
esperienziali e proposte di “vita nella Spirito”, che alimentino e si
inseriscano nella nuova identità ecclesiale, che aiutino a discernere
gli appelli di Dio nei segni dei tempi. E anche irrobustiscano con
motivazioni profonde coloro che più di altri si espongono in questa
funzione di frontiera a favore della libertà e dignità.
La tentazione dell’autoritarismo e
del legalismo fine a se stesso può sempre insinuarsi, contraddire le
migliori intenzioni, indebolire la forza persuasiva della proclamazione
teorica. La capacità di interpretare autenticamente le migliori
aspirazioni degli uomini, per condurle a pienezza nella libertà, sarà
vera nella Chiesa se questa sarà una comunità povera e precaria: cioè
essa stessa si mostrerà serva e implorante della libertà, in cammino
verso la pienezza che annuncia e segnala.
Il teologo tedesco M. Kehl ha
definito la Chiesa «unità comunicativa dei credenti»: vale a dire una
comunità che tende a raggiungere il consenso sulla base dell’ascolto
obbedienziale della Parola di verità e del reciproco ascoltarsi nel
rispetto fraterno, senza esclusioni o pregiudizi. Bisogna sapersi
ascoltare reciprocamente, cominciando ad ascoltare chi non è ascoltato
da nessuno e quasi teme di prendere la parola: è da lì che spesso parla
lo Spirito e chiama ad abbattere i pregiudizi e le paure. «L’uomo può
sperare dentro la Chiesa soltanto se vi può fare una vera e completa
esperienza di libertà»9.
Fanno molto più male alla
Chiesa gli adulatori e i politicanti che gli uomini liberi e profetici:
perché il suo statuto è quello della comunione non quello del controllo
e dell’ordine rigido o dell’adulazione. Ha scritto un cardinale
americano: «La preoccupazione fondamentale del modello ecclesiale è la
comunione, e perciò il discernimento nella fede delle diversità dei doni
e dello opere dello Spirito. Le esigenze del discernimento e le esigenze
dell’ordine devono sempre coesistere, perché non si possono abbracciare
le une e rigettare le altre: esse devono sempre esistere in tensione. Ma
è sempre sbagliato quando le esigenze del discernimento vengono
semplicemente eliminate a favore delle esigenze dell’ordine, ponendo in
tal modo come bene supremo il controllo e il modello politico»10.
I
fondatori uomini di profezia
Si fa urgente la necessità di dare
spazio dentro la Chiesa e nella missione della Chiesa nel mondo alla
contestazione profetica. Ma purtroppo sono stati molti i profeti che
prima di essere accolti furono messi sotto accusa, emarginati, ridotti
al silenzio. Per riconoscerne poi – post mortem in genere –
l’autenticità e proclamandoli “dono” della libertà di Dio alla sua
Chiesa. Un po’ di “pudore” a volte non guasterebbe...
Il caso più classico e frequente è
quello dei fondatori di istituti religiosi. Quasi sempre nella fase
iniziale della loro fondazione hanno incontrato una tenace ostilità
negli ambienti ecclesiali, refrattari a riconoscere la carica di genuina
novità della loro iniziativa. Tanto che un documento ufficiale della
santa Sede qualche anno fa ha ammesso con lealtà: «Ogni autentico
carisma porta con sé una certa carica di genuina novità nella vita della
Chiesa e di particolare operosa intraprendenza, che nell’ambiente può
forse apparire incomoda e può anche sollevare delle difficoltà, poiché
non sempre e subito è facile riconoscerne la provenienza dallo Spirito»
(Mutuae relationes, n. 12).
Ma il problema è più
generale: si tratta della presenza della libertà carismatica e profetica
nel sistema ecclesiale. La contestazione profetica, non può rientrare
facilmente negli schemi, perché richiama alla coerenza fra vita e fede
in termini e forme inquietanti. E perché non si lascia facilmente
addomesticare, né l’emarginazione la avvilisce più di tanto (cfr. VC
84-85).
La libertà che si deve richiedere
per i profeti – e si può includere sia i fondatori, che i teologi, che
gli interpreti geniali e autentici delle esigenze evangeliche – è
esigita anche dal bisogno di un paziente confronto con le nuove sfide
culturali e sociali, alle quali si vuole dare risposta. Il “sentire
ecclesiam” non va inteso solo nella forma dell’ossequio devoto o
zelante alla gerarchia, purché nell’orizzonte dell’amore alla veritas
ecclesiae. Vi si deve includere anche un riferimento alla sua
missione, alla verità del Vangelo, alla opzione per i poveri, alla
fedeltà al futuro della nostra speranza.
Con sapienza, ma anche sulla base
della sua stessa esperienza, ha scritto Bernard Haering: «Tutti i veri
profeti di Israele erano dotati di coscienza creativa. Essi sferzavano
il legalismo senza cuore, le insensate lotte a difesa delle istituzioni
umane e delle tradizioni obsolete. La vita di tutti i nostri santi, di
quelli canonizzati e di molti altri, è una luminosa testimonianza di
libertà e di fedeltà creativa. Nella loro coscienza essi erano
completamente pervasi dal duplice comandamento dell’amore a Dio e al
prossimo. E così avvenne che la loro coscienza si trasformasse in un
vero e proprio sguardo d’amore, e facessero sempre nuove scoperte in
ordine alla realizzazione storica del regno dell’amore e della
giustizia»11.
Con parole piene di ispirazione, su
questa linea avanzata il papa ha collocato la vita consacrata: «La vita
consacrata ha il compito profetico di ricordare e servire il regno di
Dio sugli uomini, come è annunciato dalla Scrittura e come emerge anche
dall’attenta lettura dei segni dei tempi dell’azione provvidente di Dio
nella storia... Per compiere opportunamente questo servizio, le persone
consacrate devono avere una profonda esperienza di Dio e prendere
coscienza delle sfide del proprio tempo, cogliendone il senso teologico
profondo mediante il discernimento operato con l’aiuto dello Spirito...
[Inoltre] la vita consacrata non si limiterà a leggere i segni dei
tempi, ma contribuirà anche ad elaborare ed attuare nuovi progetti di
evangelizzazione per le odierne situazioni. Tutto questo nella certezza
di fede che lo Spirito sa dare anche alle domande più difficili le
risposte appropriate» (VC 73).
Forme di libertà da vivere
Il presente e il futuro
dell’umanità esigono nuove forme di libertà, connotate di solidarietà e
condivisione innovative: cioè nuove forme di comunità liberanti, che
facciano testimonianza che la Chiesa – come comunità del discepoli dei
crocifisso risorto – è la comunità che fa crescere uomini liberi, capaci
di missione liberante.
Non avrebbe senso una vita
consacrata che non entrasse in questa prospettiva. Essa deve assumersi
il compito di entrare in questa prospettiva: alimentare una vita di
discepolato e di apertura allo Spirito che porti a farsi carico anche
delle strutture e del loro mutamento per un esercizio effettivo della
libertà dell’uomo. La conversione del cuore, così enfatizzata da tutta
la spiritualità, è conversione al profeta messianico dei poveri, e
quindi ciò non toglie ma anzi postula e rafforza la necessità di un
impegno per il cambiamento di strutture ingiuste.
Dobbiamo convincerci che la
identificazione e la solidarietà con i poveri diviene il posto di
nascita e il criterio della vera spiritualità cristiana oggi: perché la
spiritualità non può essere separata dalla solidarietà e dall’impegno
per la giustizia. Diceva Agostino: «La verità vi ha fatto liberi, la
carità vi faccia servitori».
Vedrei come modello
dell’atteggiamento cristiano verso la libertà e la liberazione, quanto
ci è offerto da Maria: «l’icona perfetta della libertà e della
liberazione dell’umanità e del cosmo» (Redemptoris Mater, 37). Il
magnificat non ci presenta Maria come «una donna passivamente sottomessa
o di una religiosità alienante, ma colei che canta Dio salvatore e
liberatore, che rialza gli umili e gli oppressi e rovescia,
all’occorrenza, i potenti dai loro troni».
Essa così diviene il modello
compiuto del discepolo del Signore: «artefice della città eterna e
temporale, ma pellegrino che si affretta verso la città celeste ed
eterna; promotore della giustizia che libera l’oppresso e della carità
che porta aiuto ai bisognosi, ma soprattutto testimone attivo dell’amore
che Cristo edifica nei cuori» (Marialis cultus, 37).
La verità ci sorpassa tutti, e la
libertà che da essa si deve generare è sempre più grande delle nostre
spiegazioni e dei nostri modelli. E’ il mistero dell’uomo che vi si
nasconde; è il nucleo della sua dignità. Ma è anche l’espressione
dell’affetto perenne di quel Dio, ad immagine e somiglianza del quale
l’uomo è stato creato libero, per poter entrare in vero dialogo col suo
Creatore. «La fede, l’adorazione e l’amore hanno un profondo rapporto
con la libertà umana»12.
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