n. 2
febbraio 2004

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Chiamate alla libertà
nel contesto culturale attuale

di Bruno Secondin*

 

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La libertà è uno dei valori centrali della cultura dell’Occidente. Nel bene e nel male, la sua esaltazione, ma anche la sua manipolazione ha fatto la storia di questi ultimi secoli, a partire dall’umanesimo e dalla riflessione filosofica moderna. Nello stesso tempo, la vita consacrata ha fatto molta fatica a dargli attenzione: puntando piuttosto sul grande valore della rinuncia alla propria libertà, valorizzando ossessivamente la sottomissione, e tutta la costellazione delle virtù di sostegno (umiltà, silenzio, sacrificio, rinuncia, obbedienza, disprezzo di sé, ecc.).

Anche la teologia spirituale, che di per sé intende indicare ai credenti le vie più adeguate e costruttive per “una vita secondo lo Spirito” – il quale è per definizione anche Spirito di vita e di libertà (cfr. 2Cor 3,7) – ignora o snobba questo settore. L’affermazione paolina: “per la libertà Cristo ci liberò” (Gal 5,1), oppure in senso più ampio tutto il provocatorio messaggio biblico sulla “verità che ci fa liberi” (cfr. Gv 8,32), hanno alimentato una spiritualità che pensava solo alle vertiginose ascensioni interiori senza attenzione alle sfide storiche.

Col rischio, non solo per la spiritualità, ma anche per tutta la esistenza cristiana, di alienarsi rispetto alle correnti culturali attuali che enfatizzano la libertà. Ma anche di far finta di nulla o di sublimare nevroticamente le sfide che pongono le teorie antropologiche, che la negano o la sviliscono. E infine l’aspirazione degli oppressi a vedere spezzate le loro catene e riconosciuta la loro dignità di uomini liberi – cui la vita religiosa deve partecipare con audacia (cfr. VC 81) – dovrebbe indurre a non affermare per gli altri quello che poi nel sistema interno non trova sbocchi fecondi.

Nei libri di meditazione, ma anche nei trattati attuali di spiritualità, non si può trovare il tema della libertà spirituale: in genere si parla di “libertà” in contesto di contemplazione o di conformità con la volontà di Dio o di abbandono alla divina Provvidenza. Questo silenzio, o comunque questo scarso interesse al tema nell’esposizione delle cose importanti per la vita spirituale, mette in dubbio la capacità dei nostri autori di stare in ascolto dei segni dei tempi e delle sfide del nostro mondo.

Una fonte autorevole, al di sopra di ogni sospetto, ha scritto qualche tempo fa: «La ricerca della libertà e l’aspirazione alla liberazione, che sono tra i principali segni dei tempi del mondo contemporaneo, hanno la loro prima radice nell’eredità cristiana»1. Non si può relativizzare questo dato centrale della nostra fede, né continuare a sospettare che dietro l’enfasi moderna sull’emancipazione e sulla libertà ci sia solo una pretesa perversa di negare la signoria di Dio creatore2. Nonostante le forme aberranti dell’uso e dell’abuso della libertà, essa resta un grande e fondamentale dono che Dio ha fatto. Bisogna continuamente metterlo in esercizio, favorendone l’uso responsabile e autentico, senza recriminare sempre sugli abusi, che non mancheranno.

 

 Paura della libertà, esaltazione della libertà

 Lo scopo centrale della Chiesa e della sua missione consiste nel comunicare agli uomini la salvezza donata mediante la morte e la risurrezione di Cristo: cioè la restituzione della libertà, la chiamata ad un esercizio nuovo ed esaltante della dignità di creatura, fatta ad immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gal 5). Questa esperienza di liberazione e di libertà ha segnato e arricchito, in gradi diversi, la storia e la cultura dei popoli cristiani. Ma con la modernità siamo da tempo entrati in una nuova fase della storia della libertà vissuta dagli uomini.

Si sa che di fatto la nostra grande tradizione spirituale ha per virtù dominante non la libertà, ma l’obbedienza, la sottomissione passiva ad ogni autorità e non l’audacia e la parresia. Ci sono anche altre cose importanti. E ciò nonostante, a guardare bene, la storia del vissuto cristiano è ricca di persone – diciamo uomini e donne spirituali – che sono stati a disagio negli schemi, hanno preferito l’emarginazione e la persecuzione persino, pur di conservare fedeltà a quello che lo Spirito li incitava ad essere e a fare.

Donne e uomini di frontiera, di creatività, di dialogo, di fraternità oltre gli schemi, seminatori e seminatrici di speranza e provocatori audaci in nome della serietà del Vangelo. Ma a fatica si è conservata la memoria di questa loro contestazione profetica, animata dallo Spirito di libertà. Si è sempre preferito dare risalto all’obbedienza all’autorità, alla fedele osservanza delle norme standardizzate, così da mostrare la conformità con un modello di Chiesa e di fede da viversi senza contrasti.

La società sgretolava a poco a poco il sistema sociale basato sull’autorità assoluta, per far crescere invece una democratizzazione della libertà, e sviluppando una serie di principi sociali a favore dell’autonomia della persona3. Di fronte a questo vasto fenomeno sociale e culturale di emancipazione, la Chiesa a lungo ha visto solo i danni e le minacce, rifiutando di vedervi del positivo, fino ai tempi recenti. Sacralizzando il rifiuto del “mondo” e della mentalità “mondana”, ritenuta scandalosamente rischiosa per la vita cristiana.

Alcuni esempi per tutti. Quanta diffidenza verso la democrazia, e anche qualche solenne condanna, nel secolo scorso! E dei diritti umani, non se n’è parlato nella Chiesa fino a papa Giovanni XXIII e al Concilio. Stessa sorte è toccata alle scienze della psiche, che hanno fatto un enorme progresso in questo secolo: anche per esse solo negli ultimi decenni è stato eliminato l’ostracismo e la negazione. Eppure avrebbero potuto aiutare già da tempo a districare certi equivoci fra grazia e psiche, fra istituzioni umane e valori evangelici, fra dinamica formativa e assunzione di modelli prefissati, fra progetti di santità e proiezioni legate a varie nevrosi.

 

 Tutt’altro linguaggio col Concilio

 La schizofrenia non poteva durare a lungo: prima o poi la stessa vita concreta avrebbe imposto lo smantellamento della mentalità ostile, per creare le condizioni di un dialogo e un confronto serio, ma anche chiarificatore. E’ avvenuto col Concilio: la Chiesa ha assunto le dinamiche di libertà sia per quanto riguarda i diritti della persona, sia per la democrazia politica e per la democrazia economica, perché vi ha colto una profonda corrispondenza con istanze ed esigenze del Vangelo4. E’ stato con questo grande papa che infine ha avuto un grande rilievo nel magistero sociale della Chiesa...

Quasi 40 anni fa Gaudium et Spes segnalava che «Mai come oggi gli uomini hanno avuto un senso così acuto della libertà, e intanto si affermano nuove forme di schiavitù sociale e psichica» (GS 4). Del resto il tema della libertà è uno dei principali argomenti dei testi conciliari. E sappiamo che i padri si sono spinti fino alla proclamazione del “diritto alla libertà religiosa”, e all’impegno a proteggere e promuovere questa “libertà religiosa” in ordine al bene comune5.

Così al posto dell’ostilità e del sospetto, prendeva rilievo una libertà cristiana aperta e impegnata. Non solo la preoccupazione di liberarsi dal peccato, ma anche la libertà attiva per realizzare i valori del regno di Dio e la sua giustizia nella storia. Non soltanto la libertà dalle fantasie, dalle pulsioni perverse o dagli arbitrii, ma anche il riconoscimento della libertà di una coscienza adulta e responsabile, il “nucleo più segreto e sacrario dell’uomo” (GS 16). Ancor di più, avviene il passaggio da una nuova esperienza della libertà liberata, alla solidarietà con coloro che sono privi della libertà e della dignità, come prova della sequela del Cristo liberatore e provocatore di liberazione.

E’ quello che constatava, vent’anni dopo il Concilio, proprio sul tema della libertà, il documento Libertatis conscientia, istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede: «Oggi a motivo delle formidabili sfide alle quali l’umanità deve fare fronte, è divenuto necessario e urgente, in modo del tutto nuovo, che l’amore di Dio e la libertà nella verità segnino con la loro impronta le relazioni tra gli uomini e tra i popoli e animino la vita delle culture... Una nuova fase della storia della libertà s’apre davanti a noi. Le capacità liberatrici della scienza, della tecnica, del lavoro, dell’economia e dell’azione politica daranno i loro frutti solo se troveranno la loro ispirazione e la loro misura nella verità e nell’amore più forti della sofferenza, rivelati agli uomini da Gesù Cristo» (LC, n. 24).

In verità la libertà del cristiano è un processo faticoso, uno stato di perfezionamento. Cioè una libertà da liberare ed esercitare, una libertà da promuovere dentro le strutture di coscienza, ma anche dentro le strutture e l’organizzazione sociale perché diventi effettiva ed operativa nella vita degli uomini. E la stessa concezione della libertà non può essere costruita in astratto, facendo ricorso primariamente alle grandi nozioni teologiche, e neppure alle visioni planetarie dei “valori”. Ma a partire dall’ascolto di ciò che di fatto nella storia sta emergendo, nei pregi e nei difetti, nel campo della libertà.

Quando si intende parlare a tono ai nostri contemporanei, intercettando e interpellando vitalmente i desideri e le fatiche della gente, bisogna avere il coraggio di non «girare a vuoto nella gabbia del nostro pianeta» (Jonesco), per uscire fuori dal villaggio del sempre ripetuto e della tradizione ipostatizzata. Facendo proprie le domande contemporanee e prendendo con serietà le utopie del mondo contemporaneo. Il Concilio ha mostrato come dobbiamo procedere: in modo che la Parola di vita illumini l’esistenza concreta, dopo averla guardata con occhi di simpatia e di compassione.

 

 Cristo risana la nostra libertà

 E’ di R. Bultmann l’affermazione che la libertà della persona e la libertà dello spirito sono «l’eredità più nobile della tradizione occidentale». A questa eredità ha contribuito sia la filosofia greca sia il pensiero romano, sia soprattutto il cristianesimo. Molta storia dell’Occidente è storia della libertà affermata, soppressa, sognata, mitizzata. Ma anche per il cristianesimo in quanto tale la libertà è una struttura fondamentale. Gli scritti biblici però non conoscono la libertà come tema filosofico, ma testimoniano l’azione liberante di Dio.

Israele è nato dalla liberazione operata da Dio in mezzo al popolo degli ebrei schiavizzati in Egitto: e questo evento, con il passaggio all’alleanza sinaitica, resterà paradigmatico per sempre. Gesù è l’uomo “libero” per eccellenza6. «L’esempio della vita e della morte di Gesù ha un valore liberatorio per le nostre libertà. Gesù libera con l’annuncio del vangelo, che è un vangelo di libertà; egli si indirizza ai poveri e ai prigionieri, ai ciechi e agli oppressi (Lc 4,18-19), per rendere loro una libertà che è anzitutto un perdono dei peccati, ma che si esprime anche con dei segni di guarigione». Paolo è il grande dottore della libertà cristiana, egli ama usare questo registro per esprimere la realtà della salvezza: «Voi fratelli siete stati chiamati alla libertà» (Gal 5,13). Per Giovanni solo in Cristo v’è autentica libertà: «Se il Figlio vi libererà, sarete veramente liberi» (Gv 8,36).

Il Cristo liberatore è dono di libertà e sana la nostra libertà. Per cui la libertà la si può comprendere appieno solo alla luce del mistero della rivelazione e soprattutto della redenzione: si tratta allora di una libertà come “dono”, di un dono che è insieme impegno aperto, cammino da percorrere, progetto da assumere. Una libertà in divenire, vissuta nella precarietà dello stato di creatura e di creatura lapsa, rigenerata dalla grazia. E’ quindi essenzialmente libertà cristologica: in quanto espressione della nostra sequela di Cristo, che è donatore di vita e di libertà7.

Questa libertà donata viene alimentata e resa veridica in noi dallo Spirito: ma non per destoricizzare il legame con il profeta messianico dei poveri, ma per vivere la libertà proprio nella stessa prospettiva. Il modo di Gesù di risolvere i conflitti con la classe dirigente, le sue risposte a Nicodemo, alla samaritana, al giovane ricco, al dottore della legge, a chi lo supplica, lo mostrano capace di orientare l’uomo alla vera libertà, superando la contingenza e la banalità di risposte comode.

Quella che Cristo ci dona è una libertà pagata a caro prezzo, che si presenta da un lato come profanazione degli idoli legalistici e religiosi, che in nome di Dio tenevano abusivamente sotto giogo la gente. E dall’altro come forza di scardinamento dei pregiudizi e delle emarginazioni, per convocare tutti, a partire dagli ultimi (cfr. Mt 20,8), ad una nuova fraternità, ad una convivialità festosa e liberante. La Chiesa è la memoria viva di questo evento, di questo modo di porsi nella storia: per essere se stessa deve essere sacramento della libertà, custode di una libertà sovversiva che ha rigenerato il mondo, e continuamente lo mette in tensione, per una verità ancora più profonda, che rimanda sempre ad un “oltre”, un “non ancora”.

Per quanto creata e debole, la libertà che lo Spirito rende vitale in noi, è segno e partecipazione della grande carità di Cristo e della sua capacità di essere un uomo libero. Egli era oltre gli schemi, oltre le paure, capace di recuperare ogni risorsa debole, ogni sincera ricerca della verità, ogni anelito ad una vita degna. Una libertà spirituale intenta solo a gestire il proprio perfezionamento interiore lontano dalla storia, dalle tragedie umane, dalle crisi di dignità e di senso dei nostri contemporanei, dubito ci dia molto aiuto oggi. E soprattutto non è quella che hanno vissuto i grandi santi fondatori.

 

 La libertà è un progetto aperto

 «L’autentica attitudine di libertà – scriveva R. Guardini – implica da una parte il coraggio di essere veramente liberi con tutto ciò che questa libertà comporta di obblighi e di pericoli, dall’altra parte implica l’accettazione del proprio essere finito che non è veramente possibile se non nella sottomissione a Dio e al suo cospetto». L’umanità libera di Gesù, abbiamo già detto, è mediatrice delle nostre libertà salvate: l’impegno per la liberazione totale è allora ovvia conseguenza della fede che vuole incidere sulle sorti umane.

La libertà è un progetto aperto, un divenire esperti di autodeterminazione, di autonomia, di solidarietà corresponsabile. Non v’è vera libertà senza la possibilità data alle persone di scegliere autonomamente. Ma tali possibilità oggi, all’apparenza molto numerose, non sono poi così comode e facili: è una “libertà situata”8. Inoltre dentro la Chiesa non tutti riescono a vedere l’esercizio della libertà liberata. A volte essa sembra piuttosto una organizzazione dove perfino i più elementari diritti umani vengono dimenticati, o diminuiti in nome di una “verità” gestita da pochi e perfino di una “comunione” interpretata talora in termini di sottomissione e dipendenza.

La Chiesa come comunità dei fedeli di Cristo, resi liberi dalla sua croce e nuovi dal suo Spirito, è l’ambito privilegiato nel quale sperimentare, vivere e testimoniare la libertà. Non c’è dubbio che la Chiesa ha sempre parlato di libertà umana, ma in senso prettamente soteriologico (di salvezza) o in termini filosofici-metafisici (astratti), e poco o mai delle sue forme sociali o politiche, salvo per i diritti della Chiesa, la famosa “libertas Ecclesiae”.

Di certo le cose sono molto cambiate nella seconda metà del secolo scorso: fino al punto che oggi forse la Chiesa è una delle poche grandi istituzioni che difendono davvero la dignità radicale dell’uomo, di ogni uomo. Nel giro di qualche decennio, la Chiesa è diventata la voce di chi non ha voce, la coscienza critica che scuote le idolatrie dei prepotenti, l’autorità morale che interpella le coscienze e chiama alla solidarietà e alla giustizia.

In questo nuovo modo di porsi di fronte alla storia e alla cultura, la vita consacrata non può stare al margine: perché si tratta di un orientamento che la deve coinvolgere radicalmente. Oggi deve elaborare simbologie e linguaggi, itinerari esperienziali e proposte di “vita nella Spirito”, che alimentino e si inseriscano nella nuova identità ecclesiale, che aiutino a discernere gli appelli di Dio nei segni dei tempi. E anche irrobustiscano con motivazioni profonde coloro che più di altri si espongono in questa funzione di frontiera a favore della libertà e dignità.

La tentazione dell’autoritarismo e del legalismo fine a se stesso può sempre insinuarsi, contraddire le migliori intenzioni, indebolire la forza persuasiva della proclamazione teorica. La capacità di interpretare autenticamente le migliori aspirazioni degli uomini, per condurle a pienezza nella libertà, sarà vera nella Chiesa se questa sarà una comunità povera e precaria: cioè essa stessa si mostrerà serva e implorante della libertà, in cammino verso la pienezza che annuncia e segnala.

Il teologo tedesco M. Kehl ha definito la Chiesa «unità comunicativa dei credenti»: vale a dire una comunità che tende a raggiungere il consenso sulla base dell’ascolto obbedienziale della Parola di verità e del reciproco ascoltarsi nel rispetto fraterno, senza esclusioni o pregiudizi. Bisogna sapersi ascoltare reciprocamente, cominciando ad ascoltare chi non è ascoltato da nessuno e quasi teme di prendere la parola: è da lì che spesso parla lo Spirito e chiama ad abbattere i pregiudizi e le paure. «L’uomo può sperare dentro la Chiesa soltanto se vi può fare una vera e completa esperienza di libertà»9.

Fanno molto più male alla Chiesa gli adulatori e i politicanti che gli uomini liberi e profetici: perché il suo statuto è quello della comunione non quello del controllo e dell’ordine rigido o dell’adulazione. Ha scritto un cardinale americano: «La preoccupazione fondamentale del modello ecclesiale è la comunione, e perciò il discernimento nella fede delle diversità dei doni e dello opere dello Spirito. Le esigenze del discernimento e le esigenze dell’ordine devono sempre coesistere, perché non si possono abbracciare le une e rigettare le altre: esse devono sempre esistere in tensione. Ma è sempre sbagliato quando le esigenze del discernimento vengono semplicemente eliminate a favore delle esigenze dell’ordine, ponendo in tal modo come bene supremo il controllo e il modello politico»10.

 

 I fondatori uomini di profezia

 Si fa urgente la necessità di dare spazio dentro la Chiesa e nella missione della Chiesa nel mondo alla contestazione profetica. Ma purtroppo sono stati molti i profeti che prima di essere accolti furono messi sotto accusa, emarginati, ridotti al silenzio. Per riconoscerne poi – post mortem in genere – l’autenticità e proclamandoli “dono” della libertà di Dio alla sua Chiesa. Un po’ di “pudore” a volte non guasterebbe...

Il caso più classico e frequente è quello dei fondatori di istituti religiosi. Quasi sempre nella fase iniziale della loro fondazione hanno incontrato una tenace ostilità negli ambienti ecclesiali, refrattari a riconoscere la carica di genuina novità della loro iniziativa. Tanto che un documento ufficiale della santa Sede qualche anno fa ha ammesso con lealtà: «Ogni autentico carisma porta con sé una certa carica di genuina novità nella vita della Chiesa e di particolare operosa intraprendenza, che nell’ambiente può forse apparire incomoda e può anche sollevare delle difficoltà, poiché non sempre e subito è facile riconoscerne la provenienza dallo Spirito» (Mutuae relationes, n. 12).

Ma il problema è più generale: si tratta della presenza della libertà carismatica e profetica nel sistema ecclesiale. La contestazione profetica, non può rientrare facilmente negli schemi, perché richiama alla coerenza fra vita e fede in termini e forme inquietanti. E perché non si lascia facilmente addomesticare, né l’emarginazione la avvilisce più di tanto (cfr. VC 84-85).

La libertà che si deve richiedere per i profeti – e si può includere sia i fondatori, che i teologi, che gli interpreti geniali e autentici delle esigenze evangeliche – è esigita anche dal bisogno di un paziente confronto con le nuove sfide culturali e sociali, alle quali si vuole dare risposta. Il “sentire ecclesiam” non va inteso solo nella forma dell’ossequio devoto o zelante alla gerarchia, purché nell’orizzonte dell’amore alla veritas ecclesiae. Vi si deve includere anche un riferimento alla sua missione, alla verità del Vangelo, alla opzione per i poveri, alla fedeltà al futuro della nostra speranza.

Con sapienza, ma anche sulla base della sua stessa esperienza, ha scritto Bernard Haering: «Tutti i veri profeti di Israele erano dotati di coscienza creativa. Essi sferzavano il legalismo senza cuore, le insensate lotte a difesa delle istituzioni umane e delle tradizioni obsolete. La vita di tutti i nostri santi, di quelli canonizzati e di molti altri, è una luminosa testimonianza di libertà e di fedeltà creativa. Nella loro coscienza essi erano completamente pervasi dal duplice comandamento dell’amore a Dio e al prossimo. E così avvenne che la loro coscienza si trasformasse in un vero e proprio sguardo d’amore, e facessero sempre nuove scoperte in ordine alla realizzazione storica del regno dell’amore e della giustizia»11.

Con parole piene di ispirazione, su questa linea avanzata il papa ha collocato la vita consacrata: «La vita consacrata ha il compito profetico di ricordare e servire il regno di Dio sugli uomini, come è annunciato dalla Scrittura e come emerge anche dall’attenta lettura dei segni dei tempi dell’azione provvidente di Dio nella storia... Per compiere opportunamente questo servizio, le persone consacrate devono avere una profonda esperienza di Dio e prendere coscienza delle sfide del proprio tempo, cogliendone il senso teologico profondo mediante il discernimento operato con l’aiuto dello Spirito... [Inoltre] la vita consacrata non si limiterà a leggere i segni dei tempi, ma contribuirà anche ad elaborare ed attuare nuovi progetti di evangelizzazione per le odierne situazioni. Tutto questo nella certezza di fede che lo Spirito sa dare anche alle domande più difficili le risposte appropriate» (VC 73).

 

Forme di libertà da vivere

 Il presente e il futuro dell’umanità esigono nuove forme di libertà, connotate di solidarietà e condivisione innovative: cioè nuove forme di comunità liberanti, che facciano testimonianza che la Chiesa – come comunità del discepoli dei crocifisso risorto – è la comunità che fa crescere uomini liberi, capaci di missione liberante.

Non avrebbe senso una vita consacrata che non entrasse in questa prospettiva. Essa deve assumersi il compito di entrare in questa prospettiva: alimentare una vita di discepolato e di apertura allo Spirito che porti a farsi carico anche delle strutture e del loro mutamento per un esercizio effettivo della libertà dell’uomo. La conversione del cuore, così enfatizzata da tutta la spiritualità, è conversione al profeta messianico dei poveri, e quindi ciò non toglie ma anzi postula e rafforza la necessità di un impegno per il cambiamento di strutture ingiuste.

Dobbiamo convincerci che la identificazione e la solidarietà con i poveri diviene il posto di nascita e il criterio della vera spiritualità cristiana oggi: perché la spiritualità non può essere separata dalla solidarietà e dall’impegno per la giustizia. Diceva Agostino: «La verità vi ha fatto liberi, la carità vi faccia servitori».

Vedrei come modello dell’atteggiamento cristiano verso la libertà e la liberazione, quanto ci è offerto da Maria: «l’icona perfetta della libertà e della liberazione dell’umanità e del cosmo» (Redemptoris Mater, 37). Il magnificat non ci presenta Maria come «una donna passivamente sottomessa o di una religiosità alienante, ma colei che canta Dio salvatore e liberatore, che rialza gli umili e gli oppressi e rovescia, all’occorrenza, i potenti dai loro troni».

Essa così diviene il modello compiuto del discepolo del Signore: «artefice della città eterna e temporale, ma pellegrino che si affretta verso la città celeste ed eterna; promotore della giustizia che libera l’oppresso e della carità che porta aiuto ai bisognosi, ma soprattutto testimone attivo dell’amore che Cristo edifica nei cuori» (Marialis cultus, 37).

La verità ci sorpassa tutti, e la libertà che da essa si deve generare è sempre più grande delle nostre spiegazioni e dei nostri modelli. E’ il mistero dell’uomo che vi si nasconde; è il nucleo della sua dignità. Ma è anche l’espressione dell’affetto perenne di quel Dio, ad immagine e somiglianza del quale l’uomo è stato creato libero, per poter entrare in vero dialogo col suo Creatore. «La fede, l’adorazione e l’amore hanno un profondo rapporto con la libertà umana»12.

   

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