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Ci sono persone
che per una vita intera hanno sempre cercato di essere istruite dagli
altri, mai hanno avuto il coraggio di tastarsi il polso da sole: e perciò
a tirare le somme poi non è facile stabilire dei punti chiave, dei
filoni dominanti, degli sviluppi propri. Hanno accettato un po’ di
tutto, senza distinguere valori e mode, vivendo di frammenti inventati
da altri. E ci sono invece persone che da sempre hanno cercato di
pensare in proprio, di muoversi con creatività, di coinvolgere gli
altri in progetti e iniziative che li facessero crescere.
Il
soffio del Concilio
Mi hanno
impressionato negli anni che sono seguiti al Concilio Vaticano II,
alcune figure di teologi, alcuni gruppi più coscientizzati, alcune
esperienze anche di vita religiosa, alcune iniziative editoriali che di
fatto hanno "mentalizzato" tantissimi, senza imporsi come
padroni delle loro idee. Penso per esempio al ruolo che ha avuto
l’editrice Queriniana di Brescia nel farci conoscere la migliore
produzione teologica internazionale; alle riviste e ai libri del Centro
Dehoniano di Bologna, senza i quali saremmo molto più sprovveduti e
ignoranti; al grande merito delle edizioni delle famiglie paoline
(religiosi e religiose) nello stimolare l’apertura di tutti alle nuove
sfide culturali e religiose. Penso anche alle molteplici comunità
neomonastiche, alle fraternità evangeliche, alle iniziative di
solidarietà e di spiritualità, accompagnate dalla convivenza fraterna.
Senza di loro oggi il Concilio sarebbe probabilmente meno ispiratore
della nostra vita.
Fra questi
maestri veri, ma anche senza ambizioni di farsi una fama, trovo giusto
ricordare il p. Mario Masini, un servo di Maria, biblista e mariologo,
ma anche un coordinatore efficace di tante iniziative biblico-pastorali.
All’apparenza è un uomo schivo e semplice: a vedere il suo curriculum
vitae, in particolare le sue iniziative con gli editori, però appare un
regista originale dell’aggiornamento teologico pastorale e
biblico-liturgico in Italia. La lunga serie di volumi "Parola di
Dio nell’Assemblea Festiva’ (PAF) (oltre 60 volumi, tradotti dal
francese, con notevoli aggiunte italiane, ed. Queriniana), i 13 volumi
di Ascolta la Parola. "Lectio divina per la liturgia domenicale e
festiva (Messaggero), i vari libri di lectio divina pubblicati negli
ultimi anni (specialmente con le Paoline), sono una prova di fecondità
e di passione, che davvero segnano una vita.
A coronamento di
tutto questo, giunge ora un grosso volume, intitolato: Spiritualità
biblica. Temi e percorsi, Ed. Paoline, Milano 2000. Vale la pena
richiamare l’attenzione dei nostri lettori: non solo per il libro in sé,
che è di valore, ma per le implicazioni che possiamo riscontrare con la
nostra attenzione alla spiritualità biblica. In questi anni la rivista
Consacrazione e Servizio, ha insistito su questa prospettiva, sia con
molti esempi di lectio divina, sia dando spazio a tematiche bibliche in
generale. Siccome a volte è di moda una spiritualità biblica, ma senza
sostanza né serietà, vorrei dire una parola su questo tema, a
beneficio delle nostre lettrici e dei lettori.
Saper
cambiare gamba
Scriveva
Wittgenstein: "E’ importante per me, nel filosofare, mutare
sempre posizione, non stare troppo a lungo su una gamba sola, per non
irrigidirmi". E’ un buon consiglio non solo per chi fa filosofia,
ma anche per chi fa esegesi: tanto più quando vuole rendere "viva
e penetrante" la Parola raccolta nelle Sacre Scritture. Stanno in
piedi su una gamba sola in tanti oggi, anche nel campo esegetico, non
dico poi in quello teologico: leggendo certi libroni pesanti e
difficili, si nota che gli autori sono talmente dalla loro gnosi e dal
labirinto ermeneutico in cui si sono rinserrati, che si dimenticano che
ogni verità per quanto sublime, per essere appetita e provocare
fascino, ha bisogno di letture molteplici, di incontri e incroci, ed
essere rivestita di poesia e stupore.
Tanto la teologia
- se vuole essere parola carica di sapore - quanto l’esegesi
dovrebbero avere una certa parentela con lo stupore dei poeti, con la
intuizione dei profeti, con la sapienza dei saggi, in una parola con la
libertà dei creativi. C’è una grammatica superficiale e una
grammatica profonda - riprendo ancora un concetto di Wittgenstein -
anche nel nostro linguaggio teologico, biblico, morale, spirituale, e
quanto altro. La grammatica profonda è sinonimo di comunicazione
intensa, dove domina il coraggio di discendere negli intimi recessi
della propria interiorità, dove lo scavo nelle variegate risonanze, per
esempio di un testo o di un tema, porta alla superficie gli strati più
preziosi e ispirativi di un’esperienza, di un evento storico, di una
memoria o di un lamento profetico.
Padre Masini
mostra a chi vuole scrivere di teologia e anche insegnarla, che l’arte
del parlare deve conformarsi più alla confessio che alla pura
comunicazione fredda. Deve diventare atto costitutivo di una sempre
rinnovata nascita, un nuovo inizio, un’apertura incessante. In certo
modo il migliore teologo, e direi anche il più valido esegeta, è colui
che sa suscitare stupore non semplice assenso pigro, colui che
trasgredisce le plausibilità condivise senza pathos per proporre altri
orizzonti che attraggono, colui che usa il filtro creativo e non quello
della pura manutenzione delle conoscenze. Colui che fa vibrare il cuore,
e non colui che cerca solo di "farsi capire" dai suoi
colleghi.
In questo
ponderoso libro del professore Masini io ho trovato una conferma e una
risposta a questa mia pretesa. Una conferma che secondo me - per quel
poco che io conosco e so capire della sua molteplice e originale
elaborazione, che in certo modo ho visto come accelerarsi e quasi
addensarsi nel giro degli ultimi anni - viene dalla stessa area di
interessi teologici che lo hanno reso maestro collaudato. Io ho in mente
in maniera particolare le sue molte pubblicazioni di saggi sulla lectio
divina.
Tanti libri, che
non sono stati scritti con la grammatica superficiale, ma con quella
profonda: a scriverli è certo l’esegeta informato su tutto lo spettro
dell’esegesi cristiana e rabbinica. Ma p. Mario Masini in quei libri
è anche il testimone di una assimilazione seria, dolorosa e feconda
delle virtualità della Parola di Dio. Come pure appare evidente la sua
partecipazione al carisma dei servi di Maria, per quel "sermo
sapientiae" che i testi offrono con tutta semplicità e
immediatezza, mentre vi riluce anche una densa autenticità. Non
inserisce a forza delle "zeppe mariane" dentro temi generali;
ma sa evidenziare consonanze e intrecci naturali, non forzati. E’ già
di per sé, fosse anche questo solo, un grande merito.
Alleanza
e messianismo: temi dominanti
Non mi addentro
nella presentazione in dettaglio della struttura di questa specie di
opus magnum che in certo modo sembra riassumere le ragioni più solide e
le intuizioni più originali di una intera vita dedicata al
"servizio della Parola". Egli ha scelto sette grandi temi
biblico-teologici, da cui si dipartono poi innumerevoli percorsi, in cui
si incrociano tradizioni culturali, esegesi rabbinica e letteratura
giudaica, contesti antichi e nuovi. Certamente su alcuni temi la sua
attenzione - e anche la sua competenza - si espande in misura diseguale
rispetto ad altri: è il caso per esempio dell’alleanza e del
messianismo, che da soli occupano il 60 per cento del libro. Potrebbe
essere uno scompenso organizzativo: ma io vi leggo invece come le due
chiavi ermeneutiche della sua stessa ricerca teologica e del suo lavoro
esegetico.
Bisogna leggere
con attenzione questa lunga serie di applicazioni e di esplicazioni sui
due temi dominanti, che di continuo si ampliano. Il lettore attento
tuttavia può riconoscere facilmente un testimone della fedeltà
dinamica e creatrice di Dio espressa nell’alleanza e il suo stupore
per la forza misteriosa di attesa e profezia che il tema del Messia (e
del messianismo) suscita e ha suscitato sia nella prima, che nella
definitiva alleanza. L’erudizione vi appare abbondante, le digressioni
talora sembrano superflue, la curiosità culturale si direbbe anche non
necessaria: ma attraverso ogni digressione si è come sollecitati a
tessere tutto insieme, a cogliere nell’ordito così variegato un piano
intenzionale che tutto unifica, anche le note culturalmente obsolete.
Mi pare che si
potrebbe affermare che per p. Masini questi due paradigmi - l’alleanza
e il messianismo - sono "come il lampo che esce dal levante e si
mostra fino a ponente" (Mt 24,27). Con questi due estremi, tutto
viene tirato all’unità. Vale a dire essi cioè attraversano
l’intero spettro del dialogo e della comunione di Dio con la storia
umana, e ancora fermentano questa storia ora, con brividi di utopie e di
speranza indomita. Sono come i grandi piloni che sostengono i lunghi
punti gettati sopra acque profonde: in genere sono due, enormi, piantati
in profondità ed elevati nel panorama, e sostengono tutto, da una
sponda all’altra. In fondo pure lui parla di archi tesi nella sua
prefazione...
Tenuta presente
bene la funzione di queste due tematiche dominanti, allora si capisce
anche meglio la funzione delle altre quattro, che completano il libro:
il popolo di Dio, Gesù, il discepolo di Gesù, il testimone della sua
risurrezione. Questi temi giustamente non hanno uno sviluppo
paragonabile ai precedenti: perché in certo modo vi sono incluse, ne
dipendono e ne sono risonanza, e poi di fatto li traducono in
conseguenza esplicativa o pratica. L’ultima pagina del libro ne è
come una affermazione evidente: proprio in quelle dense battute finali
ritornano i grandi temi, raccolti in unità sincronica.
Spiegazione
dei termini
Questa tendenza a
raccogliere in sintesi chiara e decisa ciò che forse rischiava di
sfilacciarsi e disperdersi, lo ho notato anche nelle annotazioni sulla
"spiritualità", che occhieggiano qua e là dentro la
trattazione dei temi. Dopo la explicatio terminorum dell’introduzione
generale - vi tornerò sopra subito - la promessa fatta nel titolo del
libro, "spiritualità biblica" sembra obliata, in quanto
appare più una implicita ammissione (qua e là affiorante da qualche
battuta) che un esercizio di continua tematizzazione.
Ma tornando al
discorso sulla spiritualità, di fatto all’interno delle grandi
trattazioni, affiorano riflessioni e applicazioni pertinenti e non
banali in relazione alla "spiritualità biblica". Sono squarci
molto validi, richiami pertinenti non moraleggianti, e fanno intuire
molto di più di quanto non dicano. Specialmente negli ultimi capitoli
essi impreziosiscono la trattazione e la aprono ad orizzonti di vita e
di senso che ho gustato e anche ammirato.
Queste
applicazioni "spirituali" di sostanza, non puramente emotivi o
banali, potrebbero essere giudicati un po’ poco frequenti, forse anche
perché espressi in un linguaggio eccessivamente guardingo e quasi con
pudore. Capisco da lì meglio quell’avvertenza detta all’inizio, cioè
di non voler scadere "in inflessioni ascetiche o in escursioni
devozionistiche" (p. 6). Mi sembra una sana preoccupazione, e visto
il proliferare di un gran mercato di cianfrusaglie - anche di
intonazione biblica, presentate come frutto di "spiritualità
biblica" (si pensi solo alle collane di "lectio divina",
che hanno un ottimo marketing ora) - la sua sobrietà ed essenzialità,
è ben venuta.
Ma a me sarebbe
piaciuto che avesse avuto l’ardire di rischiare un po’ di più in
questo ambito. Se non lo fanno i biblisti come p. Masini - che oltre
tutto per esperienza personale diuturna e per collocazione ecclesiale -
come consacrato alla sequela radicale del Maestro Signore Gesù - ha
familiarità con le risonanze non emotive ma vitali della Parola di vita
- chi altri lo può fare? A meno che anche lui, assieme a tanti esegeti,
non sia preso da insano rispetto umano: debordare nel campo della
spiritualità, far riferimento per esempio alla esegesi spirituale dei
grandi maestri e dei grandi mistici, talora è accolto con un sorriso di
sufficienza (se non di compatimento) dai grandi luminari. Spero di
sbagliarmi attribuendogli questo rispetto umano.
Ma già che vi ho
accennato, mi sia consentito di ampliare il tema. Io credo che anche
questa specie di consensus doctorum - cioè il fastidio degli esegeti
per ogni aggancio con la "spiritualità" non sia da approvare
né da incoraggiare. Ed è anche molto dannoso, almeno tanto quanto è
diffuso e condiviso. Perché prima di tutto non corrisponde al senso
vero e teologico della Parola di Dio: essa è parola per la vita, non
campo neutro dove esercitarsi in ogni genere di ermeutiche, a
prescindere dall’interpellazione personale e vitale. In secondo luogo
perché non è disprezzando le "derive devozionistiche" e le
letture emotive che si rimedia a un vuoto di Parola vitale nella vita
dei credenti.
Se in altri
contesti e situazioni ecclesiali la Parola di Dio è stata esiliata e
perfino vietata - anche delle traduzioni della Bibbia si sono fatti
roghi pubblici! - oggi per la nostra nuova coscienza ecclesiale non
possiamo fare a meno di alimentarci a questa "sorgente pura e
perenne di vita spirituale" (DV 21). Purché appunto sia una
"sorgente", e non acqua di laboratorio, perfetta composizione
di H2O, ma sterilizzata.
Spiritualità,
in che senso
Il titolo
generale viene illustrato e chiarito nelle prime 80 pagine del libro. La
"spiritualità biblica" viene spiegata sia quanto al senso da
dare alla parola "spiritualità" - ho notato che però manca
la nota "ecclesiale", cosa che viene di fatto fuori poi nel
capitolo sul popolo di Dio - sia soprattutto sulla connotazione
"biblica". Quest’ultima è esposta attraverso il commentario
della parabola del seminatore e degli esiti diversificati di quella
semina. Mi è sembrato un approccio interessante e corretto. Si sa che
Paolo in questo campo ha dei suggerimenti utili sull’"uomo
spirituale" e su l’"uomo carnale", sui "frutti
dello Spirito", sulla età adulta e sui perfetti nella fede. Ma si
potrebbe aggiungere di più.
Per queste
ragioni. Anzitutto il senso di "spiritualità" non può essere
dedotto unicamente dalle allusioni bibliche: esse sono certamente di
sostanza, ma esiste anche tutto uno sviluppo storico, di esperienze e di
teorie sul significato, l’applicazione, le esigenze della spiritualità,
che non si possono ignorare. Ciò che purtroppo normalmente si vede
fare: esegeti e teologi che parlano di spiritualità con molto calore e
convinzione, ma senza aver mai letto probabilmente nessun trattato di
teologia spirituale e neppure una storia della spiritualità. A mio
parere questa è una lacuna grave. Che ha poi le sue conseguenze
sconcertanti. E faccio un esempio concreto.
Ed è qui la
seconda ragione. Chi se ne intende sa benissimo che nelle grandi
tradizioni spirituali, specie in quelle mistiche, ci sono dei libri
biblici più ispirativi rispetto ad altri. E’ il caso per esempio del
Cantico dei Cantici. E’ un classico di ogni vero e grande mistico.
Eppure di solito chi scrive di spiritualità biblica neppure lo sa: si
veda la storia della spiritualità dell’Antico Testamento edita dalle
Dehoniane o da Borla, per verificarlo. Si può parlare di
"spiritualità biblica" senza tener conto della "storia
degli effetti" che i vari libri e simboli biblici hanno avuto di
fatto nei grandi spirituali? Altri esempi potrebbe essere addotti: si
pensi alla notte, alla nuzialità, alla cognitio per amorem, ecc. In
genere gli esegeti quasi ignorano queste grandi categorie spirituali.
Una terza ragione
consiste nel tener presenti le esigenze del così detto orizzonte delle
aspettative (i tedeschi lo chiamano Erwartungshorizont): in altre parole
si tratta della seria attenzione alle domande dei nostri contemporanei,
alle loro attese, alla ricerca di senso, anche alla "spiritualità
vitale" che domina la domanda attuale. La spiritualità come
riflessione teologica sta cercando di entrare in dialogo con questo
contesto, di elaborare risposte tenendo conto delle domande e delle
attese, di modificare di conseguenza i suoi schemi per parlare al
"cuore del popolo". Il lavoro dei biblisti, che vogliono dire
una parola di "spiritualità" può farne a meno",
snobbare, o magari perfino disprezzare?
Conclusione
Attraverso questo
libro, e con le sue continue ricadute - almeno in modo allusivo, ma non
banale - sul vissuto, su quella che l’autore di continuo ha chiamata
"spiritualità biblica" come formula assoluta, mi pare che il
dialogo tra biblisti e spiritualisti ha ricevuto un contributo notevole;
anche se non del tutto risolutivo. Ma accostando questo lavoro
magistrale alle altre pubblicazioni sulla lectio divina tanto per fare
una citazione che torna a suo onore per la molteplice attività in
proprio o con la collaborazione di altri - si può affermare che la
"grammatica profonda" è stata esercitata in tutte le sue
regole e sfumature.
Davvero, e grazie
anche ai contributi numerosi e qualificati del p. Mario Masini, la
ricerca biblica e la sua elaborazione teologica, quando vuole offrire
linee di spiritualità, non si regge più su una gamba sola, e non canta
più per proprio conto. Vedo così avviarsi a realizzazione quella
affermazione - a volte poco recepita - della Dei Verbum: "cresce
infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse,
sia con la contemplazione e lo studio dei credenti, che le meditano nel
loro cuore (cf Lc 2,19,51), sia con l’intelligenza attinta
dall’esperienza profonda delle cose spirituali, sia con la
predicazione... La chiesa, in altre parole, nel corso dei secoli tende
incessantemente alla pienezza della verità divina, finchè in essa
giungano a compimento le parole di Dio" (DV 8).
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