n. 4 aprile 2001

 

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Temi e percorsi di spiritualità biblica
di Bruno Secondin
 

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Ci sono persone che per una vita intera hanno sempre cercato di essere istruite dagli altri, mai hanno avuto il coraggio di tastarsi il polso da sole: e perciò a tirare le somme poi non è facile stabilire dei punti chiave, dei filoni dominanti, degli sviluppi propri. Hanno accettato un po’ di tutto, senza distinguere valori e mode, vivendo di frammenti inventati da altri. E ci sono invece persone che da sempre hanno cercato di pensare in proprio, di muoversi con creatività, di coinvolgere gli altri in progetti e iniziative che li facessero crescere.

 Il soffio del Concilio

Mi hanno impressionato negli anni che sono seguiti al Concilio Vaticano II, alcune figure di teologi, alcuni gruppi più coscientizzati, alcune esperienze anche di vita religiosa, alcune iniziative editoriali che di fatto hanno "mentalizzato" tantissimi, senza imporsi come padroni delle loro idee. Penso per esempio al ruolo che ha avuto l’editrice Queriniana di Brescia nel farci conoscere la migliore produzione teologica internazionale; alle riviste e ai libri del Centro Dehoniano di Bologna, senza i quali saremmo molto più sprovveduti e ignoranti; al grande merito delle edizioni delle famiglie paoline (religiosi e religiose) nello stimolare l’apertura di tutti alle nuove sfide culturali e religiose. Penso anche alle molteplici comunità neomonastiche, alle fraternità evangeliche, alle iniziative di solidarietà e di spiritualità, accompagnate dalla convivenza fraterna. Senza di loro oggi il Concilio sarebbe probabilmente meno ispiratore della nostra vita.

Fra questi maestri veri, ma anche senza ambizioni di farsi una fama, trovo giusto ricordare il p. Mario Masini, un servo di Maria, biblista e mariologo, ma anche un coordinatore efficace di tante iniziative biblico-pastorali. All’apparenza è un uomo schivo e semplice: a vedere il suo curriculum vitae, in particolare le sue iniziative con gli editori, però appare un regista originale dell’aggiornamento teologico pastorale e biblico-liturgico in Italia. La lunga serie di volumi "Parola di Dio nell’Assemblea Festiva’ (PAF) (oltre 60 volumi, tradotti dal francese, con notevoli aggiunte italiane, ed. Queriniana), i 13 volumi di Ascolta la Parola. "Lectio divina per la liturgia domenicale e festiva (Messaggero), i vari libri di lectio divina pubblicati negli ultimi anni (specialmente con le Paoline), sono una prova di fecondità e di passione, che davvero segnano una vita.

A coronamento di tutto questo, giunge ora un grosso volume, intitolato: Spiritualità biblica. Temi e percorsi, Ed. Paoline, Milano 2000. Vale la pena richiamare l’attenzione dei nostri lettori: non solo per il libro in sé, che è di valore, ma per le implicazioni che possiamo riscontrare con la nostra attenzione alla spiritualità biblica. In questi anni la rivista Consacrazione e Servizio, ha insistito su questa prospettiva, sia con molti esempi di lectio divina, sia dando spazio a tematiche bibliche in generale. Siccome a volte è di moda una spiritualità biblica, ma senza sostanza né serietà, vorrei dire una parola su questo tema, a beneficio delle nostre lettrici e dei lettori.

 Saper cambiare gamba

Scriveva Wittgenstein: "E’ importante per me, nel filosofare, mutare sempre posizione, non stare troppo a lungo su una gamba sola, per non irrigidirmi". E’ un buon consiglio non solo per chi fa filosofia, ma anche per chi fa esegesi: tanto più quando vuole rendere "viva e penetrante" la Parola raccolta nelle Sacre Scritture. Stanno in piedi su una gamba sola in tanti oggi, anche nel campo esegetico, non dico poi in quello teologico: leggendo certi libroni pesanti e difficili, si nota che gli autori sono talmente dalla loro gnosi e dal labirinto ermeneutico in cui si sono rinserrati, che si dimenticano che ogni verità per quanto sublime, per essere appetita e provocare fascino, ha bisogno di letture molteplici, di incontri e incroci, ed essere rivestita di poesia e stupore.

Tanto la teologia - se vuole essere parola carica di sapore - quanto l’esegesi dovrebbero avere una certa parentela con lo stupore dei poeti, con la intuizione dei profeti, con la sapienza dei saggi, in una parola con la libertà dei creativi. C’è una grammatica superficiale e una grammatica profonda - riprendo ancora un concetto di Wittgenstein - anche nel nostro linguaggio teologico, biblico, morale, spirituale, e quanto altro. La grammatica profonda è sinonimo di comunicazione intensa, dove domina il coraggio di discendere negli intimi recessi della propria interiorità, dove lo scavo nelle variegate risonanze, per esempio di un testo o di un tema, porta alla superficie gli strati più preziosi e ispirativi di un’esperienza, di un evento storico, di una memoria o di un lamento profetico.

Padre Masini mostra a chi vuole scrivere di teologia e anche insegnarla, che l’arte del parlare deve conformarsi più alla confessio che alla pura comunicazione fredda. Deve diventare atto costitutivo di una sempre rinnovata nascita, un nuovo inizio, un’apertura incessante. In certo modo il migliore teologo, e direi anche il più valido esegeta, è colui che sa suscitare stupore non semplice assenso pigro, colui che trasgredisce le plausibilità condivise senza pathos per proporre altri orizzonti che attraggono, colui che usa il filtro creativo e non quello della pura manutenzione delle conoscenze. Colui che fa vibrare il cuore, e non colui che cerca solo di "farsi capire" dai suoi colleghi.

In questo ponderoso libro del professore Masini io ho trovato una conferma e una risposta a questa mia pretesa. Una conferma che secondo me - per quel poco che io conosco e so capire della sua molteplice e originale elaborazione, che in certo modo ho visto come accelerarsi e quasi addensarsi nel giro degli ultimi anni - viene dalla stessa area di interessi teologici che lo hanno reso maestro collaudato. Io ho in mente in maniera particolare le sue molte pubblicazioni di saggi sulla lectio divina.

Tanti libri, che non sono stati scritti con la grammatica superficiale, ma con quella profonda: a scriverli è certo l’esegeta informato su tutto lo spettro dell’esegesi cristiana e rabbinica. Ma p. Mario Masini in quei libri è anche il testimone di una assimilazione seria, dolorosa e feconda delle virtualità della Parola di Dio. Come pure appare evidente la sua partecipazione al carisma dei servi di Maria, per quel "sermo sapientiae" che i testi offrono con tutta semplicità e immediatezza, mentre vi riluce anche una densa autenticità. Non inserisce a forza delle "zeppe mariane" dentro temi generali; ma sa evidenziare consonanze e intrecci naturali, non forzati. E’ già di per sé, fosse anche questo solo, un grande merito.

Alleanza e messianismo: temi dominanti

Non mi addentro nella presentazione in dettaglio della struttura di questa specie di opus magnum che in certo modo sembra riassumere le ragioni più solide e le intuizioni più originali di una intera vita dedicata al "servizio della Parola". Egli ha scelto sette grandi temi biblico-teologici, da cui si dipartono poi innumerevoli percorsi, in cui si incrociano tradizioni culturali, esegesi rabbinica e letteratura giudaica, contesti antichi e nuovi. Certamente su alcuni temi la sua attenzione - e anche la sua competenza - si espande in misura diseguale rispetto ad altri: è il caso per esempio dell’alleanza e del messianismo, che da soli occupano il 60 per cento del libro. Potrebbe essere uno scompenso organizzativo: ma io vi leggo invece come le due chiavi ermeneutiche della sua stessa ricerca teologica e del suo lavoro esegetico.

Bisogna leggere con attenzione questa lunga serie di applicazioni e di esplicazioni sui due temi dominanti, che di continuo si ampliano. Il lettore attento tuttavia può riconoscere facilmente un testimone della fedeltà dinamica e creatrice di Dio espressa nell’alleanza e il suo stupore per la forza misteriosa di attesa e profezia che il tema del Messia (e del messianismo) suscita e ha suscitato sia nella prima, che nella definitiva alleanza. L’erudizione vi appare abbondante, le digressioni talora sembrano superflue, la curiosità culturale si direbbe anche non necessaria: ma attraverso ogni digressione si è come sollecitati a tessere tutto insieme, a cogliere nell’ordito così variegato un piano intenzionale che tutto unifica, anche le note culturalmente obsolete.

Mi pare che si potrebbe affermare che per p. Masini questi due paradigmi - l’alleanza e il messianismo - sono "come il lampo che esce dal levante e si mostra fino a ponente" (Mt 24,27). Con questi due estremi, tutto viene tirato all’unità. Vale a dire essi cioè attraversano l’intero spettro del dialogo e della comunione di Dio con la storia umana, e ancora fermentano questa storia ora, con brividi di utopie e di speranza indomita. Sono come i grandi piloni che sostengono i lunghi punti gettati sopra acque profonde: in genere sono due, enormi, piantati in profondità ed elevati nel panorama, e sostengono tutto, da una sponda all’altra. In fondo pure lui parla di archi tesi nella sua prefazione...

Tenuta presente bene la funzione di queste due tematiche dominanti, allora si capisce anche meglio la funzione delle altre quattro, che completano il libro: il popolo di Dio, Gesù, il discepolo di Gesù, il testimone della sua risurrezione. Questi temi giustamente non hanno uno sviluppo paragonabile ai precedenti: perché in certo modo vi sono incluse, ne dipendono e ne sono risonanza, e poi di fatto li traducono in conseguenza esplicativa o pratica. L’ultima pagina del libro ne è come una affermazione evidente: proprio in quelle dense battute finali ritornano i grandi temi, raccolti in unità sincronica.

Spiegazione dei termini

Questa tendenza a raccogliere in sintesi chiara e decisa ciò che forse rischiava di sfilacciarsi e disperdersi, lo ho notato anche nelle annotazioni sulla "spiritualità", che occhieggiano qua e là dentro la trattazione dei temi. Dopo la explicatio terminorum dell’introduzione generale - vi tornerò sopra subito - la promessa fatta nel titolo del libro, "spiritualità biblica" sembra obliata, in quanto appare più una implicita ammissione (qua e là affiorante da qualche battuta) che un esercizio di continua tematizzazione.

Ma tornando al discorso sulla spiritualità, di fatto all’interno delle grandi trattazioni, affiorano riflessioni e applicazioni pertinenti e non banali in relazione alla "spiritualità biblica". Sono squarci molto validi, richiami pertinenti non moraleggianti, e fanno intuire molto di più di quanto non dicano. Specialmente negli ultimi capitoli essi impreziosiscono la trattazione e la aprono ad orizzonti di vita e di senso che ho gustato e anche ammirato.

Queste applicazioni "spirituali" di sostanza, non puramente emotivi o banali, potrebbero essere giudicati un po’ poco frequenti, forse anche perché espressi in un linguaggio eccessivamente guardingo e quasi con pudore. Capisco da lì meglio quell’avvertenza detta all’inizio, cioè di non voler scadere "in inflessioni ascetiche o in escursioni devozionistiche" (p. 6). Mi sembra una sana preoccupazione, e visto il proliferare di un gran mercato di cianfrusaglie - anche di intonazione biblica, presentate come frutto di "spiritualità biblica" (si pensi solo alle collane di "lectio divina", che hanno un ottimo marketing ora) - la sua sobrietà ed essenzialità, è ben venuta.

Ma a me sarebbe piaciuto che avesse avuto l’ardire di rischiare un po’ di più in questo ambito. Se non lo fanno i biblisti come p. Masini - che oltre tutto per esperienza personale diuturna e per collocazione ecclesiale - come consacrato alla sequela radicale del Maestro Signore Gesù - ha familiarità con le risonanze non emotive ma vitali della Parola di vita - chi altri lo può fare? A meno che anche lui, assieme a tanti esegeti, non sia preso da insano rispetto umano: debordare nel campo della spiritualità, far riferimento per esempio alla esegesi spirituale dei grandi maestri e dei grandi mistici, talora è accolto con un sorriso di sufficienza (se non di compatimento) dai grandi luminari. Spero di sbagliarmi attribuendogli questo rispetto umano.

Ma già che vi ho accennato, mi sia consentito di ampliare il tema. Io credo che anche questa specie di consensus doctorum - cioè il fastidio degli esegeti per ogni aggancio con la "spiritualità" non sia da approvare né da incoraggiare. Ed è anche molto dannoso, almeno tanto quanto è diffuso e condiviso. Perché prima di tutto non corrisponde al senso vero e teologico della Parola di Dio: essa è parola per la vita, non campo neutro dove esercitarsi in ogni genere di ermeutiche, a prescindere dall’interpellazione personale e vitale. In secondo luogo perché non è disprezzando le "derive devozionistiche" e le letture emotive che si rimedia a un vuoto di Parola vitale nella vita dei credenti.

Se in altri contesti e situazioni ecclesiali la Parola di Dio è stata esiliata e perfino vietata - anche delle traduzioni della Bibbia si sono fatti roghi pubblici! - oggi per la nostra nuova coscienza ecclesiale non possiamo fare a meno di alimentarci a questa "sorgente pura e perenne di vita spirituale" (DV 21). Purché appunto sia una "sorgente", e non acqua di laboratorio, perfetta composizione di H2O, ma sterilizzata.

 Spiritualità, in che senso

Il titolo generale viene illustrato e chiarito nelle prime 80 pagine del libro. La "spiritualità biblica" viene spiegata sia quanto al senso da dare alla parola "spiritualità" - ho notato che però manca la nota "ecclesiale", cosa che viene di fatto fuori poi nel capitolo sul popolo di Dio - sia soprattutto sulla connotazione "biblica". Quest’ultima è esposta attraverso il commentario della parabola del seminatore e degli esiti diversificati di quella semina. Mi è sembrato un approccio interessante e corretto. Si sa che Paolo in questo campo ha dei suggerimenti utili sull’"uomo spirituale" e su l’"uomo carnale", sui "frutti dello Spirito", sulla età adulta e sui perfetti nella fede. Ma si potrebbe aggiungere di più.

Per queste ragioni. Anzitutto il senso di "spiritualità" non può essere dedotto unicamente dalle allusioni bibliche: esse sono certamente di sostanza, ma esiste anche tutto uno sviluppo storico, di esperienze e di teorie sul significato, l’applicazione, le esigenze della spiritualità, che non si possono ignorare. Ciò che purtroppo normalmente si vede fare: esegeti e teologi che parlano di spiritualità con molto calore e convinzione, ma senza aver mai letto probabilmente nessun trattato di teologia spirituale e neppure una storia della spiritualità. A mio parere questa è una lacuna grave. Che ha poi le sue conseguenze sconcertanti. E faccio un esempio concreto.

Ed è qui la seconda ragione. Chi se ne intende sa benissimo che nelle grandi tradizioni spirituali, specie in quelle mistiche, ci sono dei libri biblici più ispirativi rispetto ad altri. E’ il caso per esempio del Cantico dei Cantici. E’ un classico di ogni vero e grande mistico. Eppure di solito chi scrive di spiritualità biblica neppure lo sa: si veda la storia della spiritualità dell’Antico Testamento edita dalle Dehoniane o da Borla, per verificarlo. Si può parlare di "spiritualità biblica" senza tener conto della "storia degli effetti" che i vari libri e simboli biblici hanno avuto di fatto nei grandi spirituali? Altri esempi potrebbe essere addotti: si pensi alla notte, alla nuzialità, alla cognitio per amorem, ecc. In genere gli esegeti quasi ignorano queste grandi categorie spirituali.

Una terza ragione consiste nel tener presenti le esigenze del così detto orizzonte delle aspettative (i tedeschi lo chiamano Erwartungshorizont): in altre parole si tratta della seria attenzione alle domande dei nostri contemporanei, alle loro attese, alla ricerca di senso, anche alla "spiritualità vitale" che domina la domanda attuale. La spiritualità come riflessione teologica sta cercando di entrare in dialogo con questo contesto, di elaborare risposte tenendo conto delle domande e delle attese, di modificare di conseguenza i suoi schemi per parlare al "cuore del popolo". Il lavoro dei biblisti, che vogliono dire una parola di "spiritualità" può farne a meno", snobbare, o magari perfino disprezzare?

Conclusione

Attraverso questo libro, e con le sue continue ricadute - almeno in modo allusivo, ma non banale - sul vissuto, su quella che l’autore di continuo ha chiamata "spiritualità biblica" come formula assoluta, mi pare che il dialogo tra biblisti e spiritualisti ha ricevuto un contributo notevole; anche se non del tutto risolutivo. Ma accostando questo lavoro magistrale alle altre pubblicazioni sulla lectio divina tanto per fare una citazione che torna a suo onore per la molteplice attività in proprio o con la collaborazione di altri - si può affermare che la "grammatica profonda" è stata esercitata in tutte le sue regole e sfumature.

Davvero, e grazie anche ai contributi numerosi e qualificati del p. Mario Masini, la ricerca biblica e la sua elaborazione teologica, quando vuole offrire linee di spiritualità, non si regge più su una gamba sola, e non canta più per proprio conto. Vedo così avviarsi a realizzazione quella affermazione - a volte poco recepita - della Dei Verbum: "cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti, che le meditano nel loro cuore (cf Lc 2,19,51), sia con l’intelligenza attinta dall’esperienza profonda delle cose spirituali, sia con la predicazione... La chiesa, in altre parole, nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finchè in essa giungano a compimento le parole di Dio" (DV 8).

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