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Gli
studiosi affermano che abbiamo due tipi di intelligenza: l’intelligenza
razionale e l’intelligenza emotiva, dette anche intelligenza interpersonale
e intrapersonale.
Secondo Gardner:
«L’intelligenza interpersonale è la capacità di comprendere gli altri, le
loro motivazioni e il loro modo di lavorare, scoprendo nel contempo in che modo
sia possibile interagire con essi in maniera cooperativa. I venditori di
successo, i politici, gli insegnanti, i clinici e i leader religiosi sono
probabilmente individui con un elevato grado di intelligenza interpersonale.
L’intelligenza intrapersonale (…) è una capacità correlativa rivolta
verso l’interno: è l’abilità di formarsi un modello accurato e veritiero di se
stessi e di usarlo per operare efficacemente nella vita»1.
Questi due tipi di intelligenza sono, ovviamente, entrambi buoni e positivi per
fare di ogni individuo una persona equilibrata e matura, purché usati entrambi
in modo e tempo opportuni. La mente che pensa e quella che sente sono, infatti,
luoghi importanti di conoscenza e solo se sono usate in modo equilibrato
interagiscono efficacemente e armonicamente, facendo della persona un essere
umano cosciente e padrone di sé, delle proprie azioni e dei propri sentimenti.
Non tener conto in modo adeguato di questo sano equilibrio psichico può creare
problemi molto gravi, inducendo ad agire o per puro istinto o in modo
freddamente razionale, rendendo la persona simile o a un animaletto, che agisce
solo per istinto, o a un robot…
Questa breve introduzione sui
nostri due tipi di intelligenza può darci lo spunto per interrogarci su un
fenomeno – che è una piaga comunitaria – che accade sovente nella nostra vita
quotidiana: la mormorazione (vedi anche l’articolo di Russotto, in questo stesso
numero).
La critica negativa, la
maldicenza, la mormorazione, il pettegolezzo, il gossip,
l’interpretazione distorta degli atteggiamenti e delle azioni delle persone che
ci vivono accanto possono diventare una piaga purulenta che avvelena la vita
comune e rende il vivere insieme un vero, piccolo inferno.
Essere interpretati male,
sentirsi giudicati negativamente, essere accusate falsamente di cose dette o di
azioni fatte può rendere molto difficile la vita di un gruppo o di una comunità,
perché toglie le forze, crea amarezza, uccide la speranza, inibisce la
spontaneità e crea malumore, scontentezza, malignità, frustrazione.
Non credo che il Signore Gesù
possa trovarsi bene in una casa o una comunità dove si pratica questa deleteria
“occupazione”! Ma la nostra non è, per eccellenza, l’occupazione della
misericordia, dell’accoglienza, dell’amore gratuito? La nostra vocazione non è
quella di accogliere spassionatamente e aiutare il prossimo ad uscire dalla
propria confusione, dal groviglio delle analisi interiori, dai propri sensi di
colpa, per aprirsi alla vita e dare il meglio di sé? Si può ottenere ciò con la
critica distruttiva e la mormorazione? Perché vogliamo imporre sulle spalle del
prossimo dei pesi schiaccianti che noi non vorremmo toccare neppure con un dito?
E’ l’amore che ci spinge a fare così? Perché, allora, non ci impegniamo a fondo
per togliere questa pessima abitudine dai nostri ambienti, che mina alla radice
la carità? Ognuna, ognuno, ha il diritto di sentirsi accolta, compresa, aiutata,
valorizzata per quello che è, nella differenza e nella propria “originalità”. Se
c’è qualcosa da cambiare, cambierà quando arriverà l’ora di Dio, non la nostra.
A noi è chiesto soltanto di amare, compatire, condividere, fare comunione. E,
poi, domandiamoci: perché abbiamo sempre da ridire su tutto e su tutti? Perché
non riusciamo ad avere uno sguardo benevole e misericordioso verso le sorelle e
i fratelli che ci stanno accanto? Siamo proprio sicure che il nostro metro
coincida con quello di Dio? Noi siamo la misura di tutti e di tutto? Eppure il
Vangelo ci ricorda che solo Dio è la misura di tutto e «con la misura con la
quale misuriamo, saremo misurati», e Giovanni della Croce sostiene che alla fine
della nostra vita saremo giudicati sulla carità!... Ognuna, e ognuno, quindi,
dovrà rispondere di se stesso/a: di ciò che ha fatto e di ciò che ha pensato, di
quali relazioni ha instaurato e di quali pensieri si è nutrita… di come e di
quanto ha amato e si è fatta dono per gli altri… non deve rispondere di che cosa
hanno fatto le sorelle o i fratelli, di come si sono comportati o di che cosa
hanno pensato… Semmai dovremo rispondere di che cosa abbiamo fatto per
comprendere e aiutare la sorella o il fratello in difficoltà; quanto amore
abbiamo donato loro perché potessero sentirsi bene nella loro pelle e fossero
capaci di uscire dal loro bozzolo per dischiudersi alla vita, alla libertà,
all’amore. Se continuiamo a lamentarci e a criticare gli altri, vuol dire
proprio che non abbiamo risolto i nostri problemi di fondo e che, forse, ci
lasciamo guidare solo e sempre dall’intelligenza emotiva, senza equilibrarla con
l’intelligenza razionale. In questo caso – saggezza vuole – che smettiamo di
agire da persone stolte: persone che si lasciano guidare dagli istinti, dalle
impressioni, dagli umori del momento, da sentimenti di antipatia, invidia,
gelosia, ecc., per seguire soltanto l’esempio del Signore Gesù, che «da ricco si
fece povero, per arricchire tutti della sua povertà».
L’autorità costituita può porre
un freno alla maldicenza e alla critica distruttiva di qualche sorella, o
fratello, bloccandone le confidenze e facendo rilevare l’aspetto positivo della
persona criticata, oppure chiedendo un confronto tra la persona che accusa o
sparla e la persona accusata…
Se solo pensassimo al male che
possiamo fare criticando negativamente il prossimo, alla stima che perdiamo noi
stesse, di come ci sviliamo mentre sparliamo di un’altra persona, non lo faremmo
mai più e, certamente, non vorremmo che qualcuno criticasse negativamente noi e
le nostre azioni… Il Vangelo di Gesù ci ha insegnato a fare agli altri quello
che vorremmo fosse fatto a noi! Dovremmo, forse, esaminarci più a fondo sul
nostro modo di fare e di agire. Dovremmo metterci più spesso nei panni degli
altri con una sana empatia e cercare di capirli/e benevolmente e senza
pregiudizi. La vera spiritualità è comunione ed è armonia nella diversità, non è
certo uniformità… non dobbiamo appiattirci sull’uniformità, perché la diversità
è ricchezza irrinunciabile e insostituibile. Dobbiamo proprio imparare a usare
l’intelligenza razionale insieme a quella emotiva, supportandole con gli
insegnamenti e gli esempi del nostro Salvatore e Redentore…, solo così
diventeremo creature nuove, fratelli e sorelle di ogni persona, figlie e figli
di uno stesso Padre.
Diversamente potrebbe accadere
a noi ciò che accadde a Maria, la sorella di Mosè e di Aronne:
«Maria e Aronne parlarono
contro Mosè a causa della donna etiope che aveva sposata; infatti aveva sposato
un’etiope. Dissero: “ Il Signore ha forse parlato soltanto per mezzo di Mosè?
Non ha parlato anche per mezzo nostro?”. Il Signore udì (…). L’ira del Signore
si accese contro di loro ed Egli se ne andò; la nuvola si ritirò di sopra alla
tenda ed ecco Maria era lebbrosa, bianca come neve; Aronne guardò Maria ed ecco
era lebbrosa…» (Nm,
12, 1-16).
La mormorazione non paga,
lo sappiamo bene, non costruisce nulla, non recupera alcuna persona, non apre il
cuore all’amore vicendevole, ma ci chiude nell’egoismo, distruggendo tutto
quello che incontra, tarpando le ali, creando tensione, togliendo la forza di
risollevarsi per cominciare di nuovo a vivere. La maldicenza diffonde sfiducia e
amarezza, crea un clima di tensione e di sospetto reciproco. Ci allontana dalla
pienezza di vita donataci da Cristo e pone sulle spalle della persona criticata
una cappa di piombo difficile da portare e da sopportare… E il soggetto che
diffonde la maldicenza è, forse, più contento dopo aver sparso al vento le piume
della maldicenza, della mormorazione e del pettegolezzo? Non credo proprio,
anzi, penso che la persona che si presta al pettegolezzo non faccia altro che
gettare immondizia su se stessa, quasi gridasse inconsciamente al mondo: sono
invidiosa e gelosa di questa sorella, o di questo fratello, e allora cerco di
distruggerla, di calunniarla, di interpretare in negativo ogni suo atteggiamento
o azione, solo così posso sopportare di vivere accanto a lei, sotto lo stesso
tetto…
Sì, la maldicenza non paga, non
fa crescere, non dà vita, ma semina morte e dolore, sofferenza e pianto… Se
prima di aprire la bocca e l’orecchio alla maldicenza e al pettegolezzo ci
fermassimo un momento a pensare quali deleterie conseguenze potrebbe avere il
nostro parlare e il nostro agire, certamente ci bloccheremmo subito, ci
tireremmo indietro, ricordando ciò che dice Paolo a tale proposito:
«Ma tu, perché giudichi il tuo
fratello (la tua sorella)? E anche tu, perché disprezzi il tuo fratello (la tua
sorella)? Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio, poiché sta scritto:
Come è vero che io vivo,
dice il Signore,
ogni ginocchio si piegherà davanti a me
e ogni lingua renderà gloria
a Dio.
«Quindi ciascuno di noi renderà
conto a Dio di se stesso. Cessiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri;
pensate invece a non essere causa di inciampo o di scandalo al fratello». (Rm
14,10-13).
E poi, il Signore non ci ha
chiamate a vivere insieme perché possiamo portare le une i pesi delle altre?
Perdonate continuamente dal Padre celeste, non dobbiamo, a nostra volta,
perdonarci a vicenda? Come testimoniamo il nostro amore al Signore, se non siamo
neppure capaci di passar sopra ai difetti delle nostre sorelle, che ci sembrano
tanto grandi, solo perché ci stanno davanti agli occhi, mentre i nostri, molto
più grandi, stanno dietro le nostre spalle? Forse è tempo di rivedere
radicalmente i nostri atteggiamenti, i nostri pensieri, le nostre azioni, la
nostra testimonianza di vita quotidiana… «Non chi dice: “Signore, Signore”,
entrerà nel Regno dei cieli…»
Chi ha uno sguardo buono, chi è
capace di vedere e godere del bene e dei doni della sorella che le vive accanto,
chi sa coprire i difetti e i piccoli, grandi sbagli degli altri, o delle altre,
con il velo della misericordia, della comprensione e della compassione, questa è
una persona matura, una persona realizzata, una persona che ispira fiducia,
perché è veramente una donna di Dio.
Auguriamoci vicendevolmente di
usare sempre bene la nostra intelligenza, sia quella razionale, sia quella
emotiva. Così facendo daremo gloria a Dio e saremo “dono” le une per le altre.
1. Joaquín Campos Herrero, Le ragioni del cuore, Paoline Editoriale Libri,
Milano 2004.
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