n. 6
giugno 2004

 

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di Tiziana De Rosa
 

 

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Gli studiosi affermano che abbiamo due tipi di intelligenza: l’intelligenza razionale e l’intelligenza emotiva, dette anche intelligenza interpersonale e intrapersonale.

Secondo Gardner: «L’intelligenza interpersonale è la capacità di comprendere gli altri, le loro motivazioni e il loro modo di lavorare, scoprendo nel contempo in che modo sia possibile interagire con essi in maniera cooperativa. I venditori di successo, i politici, gli insegnanti, i clinici e i leader religiosi sono probabilmente individui con un elevato grado di intelligenza interpersonale. L’intelligenza intrapersonale (…) è una capacità correlativa rivolta verso l’interno: è l’abilità di formarsi un modello accurato e veritiero di se stessi e di usarlo per operare efficacemente nella vita»1.

Questi due tipi di intelligenza sono, ovviamente, entrambi buoni e positivi per fare di ogni individuo una persona equilibrata e matura, purché usati entrambi in modo e tempo opportuni. La mente che pensa e quella che sente sono, infatti, luoghi importanti di conoscenza e solo se sono usate in modo equilibrato interagiscono efficacemente e armonicamente, facendo della persona un essere umano cosciente e padrone di sé, delle proprie azioni e dei propri sentimenti. Non tener conto in modo adeguato di questo sano equilibrio psichico può creare problemi molto gravi, inducendo ad agire o per puro istinto o in modo freddamente razionale, rendendo la persona simile o a un animaletto, che agisce solo per istinto, o a un robot…

Questa breve introduzione sui nostri due tipi di intelligenza può darci lo spunto per interrogarci su un fenomeno – che è una piaga comunitaria – che accade sovente nella nostra vita quotidiana: la mormorazione (vedi anche l’articolo di Russotto, in questo stesso numero).

La critica negativa, la maldicenza, la mormorazione, il pettegolezzo, il gossip, l’interpretazione distorta degli atteggiamenti e delle azioni delle persone che ci vivono accanto possono diventare una piaga purulenta che avvelena la vita comune e rende il vivere insieme un vero, piccolo inferno.

Essere interpretati male, sentirsi giudicati negativamente, essere accusate falsamente di cose dette o di azioni fatte può rendere molto difficile la vita di un gruppo o di una comunità, perché toglie le forze, crea amarezza, uccide la speranza, inibisce la spontaneità e crea malumore, scontentezza, malignità, frustrazione.

Non credo che il Signore Gesù possa trovarsi bene in una casa o una comunità dove si pratica questa deleteria “occupazione”! Ma la nostra non è, per eccellenza, l’occupazione della misericordia, dell’accoglienza, dell’amore gratuito? La nostra vocazione non è quella di accogliere spassionatamente e aiutare il prossimo ad uscire dalla propria confusione, dal groviglio delle analisi interiori, dai propri sensi di colpa, per aprirsi alla vita e dare il meglio di sé? Si può ottenere ciò con la critica distruttiva e la mormorazione? Perché vogliamo imporre sulle spalle del prossimo dei pesi schiaccianti che noi non vorremmo toccare neppure con un dito? E’ l’amore che ci spinge a fare così? Perché, allora, non ci impegniamo a fondo per togliere questa pessima abitudine dai nostri ambienti, che mina alla radice la carità? Ognuna, ognuno, ha il diritto di sentirsi accolta, compresa, aiutata, valorizzata per quello che è, nella differenza e nella propria “originalità”. Se c’è qualcosa da cambiare, cambierà quando arriverà l’ora di Dio, non la nostra. A noi è chiesto soltanto di amare, compatire, condividere, fare comunione. E, poi, domandiamoci: perché abbiamo sempre da ridire su tutto e su tutti? Perché non riusciamo ad avere uno sguardo benevole e misericordioso verso le sorelle e i fratelli che ci stanno accanto? Siamo proprio sicure che il nostro metro coincida con quello di Dio? Noi siamo la misura di tutti e di tutto? Eppure il Vangelo ci ricorda che solo Dio è la misura di tutto e «con la misura con la quale misuriamo, saremo misurati», e Giovanni della Croce sostiene che alla fine della nostra vita saremo giudicati sulla carità!... Ognuna, e ognuno, quindi, dovrà rispondere di se stesso/a: di ciò che ha fatto e di ciò che ha pensato, di quali relazioni ha instaurato e di quali pensieri si è nutrita… di come e di quanto ha amato e si è fatta dono per gli altri… non deve rispondere di che cosa hanno fatto le sorelle o i fratelli, di come si sono comportati o di che cosa hanno pensato… Semmai dovremo rispondere di che cosa abbiamo fatto per comprendere e aiutare la sorella o il fratello in difficoltà; quanto amore abbiamo donato loro perché potessero sentirsi bene nella loro pelle e fossero capaci di uscire dal loro bozzolo per dischiudersi alla vita, alla libertà, all’amore. Se continuiamo a lamentarci e a criticare gli altri, vuol dire proprio che non abbiamo risolto i nostri problemi di fondo e che, forse, ci lasciamo guidare solo e sempre dall’intelligenza emotiva, senza equilibrarla con l’intelligenza razionale. In questo caso – saggezza vuole – che smettiamo di agire da persone stolte: persone che si lasciano guidare dagli istinti, dalle impressioni, dagli umori del momento, da sentimenti di antipatia, invidia, gelosia, ecc., per seguire soltanto l’esempio del Signore Gesù, che «da ricco si fece povero, per arricchire tutti della sua povertà».

L’autorità costituita può porre un freno alla maldicenza e alla critica distruttiva di qualche sorella, o fratello, bloccandone le confidenze e facendo rilevare l’aspetto positivo della persona criticata, oppure chiedendo un confronto tra la persona che accusa o sparla e la persona accusata…

Se solo pensassimo al male che possiamo fare criticando negativamente il prossimo, alla stima che perdiamo noi stesse, di come ci sviliamo mentre sparliamo di un’altra persona, non lo faremmo mai più e, certamente, non vorremmo che qualcuno criticasse negativamente noi e le nostre azioni… Il Vangelo di Gesù ci ha insegnato a fare agli altri quello che vorremmo fosse fatto a noi! Dovremmo, forse, esaminarci più a fondo sul nostro modo di fare e di agire. Dovremmo metterci più spesso nei panni degli altri con una sana empatia e cercare di capirli/e benevolmente e senza pregiudizi. La vera spiritualità è comunione ed è armonia nella diversità, non è certo uniformità… non dobbiamo appiattirci sull’uniformità, perché la diversità è ricchezza irrinunciabile e insostituibile. Dobbiamo proprio imparare a usare l’intelligenza razionale insieme a quella emotiva, supportandole con gli insegnamenti e gli esempi del nostro Salvatore e Redentore…, solo così diventeremo creature nuove, fratelli e sorelle di ogni persona, figlie e figli di uno stesso Padre.

Diversamente potrebbe accadere a noi ciò che accadde a Maria, la sorella di Mosè e di Aronne:

«Maria e Aronne parlarono contro Mosè a causa della donna etiope che aveva sposata; infatti aveva sposato un’etiope. Dissero: “ Il Signore ha forse parlato soltanto per mezzo di Mosè? Non ha parlato anche per mezzo nostro?”. Il Signore udì (…). L’ira del Signore si accese contro di loro ed Egli se ne andò; la nuvola si ritirò di sopra alla tenda ed ecco Maria era lebbrosa, bianca come neve; Aronne guardò Maria ed ecco era lebbrosa…» (Nm, 12, 1-16).

La mormorazione non paga, lo sappiamo bene, non costruisce nulla, non recupera alcuna persona, non apre il cuore all’amore vicendevole, ma ci chiude nell’egoismo, distruggendo tutto quello che incontra, tarpando le ali, creando tensione, togliendo la forza di risollevarsi per cominciare di nuovo a vivere. La maldicenza diffonde sfiducia e amarezza, crea un clima di tensione e di sospetto reciproco. Ci allontana dalla pienezza di vita donataci da Cristo e pone sulle spalle della persona criticata una cappa di piombo difficile da portare e da sopportare… E il soggetto che diffonde la maldicenza è, forse, più contento dopo aver sparso al vento le piume della maldicenza, della mormorazione e del pettegolezzo? Non credo proprio, anzi, penso che la persona che si presta al pettegolezzo non faccia altro che gettare immondizia su se stessa, quasi gridasse inconsciamente al mondo: sono invidiosa e gelosa di questa sorella, o di questo fratello, e allora cerco di distruggerla, di calunniarla, di interpretare in negativo ogni suo atteggiamento o azione, solo così posso sopportare di vivere accanto a lei, sotto lo stesso tetto…

Sì, la maldicenza non paga, non fa crescere, non dà vita, ma semina morte e dolore, sofferenza e pianto… Se prima di aprire la bocca e l’orecchio alla maldicenza e al pettegolezzo ci fermassimo un momento a pensare quali deleterie conseguenze potrebbe avere il nostro parlare e il nostro agire, certamente ci bloccheremmo subito, ci tireremmo indietro, ricordando ciò che dice Paolo a tale proposito:

«Ma tu, perché giudichi il tuo fratello (la tua sorella)? E anche tu, perché disprezzi il tuo fratello (la tua sorella)? Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio, poiché sta scritto:

Come è vero che io vivo, dice il Signore,
ogni ginocchio si piegherà davanti a me
e ogni lingua renderà gloria a Dio.

«Quindi ciascuno di noi renderà conto a Dio di se stesso. Cessiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; pensate invece a non essere causa di inciampo o di scandalo al fratello». (Rm 14,10-13).

E poi, il Signore non ci ha chiamate a vivere insieme perché possiamo portare le une i pesi delle altre? Perdonate continuamente dal Padre celeste, non dobbiamo, a nostra volta, perdonarci a vicenda? Come testimoniamo il nostro amore al Signore, se non siamo neppure capaci di passar sopra ai difetti delle nostre sorelle, che ci sembrano tanto grandi, solo perché ci stanno davanti agli occhi, mentre i nostri, molto più grandi, stanno dietro le nostre spalle? Forse è tempo di rivedere radicalmente i nostri atteggiamenti, i nostri pensieri, le nostre azioni, la nostra testimonianza di vita quotidiana… «Non chi dice: “Signore, Signore”, entrerà nel Regno dei cieli…»

Chi ha uno sguardo buono, chi è capace di vedere e godere del bene e dei doni della sorella che le vive accanto, chi sa coprire i difetti e i piccoli, grandi sbagli degli altri, o delle altre, con il velo della misericordia, della comprensione e della compassione, questa è una persona matura, una persona realizzata, una persona che ispira fiducia, perché è veramente una donna di Dio.

Auguriamoci vicendevolmente di usare sempre bene la nostra intelligenza, sia quella razionale, sia quella emotiva. Così facendo daremo gloria a Dio e saremo “dono” le une per le altre.

 

1. Joaquín Campos Herrero, Le ragioni del cuore, Paoline Editoriale Libri, Milano 2004.

 

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