 |
 |
 |
 |
E'
noto come sin dall’inizio del suo ministero Gesù sia circondato da
discepoli, come egli stesso li chiama, e come questi discepoli sono
modelli per noi, cristiani di tutte le generazioni. Ma Gesù con quali
criteri li ha scelti? Come li voleva? E per loro, che cosa significava
diventare discepoli di questo Maestro e Signore? Come si sviluppò in
loro la conoscenza di lui? Quali difficoltà incontrarono? Quali sorprese
ebbero? La loro esperienza di duemila anni fa che cosa ha da dirci? Sono
domande impegnative. Non pretendiamo di affrontarle direttamente, ma
pensiamo che possa essere utile una rilettura dei racconti evangelici
per cogliere alcune richieste esplicite rivolte da Gesù ai suoi
discepoli…
Due linee sembrano
emergere con chiarezza: una, più ricorrente nei sinottici, è collegata
con il senso di movimento: «Seguitemi»; l’altra, tipicamente giovannea,
sottolinea l’aspetto di interiorità: «rimanete in me».
«Seguitemi»
La persona di Gesù
doveva esercitare un forte fascino sui suoi contemporanei. Diverse volte
i Vangeli parlano delle grandi folle che «seguivano» Gesù. Molti
vedevano in lui un profeta inviato da Dio, altri speravano da lui una
guarigione o qualche altro miracolo. Si tratta però, nella maggioranza
dei casi, di un seguire fisico, occasionale, anche se animato da
sentimenti sinceri.
A differenza delle
folle, i primi discepoli non seguivano Gesù di propria iniziativa, ma
solo dopo una chiamata, spesso inaspettata. Questo appare chiaramente
nelle scene di vocazione. Simone e Andrea stavano pescando, quando Gesù,
passando, disse loro: «Venite dietro a me» (Mc 1,17); subito dopo,
«chiamò» anche Giacomo e Giovanni, ed essi «lo seguirono» (1,20). Nello
stesso modo, un po’ più tardi, chiamò Levi, seduto al banco dove si
pagavano le tasse: «Gesù gli disse: “Seguimi”. Egli, alzatosi, lo seguì»
(2,14).
Sono racconti carichi
di dinamismo. Gesù «passando... vide» (Mc 1,16). Il verbo passare segna
un movimento, non solo quello dell’entrata in scena di Gesù presso il
lago della Galilea, ma soprattutto quello più significativo: il suo
mettersi in cammino lungo le strade dell’uomo, il suo apparire nei
luoghi dell’esistenza quotidiana, il suo inserirsi nella concretezza
della storia umana, il suo impatto con le singole vite umane, il suo
porsi a livello dell’uomo per incontrarlo sul suo terreno. E’ il mistero
dell’incarnazione che culmina nel passaggio della Pasqua.
Nel passare, nel
camminare di Gesù in mezzo agli uomini e donne si realizza il piano
divino di salvezza. All’inizio della missione Gesù si presenta solo al
fiume Giordano, ma subito egli chiama i primi discepoli ad andare dietro
a lui: vuol coinvolgere altri nel suo cammino; così, a mano a mano che
procede, attira dietro a sé un numero sempre maggiore di uomini e donne
che, con il cammino, condividono il suo ideale, la sua missione, il suo
stile di vita, il suo destino.
Anche le espressioni
usate da Gesù nella vocazione dei discepoli indicano un movimento:
«venite dietro a me», «seguitemi». All’andare dietro del discepolo
corrisponde l’andare davanti del maestro. Gesù, infatti, precede, i suoi
discepoli, indicando loro la meta e diventando per loro «la via» per
raggiungerla. Verso il termine del cammino terreno «Gesù proseguì avanti
agli altri salendo verso Gerusalemme» (Lc 19,28), dove si realizzerà
l’evento culmine della sua missione. Ma la croce e la morte non segnano
il punto finale di questo cammino; egli, infatti, promette alla vigilia
della sua morte: «Dopo la mia risurrezione , vi precederò in Galilea» (Mc
14,28). E nel discorso d’addio assicura ai suoi discepoli: «Io vado a
prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto,
ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io» (Gv
14,2-3). L’andare dietro a Gesù continua oltre il cammino in questo
mondo e diventa senza confini né di tempo né di spazio. Questo pensiero
è espresso anche nell’Apocalisse, dove l’autore descrive i
centoquarantaquattromila santi che «seguono l’agnello dovunque vada» (Ap
14,4).
Dalla parte dei
discepoli, l’accogliere la chiamata e seguire Gesù significa mettersi in
movimento verso una nuova direzione di vita, iniziare un nuovo cammino,
in cui il punto di riferimento è la persona di Gesù.
Io-tu
Le chiamate alla
sequela avvengono sempre in forma diretta e personale. Le persone
vengono presentate con il loro nome e qualche volta con l’informazione
della loro provenienza e del loro mestiere. Il rapporto io-tu, io-voi,
emerge con chiarezza. Prima di rivolgere loro la parola, Gesù le
raggiunge con lo sguardo. L’indicazione che Gesù «vede» qualcuno prima
di chiamarlo è una costante strutturale dei racconti di vocazione. Nello
sguardo di Gesù avviene già un incontro, una penetrazione nelle
intenzioni nascoste e nella situazione interiore di colui, o di colei,
che è visto/a. Presso il lago di Galilea, prima di far «diventare
pescatori di uomini» i primi chiamati, Gesù li ha già «pescati» con il
suo sguardo. E’ noto che gli evangelisti amano descrivere i sentimenti
di Gesù attraverso il suo sguardo, che lascia intuire una varietà di
sfumature di espressione e di comunicazione. Nei racconti di vocazione,
lo sguardo di Gesù è penetrante, benevolo, incoraggiante, pieno di
tenerezza. Nell’episodio del giovane ricco, Marco riferisce con enfasi:
«Gesù, fissatolo, lo amò» (Mc 10,21). In seguito a questo episodio, Gesù,
«volgendo lo sguardo attorno», parla con i discepoli della difficoltà
per i ricchi a entrare nel regno dei cieli. Dopo l’esclamazione dei
discepoli: «E chi mai si può salvare?», Gesù «guardandoli» afferma:
«Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è
possibile presso Dio» (Mc 10,27). Gesù rende possibile ciò che è
impossibile all’uomo. La sua chiamata è un atto di empowerment,
il suo sguardo è trasformante, creatore.
Gesù che chiama si
presenta in forma personale: «Venite dietro di me», «Seguite me». Egli
deve diventare il nuovo centro di vita dei suoi discepoli. Questa
centralità della persona di Gesù viene ancora sottolineata dalle sue
parole, quando afferma la necessità di abbandonare tutto, «a causa mia e
a causa del vangelo», per poterlo seguire (cfr. Mc 8,35; 10,29).
Con la chiamata i
discepoli entrano in un rapporto di comunione con Gesù, che non si
stabilisce una volta per sempre, ma che deve crescere progressivamente
in consapevolezza, in intensità e profondità. Camminando dietro a Gesù,
i discepoli conoscono sempre meglio il Maestro e allo stesso tempo
prendono sempre più coscienza del senso della loro vocazione. Gli
evangelisti fanno vedere come Gesù stesso guidi questo processo graduale
di crescita dei suoi discepoli, rispettando il loro ritmo e spesso anche
il loro carattere personale.
Dentro la cornice
esterna di un andare dietro a Gesù si svolge, quindi, tutto un processo
di formazione. I discepoli non seguono Gesù solo con i piedi, ma con la
mente e col cuore, arrivano progressivamente a scoprire l’identità di
Gesù e la propria identità in quanto discepoli, a far diventare la via
di Gesù la loro via di vita.
Io-noi
E’ significativo notare
che la vocazione dei primi discepoli è una con-vocazione. Due coppie di
fratelli vengono chiamati, ciascuno personalmente, a seguirlo insieme.
Diventando discepolo/a di Gesù si entra a far parte di un gruppo, una
comunità voluta da lui. La presenza di Gesù dà consistenza al gruppo, i
singoli chiamati sono costituiti in comunità dal rapporto che ciascuno
ha con lui, questo rapporto diventa poi costitutivo dei legami
interpersonali tra i membri della comunità. Dal rapporto io-tu
con Gesù si sviluppa il rapporto io-noi all’interno della
comunità. Una volta interrotta la sequela e il comune riferimento a Gesù,
immediatamente si sgretola il gruppo. Ciò si vede con chiarezza nell’ora
della passione di Gesù. Quando non c’è sequela comune, c’è la
dispersione, la paura, la chiusura, la diffidenza reciproca.
Guardando bene a questo
primo gruppo di discepoli scelto da Gesù, c’è da meravigliarsi della sua
grande eterogeneità. Sembra che Gesù abbia scelto intenzionalmente delle
persone molto diverse per far vedere che l’unità e la comunione non si
fondano sulle affinità naturali, e che persone molto diverse possono
vivere in comunione camminando insieme, dietro a lui.
I primi discepoli sono
di provenienza diversa. Si sa che Filippo è di Betsaida (Gv 1,44),
Pietro e Andrea hanno la casa a Cafarnao (Mc 1,29), Simone è di origine
cananea (Mc 3,18), Bartolomeo, che la tradizione identifica con
Natanaele, è di Cana di Galilea (Gv 2,1). Sono uomini di diverse
professioni. Parecchi sono pescatori, mentre Matteo è un esattore di
tasse. Alcuni di loro seguivano già Giovanni Battista, quindi erano
avviati, in qualche modo, ad una vita spirituale più esigente; altri
invece, sono stati chiamati da Gesù all’improvviso, senza nessuna
preparazione né remota, né prossima. Prima di diventare discepoli di
Gesù, molti di loro non si conoscevano, altri invece erano legati con
vincoli di sangue o di amicizia.
Se dal quadro esterno
ci si addentra a vedere il loro carattere e la loro personalità, la
diversità che emerge è ancora più grande. Nel gruppo, Simon Pietro
attira molto di più l’attenzione: è un uomo impulsivo, irruente, più
portato ad agire che a riflettere, più pronto a promettere che a
mantenere la promessa. E’ un tipo che va facilmente agli estremi, cade
facilmente, ma si rialza con prontezza non appena riconosciuto lo
sbaglio. E’ impaziente, vuole avere chiaro tutto e immediatamente, fa
fatica ad aspettare e a sostare nel mistero. Le sue domande a Gesù sono
tipiche: «Signore, quante volte devo perdonare al mio fratello, che
pecca contro di me? Fino a sette volte?»; «Noi abbiamo lasciato tutto e
ti abbiamo seguito; che cose dunque ne otterremo?»; «Signore, dove vai?
Perché non posso seguirti ora?»
Un tipo molto diverso è
Giovanni, dotato di grande capacità di riflessione e d’intuizione,
insieme a una forte sensibilità per il mistero. E’ il teologo e il
mistico del gruppo.
Andrea si fa conoscere
come un uomo socievole, generoso, affabile, zelante, attento e sollecito
nel prestare aiuto, premuroso nel portare gli altri a Gesù. E’ stato lui
a condurre il fratello Pietro da Gesù; ed è stato ancora lui a portare
da Gesù il ragazzo con cinque pani e due pesci, contribuendo così al
miracolo. Somigliante ad Andrea, da questo punto di vista, è Filippo, il
mediatore fra Natanaele e Gesù nel loro primo incontro. Egli è un uomo
semplice e schietto, però fa fatica a penetrare nel senso più profondo
delle cose. «Filippo, da tanto tempo sono con voi e non mi hai
conosciuto?», così gli chiede Gesù, un po’ stupito della sua
superficialità. Come Filippo, anche Tommaso è lento a cogliere il
mistero. E’ un tipo razionale, non si compromette e non rischia
facilmente, non si fida senza prove tangibili, non crede senza aver
fatto esperienza personale. «Se non vedo [...] non crederò»: è la sua
fredda reazione, di fronte all’annuncio gioioso della risurrezione.
Natanaele ha avuto il
privilegio di ricevere un bell’elogio da Gesù fin dal primo incontro:
«Ecco un vero Israelita in cui non c’è falsità». Questo l’ha fatto
passare da uno scetticismo ironico a una confessione piena di stupore e
alla sequela fedele.
Abbiamo nel gruppo un
silenzioso, Giacomo, sempre presente negli avvenimenti importanti e
sempre discreto. Egli rende testimonianza a Gesù più con la vita che con
le parole. E’ stato il primo del gruppo a morire martire. Vi sono poi un
Giacomo di Alfeo, un Giuda di Giacomo, un Simone Zelota, di cui non
conosciamo nulla al di là del nome. Infine, c’è Giuda Iscariota, uomo di
carattere debole, avido di denaro, uomo della «notte», impenetrabile
all’amore, il traditore.
Questi uomini, così
diversi tra loro, formano la «nuova famiglia» di Gesù. A tutti egli ha
rivolto il suo «seguimi», su di loro ha pronunciato la preghiera al
Padre: «Siano perfetti nell’unità». E a loro, Gesù ha affidato tutto se
stesso, le sue parole, i suoi fatti, la sua missione e, in un certo
senso, il suo futuro.
«Rimanete in me»
Il seguire, come atto
concreto, traccia un movimento al primo momento esteriore, ma si
trasforma presto in un cammino spirituale. Giovanni lo illustra con
chiarezza. Egli, pur servendosi dell’immagine di seguire, andare dietro
a Gesù, comune ai Sinottici, pone l’accento piuttosto sul processo
interiore della comunione di vita con il Maestro, e attraverso lui, con
il Padre. La categoria che esprime meglio questa sua prospettiva è
quella di «rimanere», che ricorre in Giovanni per ben 67 volte.
Già nel primo racconto
di vocazione, il verbo rimanere viene usato tre volte. I due discepoli
di Giovanni Battista, affascinati da Gesù, lo seguono e gli domandano:
«Maestro, dove rimani?», e dopo l’invito di Gesù a seguirlo per vedere,
questi discepoli «andarono a vedere dove abitava e quel giorno rimasero
presso di lui» (Gv 1,38-39). C’è qui un interessante rovesciamento di
prospettiva: dal luogo dove rimane Gesù al luogo dove rimangono i
discepoli. Essi vogliono informarsi della dimora di Gesù, mentre Gesù
diventa la loro dimora. Seguire Gesù vuol dire quindi rimanere presso di
lui. Lo dirà Gesù stesso: «Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono
io, là sarà anche il mio servo» (Gv 12,26); «Ritornerò e vi prenderò con
me, perché siate anche voi dove sono io» (Gv 14,3).
Questo rimanere presso
Gesù e in Gesù diventa per i discepoli fonte inesauribile di risorse
interne per la loro vita e la loro missione. Rimanendo costantemente in
Gesù, come i tralci nella vite, e lasciandosi penetrare sempre più
intimamente e profondamente da lui, la vita del discepolo diventa
spiritualmente feconda. «Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto»
(Gv 15,4-5). Questa fecondità spirituale, conseguenza naturale dell’inabitazione
reciproca è, a sua volta, una caratteristica che contraddistingue il
vero discepolo di Gesù: «In questo è glorificato il Padre mio: che
portiate molto frutto e diventiate miei discepoli» (Gv 15,8). Il vero
discepolo di Gesù non è mai sterile.
Rimanere nella Parola.
- Come può
«rimanere presso Gesù» chi non l’ha conosciuto durante la sua vita
terrena? Rimanere in lui significa rimanere nella sua parola, quella
pronunciata durante la sua esistenza storica, tramandata dai testimoni e
fissata poi nella Scrittura. Nella Parola egli si fa presente oltre il
limite del tempo e dello spazio. Giovanni non solo insiste sul credere
alla Parola, ma anche sul rimanervi, facendo l’esperienza profonda di
comunione, di sintonia di cuore. Il credere, cioè l’accoglienza e
l’adesione iniziale, è fondamentale, ma Gesù esige dai suoi discepoli un
grado più maturo di fede, alimentata e vivificata continuamente dalla
Parola. Egli dice espressamente: «Se rimanete fedeli alla mia parola,
sarete davvero miei discepoli e conoscerete la verità e la verità vi
farà liberi» (Gv 8,31-32). «Se rimanete in me e le mie parole rimangono
in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato» (Gv 15,7).
Questo pensiero viene
espresso più volte anche in forma negativa. Quando la folla mormora dopo
il suo «discorso duro» sul pane di vita, Gesù domanda ai discepoli:
«Forse anche voi volete andarvene?» (Gv 6,67). Chi non rimane nella sua
Parola, è meglio che se ne vada, cioè non lo segua per nulla. In Gv
5,37-41 Gesù rimprovera ai giudei di non aver mai ascoltato la voce del
Padre né interiorizzato la sua Parola, e la ragione profonda è questa:
«Voi non avete la sua parola che dimora in voi, perché non credete a
colui che egli ha mandato. [...] Io vi conosco e so che non avete in voi
l’amore di Dio».
Rimanere nell’amore.
- Attratto
dal Padre nella sequela di Gesù, il discepolo, o la discepola, entra
nella comunione di vita e di amore tra Padre e Figlio, si lascia amare
con gratitudine e semplicità. E’ Gesù stesso che lo garantisce: «Come il
Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore» (Gv
15,9).
L’amore plasma e
struttura la persona rendendola sempre più protesa verso l’altro.
Rimanendo nell’amore di Dio il discepolo, o la discepola, acquista una
nuova visione della realtà, una nuova fonte di desideri. Egli/ella
desidera quello che vuole Dio. E’ in questo senso che Gesù dice: «Se
osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore, come io ho
osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. [...]
Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando» (Gv 15,10-12).
Non si tratta dell’osservanza dei comandamenti imposti dall’esterno, ma
è un affiatamento con il mondo di Dio, acquisendo, come dice Vita
consecrata, «una sorta di istinto soprannaturale» (n. 94).
E quali sono i
comandamenti di Gesù? Egli li ha sintetizzati in uno, mostrandoci
l’essenziale che sostiene tutto: «Questo è il mio comandamento: che vi
amiate gi uni gli altri come io vi ho amati» (Gv 13,12); «Vi do un
comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho
amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti
sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri»
(Gv 13, 34-35). Questo nuovo comandamento che diventa il segno
distintivo dei discepoli di Gesù non è un semplice precetto aggiunto ad
altri, bensì il principio di vita che deriva dalla sequela di Gesù e da
quel flusso d’amore che unisce il Padre e il Figlio nello Spirito santo.
Rimanendo in Cristo il discepolo, o la discepola, è in comunione d’amore
con la Trinità e con tutti i fratelli e le sorelle.
Conclusione
«Seguire Gesù» e
«rimanere in Gesù»: due categorie usate da Gesù stesso per descrivere il
discepolato. Uno sottolinea più il senso del movimento, l’altro
l’interiorità. Non sono due linee alternative o successive, devono
andare insieme. Il cammino del discepolo è un andare restando in Gesù,
un partire dimorando in lui. La congiunzione delle due linee rafforza
anche quella sintesi armoniosa che le persone consacrate cercano di
vivere: tra contemplazione e azione, tra interiorità e attività, tra
essere e fare, tra credere e operare, tra concentrazione e diffusione
della parola di Dio, tra l’accogliere il dono di Dio e il farsi dono di
Dio per gli altri.
*
Figlia di Maria
Ausiliatrice, docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Facoltà di
Scienze dell’Educazione (Auxilium) Roma.
 |