|
|
|
|
LECTIO DIVINA Gdt 8,1-35
1In quei giorni venne a conoscenza della situazione
Giuditta figlia di Merari, figlio di Oks, figlio di Giuseppe, figlio di
Oziel, figlio di Elkia, figlio di Anania, figlio di Gedeone, figlio di
Rafain, figlio di Achitob, figlio di Elia, figlio di Chelkia, figlio di
Eliàb, figlio di Natanaèl, figlio di Salamiel, figlio di Sarasadai,
figlio di Israele. 2Suo marito era stato Manàsse, della
stessa tribù e famiglia di lei, egli era morto al tempo della mietitura
dell’orzo. 3Mentre stava sorvegliando quelli che legavano i
covoni nella campagna, il suo capo fu colpito da insolazione. Dovette
mettersi a letto e morì in Betulia sua città e lo seppellirono con i
suoi padri nel campo che sta tra Dotain e Balamon. 4Giuditta
era rimasta nella sua casa in stato di vedovanza ed erano passati già
tre anni e quattro mesi. 5Si era fatta preparare una tenda
sul terrazzo della sua casa, si era cinta i fianchi di sacco e portava
le vesti delle vedove. 6Da quando era vedova digiunava tutti
i giorni, eccetto le vigilie dei sabati e i sabati, le vigilie dei
noviluni e i noviluni, le feste e i giorni di gioia per Israele. 7Era
bella d’aspetto e molto avvenente nella persona; inoltre suo marito
Manàsse le aveva lasciato oro e argento, schiavi e schiave, armenti e
terreni ed essa era rimasta padrona di tutto. 8Né alcuno
poteva dire una parola maligna a suo riguardo, perché temeva molto Dio.
9Venne dunque a sapere le parole esasperate rivolte dal
popolo alle autorità, perché erano demoralizzati per la mancanza d’acqua,
e anche Giuditta seppe di tutte le risposte che aveva date loro Ozia e
come avesse giurato loro di consegnare la città agli Assiri dopo cinque
giorni. 10Subito mandò la sua ancella particolare che aveva
in cura tutte le sue sostanze a chiamare Cabri e Carmi, che erano gli
anziani della sua città. 11Vennero da lei ed essa disse
loro: “Ascoltatemi bene, voi capi dei cittadini di Betulia. Non è
stato affatto conveniente il discorso che oggi avete tenuto al popolo,
aggiungendo il giuramento che avete pronunziato e interposto tra voi e
Dio, di mettere la città in mano ai nostri nemici, se nel frattempo il
Signore non vi avrà mandato aiuto. 12Chi siete voi dunque
che avete tentato Dio in questo giorno e vi siete posti al di sopra di
lui, mentre non siete che uomini? 13Certo, voi volete mettere
alla prova il Signore onnipotente, ma non ci capirete niente, né ora
né mai. 14Se non siete capaci di scorgere il fondo del cuore
dell’uomo né di afferrare i pensieri della sua mente, come potrete
scrutare il Signore, che ha fatto tutte queste cose, e conoscere i suoi
pensieri o comprendere i suoi disegni? No, fratelli, non vogliate
irritare il Signore nostro Dio. 15Se non vorrà aiutarci in
questi cinque giorni, egli ha pieno potere di difenderci nei giorni che
vuole o anche di farci distruggere da parte dei nostri nemici. 16E
voi non pretendete di impegnare i piani del Signore Dio nostro, perché
Dio non è come un uomo che gli si possan fare minacce e pressioni come
ad uno degli uomini. 17Perciò attendiamo fiduciosi la
salvezza che viene da lui, supplichiamolo che venga in nostro aiuto e
ascolterà il nostro grido se a lui piacerà. 18Realmente in
questa nostra generazione non c’è mai stata, né esiste oggi una
tribù o famiglia o popolo o città tra di noi, che adori gli dei fatti
da mano d’uomo, come è avvenuto nei tempi passati. 19Per
questo motivo i nostri padri furono abbandonati alla spada e alla
devastazione e caddero rovinosamente davanti ai loro nemici. 20Noi
invece non riconosciamo altro Dio fuori di lui e per questo speriamo che
egli non trascurerà noi e neppure la nostra nazione. 21Perché
se noi saremo presi, resterà presa anche tutta la Giudea e sarà
saccheggiato il nostro santuario e Dio chiederà ragione di quella
profanazione al nostro sangue. 22L’uccisione dei nostri
fratelli, l’asservimento della patria, la devastazione della nostra
eredità Dio la farà ricadere sul nostro capo in mezzo ai popoli pagani
tra i quali ci capiterà di essere schiavi e saremo così motivo di
scandalo e di disprezzo di fronte ai nostri padroni. 23La
nostra schiavitù non ci guadagnerà alcun favore, perché la porrà a
nostro disonore il Signore Dio nostro. 24Dunque, fratelli,
dimostriamo ai nostri fratelli che la loro vita dipende da noi, che i
nostri sacri pegni, il tempio e l’altare, poggiano su di noi. 25Oltre
tutto ringraziamo il Signore Dio nostro che ci mette alla prova, come ha
già fatto con i nostri padri. 26Ricordatevi quanto ha fatto
con Abramo, quali prove ha fatto passare ad Isacco e quanto è avvenuto
a Giacobbe in Mesopotamia di Siria, quando pascolava i greggi di Làbano
suo zio materno. 27Certo, come ha passato al crogiuolo
costoro non altrimenti che per saggiare il loro cuore, così ora non
vuol far vendetta di noi, ma è a fine di correzione che il Signore
castiga coloro che gli stanno vicino”. 28Allora rispose a
lei Ozia: “Quanto hai detto, l’hai proferito con cuore retto e
nessuno può contraddire alle tue parole. 29Poiché non da
oggi è manifesta la tua saggezza, ma dall’inizio dei tuoi giorni
tutto il popolo conosce la tua prudenza, così come l’ottima indole
del tuo cuore. 30Ma il popolo soffriva terribilmente la sete
e ci ha costretti a comportarci come abbiamo fatto, parlando loro a quel
modo e addossandoci un giuramento che non potremo trasgredire. 31Ma
ora prega per noi tu che sei donna pia e il Signore invierà la pioggia
a riempire le nostre cisterne e non continueremo a venir meno”. 32Giuditta
rispose loro: “Sentite, voglio compiere un’impresa che passerà di
generazione in generazione ai figli del nostro popolo. 33Voi
starete di guardia alla porta della città questa notte: io uscirò con
la mia ancella ed entro quei giorni dopo i quali avete deciso di
consegnare la città ai nostri nemici, il Signore per mia mano
provvederà a Israele. 34Voi però non indagate sul mio
piano: non vi dirò niente finché non sarà compiuto quel che voglio
fare”. 35Le risposero Ozia e i capi: “Và in pace e il
Signore Dio sia con te per far vendetta dei nostri nemici”.
Giuditta è una donna emblematica. Non a caso il suo nome deriva da
Giudea e Giudei: la nazione e il popolo d’Israele. Dà il nome a un
libro deuteronomico, escluso cioè dalla Bibbia ebrea, accolto dai
cristiani. Non ne possediamo che la traduzione greca.
Ci è facile rilevare che non è strettamente storico e che la stessa
geografia dei luoghi citati non è reale.
Qual è dunque il senso, l’identità del libro? Quello di narrare una
“storia” (tra favola e parabola) che ha una forte densità
teologica e spirituale. E’ il messaggio che conta!
Nabucodonosor (605-562 a.C.) (qui presentato come Re sovrano degli
Assiri, mentre fu re dei Babilonesi) è il prototipo del sovrano potente
che presume l’onnipotenza! Egli concerta un piano strategico per
diventare “signore e dio di tutta la terra”, dispiegando incredibili
forze di eserciti, cavalli, cavalieri e realizzando stragi a non finire.
A questa volontà di potenza che vuole imporre il culto di sé a tutti i
viventi, resiste solo la nazione ebraica, che confida nel Dio del cielo.
Quando anche i suoi capi, fiaccati da un lungo, terribile assedio,
cadono in preda alla paura delle forze ultrapotenti del nemico e stanno
per cedere, ecco levarsi Giuditta: una fragile, bellissima donna, fedele
in tutto al Dio vero. Sotto la sua mano cade Oloferne, il “generalissimo”
delle truppe di Nabucodonosor. La vittoria non la inebria di orgoglio,
ma diventa canto di lode e danza al Signore da parte sua e di tutto il
popolo.
In filigrana cogliamo la figura di Maria SS. che schiaccia il serpente
antico e nel Magnificat esprime tutta se stessa nell’esaltare il Dio
di ogni vittoria.
Contesto
Solo all’8° dei 16 capitoli del libro di Giuditta compare la
protagonista. Tutto ciò che precede è però drammatico antefatto che
fa da sfondo alla sua impresa e raggiunge l’acme quando la “turba
immensa” degli Assiri (7,18) assedia per lunghi giorni Betulia fino a
che in città comincia a scarseggiare l’acqua.
Nella tremenda paura di morire di sete, il popolo leva grida al Signore
e si raduna presso Ozia e gli altri capi della città, nello sconforto
più nero.
Cogliamo una fede imperfetta in Ozia che, pur esortando gli ebrei a
ricorrere al Dio vero, limita a cinque giorni il tempo dell’attesa di
un intervento liberatorio di Dio. Se il Signore non interverrà - egli
dice - si farà come, per paura, il popolo chiede a gran voce: ci si
consegnerà con la città intera al saccheggio di Oloferne, il capo
potentissimo nelle cui mani Nabucodonosor ha posto tutte le sue forze
militari.
Ecco, in questo ampio contesto cogliamo il senso della storia che
sostanzialmente è un unico evento: lo scontro frontale tra i
nemici di Dio e, qui, la nazione santa: in senso più lato e universale,
lo scontro mai definitivo (per ora) tra il male e il bene.
Dio è Colui che vince con i mezzi impensabili: qui, con l’intervento
di una donna, emblema per gli antichi di fragilità e debolezza grandi.
Approfondimento del testo
vv. 1-8 Anche la genealogia di Giuditta non è tale da provarne
in modo preciso la realtà storica, perché non si rifà a uno dei 12
figli di Giacobbe. Tuttavia l’autore nomina Sardassai (citato pure in
Nm 1,6) come “figlio d’Israele”. E’ che all’autore sacro preme
presentare Giuditta quale emblematica, stupenda figlia del popolo di
Israele. E’ vedova da tre anni e, pur essendo ricchissima e molto
bella, vive appartata, dedita alla preghiera e al digiuno con cui
esprime la sua grande fedeltà a Dio, dentro un tenore di vita
integerrimo per cui mai nessuno aveva potuto malignare sul suo conto.
vv. 9-14 Giuditta viene a sapere dell’inconsulto cedimento dei
capi alla volontà di un
popolo disperato e vacillante nella fede. Manda subito a
chiamare Ozia e altri
due capi e fa loro una forte, lucida requisitoria intorno
al loro erroneo
discernimento. Hanno sbagliato! Dentro una decisione
affrettata, non hanno
avuto il coraggio della vera fede; hanno operato una
mediazione
sostanzialmente blasfema che osa “precettare” Dio,
mettendolo alla prova.
Era già capitato al popolo d’Israele! Si pensi all’episodio di
Massa e Meriba (= prova e litigio), dove il popolo, proprio per mancanza
d’acqua, protesta con Mosè tanto da rimpiangere la schiavitù d’Egitto
(cf Es 17,1-7), mettendo alla prova il Signore.
vv. 15-20 Giuditta, essendo donna di preghiera e di ascesi, sa
bene quel che si deve
fare: invocare dal Signore l’aiuto e
aspettare la sua salvezza. Per chi non è
idolatra questa salvezza, su tempi non
nostri ma suoi, certo verrà, se si ha
fiducia in Lui.
vv. 21-27 Da questa donna, in cui abita la luce del Signore prima
ancora della sua
potenza, viene un forte richiamo alla
responsabilità. Responsabili della
strage degli uomini e del tempio, dell’altare
di Dio, devono sentirsi i capi!
Quanto a questo triste evento bisogna leggerlo
- dice Giuditta - come una
prova. Il Signore che provò con il fuoco il
cuore di Abramo, di Isacco, di
Giacobbe, prova anche noi - afferma - solo per
correggerci. E dunque come
non ringraziarlo? C’è in Giuditta un
superamento della posizione di Giobbe
che non seppe vedere la positività della
sofferenza del giusto.
vv. 28-35 Le parole di Ozia ancor più mettono in luce la
personalità di Giuditta: da
sempre - egli dice - è stata donna saggia e
dedita alla preghiera, lei che ha
il cuore buono. Aggiunge parole di scusa sulla
proposta che gli era stata
quasi strappata dalla disperazione del popolo.
A Giuditta chiede
l’intercessione della preghiera. Lei però,
ispirata dal Signore, concepisce
un piano arditissimo e singolare che per ora
non svela. La segretezza lo
rende più attinente al mistero e più atteso
nell’esecuzione che sarà narrata
poi. I capi le invocano pace e aiuto dal
Signore che opererà con lei.
Meditiamo
Chi di noi non si è imbattuto e non s’imbatte nella prova? Ci sono
ore di dolore, difficoltà, fatica e grande oscurità interiore in cui
la tentazione è di barattare tutto per tutto. Perfino la schiavitù
(dei vari nostri Egitti) si rimpiange!
La libertà costa, è esigente e conduce su strade di responsabilità
che sono irte di fatica. Si preferisce rimpiangere il passato, oppure
spremere energie nel cercare il colpevole (cf 7,24). Ed è un esercizio,
più che inutile, deleterio per chi dovrebbe, proprio nella prova,
puntare la propria attenzione su Dio, su Gesù che si è addossato tutte
le nostre colpe, egli vittima innocente!
Per una comunità poi è distruttivo questo cercare di chi è la colpa.
Così come è deleterio rimediare soluzioni di comodo fuori dal vero
discernimento che è guardare gli avvenimenti alla luce della mentalità
di Gesù, della sua vita, del suo Vangelo e in particolare della sua
Pasqua.
Quando siamo nella prova, la tentazione è dire: perché? Perché
proprio a me questa malattia, questa delusione, fallimento? Perché
proprio alla mia famiglia? Perché alla mia comunità?
Si supera la tentazione entrando nella dinamica di Eb 12,1-12 che
conferma quel che è già nella mentalità di Giuditta: la prova è la
correzione di un Padre che ci ama e fruttifica poi pace e vita giusta.
Sulla PAROLA i miei esercizi di preghiera
Mediante l’esercizio della consapevolezza del respiro entro nel suo
ritmo, mi pacifico a livello fisico e psichico e lascio emergere quello
che nel mio vissuto è stato dolore oscuro, delusione, forte disagio
apparentemente senza spiegazioni razionali.
Con l’aiuto dello Spirito Santo vivamente invocato afferro quello che
in me è stata la tentazione di contrastare con Dio, di evadere in
qualche modo dalla sua volontà o permissione, vedendo solo negatività
o cercando “scappatoie”, seguendo i criteri della mentalità
mondana.
Prendo soprattutto coscienza dei miei stati d’animo di sconforto, buon
terreno per la sfiducia nei confronti di Dio e della sua salvezza. Ne
prendo coscienza con pace nello spirito, ma con lucidità.
Denuncio anche la facile tentazione di “precettare” Dio, di piegare
la sua volontà alla mia, pur di uscire dalla “prova”.
A questo punto chiedo l’aiuto di Maria per ottenere la grazia del vero
discernimento approdando a:
Fede vera: fidarsi in un Dio che tace.
Speranza vera: guardare alle cose che ancora non si vedono come se le
vedessi, percependole come il “tesoro”, la ‘meta’.
Carità vera: accettare tutte le morti necessarie alla nascita dell’amore
autentico.
Itinerari contemplativi
VOGLIO AMARE COME TE
Signore mio Gesù,
voglio amare tutti coloro che Tu ami.
Voglio amare con Te la volontà del Padre.
Non voglio che nulla separi il mio cuore dal tuo,
che qualcosa sia nel mio cuore
e non sia immerso nel tuo.
Tutto quel che vuoi io lo voglio.
Tutto quel che desideri io lo desidero.
Dio mio,
ti do il mio cuore,
lo offro assieme al tuo a tuo Padre,
come qualcosa che è tuo
e che ti è possibile offrire,
perché esso ti appartiene.
Charles De Foucauld
|