n. 10
ottobre 2003

 

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Autorità e dinamiche interpersonali nella vita consacrata
di Giuseppe Crea *

 

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Sempre di più oggi si parla di autorità e di leadership nella vita consacrata, sapendo che è molto forte l’esigenza di riscoprire il senso di tale servizio nel contesto della testimonianza della consacrazione a Dio e ai fratelli.

Il bisogno di leadership autorevole e amorevole tra i religiosi e le religiose parte dall’assunto che le persone che vivono all’interno dell’organizzazione comunitaria sono esseri umani e che per il loro adeguato funzionamento sono necessari l’amore e la carità che scaturiscono dal rispetto e dalla comprensione reciproca1.

 

Le influenze nell’autorità formale e carismatica della vita consacrata

Guardando al servizio dell’autorità nella vita consacrata dobbiamo rilevare che la sua funzione più esplicativa all’interno di una comunità religiosa è quella che si richiama al criterio di influenza nel gruppo. Da questa prospettiva possiamo considerare l’esercizio della leadership a due livelli: sia dal punto di vista di chi ha il compito non solo formale ma anche carismatico di guidare e animare i membri della comunità, una autorità che «favorisce e sostiene questa loro consacrazione»2, e sia dal punto di vista dei tanti leader informali che sorgono nelle comunità e che possono essere di stimolo per raggiungere gli scopi del gruppo o, al contrario, possono manipolare la vita comune per degli interessi individualistici. Questa distinzione tra autorità formale e autorità informale aiuta a sottolineare l’importanza delle dinamiche psicosociali degli individui, dei gruppi e delle organizzazioni comunitarie per la qualità della leadership e per la sua capacità a favorire un cammino comune autentico verso la testimonianza di fede.

Il modo con cui il superiore, o la superiora, percepisce i membri della comunità, la sua capacità di ascoltare i loro bisogni, la chiarezza con cui afferma la propria autorevolezza, sono tutti elementi che influenzano sia chi esercita l’autorità, e sia chi partecipa con le proprie risorse alla crescita comune del gruppo3.

 

Tipi di influenza della leadership e rapporti comunitari

L’influenza “legittima” è una delle fonti di autorità all’interno della comunità religiosa. Il superiore, o la superiora, esercita il suo influsso, e allo stesso tempo i membri della comunità ne riconoscono la legittimità perché il suo è un potere che deriva da valori internalizzati. In questo caso è importante che i confratelli, o le consorelle, percepiscano che l’autorità ha il diritto di occupare il proprio ruolo che gli è conferito da un “agente legittimo”, qual è appunto il superiore, o la superiora, maggiore che lo l’ha nominato/a.

Quando nelle comunità emergono delle personalità particolarmente influenti o quando in una comunità le persone sono altamente specializzate per il lavoro che svolgono, può succedere che esse abbiano una funzione di leadership, a volte anche più forte dello stesso superiore o superiora locale. Il loro potere, però, non sempre è legittimo perché non sempre è conferito da un agente legittimo. Alcune situazioni comunitarie, però, possono legittimare l’incremento dell’influenza che tali persone possono avere.

Immaginiamo per un momento che tra i diversi membri di una comunità ci sia una sorella che è preside di una scuola gestita dalle suore di quella stessa comunità. Supponiamo che durante il periodo dei consigli di classe la preside decida di svolgere le riunioni negli ambienti della comunità fino a tarda sera. Benché ciò crei disagio all’intera comunità e nonostante l’opposizione della superiora locale, la preside non solo continua a tenere i suoi incontri nel refettorio della comunità, ma invita anche le altre sorelle, soprattutto le più giovani, a unirsi a loro a fine riunione, per bere insieme qualcosa. Non c’è nulla di male in tutto questo. Inoltre la preside può giustificare la sua scelta pensando che la comunità deve essere aperta alle opere educative della propria congregazione. Ma se tale scelta di lavorare negli ambienti della comunità non è stata esplicitata in un contesto di progettazione comune, la preside porterà avanti la sua scelta, forte della sua convinzione personale, influenzando così il comportamento delle altre che si adegueranno a tale presenza in comunità.

Un’altra sorgente di influenza autorevole all’interno del gruppo è la “competenza” che il superiore ha nel guidare la propria comunità. Anche se oggi non va più tanto di moda parlare di competenze da parte del superiore, eppure egli deve avere un minimo di abilità per condurre una comunità religiosa, necessarie e importanti per sé e per gli altri. Il superiore che riesce a tollerare le frustrazioni che si possono presentare in comunità, che ascolta i confratelli che si presentano a lui, che interviene senza essere invasivo, che sollecita il riconoscimento e l’impiego delle risorse personali, è certamente una persona che esercita il servizio dell’autorità con competenza, o perlomeno è una persona che tende ad affinare le proprie abilità. E’ stato ampiamente confermato dalla psicologia sociale che il leader competente, o comunque che cresce nelle sue competenze, è ben accolto all’interno del gruppo e il gruppo stesso facilita il suo cammino di incremento delle sue abilità4.

Tale influenza può essere caratteristica anche di chi non detiene l’autorità, ma la esercita direttamente o indirettamente perché possiede alcune competenze particolari. Per esempio, è stato constatato che le persone capaci in alcuni settori (vedi un confratello professionalmente qualificato come medico o come giornalista), possono esercitare la loro influenza quando in comunità si tende a generalizzare che il loro potere sia garante di verità non solo nel loro settore ma anche in altri ambiti comunitari.

In una comunità è capitato che la superiora, irritata per le continue lamentele di una consorella, le dicesse seccata: «se non ti senti bene, va dal medico!». E così quella suora si è rivolta alla consorella medico e psicologa, presente in comunità, la quale le ha detto: «I tuoi mal di testa, mia cara, sono sicuramente di origine psicosomatica. La medicina migliore per te è di stare lontana dalla superiora per qualche tempo». L’influenza di tale consiglio “competente” non ha guarito i suoi mal di testa, ma ha ottenuto per qualche tempo un cambiamento nei comportamenti della suora “malata”, la quale per un po’ non rivolse più la parola alla superiora!

Un’altra sorgente importante dell’influenza dell’autorità nella comunità è il potere “informativo”, cioè il contenuto della comunicazione che intercorre tra leader e gruppo. In questo caso, non è tanto la natura della persona del leader ad influire quanto piuttosto il contenuto delle sue comunicazioni e quindi l’incidenza degli stimoli verbali e non verbali trasmessi alle persone del gruppo. L’influenza informativa mira a cambiamenti profondi negli atteggiamenti delle persone all’interno della comunità religiosa, perché mette in evidenza la responsabilità di entrambi (leader e membri del gruppo) nella percezione, nella comprensione reciproca, come pure nella riscoperta delle motivazioni a stare insieme. Nella comunità il potere informativo viene molte volte ritenuto come influente o ininfluente a seconda delle caratteristiche di ciò che le persone comunicano tra loro. Per accorgerci di questo, basti pensare al tipo di comunicazione presente nella propria comunità, oppure al modo con cui a volte si trasmettono i contenuti linguistici nelle riunioni di comunità.

In questi casi, se si cerca di far prevalere la propria posizione su quella degli altri e lo stimolo comunicativo viene percepito come distruttivo, esso coinvolge negativamente le persone nelle loro relazioni reciproche; diversamente, se l’informazione è colta bene, le persone si coinvolgeranno positivamente tra loro.

In altri termini, l’influenza informativa è indipendente dalle caratteristiche di chi esercita l’autorità, ma persiste nel gruppo. Per esempio, prendiamo il caso di una comunità in cui la superiora abbia avuto delle reazioni negative dinanzi ad alcuni comportamenti dei membri della sua comunità. Successivamente, essa può dare informazioni valide, ma può ottenere risultati insignificanti o negativi nel cambiamento degli atteggiamenti delle persone del gruppo, fintanto che nella comunità ci sarà “memoria” del precedente stimolo informativo negativo.

Nel contesto dei leader informali occorre rilevare che l’influenza del potere informativo può portare a conseguenze positive ma anche negative nella comunità: nel primo caso sono da annoverare i messaggi congruenti di quanti contribuiscono a fare crescere la vita comune, rendendosi particolarmente disponibili per il bene comune; nel secondo, ricordiamo che le reazioni negative o comunque gli atteggiamenti di manipolazione da parte delle persone che hanno influenza nel gruppo lasciano il segno nel vissuto comune. In alcune comunità può succedere che chi alza più la voce sembra essere più ascoltato dagli altri.

Un’altra caratteristica dell’azione del leader è quella di influenzare il gruppo grazie ai benefici che concede. Un atto “remunerativo” in una comunità religiosa può essere costituito da una ricompensa verbale, da una considerazione rivalutante, da una raccomandazione per i propri servizi pastorali. In questo caso, consciamente o inconsciamente, il superiore tende a incentivare i comportamenti e gli atteggiamenti che lui percepisce in sintonia con il suo modo di esercitare l’autorità. Se da una parte tale atteggiamento può promuovere e modellare nuovi comportamenti che vanno nella direzione delle scelte comuni, dall’altra è anche vero che tale fonte di potere può essere rischiosa quando emerge un bisogno di affiliazione e di dipendenza da parte delle persone della comunità.

Nel caso, poi, dei leader informali all’interno dei gruppi, il loro potere remunerativo può avere un forte effetto sugli altri e può essere tanto più efficace quanto più la persona ha prestigio nel gruppo.

«Nella mia comunità non hanno bisogno di un superiore, perché lì comandano tutti!», si sfogava un confratello riferendosi ai tanti sottogruppi presenti nella sua comunità. Dalle persone con cui si va d’accordo, con cui ci si sente in sintonia, si tende a farsi più facilmente influenzare per la probabile sensazione di “remunerazione” che si sperimenta, per cui è gratificante poter condividere con loro le proprie opinioni, perché approvano le cose e le persone che ci piacciono o non approvano ciò che anche noi disapproviamo. Il potere di quanti esercitano una influenza carismatica su di noi appare più chiaro quando essi riducono l’interazione oppure interagiscono in un modo che non desideriamo, limitando così la nostra soddisfazione. Del resto non bisogna dimenticare che le persone che vanno molto d’accordo all’interno di un gruppo hanno molto potere sugli stessi membri del gruppo5.

Oltre alle caratteristiche fin qui menzionate, consideriamo anche il fatto che il leader è una persona che può limitare e ostacolare l’autonomia delle persone. In questo caso la sua influenza è di tipo “coercitivo”. Questa influenza si distingue per il fatto che essa suscita delle reazioni più negative nelle persone del gruppo oppure perché ottiene degli effetti boomerang. Basti pensare alle situazioni in cui il superiore deve limitare in maniera netta alcuni comportamenti sbagliati all’interno della comunità, e lo fa obbligando le persone ad obbedire ad alcune regole che permettono un migliore funzionamento della struttura del gruppo (esempio: fissare le regole per come gestire l’orario di rientro a casa dei confratelli). Le persone possono costringersi ad obbedire, ma possono anche rivivere la trasgressione ad un altro livello, per esempio adattandosi a comportamenti di dissenso all’interno della comunità, oppure assumendo un comportamento di tipo passivo-aggressivo. Sicuramente il potere coercitivo, soprattutto da parte di chi non è superiore nella comunità, non porta ad atteggiamenti di comprensione interpersonale e inibisce l’esercizio dell’autorità fondata sull’attrazione interpersonale.

Sia l’influenza che ricompensa e sia quella che limita sono entrambe delle sorgenti di controllo molto importante per il funzionamento di una leadership amorevole, che “ricompensa” ed accoglie i diversi comportamenti dei membri, ed autorevole, cioè che pone confini chiari e dà direzione perché il gruppo possa convergere verso gli obiettivi comuni6. Egli infatti esercita delle influenze che riguardano sia le ricompense che può dare, di cui le persone potrebbero averne bisogno, e sia le “punizioni” da assegnare, che i membri del gruppo devono evitare per raggiungere i loro obiettivi.

Il controllo esercitato dalla leadership in questo caso può essere sia attuale e quindi realmente esercitato, che potenziale, cioè non esercitato realmente ma non per questo non influente all’interno del gruppo. Prendiamo, per esempio, un superiore che si astiene dall’intervenire su alcuni comportamenti dei suoi confratelli, perché è particolarmente irritato da alcune voci sul suo conto. Benché non si accorga di poter influire sul gruppo con la sua astensione, non per questo egli non possiede potere. In questo caso, infatti, egli alimenta le fantasie di disapprovazione nei membri del gruppo i quali, pur assumendo e rispettando le regole, modificheranno il loro modo di percepirsi nelle relazioni con l’autorità.

Infine, mentre l’influenza che ricompensa può portare a sviluppare una maggiore attrazione e una minore resistenza verso le regole comuni, nel caso del potere coercitivo vi sarà una diminuzione di attrattiva e un aumento della resistenza nei confronti del leader.

 

Relazioni interpersonali e presenza attiva dell’autorità

Le relazioni che esistono tra superiore di comunità e membri del gruppo hanno una importanza vitale per lo sviluppo di una sana leadership. Tenendo presente che oggi sono oramai superate le vecchie teorie della leadership relative ai tratti e alle qualità del buon leader, l’attenzione viene sempre più centrata sui comportamenti relazionali che fondano la leadership efficace e strutturante per le persone e per i loro obiettivi. Inoltre, la centralità delle relazioni aiuta il gruppo a dirigersi, con la mediazione del leader, verso i contenuti che sono parte del progetto comune.

Quando parliamo di dinamiche all’interno del gruppo vogliamo fare riferimento a ciò che concretamente fa parte della vita quotidiana della comunità. Le persone si incontrano, si scontrano, si parlano, programmano insieme, e in tutto questo l’autorità influisce non tanto per le regole che detta quanto piuttosto per la sua presenza rassicurante e prospettica che permette al gruppo di dare senso alle diverse azioni compiute nel quotidiano.

La dinamica di un gruppo comprende lo sviluppo di transazioni che le persone intessono tra loro, e che rappresentano il linguaggio relazionale con cui manifestano le loro intenzioni, le loro attese, le loro gioie, i loro bisogni e i loro interessi personali. Partecipare a questo laboratorio di relazioni vuol dire, per il superiore, essere consapevole delle vicende relazionali della propria comunità, su cui egli si propone come figura di riferimento costante ed empatica.

Perché si costruisca questa sintonia tra leader e gruppo, occorre che le persone imparino a simboleggiare e quindi a portare alla loro consapevolezza le proprie esperienze relazionali, per potersi introdurre autenticamente nei rapporti reciproci e per permettere al leader una influenza propositiva ed efficace.

Dinanzi alla diversità delle situazioni interpersonali, il leader ha il compito di facilitare una collaborazione tra le persone che vivono in comunità, attraverso una presa di coscienza propositiva delle diverse posizioni, con l’intento di aiutare il gruppo a crescere in modo coordinato verso gli obiettivi condivisi. Non dimentichiamo che una leadership efficace esige sia delle specifiche competenze interpersonali e strutturali, sia una chiara risposta di consapevolezza e di contatto con le diverse situazioni presenti in comunità. Diversamente, quando manca questo equilibrio tra struttura e relazioni, si rischia di avere una sorta di scollamento tra le regole impartite e i vissuti reali del gruppo: il superiore si aspetta che le persone obbediscano, queste probabilmente lo fanno, ma il loro cuore e la loro mente stanno altrove. Ecco perché nella fase dell’organizzazione del gruppo comunitario è fondamentale che la comunicazione dei contenuti relazionali sia reale e corrisponda a ciò che davvero succede nei rapporti comunitari, poiché le dinamiche interpersonali sono direttamente collegate ai processi psicologici che le persone vivono nella piattaforma comune rappresentata dalla vita comune.

Dire a un confratello “grazie”, o chiedere “mi dai una mano?”, oltre ad essere dei suoni fonetici, è importante che corrisponda ad un rapporto autentico che la persona vive-con-l’altro. Tutto ciò, però, non lo si ottiene magicamente, ma è frutto di continua e quotidiana “conversione reciproca”. Ed è di questa permanente conversione reciproca che il superiore deve essere garante con la sua presenza attiva, preoccupato non tanto e non soltanto della struttura da mantenere quanto piuttosto della veridicità degli scambi contenutistici che ci sono tra i membri del gruppo e tra il gruppo e il superiore. Se manca questa presenza attentiva di fondo, il rischio che si corre è di effettuare una comunicazione “tra sordi”, dove si affiggono cartelli e norme comunitarie sulle diverse bacheche, ma senza una tangibile interazione ed interiorizzazione di tali norme7.

A questo proposito calza bene l’esempio di una comunità la cui superiora era iper-impegnata in un’attività socio-pastorale all’esterno e, quindi, pochissimo presente in comunità. Fin qui tutto bene, perché il suo impegno fuori corrispondeva al carisma del suo istituto e coincideva con il super impegno delle altre consorelle della sua comunità, anche loro sempre fuori per impegni pastorali. Quando però la superiora tentava di stabilire il giorno e l’ora per la riunione della comunità, era frustrante per lei constatare che non c’era verso di far quadrare i mille impegni delle altre. La soluzione a tale dilemma? Aveva imparato a fissare ugualmente giorno e ora per la riunione comunitaria, affiggendo il cartello fuori con questa frase in fondo al foglio: “chi c’è c’é, chi non c’è non c’è”. Conclusione: dopo un paio di mesi, a quegli appuntamenti appesi al muro non partecipava quasi mai nessuno, ultimamente neanche lei stessa, perché se ne dimenticava!

Come a dire che se nella comunità i contenuti non sono veicolati in modo significativo per il gruppo, perché le persone possano effettivamente partecipare non solo a livello cognitivo ma anche a livello emozionale al significato di quanto proposto dall’autorità per il bene comune, la disaffezione progressiva può diventare mancanza di motivazione a partecipare alle cose. Dinanzi a queste situazioni molte volte non è più sufficiente l’incentivo, o l’interdizione che il superiore può brandire, se egli non si mette in sintonia con il gruppo e inizia il paziente passaggio dalle molteplici differenze alla comprensione reciproca, che passa attraverso i vissuti specifici delle persone che compongono il gruppo.

 

Una leadership che sia “presenza trasformante”

Abbiamo sottolineato come non basti convincere le persone di una comunità a fare determinate cose, perché tali cose diventino motivanti per il loro comportamento. La sfida della leadership sta nel saper coinvolgere le persone a lavorare per l’obiettivo della vita comune, che è la vita nuova in Cristo Gesù.

Il recente documento Ripartire da Cristo ci ricorda come il servizio dell’autorità è importante per aiutare i membri della comunità a crescere insieme verso degli obiettivi comuni, e in questo compito i superiori e le superiore sono chiamati ad essere sorgente attiva ed efficace. Si tratta di un compito che «richiede presenza costante, capace di animare, di proporre, di ricordare la ragion d’essere della vita consacrata, di aiutare le persone affidate per una fedeltà sempre rinnovata alla chiamata dello Spirito»8. Questo richiamo alla presenza della leadership nel contesto comunitario ci riporta ad un criterio fondamentale a cui si ispira il senso stesso della vita comune: occorre che chi esercita il servizio dell’autorità sia servitore tangibile della presenza di Cristo in mezzo ai fratelli e alle sorelle.

Durante una sessione di formazione permanente per un gruppo di confratelli animatori di comunità, uno di loro faceva osservare come fosse difficile accettare l’incomprensione degli altri, i quali non capivano, non obbedivano, non ascoltavano, soprattutto quando si trattava di dare alcune norme da seguire. «Quando devo comunicare certe decisioni misuro ogni parola che devo dire, prima di aprire bocca. Tanto so che avranno sembra da ridire!»

Nell’esplorare insieme questa sua preoccupazione emersero con maggiore chiarezza i diversi particolari delle sue difficoltà ad essere presente con le persone, perché in fondo le sue comunicazioni verbali erano disconfermate dalla sua sfiducia interiore.

Rendersi conto di quello che succede dentro e fuori di noi diventa una occasione per crescere insieme. «Se il ministero di governo stabilisce un rapporto con la comunione e la comunità, colui o colei che lo esercita non deve dimenticare che è chiamato ad accompagnare ciascuno dei fratelli, o sorelle, che il Signore gli ha affidato, grazie a una relazione fraterna e personale, caratterizzata dalla simpatia, dalla fiducia e dal senso del dialogo»9.

Per fare questo occorre che il leader consideri gli avvenimenti che accadono nella propria comunità secondo il significato che hanno per il gruppo, e partecipi con le sue caratteristiche personali, con i suoi pregi e con i suoi difetti, alle vicende della fraternità.

Per rendere fecondo questo impegno situazionale occorre che egli sia coinvolto continuamente per rivalutare le proprie potenzialità e le risorse degli altri, a partire dalle situazioni concrete che tutti vivono in comunità, per costruire realmente quel “noi” comunitario che è fonte inesauribile di comunione fraterna, fondato sulla comunione in Cristo Gesù10.

Perché si arrivi a questo è indispensabile che il superiore sia in grado di percepire le dinamiche interpersonali fatte di azioni e di reazioni reciproche, per rilevare le potenziali risorse presenti, in sé e negli altri, e per valutare quali comportamenti adottare per arrivare a delle vere ed autentiche modalità cooperative di leadership. Il suo compito è quello di favorire la consapevolezza di ciò che si vive in comunità, facilitando lo sviluppo delle potenzialità personali e interpersonali, perché ognuno sia attivamente coinvolto a gestire le diverse situazioni che caratterizzano la vita comune.

Se le persone si attivano in questa riscoperta, allora troveranno nuove motivazioni per contribuire maggiormente alle influenze del leader. Per questo è importante che il superiore sappia condurre pazientemente la comunità a riscoprire le finalità condivise senza passivizzare gli individui con sistemi di controllo apparentemente coerenti e approvati, ma che in effetti però possono alimentare l’insidia della dipendenza o della indifferenza nel gruppo.

 

Alcune annotazioni conclusive

Abbiamo già sottolineato l’importanza di una sana consapevolezza come premessa per un’attenzione significativa nei rapporti con gli altri11. Come conclusione di questa riflessione credo che sia fondamentale per chi esercita il compito dell’autorità rilevare le dinamiche interpersonali presenti nella propria comunità, per cogliere i mille doni presenti in ogni fratello e in ogni sorella, perché le sue risposte e le sue decisioni possano essere rispettose di sé (cioè della propria realtà cognitiva ed emozionale) e del vissuto esperienziale degli altri.

In ogni circostanza, però, le diverse funzioni della leadership (di legittimità, di competenza, di ricompensa, o di costrizione), lo interpellano a rapportarsi con la diversità delle persone o delle situazioni che si presentano nel vissuto quotidiano, per stabilire una intesa empatica, premessa indispensabile perché l’altro possa avere fiducia nelle sue azioni e nelle sue decisioni. Con tale atteggiamento di reale servizio per il bene comune, l’autorità in carica non si spaventerà delle difficoltà, e neppure dei leader informali presenti nel gruppo; anzi, la sua presenza autorevole ed amorevole sarà uno stimolo in più per l’ambiente relazionale della fraternità, perché ognuno canalizzi le proprie energie per i progetti condivisi da tutta la comunità.

In questo modo, se il superiore si lascia interpellare dai diversi segnali interpersonali e dalle situazioni vissute quotidianamente, sarà preoccupato non tanto di fornire “ricette risolutive” per ogni problema ma piuttosto faciliterà con il suo atteggiamento di ascolto e di accoglienza la disponibilità reciproca a riconoscere le rispettive competenze e ad impiegarle per vivere la comunione come reale testimonianza della presenza di Cristo nella vita comunitaria.

«Un’autorità operatrice di unità è quella che si preoccupa di creare il clima favorevole per la condivisione e la corresponsabilità, che suscita l’apporto di tutti alle cose di tutti, che incoraggia i fratelli e le sorelle ad assumersi le responsabilità e le sa rispettare […]. L’autorità del superiore e della superiora si adopera cioè perché la casa religiosa non sia semplicemente un luogo di residenza, un agglomerato di soggetti ciascuno dei quali conduce una storia individuale, ma una comunità fraterna in Cristo»12.

Difficile? Certo, non è un compito facile, ma solo camminando per questa strada di autentica conversione all’alterità, chi è chiamato ad esercitare l’autorità potrà riscoprire questo servizio come dono di Dio.

   

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