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Mia madre aveva la seconda
elementare, non aveva frequentato scuole di preghiera, non sapeva niente
dei salmi. Però, tutte le volte che vedeva qualcosa di bello nella
realtà o in tivù, esclamava: «Come si può dire che non c’è il Signore!».
Era una preghiera di lode.
Quando la salutavo: «Ci vediamo tra
un paio di ore», commentava: «Se Dio vuole». Era una preghiera di
affidamento al Signore.
Quando uscivo da casa per andare a
svolgere il mio lavoro tra i ragazzi o in parrocchia, non dimenticava di
ammonirmi: «Ricordati di voler bene soprattutto a quelli che sono meno
buoni e meno bravi. Non avere mai preferenze». Quando le raccontavo di
qualcosa andato bene, mi suggeriva: «Ringrazia il Signore». Quando mi
vedeva preoccupato per qualcosa non andato per il verso giusto, mi
incoraggiava: «I tribolati sono amici di Dio». Quando mi vedeva
arrabbiato o turbato per un torto, o per un atto di riconoscenza non
arrivato, mi consigliava: «Fa’ del bene e scordati, fa’ del male e
pensaci!». Era il suo modo di accogliere con verità e generosità la
parola del Signore.
Quando, negli ultimi giorni di
vita, stringendomi la mano con le ultime forze rimaste, mi sussurrava:
«Ti lascio, ma stai tranquillo, pregherò sempre per te, e ti rimarrò
vicino», affermava in modo semplice e forte la sua fede nella
risurrezione.
Mi scuso per questo incipit
personale, ma non trovo modo migliore per commentare l’invito di Gesù a
pregare sempre, senza stancarci (Lc 18,1). Invito, come sempre,
accolto più dai piccoli (Mt 11,25) che dai sapienti e dagli
intelligenti. E’, infatti, tra i piccoli che ho sempre
trovato – e trovo – tanti che sanno pregare sempre, senza stancarsi,
con il risultato di un profondo legame tra fede e vita. Meglio! Con una
vita che diventa preghiera e una preghiera che diventa vita.
E i sapienti e gli
intelligenti? Beh, tra costoro – e tra costoro dobbiamo includere
per forza preti, frati, suore – la preghiera sempre spesso lascia
il posto alle preghiere tante. Che non è assolutamente la stessa
cosa, e quindi non produce i medesimi risultati.
Mi scuso di nuovo se ricorro ancora
all’esperienza invece che ai massimi sistemi della spiritualità. Mi è
capitato – e mi capita – di frequente di bazzicare conventi maschili e
femminili, di vita attiva o contemplativa, e di provare, a volte,
sensazioni di tristezza e di spavento.
Di tristezza, per non essere
riuscito a pregare in luoghi dove speravo di poterlo fare in modo
profondo e alto.
Di spavento, perché siamo noi,
preti, frati e suore, che dovremmo insegnare alla gente, soprattutto ai
bambini e ai ragazzi, a pregare sempre senza stancarsi.
Perché queste sensazioni?
Ricordo una domenica mattina in un
convento (non dico di dove) di suore (non dico di quale istituto). Si
stava facendo un corso di aggiornamento sulla pastorale dei ragazzi e
dei giovani, e le suore partecipavano con molto entusiasmo e impegno.
Scendo in chiesa, una chiesa aperta
anche alla gente, per le Lodi prima della messa (dopo aver ottenuto di
non mischiarle insieme: un obbrobrio assai frequente un po’
dappertutto!). Cominciano le Lodi… Una lagna, una tristezza, una
monotonia! I salmi presentati con la solite indicazioni: «Questo salmo
viene recitato da una solista e dal coro…», «Questo salmo viene recitato
a cori alterni…», «Questo…».
Intanto i fedeli cominciavano a
entrare. Io dicevo tra me: «Chissà la gente che cosa pensa che si stia
facendo? Come potrebbe credere che stiamo celebrando le lodi al Signore?
Per le persone normali, per i piccoli, lodare significa gioia,
allegria, festa… Qui è un mortorio!…»
In gran parte dei conventi e dei
monasteri – e anche in diverse parrocchie –, pregare si riduce a
recitare le lodi, i vespri e in più il rosario, sempre con lo stesso
tono, sempre con lo stesso clima, sempre con gli stessi meccanismi.
Tutt’al più, in qualche festa, interviene la variazione di antifone e
salmi cantati con melodie che sembrano venute fuori da un pugno di note
gettate a caso sul rigo.
Se le cose stanno così – prego
fortemente Dio di sbagliarmi – ci si può meravigliare se la preghiera
non incide nella vita e non diventa vita proprio nelle persone che
recitano più preghiere?
E sì! Purtroppo questo capita! Lo
so, ci è difficile ammetterlo. So anche che il solo farlo notare viene
interpretato – quando va bene! – come il solito gusto di fare polemica
per la polemica. Ma, a chi ha orecchi per intendere è difficile
negare che, oggi, noi: preti, frate e suore, dovremmo avere più
sensibilità, maturità, professionalità, cortesia, ampiezza di vendute,
disponibilità all’aggiornamento e all’educazione permanente; una
maggiore visione «globale» dei problemi, più gusto della propria libertà
e maggior rispetto di quella degli altri, coraggio delle proprie
scelte…. Doti tutte – grazie a Dio! – sempre più richieste, e quindi
sempre più ricercate e perseguite, dal «mondo» per motivi puramente
umani, e forse non sempre coltivate a sufficienza nei nostri ambienti
per motivi… spirituali.
Ogni volta che mi capita di parlare
a preti, frati e suore, invito a riflettere sulla carenza di questi
valori genuinamente umani, e quindi autenticamente cristiani, tra di noi
e nelle nostre comunità. E’ triste constatare come tanti predicatori,
santi sul pulpito (non solo quello delle chiese), da dove
straparlano di grandi valori e tuonano contro comportamenti non
adeguati, nella realtà siano privi di quelle virtù che, senza tante
chiacchiere, la società esige da chi vuole essere rispettato e
valorizzato.
Un esempio, per non tirarla troppo
per le lunghe. La cortesia è un requisito fondamentale in tutti coloro
che aprono la porta nelle aziende, nei negozi, negli uffici,
nelle segreterie, nei supermercati. Nei nostri ambienti? A volte sembra
che questo incarico venga affidato alle persone più selvatiche. A me non
suscita pensieri devoti un portinaio o una portinaia che non mi sorride,
che non mi ascolta…, che però ha la corona del rosario in mano. Non so a
voi.
Quanti soldi vengono investiti
dagli istituti religiosi, dalle diocesi, dalle singole persone per
esercizi spirituali, ritiri, corsi di aggiornamento? Si recitano i
salmi, si ascoltano le prediche, si fanno ore di adorazione, si recitano
tante preghiere, ma con quali risultati?
Tornati a casa, tutto ricomincia
come prima. Si continua a celebrare la messa come prima, a recitare i
salmi come prima, a fare la catechesi come prima, a fare la predica come
prima, a fare scuola come prima, ad avere, con la gente, con le
consorelle e i confratelli, lo stesso rapporto di prima. Allora, mi
domando, se la preghiera non cambia la vita, è davvero preghiera?
«Ma questo è matto!», starà
sicuramente pensando qualcuno. «Questo ce l’ha con i salmi: la preghiera
della Chiesa, la preghiera rivelata, la preghiera…».
Non ce l’ho affatto con i salmi. Ce
l’ho con i salmi preghiera che Dio ci ha suggerito per pregare
sempre, ridotti a dire le preghiere in ore e modi prestabiliti per
sentirsi a posto, per rispettare le regole.
Non riesco a levarmi dagli occhi la
scena di pochi giorni fa. Nota bene: pochi giorni fa, non prima del
Concilio Vaticano II!
Si stava celebrando il funerale di
un giovane. In tutti: profonde e sofferte domande sul senso della vita,
grande commozione e profonda partecipazione in ogni gesto, parola,
canto… Accanto all’altare un religioso si leggeva, devotamente, il suo
breviario!
A mia madre, come a tutti i
piccoli che affollavano la chiesa, una cosa del genere, forse, non
sarebbe passata nemmeno per l’anticamera del cervello… I salmi veri,
in quel momento, erano le domande, le emozioni, lo strazio dei presenti.
Vivere e condividere quei momenti era pregare. Quelle del
religioso erano, invece, un recitare preghiere.
Non riuscirò mai a dimenticare un
grande convegno di Roma con più di duecento suore di diverse
congregazioni sul tema: «Pregare oggi in un mondo di suoni e di
immagini». Ero riuscito con molta fatica a ottenere di celebrare le Lodi
con canti e danze di un gruppo di novizie filippine vestite… da
cristiane. Una preghiera stupenda. Beh, nel cominciare la relazione, mi
accorsi che due suore in cima alla sala stavano leggendo il breviario
per ridire le Lodi, perché le altre «non valevano».
L’altro giorno, mi ha telefonato
una parrocchiana: era sconvolta! Aveva chiesto a una signora di andare,
qualche giorno, a preparare il pranzo in una casa di accoglienza per
poveri di passaggio.
«Non posso, non ho tempo, sono
troppo impegnata in un cammino di fede per incontrare Gesù», si era
sentita rispondere.
«Don Tonino, allora io che faccio
mangiare mio marito e mio figlio alle due e mezza del pomeriggio per
fare il pranzo a questa gente sporca, arrogante, a volte violenta, che
ruba anche le forchette, non incontro Gesù? Non dici sempre che Gesù sta
nei poveri?»
«Certo», le ho risposto, «almeno il
Gesù del Vangelo. Quello della persona che sta facendo un cammino di
fede, forse, è un altro, oppure ha sbagliato cammino per incontrarlo.
Ma, vedrai, il Gesù, quello vero, riuscirà a recuperarla».
Quanti esempi di preghiere tante
ma di pregare sempre niente nei nostri ambienti?
Conseguenza: quanti, nei nostri
ambienti, non lascerebbero mai un salmo, ma non si fanno problemi a non
dare un sorriso, una parola buona, un gesto di cortesia?
Come mai questo deterioramento del
pregare sempre? Il motivo va cercato – anche se non esclusivamente –
nell’aver ridotto il pregare a un fatto di testa, nell’aver
smesso di pregare con tutto noi stessi, con i sensi: gli occhi, il
tatto, l’udito, il gusto, l’olfatto. Nell’aver escluso il corpo e quindi
la vita. Senza un impatto vero con la realtà, non c’è vita autentica, e
quindi non c’è preghiera genuina. Si pensi alla parabola del buon
samaritano. Il primo atto del sacerdote, del levita, del samaritano è:
lo «vide». Soltanto dopo viene la decisione di passare dall’altra parte,
di passare oltre, di farsi vicino per fasciargli le ferite (Lc
10,29-37). Si ricordi Gesù nella sinagoga di Cafarnao. Ha domandato: «E’
lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o
toglierla?». Silenzio. Allora: «Guardandoli con indignazione…». «Si
pensi alla casa di Betania», definita dal documento dei vescovi italiani
«tra le più affascinanti di tutta la Scrittura». Maria ha appena
cosparso i piedi di Gesù con il nardo. Tutta la casa si riempie di
profumo. Immagino Gesù che se ne riempie i polmoni e dice a Giuda, che
ha chiuso il naso e gli occhi per mettere in funzione soltanto il suo
cervello calcolatore: «Lasciala fare! » (Gv 12,1-8).
Una lezione straordinaria di cosa
può diventare dire le preghiere, senza prima aver aperto gli occhi e
tutti gli altri sensi sulla vita, ci viene offerta proprio dai salmi
della Bibbia.
Nei salmi c’è la vita. Tutta la
vita: le sofferenze, le gioie, le battaglie vinte e quelle perse, i
successi e gli insuccessi, la politica giusta e quella ridotta a
interesse personale, le ingiustizie pubbliche e private, gli scontri
all’interno della famiglia e con i vicini, le umiliazioni e le
oppressioni da parte dei potenti, i tradimenti degli amici… C’è il bene
fatto, ripagato con l’inganno e la cattiveria, le grandi domande sul
male, sulla morte, la paura per il silenzio di Dio, il tormento per il
suo modo di vedere le cose diverso dal nostro, la contemplazione delle
opere di Dio, la lode per la sua grandezza e bellezza, le feste, i
pellegrinaggi, i propositi di bene, la confessione delle sconfitte e dei
tradimenti, la rabbia contro coloro che ci ostacolano nella via del
bene, il ringraziamento per le cose andate a buon fine…, la vita, tutta
la vita.
Quanto della nostra vita entra
nella nostra preghiera e diventa preghiera nella nostra recita dei
salmi, nei nostri rosari e coroncine e novene?
«Che cosa si può fare? Non possiamo
certo eliminare Lodi e Vespri e tutte le altre pratiche di pietà per
sostituirle solo con preghiere inventate da noi?»
Non si tratta di sostituire le
preghiere con altre preghiere, ma di far diventare le nostre preghiere,
anche i salmi, un pregare sempre. Occorre trasformare in
preghiera la vita che ci passa davanti agli occhi, alle orecchie, al
tatto, al gusto, all’odorato, in modo che il nostro pregare sia come il
nostro respirare. Sia vivere. E vivere diventi pregare.
In un corso di esercizi per preti,
invitai a fare lo sforzo di trasformare le Lodi e i Vespri del breviario
in pregare.
Nei primi due giorni non venne
fuori niente. I soliti: «Questo salmo lo recitiamo così, quest’altro
cosà…»
Poi, la terza mattina, un prete,
finalmente, trovò il bandolo della matassa. Prima di ogni salmo, con
poche parole, riuscì a trasportarci nel cuore della vita.
«A quest’ora i miei parrocchiani
sono in mezzo al traffico, nervosi, preoccupati di arrivare tardi al
lavoro. Come loro, tantissimi uomini e donne stanno andando a lavoro,
magari dopo una notte insonne, perché il bambino ha pianto sempre,
oppure con il cuore gonfio perché non si trovano bene con i colleghi, o
perché si sta parlando di licenziamenti. Noi stiamo qui calmi e
tranquilli e le parole accorate di questo salmo ci sembrano estranee.
Preghiamole per coloro e con coloro che le stanno recitando in mezzo al
traffico, dentro alle fabbriche o ai negozi».
«Tante famiglie nella mia
parrocchia sono con l’acqua alla gola, perché non sanno più come fare
con un genitore colpito da ictus, o altra malattia debilitante, e
bisognosi di assistenza totale. Gli ospedali non li accettano,
l’assistenza domiciliare non possono permettersela, far lasciare il
lavoro alla mogli, nemmeno...»
«Questo salmo lo preghiamo per e
con i giovani che oggi si innamoreranno»;
«Questo, invece, lo preghiamo per
le ragazze e i ragazzi che non si accettano, finendo nell’anoressia,
nella depressione, in esperienze sbagliate»; «Questo…».
Quelle mattine, i salmi del
breviario diventarono davvero salmi della Bibbia: la preghiera che Dio
stesso ci ispira e ci suggerisce.
Quante cose capitano nei conventi,
nelle comunità, nelle parrocchie…, nella vita di ogni giorno! Difficoltà
di rapporto, litigate, mugugni, incomprensioni, ingiustizie, parzialità,
preferenze di persone, deboli trattati con forza e forti trattati con
dolcezza…
Sarebbero meno Lodi e meno Vespri
se, almeno una volta alla settimana, i salmi fossero storicizzati con la
vita di ogni giorno?
Quante cose la televisione ci mette
davanti agli occhi e al cuore! Terremoti, allagamenti, conquiste della
tecnica e della scienza, gente che gioisce e gente che piange, guerre e
pace, contrasti politici e sindacali…
Per ognuna di queste situazioni c’è
un salmo che può aiutarci a farle diventare preghiera.
Certo, ci vuole fatica. Un pregare
vero, buono, bello richiede la stessa fatica di una vita vera, buona,
bella. Ci si organizza e ci si dà da fare per la festa del
ringraziamento alla direttrice, alla responsabile di comunità, al
Superiore, al Vescovo…, perché non darsi da fare per celebrare le lodi
al Signore, senza affidare il cuore e la mente alla pigrizia
dell’abitudine?
Le Lodi e i Vespri, e ogni altra
preghiera comunitaria, possono (e devono!) diventare i polmoni che danno
ossigeno nuovo alla nostra vita, per farla uscire dai frutti della
carne: «fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie,
inimicizia, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie…»
(Gal 5,19-21), e spingerle verso i frutti dello Spirito: «amore, gioia,
pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé…»
(Gal 5,22). Senza questo ossigeno la vita si inaridisce e il pregare
diventa soltanto dire le preghiere.
Però le Lodi, i Vespri, (i salmi
scritti) non bastano per obbedire all’invito di Gesù a pregare
sempre. Perché sempre è sempre. In tutti i luoghi e in
tutti i momenti del giorno.
Lo so, c’è chi pensa di scavalcare
la difficoltà portandosi sempre appresso il breviario, o la corona del
rosario. Non risolve! Anzi, questi gesti sanno molto di quella
ostentazione di tipo farisaico che faceva arrabbiare Gesù: «Quando
pregate non siate simili agli ipocriti che amano pregare ritti
nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli
uomini» (Mt 6,5). Quando ero ragazzo, un vecchio frate – una di
quelle persone che la Provvidenza ti mette sulla strada e ti lasciano un
segno indelebile – mi disse: «Stai attento a coloro che vanno in giro
con la corona tra le mani. Se non ti hanno gabellato, stanno per farlo».
L’esperienza mi ha convinto che aveva ragione: le preghiere ostentate
non sono per il Signore, ma – almeno molte volte – sono per altri scopi.
Per pregare sempre non occorre
portarsi appresso orpelli. Siamo stati equipaggiati dal Creatore: gli
occhi, le orecchie, il naso, la gola, il tatto. Tutto ciò che vediamo,
tocchiamo, ascoltiamo può diventare pregare sempre.
Mi è capitato di viaggiare in auto
con persone pie che guai se non si diceva il rosario, o non si leggevano
i salmi. Però erano completamente cieche e sorde di fronte a ciò che il
Creatore ci metteva davanti agli occhi: l’alba, i monti, le pianure, il
temporale, l’arcobaleno dopo il temporale, l’incidente, il furbo che
sorpassa a destra, il prepotente che ti si infila davanti, il cafone che
strombazza, il misericordioso che ti dà il tempo di manovrare per
rimediare un errore, il tramonto… Tutti inviti a pregare: lodare,
ringraziare, meditare, chiedere perdono, interrogarsi.
Quante cose la vita, e la vita
comunitaria, porta davanti agli occhi e alle orecchie! Cose belle o
brutte, buone o cattive, incoraggianti o deprimenti. Tutto questo può
diventare pregare sempre.
Ringraziare la cuoca per una
pietanza particolare, inaspettata, indovinata è pregare sempre.
Lodare Dio per una consorella o un confratello che hanno fatto qualcosa
di bello, di nuovo, di riuscito, è pregare sempre. Sorridere alla
consorella, anche se la si incontra per la centesima volta, è pregare
sempre.
Ma il pregare sempre non
viene spontaneo. Richiede convinzione, scuola, impegno, esercizio,
allenamento. Cose necessarie e anche possibili, senza eccessiva fatica,
se non quella di decidersi a battagliare contro la pigrizia,
l’abitudine, il si è fatto sempre così.
Perché, una mattina, in mezzo alla
chiesa, invece del solito vaso di fiori, non sistemare gli strumenti del
lavoro quotidiano: una pentola, un computer, un telefono, un televisore?
Perché, un’altra mattina, al posto
di un salmo, non invitare la consorella, tornata da un incarico o da
un’esperienza, a raccontare per ringraziare insieme il Signore?
E se una sera, durante il vespro,
si condividessero le cose belle o difficili della giornata?
E se, un’altra sera, dopo una
giornata con momenti difficili, di disagio, di incomprensioni, invece
del «questo salmo lo recitiamo tra solista e coro», lo si pregasse
riproponendo davanti agli occhi, al cuore e alla mente ciò che è
accaduto?
I salmi non ci sono stati dati per
intorpidirci con l’abitudine e la monotonia delle formule (siamo
sinceri! Chi riesce a dire tutti i giorni il Magnificat e il
Benedictus, vivendo sentimenti di lode e di ringraziamento veri e
sinceri al Signore?). Non ci sono stati dati per risparmiarci la fatica
di ascoltare e rispondere a Dio. Ma per insegnarci la strada di un
dialogo vero e sincero che porti la nostra vita sulla sua strada:
«Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il
Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare
umilmente con il tuo Dio» (Mi 6,8).
Qualche sera, molto tardi, quando
il traffico non è più prepotente, se l’aria arriva da Nord, da una
finestra di casa mia, riesco a sentire il rumore del treno. Quando è
così, penso alla gente che sta su quel treno. A chi parte, a chi arriva,
a chi torna a casa con gioia, a chi se ne allontana con tristezza, a chi
è sfiduciato, a chi è soddisfatto, a chi spera di trovare amore, a chi
l’ha trovato, a chi è sereno, a chi è ubriaco, a chi è drogato, a… Penso
alla vita.
Per ognuno lodo, ringrazio, chiedo
perdono, invoco aiuto.
Quelle sere non leggo il salmo del
breviario. Non dico le preghiere.
Quelle sere prego. Come dovrei fare
sempre. Come dobbiamo cercare di fare sempre.
* Parroco,
catecheta, scrittore e animatore di gruppi giovanili.
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