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È difficile parlare di un film
che ha catturato l’attenzione dei critici, diviso gli opinionisti in
correnti contrapposte e suscitato reazioni diverse. È difficile,
soprattutto quando l’opera in questione ha… un suo fascino.
Magdalene,
l’ultimo film del regista scozzese Peter Mullan, è approdato a Venezia
con due prospettive: possibile fonte di polemiche e candidato al Leone
d’Oro. Ambedue le attese sono state confermate e ne è seguito
l’inevitabile successo al botteghino dove gli spettatori, spinti da
motivazioni diverse - Leone d’Oro, regia di Mullan, film scandalo - si
sono dati appuntamento. E così il cinefilo ha condiviso lo spettacolo e
la visione con chi è stato occasionalmente attratto dal richiamo del
battage pubblicitario e critico.
Proviamo ad analizzare il film
in questione assumendo punti di vista differenti. Questa operazione,
lungi dal voler essere strategia accademica, ci consentirà di tracciare
una valutazione che tenga conto di diversi elementi ed assumere, così,
come spettatori critici, una opinione il più possibile completa del
lavoro di Mullan.
Il piano della fabula
Irlanda, 1964. Tre ragazze
vivono un momento particolare della propria vita: Margaret è violentata
da un cugino durante una festa di matrimonio; Rose giovane ragazza madre
viene drasticamente separata dal neonato e Bernadette, giovane orfana,
un po’ civettuola, lascia improvvisamente il collegio. Le tre ragazze
scoprono ben presto l’anima fredda e crudele del convento che le
accoglie senza saperne il perché. Sorella Bridget le introduce duramente
alle regole del convento. La vita si sussegue tra il lavoro
rigorosamente svolto in silenzio, la refezione esigua, alcuni tentativi
di fuga, le punizioni per ogni minima infrazione e le umiliazioni. Il
tempo passa inesorabile mentre un martellante “perché” riempie la mente
delle ragazze. Accanto a Margaret, Rose – ribattezzata Patricia da
sorella Bridget per comodità – si affianca Crispina, giovane ragazza
madre un po’ svanita, ma serena nelle proprie sicurezze. Margaret scopre
che Crispina è, inconsapevolmente, vittima dei desideri del cappellano e
ne progetta la vendetta. Nel giorno del Corpus Domini, durante il
sermone, padre Fitzroy, viene assalito da un attacco di orticaria.
Crispina viene furtivamente ricoverata in una clinica di cura mentale.
Dopo quattro anni Margaret viene liberata dal fratello e ciò suscita in
Bernadette e Rose il desiderio di fuga e di riscatto.
Il piano dell’intreccio
Magdalene è un
film semplice per quanto riguarda la sua linearità narrativa; complesso,
invece, sul piano strutturale dove le scelte stilistiche rispondono a
strategie comunicative e contenuti forti. Magdalene è un
film che va osservato, quindi, senza prescindere dallo stile del suo
regista, anzi… occorre partire proprio da questo.
Peter Mullan, di origine
scozzese, ha esordito come regista con Orphans (1997),
film che racconta una lunga notte di veglia di tre fratelli e una
sorella in attesa dei funerali della madre, in cui violenza, grottesco e
furore iconoclastico si alternano sino a toccare il surrealismo. Mullan
conferma, anche per Magdalene, opera seconda, una
continuità con le sensibilità e gli stilemi di Ken Loach, regista
inglese e autore di film di successo quali La canzone di Carla (1996),
My name is Joe (1998), Pane e Rose (2000) e il recente Paul, Mick e gli
altri. Il modo di fare cinema e di raccontare è asciutto, descrittivo,
essenziale. Le storie e i temi affrontati sono trattati, con il rischio
a tratti della retorica, in modo concreto e diretto, esclusivamente in
relazione al microcosmo nel quale si muovono i personaggi. È lo stile
che riscontriamo in Magdalene.
La fotografia privilegia i tagli
netti e i contrasti forti, l’obiettivo si sofferma volentieri sui volti
per cogliere gli stati d’animo e i lunghi silenzi diventano fortemente
espliciti. I dialoghi, a loro volta, sono concisi ed essenziali e la
musica non predomina mai. C’è attenzione ai dettagli. Grazie a queste
scelte stilistiche Mullan ha potuto caratterizzare l’intero film di un
forte senso di ironia.
Proviamo a cogliere alcuni
“passi” di questa lunga danza delle beffe.
Non passa certo inosservata la
scena del primo incontro delle tre ragazze con sorella Bridget. Mentre
viene enunciato il programma del convento, le immagini ci mostrano
monete, registri contabili, la mano della suora intenta al conteggio
degli incassi. E, nella stessa scena, mentre le “regole” imposte da
sorella Bridget cambiano il corso della vita delle neo arrivate, gli
effetti personali vengono furtivamente sottratti; un nuovo nome viene
imposto per comodità a Rose. La scena se da una parte sembra una parodia
del versetto paolino “l’uomo vecchio e l’uomo nuovo”, dall’altra
certamente riconvoca alcuni film sull’olocausto, dove alle ignare
vittime venivano sottratti gli oggetti personali, il passato e… la vita.
Le scritte God is just e
God is Good, dipinte sulle travi della camerata delle ragazze,
risuonano più come provocazioni che come giaculatorie mentre si vivono
momenti di punizione, dolore, umiliazione, vuoto interiore. Al momento
della refezione, lo sguardo di Bernardette passa dal contenuto del
proprio piatto al ricco desco riservato alle suore dietro la grata del
refettorio. Pungente la scena in cui l’anziana donna esorta prima e poi
rimprovera le ragazze per la loro l’omertà ai danni della suora punita a
motivo della fuga di una ricoverata.
E si potrebbe continuare
nell’elencare altri episodi…
L’ironia si tinge di sarcasmo e
diventa anche accusa.
Non dimentichiamo il momento in
cui le ragazze, private dei propri vestiti, vengono derise amaramente da
due suore; una vera e propria tortura psico-morale.
La vendetta architettata da
Margaret ai danni di padre Fitzroy inizia come uno scherzo per
trasformarsi in una forte denuncia. Crispina comprende che quanto sta
vivendo il sacerdote molesto la coinvolge e, risvegliandosi dal torpore
morale, ripetutamente urla «tu non sei un uomo di Dio» mentre sorella
Bridget mellifluamente la richiama all’ordine. Certamente non è un caso
che l’episodio sia inserito nella celebrazione del Corpus Domini.
Emblematico il momento in cui
Bernardette e Rose riescono a fuggire grazie ad un freddo baratto di due
chiavi: quella della libertà e quella del guadagno. La tragedia si
trasforma in una dichiarazione di meschinità per sorella Bridget.
Alla luce di questa rapida
analisi la storia e il messaggio di Magdalene appaiono
molto forti e duri. La religione e i suoi esponenti autorevoli - padre
Fitzroy, le suore - diventano, per Mullan, strumento di tortura e di
annullamento della persona. Margaret, Rose e Bernadette sono vittime
innocenti di una società fortemente teocratica e ingiustamente e
violentemente private della propria personalità. L’eccessiva rigidità
nella correzione ottiene esiti collaterali. Il continuo stillicidio
opera nelle ragazze una trasformazione interiore. La semplicità di
Margaret diventa ostinazione al punto di rinunciare alla fuga per
attuare la vendetta per conto di Crispina. La voglia di tenerezza di
Rose/Patricia si fa silente ed ostinata rassegnazione e l’arguzia di
Bernadette, infine, diventa freddo egoismo, insensibile alle sofferenze
delle compagne.
Continuando sul piano
dell’intreccio non possiamo non considerare i due rimandi cinefili,
anch’essi non privi di una forte ironia.
Il primo è costituito dalle
riprese amatoriali di padre Fitzroy intento a filmare alcuni momenti di
vita del convento e nel momento in cui invita due suore ad essere
naturali queste si fermano imbambolate… quasi prive di personalità! Il
secondo rimando cinefilo è una citazione diretta del film Le campane
di Santa Maria interpretato da Ingrid Bergman. Sorella Bridget svela
una personale passione segreta… il cinema. Il gioco delle pause e del
ritmo evidenziano la falsità interiore e l’insensibilità del
personaggio. L’immagine materna della suora interpretata dalla Bergman,
icona cinematografica, contrasta fortemente con quella delle religiose
presenti in sala con le ragazze.
E così Mullan prende “per mano”
lo spettatore e, prima piano piano e poi vorticosamente, lo porta
nell’inferno interiore che vivono i suoi personaggi. Al termine del
percorso ogni volto, sorriso, parola, gesto delle religiose diventa
ipocrita ed autoaccusatorio.
Mullan conclude il film con una
serie di rapide ed incisive operazioni. Bernardette in seguito alla
fuga, recuperata la propria femminilità, incontra casualmente due suore
della Maddalena; sotto un’arcata, insieme ad altre persone, Bernardette
in un primo momento è presa da un senso di timore, ma ben presto,
rievocando alcuni momenti della propria esperienza, reagisce. Libera i
capelli, segno di una libertà recuperata - gli erano stati violentemente
recisi per punizione in seguito a un suo tentativo di fuga - e mentre la
pioggia le rovina il trucco lancia uno sguardo pieno di odio e di sfida
verso le due suore. Fermoimmagine. È un primo piano denso di
significati.
Segue un rapido resoconto sul
futuro delle tre ragazze che porta lo spettatore a storicizzare quanto
visto. La storia di Margaret, Rose e Bernardette non è una ipotetica
ricostruzione, ma personaggi realmente esistiti. Improvvisamente
Magdalene sembra assumere toni documentaristici.
Terzo ed ultimo tocco del
finale: la fredda constatazione «300.000 sono le ragazze… L’ultima
lavanderia ha chiuso nel 1996».
Il piano del paratesto
Magdalene è reso ancora più
caustico dalle varie informazioni che giungono dall’esterno del film: il
paratesto. Ogni film che promette scandalo – spesso frutto di strategia
pubblicitaria – suscita attenzione e guida, e a volte condiziona la
visione stessa dell’opera. Interviste, rotocalchi, riviste
specializzate, trailer, dichiarazioni e siti internet connotano
il nostro personale bagaglio informativo e, soprattutto, interpretativo.
Da un punto di vista paratestuale Magdalene è
caratterizzato da quattro input esterni: le dichiarazioni ufficiali, le
notizie inerenti alle location ed attori, la documentazione e, infine,
il parere della critica.
Mullan ha apertamente dichiarato
la personale opposizione al mondo cattolico. Non ha lesinato, nelle
varie conferenze stampa, dettagli circa le motivazioni e le fasi di
documentazione, preparazione e location del film.
«Non posso considerare (questo
film, n.d.r.) strettamente autobiografico, piuttosto tratta di vicende
che sono accadute intorno a me. Io sono cattolico, o meglio, mia madre
mi ha consegnato alla Chiesa quando avevo due settimane di vita; mio
padre era alcolista e quando mi è capitato di vedere un documentario
sulle case “Magdalene” ho subito capito cosa significhi essere
prigionieri a livello mentale… Quando ero piccolo ho lavorato per una
suora irlandese che ci chiedeva sempre di pregare, ma che era una delle
persone più crudeli che abbia mai conosciuto, pur avendo un sorriso che
definirei da cherubino. Il lato “cattivo” della Chiesa è la sua assenza
di dubbi su ciò che è giusto o sbagliato, sono convinti di essere
benedetti da Dio. La suora in questione non capiva che era crudele,
vedeva la compassione come una debolezza. Questo è il vero problema
della Chiesa, ha dimenticato la compassione e dovrebbe riconsiderare ciò
che ha fatto nel XX secolo (e ciò che sta facendo ora) e magari chiedere
scusa»1.
È lo stesso regista a dichiarare
di essersi imbattuto in un forte ostruzionismo da parte delle autorità e
della gente da dover trasferire le riprese dall’Irlanda alla Scozia.
Phyllis McMahon, attrice
chiamata per il ruolo di sorella Augusta, ha richiamato la propria
esperienza di ex sorella della Misericordia.
«La Chiesa cattolica fa parte
della mia vita, io sono ancora cattolica – dice - ma in quel convento ho
visto una crudeltà enorme, la società ha la colpa di aver segregato
quelle donne lì dentro. La Chiesa cattolica deve guardarsi in
profondità. Non sono stata obbligata ad entrare in convento, avevo una
forte vocazione. Ero stata influenzata pesantemente dall’educazione
cattolica delle suore e a 17 anni decisi di prendere i voti e dedicare
la mia vita a Dio perché tramite me facesse cose stupende. I miei
genitori erano contrari alla mia scelta. Ero talmente idealista che i
primi anni non volevo rendermi conto di quel che vedevo. Poi a 21 anni
sono stata mandata a dirigere un istituto di 100 ragazze e lì ho capito
che non ce la facevo a diventare come quelle suore che terrorizzavano
altre donne. E così ho preso la decisione e aiutata dai miei genitori
sono scappata e sono diventata attrice»2.
Mullan ha dichiarato anche di
essersi ampiamente documentato raccogliendo, non senza difficoltà a
motivo della riluttanza, varie testimonianze. Emanuela Audisio riporta
in un suo articolo3, una intervista a Mary
Norris, ex “madallenina”.
«Dopo la morte di papà, mia
madre cominciò a frequentare un uomo della zona, che spesso si fermava a
dormire da noi. […] presero noi bambini e ci fecero marciare fino al
tribunale, sotto gli occhi di tutti. Su volere del parroco che
considerava la mamma una cattiva donna. Finimmo in un orfanatrofio a
Killarney, separati dai nostri fratelli, ma noi la mamma l’avevamo. Mi
guardi: sono una vera Maria Maddalena, non un fantasma. Sono una di
quelle di cui parla il film di Peter Mullan che ha vinto a Venezia. Una
di quelle schiave messe a marcire nei conventi, gestiti dalle Suore
della Misericordia, per conto della Chiesa cattolica».
Ed, infine, non possiamo
tralasciare le voci che si sono alzate a favore e, soprattutto, contro
Magdalene. «Si ha come l’impressione che la giuria si sia fatta
influenzare dalle polemiche più che dal film», ha dichiarato Andrea
Piersanti, presidente del cattolico Ente dello spettacolo. «Chi ha
premiato il film lo ha fatto solo per il suo contenuto anticattolico».
«Evidentemente il fascino del film è appunto in questo» ha detto padre
Gianni Baget Bozzo. Il cardinal Ersilio Tonini e la mediatica suor
Paola, tifosa della Lazio, hanno invocato un maggior rispetto per il
lavoro e, soprattutto, per le motivazioni delle suore. Lo stesso Valerio
Riva, membro del Consiglio di amministrazione della Biennale, ha preso
le distanze dal verdetto della giuria rifiutandosi di presenziare alla
premiazione4.
Quale valutazione
È giusto allora, alla luce di
quanto riportato finora, distinguere il cosa è stato raccontato dal
come. È giusto farlo perché le due dimensioni hanno oggetti differenti
e, in questo caso, richiedono valutazioni diverse.
Magdalene è un
film ben costruito. Sa raccontare bene la tragedia interiore di ogni
personaggio riportandone ogni sfumatura. Riesce a trascinare lo
spettatore nello stesso movimento di odio e di repulsione verso una
morale rigidista. Mullan si inserisce con dignità nel filone di quei
registi che preferiscono un cinema critico desideroso di colpire nello
stomaco il pubblico e la storia.
Ma è giusto osservare che ogni
film, come ogni esperienza umana, racconta una storia, un sentimento,
dei personaggi esprime il punto di vista del suo autore e non un
descrizione oggettiva. Le dichiarazioni su riportate ci aiutano a
comprendere che Magdalene è un film che parte da una
precisa volontà accusatoria.
Magdalene suscita
interrogativi ai quali solo gli storici, con onestà ed autenticità,
potranno rispondere. Con gli ultimi dittici «300.000 ragazze sono state
ospiti …. L’ultima lavanderia ha chiuso nel 1996» Mullan estende la
vicenda delle protagoniste a tutto l’operato delle suore della Maddalena
senza operare contestualizzazioni storiche o sociali. Da più parti si è
fatto notare che i conventi delle suore della Maddalena erano pii
riformatori gestiti dalle religiose per conto dello stato. In nessun
passaggio del film emerge la responsabilità o, perlomeno, la presenza di
altri soggetti. Mullan sembra aver scelto alcune vicende di ragazze
innocenti ed inserite, estendendole a tutto l’operato delle suore, in un
contesto rieducativo particolare.
La critica alla cultura
cattolica non è diretta solo alle religiose ma investe a
trecentosessanta gradi tutta la realtà. All’origine delle varie vicende
c’è una famiglia, una madre, un padre eccessivamente rigidi. «Mamma
perché non lo guardi?», è l’esortazione disperata di Rose. Margaret è
imputata in un processo dove non ha possibilità di replica.
Significativo il succedersi dei vari dialoghi coperti dalla musica della
festa mentre si definisce il verdetto della ragazza; freddo il silenzio
dell’allontanamento da casa all’alba del giorno successivo. È questo il
primo trauma che le due ragazze vivono: le persone che amano non sono
disposte ad essere misericordiose. Già, è proprio la misericordia che
sembra mancare al film! Ma non si può certo affermare che la Chiesa,
nonostante i suoi limiti ed errori storici, non ne abbia affatto
vissuto!
C’è solo un momento. Il freddo
volto di sorella Bridget, sembra attraversato dal segno del rimorso
quando Crispina viene portata via in una casa di cura mentale. Ma,
ahimè!, è una sola inquadratura isolata che sviluppa nessun tema. Forse
vuole esprimere l’incapacità del personaggio a saper riconoscere e
vivere un sentimento di misericordia, di angoscia o, eventualmente, a
doverlo sacrificare per una ragione più conveniente!
Magdalene è un
film crudo e diretto. A noi è piaciuta la qualità registica e le
strategie comunicative attuate da Mullan. Il film va visto certamente
con un certo distacco e senso critico, non dimentichiamo che è una
accusa esplicita di un regista. Possiamo raccogliere dalla continua
serie di provocazioni che Magdalene offre una buona
lezione che resta valida al di là delle esattezze storiche del film o
degli errori compiuti come Chiesa: il messaggio cristiano ha bisogno di
testimoni credibili.
Il lavoro di Mullan ci stimola
come cattolici a “raccontare” con modalità nuove, senza escludere anche
quella cinematografica, le meraviglie, le fatiche e la storia di un
messaggio che da sempre si è incarnato e continua a farlo ancora oggi in
un cammino storico.
1.
http://www.filmup.com/speciale/petermullan/int01.htm - FilmUP 21
settembre 2002.
2.
http://www.ilnuovo.it/nuovo/foglia/0,1007,149266,00.html - Il Nuovo
Cinema 29 settembre 2002.
3. Audisio Emanuela, La mia
vita da schiava in un convento-lager, La Repubblica 13 settembre 2002;
Cf
www.larepubblica.it.
4. Cf Corriere della Sera, 8
settembre 2002.
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