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Venendo da un funerale di una mia
consorella, riflettevo sulla caducità della vita: ci sembra così importante
quello che viviamo, facciamo, diciamo, soffriamo, ma poi, di fronte alla morte,
soprattutto di fronte alla morte di una persona cara, ci rendiamo conto della
fugacità di tutto ciò che ci circonda, di quanto sia relativo tutto quello per
cui lottiamo e soffriamo e ci affanniamo…
In questi momenti
ci rendiamo conto che la nostra stessa vita non è che un soffio e che davvero
non vale la pena di arrabattarci tanto per cose e situazioni che non durano che
qualche anno: un breve, o relativamente lungo, periodo di tempo; ci rendiamo
conto che il nostro piccolo, grande mondo, di fronte alla morte, acquista un
significato diverso, si relativizza, ritorna al proprio posto creaturale,
ponendoci il grande interrogativo dell’aldilà.
Che cosa sarà di
noi dopo? Che cosa succederà di noi, dei nostri affetti, delle persone che ci
stanno più a cuore, di tutto quelle situazioni che ci hanno fatto tanto penare,
di tutto quello che abbiamo fatto e facciamo? Che cosa sarà dei nostri princìpi
che ci hanno guidato nelle scelte di vita quotidiana e per le quali abbiamo
speso e spendiamo l’intera esistenza? Ne valeva la pena? Ne vale la pena?
Abbiamo agito saggiamente? Ci siamo fatte guidare da persone degne di fede e al
di sopra di ogni interesse personale e di gruppo?
Il mese di
novembre ci offre lo spunto per riflettere sulle ultime realtà, sull’opzione
fondamentale che siamo chiamate a operare: diventare sagge, scegliere la Vita,
vivere da figlie della Sapienza:
«La sapienza esalta i
suoi figli
e si prende cura di quanti la cercano.
Chi la ama, ama la vita,
quanti la cercano solleciti
saranno ricolmi di gioia» (Sap 4,11-12)
Soltanto se saremo sagge, della saggezza di Cristo, potrà aver senso la nostra
vita, il nostro operare, il nostro essere per Dio e per il mondo. Soltanto così
non avremo più tanta paura dell’incognito, di che cosa ci aspetterà dopo…
L’opzione
fondamentale per Dio, infatti, dipende soltanto da ciascuna di noi, dal nostro
volere, dalla nostra libertà:
«Se vuoi, osserverai i comandamenti;
l’essere fedele dipenderà dal tuo buonvolere.
Egli ti ha posto davanti il fuoco e l’acqua;
là dove vuoi stenderai la mano.
Davanti agli uomini stanno la vita e la morte;
a ognuno sarà dato ciò che a lui (a lei) piacerà» (Eccli 15,16-18).
Se già dal Primo
Testamento ci viene rivolto questo insegnamento, quanto più noi, figli e figlie
del Nuovo Testamento, dovremmo pensare e, di conseguenza, vivere questa fedeltà
quotidiana, vigile e libera, al Dio di Gesù Cristo, il Dio vivente, che ci
invita a vivere questa dimensione libera e filiale nel quotidiano delle nostre
scelte e del nostro operare. Soltanto in Cristo e per Cristo, potremo
abbandonarci fiduciosamente nelle braccia del Padre e quietarci nel Suo amore.
E’ la nostra
stessa vocazione di consacrate che ci pone sulla scia del Cristo, morto e
risorto per la redenzione del mondo. E’ Lui che seguiamo liberamente,
testimoniandone l’amore per ogni creatura, affidandoci e fidandoci del Suo
esempio e del Suo insegnamento, memori delle Sue parole:
«Se qualcuno vuol
venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi
segua. Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria
vita per me, la salverà. Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi
si perde o rovina se stesso? Chi si vergognerà di me e delle mie parole, di lui
si vergognerà il Figlio dell’uomo, quando verrà nella gloria sua e del Padre e
degli angeli santi» (Lc 9,23-26).
Noi sappiamo in
chi crediamo, in chi abbiamo posto la nostra fiducia e siamo certe che egli
porterà a compimento la Sua promessa, al di là delle nostre fragilità e dei
nostri limiti, se perseveriamo nel Suo amore e nella Sua sequela, fino alla
fine. Allora si avvererà per noi la parola che Gesù rivolse ai Suoi apostoli:
«Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle
mie prove; e io preparo per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me,
perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno…» (Lc 22,28-30).
Il dopo vita,
allora, non ci fa più paura, perché crediamo nel Signore Gesù e aspettiamo di
cadere nelle sue braccia e raggiungerlo nella Sua Casa.
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