n. 11
novembre 2003

 

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di Tiziana De Rosa
 

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Venendo da un funerale di una mia consorella, riflettevo sulla caducità della vita: ci sembra così importante quello che viviamo, facciamo, diciamo, soffriamo, ma poi, di fronte alla morte, soprattutto di fronte alla morte di una persona cara, ci rendiamo conto della fugacità di tutto ciò che ci circonda, di quanto sia relativo tutto quello per cui lottiamo e soffriamo e ci affanniamo…

In questi momenti ci rendiamo conto che la nostra stessa vita non è che un soffio e che davvero non vale la pena di arrabattarci tanto per cose e situazioni che non durano che qualche anno: un breve, o relativamente lungo, periodo di tempo; ci rendiamo conto che il nostro piccolo, grande mondo, di fronte alla morte, acquista un significato diverso, si relativizza, ritorna al proprio posto creaturale, ponendoci il grande interrogativo dell’aldilà.

Che cosa sarà di noi dopo? Che cosa succederà di noi, dei nostri affetti, delle persone che ci stanno più a cuore, di tutto quelle situazioni che ci hanno fatto tanto penare, di tutto quello che abbiamo fatto e facciamo? Che cosa sarà dei nostri princìpi che ci hanno guidato nelle scelte di vita quotidiana e per le quali abbiamo speso e spendiamo l’intera esistenza? Ne valeva la pena? Ne vale la pena? Abbiamo agito saggiamente? Ci siamo fatte guidare da persone degne di fede e al di sopra di ogni interesse personale e di gruppo?

Il mese di novembre ci offre lo spunto per riflettere sulle ultime realtà, sull’opzione fondamentale che siamo chiamate a operare: diventare sagge, scegliere la Vita, vivere da figlie della Sapienza:

«La sapienza esalta i suoi figli
e si prende cura di quanti la cercano.
Chi la ama, ama la vita,
quanti la cercano solleciti
saranno ricolmi di gioia» (Sap 4,11-12)

Soltanto se saremo sagge, della saggezza di Cristo, potrà aver senso la nostra vita, il nostro operare, il nostro essere per Dio e per il mondo. Soltanto così non avremo più tanta paura dell’incognito, di che cosa ci aspetterà dopo…

L’opzione fondamentale per Dio, infatti, dipende soltanto da ciascuna di noi, dal nostro volere, dalla nostra libertà:

«Se vuoi, osserverai i comandamenti;
l’essere fedele dipenderà dal tuo buonvolere.
Egli ti ha posto davanti il fuoco e l’acqua;
là dove vuoi stenderai la mano.
Davanti agli uomini stanno la vita e la morte;
a ognuno sarà dato ciò che a lui (a lei) piacerà» (Eccli 15,16-18).

Se già dal Primo Testamento ci viene rivolto questo insegnamento, quanto più noi, figli e figlie del Nuovo Testamento, dovremmo pensare e, di conseguenza, vivere questa fedeltà quotidiana, vigile e libera, al Dio di Gesù Cristo, il Dio vivente, che ci invita a vivere questa dimensione libera e filiale nel quotidiano delle nostre scelte e del nostro operare. Soltanto in Cristo e per Cristo, potremo abbandonarci fiduciosamente nelle braccia del Padre e quietarci nel Suo amore.

E’ la nostra stessa vocazione di consacrate che ci pone sulla scia del Cristo, morto e risorto per la redenzione del mondo. E’ Lui che seguiamo liberamente, testimoniandone l’amore per ogni creatura, affidandoci e fidandoci del Suo esempio e del Suo insegnamento, memori delle Sue parole:

 

«Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà. Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso? Chi si vergognerà di me e delle mie parole, di lui si vergognerà il Figlio dell’uomo, quando verrà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi» (Lc 9,23-26).

 Noi sappiamo in chi crediamo, in chi abbiamo posto la nostra fiducia e siamo certe che egli porterà a compimento la Sua promessa, al di là delle nostre fragilità e dei nostri limiti, se perseveriamo nel Suo amore e nella Sua sequela, fino alla fine. Allora si avvererà per noi la parola che Gesù rivolse ai Suoi apostoli:

 «Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; e io preparo per voi un regno, come il Padre l’ha preparato per me, perché possiate mangiare e bere alla mia mensa nel mio regno…» (Lc 22,28-30).

 Il dopo vita, allora, non ci fa più paura, perché crediamo nel Signore Gesù e aspettiamo di cadere nelle sue braccia e raggiungerlo nella Sua Casa.

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