Un cammino di avvicinamento
Il
rapporto tra Chiesa e media non sempre è stato facile. Quando nel secolo
XV apparve la stampa, essa fu salutata dal vescovo di Magonza (la città
di Gutenberg inventore dei caratteri mobili a stampa) come «una specie
di arte divina, capace di moltiplicare i codici di ogni scienza a
vantaggio della cultura umana e dell’istruzione religiosa dei fedeli».
Tuttavia presto ci si allarmò per i pericoli insiti in questo potente
mezzo, che poteva divulgare anche dottrine eretiche e testi immorali. Il
gesuita Padre Enrico Baragli ha raccolto in un’opera monumentale i testi
che documentano questo difficile rapporto tra Chiesa e comunicazione
sociale (cfr. Comunicazione, comunione e Chiesa, Roma 1973).
Solo nel secolo XX, il “secolo dei
media” (dal cinema, alla radio, televisione e Internet), il rapporto
cambia e si fa più sereno e positivo.
E’ di Pio XI la prima enciclica sul
cinema Vigilanti cura (29 giugno 1936). Si tratta di un documento
di grande significato dottrinale e pastorale:
• è la prima enciclica sui mezzi di
comunicazione del secolo XX, e in particolare sul cinema;
• per determinare la qualità morale
dei film l’enciclica propone di creare un sistema di classificazione (nn.
45-47) e degli uffici che operino a livello nazionale a questo scopo (nn.48-52);
• nonostante la fermezza verso le
pellicole giudicate come moralmente inaccettabili, l’enciclica esprime
fiducia nel cinema di qualità ed evidenzia le sue opportunità pastorali.
L’incoraggiamento a moltiplicare le sale cinematografiche di proprietà
della parrocchia, si deve in particolare a questa enciclica.
Il papa Pio XII continuerà
l’insegnamento del suo Predeces-sore con oltre 60 interventi sul mondo
della comunicazione sociale. I due discorsi sul “film ideale” (21 giugno
e 28 ottobre 1955) sono veri “trattati psico-socio-morali”.
Ma l’insegnamento di Pio XII sui
mezzi della comunicazione sociale raggiunge il suo apice con l’enciclica
Miranda Prorsus dell’8 settembre 1957, la prima enciclica che,
oltre a continuare l’insegnamento sul cinema, tratta della radio e della
televisione.
Questa enciclica testimonia il
profondo interesse di questo papa colto per l’emergente mondo della
comunicazione sociale. Come in altri documenti, anche in Miranda
prorsus, Pio XII dà prova di una grande capacità di analisi ed
esprime un atteggiamento fondamentalmente positivo verso i mass media,
il loro potenziale per la crescita dell’umanità, le esigenze pastorali
che ne derivano.
L’insegnamento è molto ampio: si va
dai primi elementi di una teologia della comunicazione (n.21), alla
rivendicazione del diritto di accesso da parte della Chiesa cattolica ai
mezzi di comunicazione, alle considerazioni specifiche su cinema (nn.74-104),
radio (nn.105-132) e televisione (nn.133-150). Nella conclusione,
l’enciclica fa appello al ruolo e alla responsabilità del sacerdote:
«Egli deve conoscere i problemi che il cinema, la radio e la televisione
pongono ai fedeli» (n.152); «deve sapere servirsene quando, a prudente
giudizio dell’autorità ecclesiastica, lo richiederà la natura del suo
ministero e la necessità di giungere a un più grande numero di fedeli»
(n.153); «deve, infine, se ne usa per sé, dare a tutti i fedeli
l’esempio di prudenza, di temperanza e di senso di responsabilità» (n.154).
Meriterebbe citare altri passi che
conservano la loro efficacia. Due fra i tanti: «Se questi mezzi saranno
lasciati in balia di se stessi e senza freni morali, allora favoriranno
l’abbassamento del livello culturale e morale del popolo» (n.40).
«Perché lo spettacolo possa compiere la sua funzione, occorre un’azione
istruttiva ed educativa che prepari lo spettatore non solo a capire il
linguaggio proprio a ciascuna di queste tecniche, ma specialmente a
condurvisi secondo coscienza, sì da considerare e giudicare con maturo
criterio» (n.57). Ecco la Media education ante litteram!
Durante i lavori di preparazione
del Concilio Vaticano II, questa enciclica, unitamente ai due discorsi
di Pio XII sul “film ideale”, è stata una fondamentale risorsa per le
commissioni di lavoro. La redazione del documento conciliare sulla
comunicazione sociale riprendeva le parole di Miranda prorsus: Summo
cum gaudio Catholica Ecclesia cunctas excipit mirandas prorsus technicae
artis inventiones.
Il Vaticano II e la
comunicazione sociale
Per la prima volta nella storia,
sull’agenda della Chiesa cattolica, con la solennità e l’impegno di un
documento conciliare, viene scritta la parola comunicazione sociale.
Il merito va ai Padri del Concilio che il 4 dicembre 1963 hanno
sottoscritto il decreto Inter mirifica.
La cronaca di come si sia giunti al
documento conciliare sulle comunicazioni sociali è degna di essere
ricordata. Nella prima consultazione sulle questioni da affrontare nel
Concilio, indetta da Papa Giovanni XXIII nel giugno 1959, i mezzi della
comunicazione sociale non ebbero quasi nessuna menzione. Delle 9.348
proposte per il Concilio, solamente 18 facevano riferimento ai mass
media. Fu al di fuori dei lavori della Commissione preparatoria che
venne accolta una proposta dell’ultimo momento per la creazione di un
Segretariato per la stampa e lo spettacolo.
Originariamente concepito come un
ufficio per assistere i giornalisti - Padre Baragli parla di un
“fortunato equivoco iniziale” di Giovanni XXIII - si trasformò poi in
Commissione ufficialmente istituita dal Papa con il Motu proprio
Superno Dei nutu del 5 giugno 1960, avente il compito di preparare
un documento sulla comunicazione sociale che sarebbe stato inserito nel
programma del Concilio.
La Commissione, presieduta
dall’arcivescovo Martin O’Connor, e avente come segretario mons. Andrea
M. Deskur (oggi cardinale), iniziò i suoi lavori nel luglio del 1960.
Nell’anno seguente raggiunse il numero di 46 membri e consulenti,
provenienti da 22 nazioni, tra i quali i membri della Pontificia
Commissione per il cinema, la radio e la televisione, e i Presidenti
delle organizzazioni mondiali cattoliche per la stampa, il cinema, la
radio e la televisione (UCIP, OCIC, UNDA).
Tra il novembre 1960 e il maggio
del 1962, nel corso di varie sessioni, la Commissione elaborò un ampio
schema, composto di 114 paragrafi, accolto dalla Commissione
preparatoria del Concilio e approvato dal papa Giovanni XXIII come
documento da includere negli atti conciliari.
Il testo proposto fu discusso dai
Padri conciliari alla fine della prima sessione, tra il 23 e il 27
novembre 1962. Il tono dei 41 interventi si mantenne su un piano
pastorale evitando di trattare le questioni che sembravano essere di
tipo professionistico. Alla fine della discussione, il 27 novembre, la
presidenza del Concilio fece la proposta di approvare il documento nella
sua sostanza, lasciando però le indicazioni pastorali ad una successiva
Istruzione, la cui compilazione era da affidare alla competente
Commissione vaticana per le comunicazioni sociali. La proposta fu
approvata da 2138 Padri, respinta da 15 con 7 astensioni.
Nell’intervallo tra la prima e la
seconda sessione plenaria del Concilio, il testo venne ridotto da 114 a
soli 24 paragrafi e il suo status passò da Costituzione a Decreto
conciliare. Prima della votazione definitiva del 1963, il documento fu
oggetto di dure critiche perché considerato inadeguato allo standard di
un documento conciliare (carente soprattutto di un fondamento teologico)
e alle attese dei professionisti dei mass media. La votazione in aula
del 25 novembre 1963 fece registrare il più alto numero di voti negativi
per un documento conciliare: 503 voti contrari, 1598 voti favorevoli e
11 astenuti. Comunque nella votazione solenne e definitiva, avvenuta il
4 dicembre successivo alla presenza del papa Paolo VI, i voti contrari
si ridussero a 164.
Nonostante le traversie che abbiamo
voluto ricordare, il decreto Inter mirifica passa alla storia del
rapporto tra Chiesa e mezzi della comunicazione sociale per varie
ragioni:
• come si è già ricordato, è la
prima volta che un Concilio ecumenico discute di comunicazione e mass
media. Il valore di Inter mirifica va ben oltre le dichiarazioni
individuali che un Papa può esprimere tramite un discorso, un messaggio
o una lettera enciclica;
• la comunicazione sociale non solo
viene inserita nell’agenda della Chiesa cattolica, cioè tra le cose da
fare, ma ottiene un quadro istituzionale stabile. Con il Motu proprio
In fructibus multis, del 28 giugno 1964, il Papa Paolo VI
darà una configurazione definitiva alla Pontificia Commissione delle
Comunicazioni sociali (dal 28 giugno 1988: Pontificio Consiglio…). In
continuità con il Concilio che aveva ripreso la disposizione del Motu
proprio Boni Pastoris di Giovanni XXIII (22 febbraio 1959), Inter
mirifica raccomanda l’istituzione di Uffici nazionali delle
comunicazioni sociali (n. 21) e il coordinamento a livello
internazionale delle iniziative dei cattolici (n. 22), dove già erano
operanti le Associazioni professionali UCIP, OCIC, UNDA, riconosciute
dalla Santa Sede (oggi si chiamano UCIP e SIGNIS);
• Inter mirifica dispone che
venga celebrata, nella domenica dopo l’Ascensione, la “Giornata mondiale
delle Comunicazioni sociali” (n. 18) «nella quale i fedeli saranno
istruiti su loro doveri in questo settore». Ai fedeli viene richiesto di
contribuire anche finanziariamente alle iniziative della Chiesa per la
comunicazione sociale. Ogni anno, a partire dal 1967, in occasione di
questa giornata mondiale, i Papi hanno inviato ai cattolici un messaggio
sui diversi aspetti della comunicazione sociale. I loro contributi
costituiscono una piccola summa del pensiero ufficiale della Chiesa
sulla comunicazione e i mass media. Per la loro attualità e per il loro
linguaggio diretto (non dottrinale), i messaggi pontifici hanno sempre
interessato la grande stampa e i professionisti dei media.
• La “storia degli effetti” del
decreto Inter mirifica non si arresta qui. Se l’istruzione pastorale
Communio et progressio, voluta dal Concilio, rappresenta il
documento più vasto ed elaborato del pensiero postconciliare in materia
di comunicazione sociale, e il nuovo Codice del 1983 segna la ricezione
dei mass media nel diritto ordinario della Chiesa, non vanno
sottovalutate le diverse iniziative ecclesiali che traggono origine
dall’impulso dato dal Concilio: l’opera del DECOS-CELAM in America
Latina, l’impegno dei gesuiti, dei paolini e di altri ordini religiosi
in questo settore, le Facoltà pontificie della comunicazione sociale,
come quella sorta presso l’Università Salesiana di Roma in occasione del
centenario della morte di san Giovanni Bosco (1988) per la preparazione
dei quadri della Chiesa cattolica, la gestione di radio e televisioni
cattoliche, la preparazione di docenti di comunicazione nei seminari e
negli istituti di formazione dei religiosi e religiose.
Communio et progressio
L’istruzione pastorale Communio
et progressio costituisce il naturale completamento di Inter
mirifica. Richiesta dai Padri del Vaticano II, in continuità e a
integrazione del decreto conciliare, è il frutto di un lungo processo di
cooperazione internazionale, di sette anni di lavoro con quattro
successive stesure. Attenendosi alle dieci questioni di base che erano
state fissate dalla Commissione pontificia nel 1966, il Comitato di
redazione aveva cercato di raggiungere, in una materia in così rapida
evoluzione, un’armonia e talvolta solo un compromesso, tra le diverse
tendenze di cui rimangono tracce nel testo definitivo. Valgano alcuni
esempi.
I
destinatari. Essenziale nell’economia del documento era la
questione dei destinatari diretti. E’ indubbio che nelle sue origini il
documento, come prolungamento del decreto conciliare, fosse pensato come
destinato ai vescovi. Senonché negli anni successivi si erano fatte
numerose le richieste di estendere il documento ad altre categorie di
fedeli. Il Comitato di redazione decise che il documento «si rivolgesse
direttamente ai vescovi, e per loro tramite a tutti i fedeli, con la
speranza che esso potesse giungere a tutti gli uomini di buona volontà».
Tuttavia, nella sua stesura finale,
CeP riflette la mentalità e i problemi dei professionisti dei media,
principali estensori del documento.
Dottrina e
prassi. La seconda delle questioni poste ai redattori riguardava
lo scopo e la natura del documento: sarà piuttosto dottrinale oppure
pratico? L’orientamento pastorale del documento sembrava essere un dato
indiscutibile. Nella sua redazione finale CeP conserverà la qualifica di
“istruzione pastorale”. Tuttavia molte erano state le richieste perché
si colmassero le lacune dottrinali lasciate dal decreto conciliare Inter
mirifica. C’era chi chiedeva «una specie di schema 13, con tanto di
sviluppo antropologico e sociologico». Il Comitato di redazione
saggiamente decise per una via mediana: «Il documento sarà
essenzialmente pratico, senza tuttavia omettere la dottrina». In realtà
ne è risultato un documento prevalentemente dottrinale con modiche e
generali norme pastorali.
Dal punto di vista teologico,
l’istruzione CeP non solo supera tutti i documenti precedenti, ma è
risultata capace di fornire nuovi impulsi per lo sviluppo di una
teologia della comunicazione. La comunicazione diviene, in votis, il
nuovo principio architettonico secondo cui costruire l’edificio
teologico e pastorale della Chiesa. Cristo è presentato come il perfetto
comunicatore (n. 11); l’Eucaristia è una “comunicazione” che porta alla
comunione; viene sottolineato il ruolo dello Spirito santo e la
dimensione trinitaria di ogni comunicazione cristiana (nn. 6-15). Questi
concetti verranno ripresi dal card. Martini nella sua lettera pastorale
Effatà (1990).
Un’altra questione controversa,
sorta nella lunga gestazione di CeP, era stata quella relativa al posto
da assegnare ai singoli mass media, in particolare: stampa, cinema,
radio e televisione. Lo stesso problema era stato dibattuto durante
la preparazione del decreto conciliare Inter mirifica; ma nella
drastica abbreviazione da esso subita, era stato necessario ridurre i 14
paragrafi destinati ai mezzi della comunicazione sociale a poco più di
una mezza pagina. Con Communio et progressio i rappresentanti
delle Associazioni internazionali cattoliche per la stampa, il cinema,
la radio e televisione, pensavano di avere partita vinta. Ma non fu
così. Dei 187 numeri dell’istruzione pastorale solo 26 vengono riservati
ai mass media in particolare (nn. 135-161). D’altronde era difficile
definire in un documento del magistero destinato alla Chiesa universale,
una materia in così rapida evoluzione, rispondere alle esigenze
specifiche dei professionisti, tener conto delle situazioni così
diversificate tra Paesi del primo mondo e quelli dei Paesi in via di
sviluppo.
Altro tema che era vivo nella
coscienza dei redattori di CeP, era quello di ricuperare, oltre alla
teologia, anche la dottrina circa l’informazione e l’opinione pubblica
nella Chiesa. Quei problemi erano diventati vivissimi, nella stessa
Chiesa cattolica negli anni del dopo Concilio, e l’Istruzione, redatta
soprattutto da professionisti, non poteva eluderli. CeP ne tratta
ampiamente nei nn. 24-62, ed è la parte del documento che più ha
attirato l’interesse dei pubblicisti, anche non cattolici.
Communio et Progressio è
stata giudicata come uno dei documenti più completi e positivi della
Chiesa sulle comunicazioni sociali. Già dando un’occhiata all’indice si
può notare come il documento non inizi con i diritti e i doveri della
Chiesa, come avveniva nel passato, ma, dopo la presentazione teologica,
sviluppa il contributo dei media al progresso umano e si dimostra
fiducioso sul loro apporto per lo sviluppo della Chiesa. Queste
considerazioni coprono quasi la metà dell’intero testo (dal n. 19 al n.
100). I precedenti documenti del magistero cattolico tendevano a dare
ordini ai fedeli e a rivendicare i diritti della Chiesa istituzionale;
questa istruzione pastorale si fonda soprattutto sulla responsabilità
personale.
In quanto risultato di
un’amplissima collaborazione in campo cattolico, CeP non può essere
considerata come un atto personale di un Sommo Pontefice. Voluta dal
Concilio, frutto del prolungato lavoro di un gruppo internazionale di
esperti e di professionisti della comunicazione mediale, approvata
finalmente dal papa Paolo VI il 25 maggio 1971 “tutta e in ogni sua
parte”, CeP si presenta come un vero e proprio documento della Chiesa
postconciliare.
CeP è oggi considerata la Magna
charta dei comunicatori cattolici. Tuttavia, gli autori stessi non
l’hanno ritenuta come la parola definitiva della Chiesa sulle
comunicazioni sociali. Concludendo la loro fatica, i redattori hanno
espresso l’augurio «che la pubblicazione di Communio et
progressio più che la sintesi di un’epoca, segni l’inizio di una
nuova era» (n. 186).
La
nuova “era”
Con questa espressione inizia il
documento con cui il Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali ha
voluto ricordare nel suo ventennale e rilanciare l’insegnamento di
Communio et progressio: Aetatis novae (22 febbraio 1992).
«All’avvicinarsi di una nuova era»
(Aetatis novae adventus). Nel titolo già traspare l’ammirazione
con cui la Chiesa guarda l’enorme progresso che sta avvenendo nel campo
delle comunicazioni sociali e la fiducia nel servizio che questi potenti
mezzi possono rendere alla causa dell’uomo e del Vangelo. Tutti i
documenti ecclesiali sui mezzi elettronici della comunicazione di massa
risentono di questa visione positiva di fondo: Inter mirifica,
Communio et progressio, Aetatis novae…
La Chiesa considera la
comunicazione sociale come la «nuova frontiera dell’evangelizzazione»
(Giovanni Paolo II, Christifideles laici, 44) e, come san Paolo
nell’areopago di Atene, guarda verso il nuovo mondo della comunicazione
come a una grande sfida alla quale deve rispondere. «Il primo areopago
del tempo moderno è il mondo della comunicazione, che sta unificando
l’umanità rendendola – come si suol dire – un villaggio globale»
(Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 1990, n. 37).
Aetatis Novae non aggiunge
altra dottrina a quella già espressa nei documenti precedenti. La sua
grande novità è quella di tracciare le linee essenziali per il piano
pastorale nel campo delle comunicazioni sociali che ogni Chiesa
locale dovrà elaborare. Il primo passo per questo progetto è avere una
“visione” (in inglese: vision), la capacità di leggere il nostro tempo,
i “segni dei tempi”; il secondo passo è quello di avere il coraggio di
progettare il futuro e predisporre le condizioni perché esso si attui.
La Chiesa italiana si è messa con
“Parabole mediatiche” (novembre 2002) su questa strada. Il Direttorio
per le comunicazioni sociali (di imminente pubblicazione) traccerà le
linee operative. Sapranno i religiosi e le religiose rispondere alla
sfida?
L’eredità e la sfida di
Inter mirifica
Ci sono alcune domande che le
religiose e i religiosi potranno porsi a conclusione di questa “memoria”
dell’Inter mirifica.
La prima
è questa: IM ha scritto la parola comunicazione nell’agenda della
Chiesa di oggi: i nostri Istituti religiosi l’hanno scritta realmente
nella pastorale e nella formazione? mons. John Foley, Presidente del
Pontificio consiglio delle comunicazioni sociali, durante un Congresso
ha affermato che la formazione dei sacerdoti e dei religiosi è un sogno
rimasto nel cassetto. Il Vescovo si riferiva al documento della
Congregazione dell’educazione cattolica del 19 marzo 1986. Ricordo che
nel 1994 avevo fatto, per incarico dell’Ufficio nazionale per le
comunicazioni sociali, un’indagine nei Seminari delle diocesi italiane
circa la formazione dei futuri sacerdoti nel campo delle comunicazioni
sociali. Un rettore di un grande seminario mi aveva risposto: «Non
sappiamo che cosa insegnare e chi possa farlo». Oggi quella
giustificazione è inaccettabile. Esistono decine di pubblicazioni
sull’argomento e si sono formati un buon numero di sacerdoti nelle
Pontificie Facoltà di comunicazione sociale. Inoltre, le Università
italiane hanno laureato o conferito un master a moltissimi laici in
questi ultimi dieci anni. Sarebbe sufficiente fare un’opera di talent
scouting! Come programma per un corso di base alle religiose,
suggerirei di seguire il volume di padre F.J. Eilers, verbita,
Comunicare nella comunità, Elledici, Leumann 1996.
Una seconda domanda: che cosa
facciamo come religiosi/e per promuovere l’educazione dei giovani alla
comunicazione sociale? Questo era un punto forte dell’Inter mirifica
(n. 16). La Chiesa risponde al “potere” dei media con il “contropotere”
dell’educazione, con la formazione del recettore critico e del cittadino
responsabile. Che cosa fanno le scuole cattoliche gestite dai
religiosi/e? Potrebbe essere un punto d’onore, forse anche un fiore
all’occhiello, quello di promuovere nelle scuole cattoliche un curricolo
di media education. Non qualche attività occasionale, ma un
curricolo organico, con una gradualità di contenuti e sistematicità di
metodi, un curricolo informativo e pratico in cui gli alunni apprendono
a “leggere e scrivere” con i media (fotografia, radio, televisione,
giornali, Internet). La nostra associazione del MED sta sperimentando in
molte scuole italiane il curricolo di media education a iniziare
dalla scuola elementare. Lo abbiamo chiamato Progetto MENS (Media
Education Nella Scuola). Le informazioni del progetto si trovano nella
nostra rivista Intermed (aprile e ottobre 2003).
La terza domanda: la Chiesa pratica
la comunicazione e la nostra catechesi no? Nella diocesi di
Spoleto-Norcia, sotto l’impulso del vescovo mons. Riccardo Fontana, il
MED sta sperimentando un vasto programma sui nuovi linguaggi della
catechesi. Non abbiamo fatto belle conferenze, ma abbiamo promosso i
“Laboratori della comunicazione della fede”. I catechisti sono stati
esercitati a “dire la fede” con la fotografia, il video, i fumetti, la
drammatizzazione, la musica, la multimedialità. Abbiamo pubblicato un
sussidio: Catechesi e nuovi linguaggi che potrà essere richiesto
all’Ufficio catechistico diocesano di Spoleto.
In definitiva, il “cantiere” della
comunicazione sociale e pastorale è aperto. Si cercano lavoratori e
lavoratrici. Chi vorrà rispondere?
Bibliografia
E. Baragli, L’Inter mirifica,
Studio romano della Comunicazione sociale, Roma 1970.
E. Baragli, L’Istruzione
pastorale Communio et progressio, in Civiltà cattolica, 1971,
IV, pp. 39-48; n. 235-253.
G. Cappello L. D’Abbicco, I
media per l’animazione, Elledici, Leumann (To) 2002
F.-J. Eilers, R. Giannatelli,
Chiesa e comunicazione sociale. I documenti fondamentali, Elledici,
Leumann (To) 1996
R. Giannatelli – P.C. Rivoltella,
Media educator: nuovi scenari dell’educazione, nuove professionalità,
Desk, Roma 2003
A. Ruszkowski, Decreto sulle
comunicazioni sociali: successo o insuccesso? in R. Latourelle (a
cura), Vaticano II: bilancio e prospettive venticinque anni dopo
(1962-1987), Cittadella editrice, Assisi 1987, vol. II
A. Dulles, Il Vaticano II e le
comunicazioni, in R. Latourelle (a cura), Vaticano II…, vol.
II
R.White, I Mass media e la
cultura nel cattolicesimo contemporaneo, in R. Latourelle (a cura
di), Vaticano II…, vol. II.
* Salesiano, già Preside e fondatore della nuova Facoltà
di Scienze della Comunicazione Sociale dell’Università Pontificia
Salesiana, dirige la rivista Intermed e tiene corsi sui temi
dell’educazione ai media e della pastorale della comunicazione sociale.
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