Ho
letto questa acuta osservazione di Peter Berger nel suo libro
Questioni di fede: «L’assonnato uomo d’affari esiste all’interno di
quella che oggi si chiama la “realtà di riferimento”, cioè il mondo
della vita comune e quotidiana, i cui parametri sono ben conosciuti e
condivisi dalla maggior parte, se non da tutti i contemporanei, in un
mondo che contiene poche sorprese»1.
Sì, davvero poche
sorprese esistono dentro una società dominata da un razionalismo che, a
poco a poco, è diventato il contenitore arrugginito del relativismo
pratico. In un mondo basato sul calcolo, l’unica carta vincente è quella
dell’ipermercato concorrenziale dall’Occidente all’Oriente. E l’unica
sorpresa agognata è quella del… “sonno”.
Non è il sonno
dell’indifferenza ai valori attraversato però da sogni? Ecco: si sogna
la sicurezza economica, il successo, la carriera, la roba, l’amore da
consumare con frettoloso, immediato piacere.
Si dorme e si sogna.
Quando poi succede un
brusco risveglio a causa di un forte guaio, insorgono le domande: perché
mi è capitato questo insuccesso? Questa malattia mia o dei miei cari?
Questa delusione? Questa morte di una persona cara?
È a questo appuntamento
che sopravviene la depressione o la disperazione, a volte il suicidio.
È però vero che, in
questa ubriacatura di dormienti, si accendono qua e là “bivacchi” di
gente ben desta e nuova: comunità anche laicali molto vive nella fede.
Esse accendono focherelli di speranza e di operativa carità in risposta
alle urgenze di oggi. Comunque la costante del panorama socio-culturale
largamente diffusa oggi è un impoverimento spirituale che rivela
un degrado sempre più rimarcato.
Nuove opportunità
Col coraggio che ci
viene dalla speranza teologale come respiro della nostra identità di
donne aperte al mondo ma in profondo contatto col Mistero, dobbiamo
dire: questa è l’ora nostra.
Sì, è l’ora di vivere
la femminilità invasa e trasfigurata da Dio-Sposo come gente
profondamente desta allo Spirito.
Dentro il gran fracasso
di un tipo di cultura materialista e consumistica che sta andando in
frantumi, è Lui, sì, è lo Spirito del Signore che suscita nell’uomo
d’oggi, soprattutto in un buon numero di giovani, fame e sete di Dio e
una gran voglia di far nuova la famiglia, la politica, l’economia,
l’arte, il mondo tecnologico mediatico e delle comunicazioni.
Stiamo prendendo
consapevolezza che il male dei mali, oggi, è il vivere egocentrato
che spinge a ogni tipo di avidità egoica, di possesso-attaccamento, che
diventa presto violenza di ogni tipo all’interno delle singole persone
della coppia della famiglia della società.
Ma che cos’è l’“ego” se
non la parte superficiale, inautentica di ciascuno? E non è questa che
viene nutrita dall’esteriorità, dall’effimero, dall’inconsistenza?
Ecco: qui sta il punto.
La grande scommessa a cui Gesù ci chiama è diventare quello che come
consacrate nel battesimo e nella professione religiosa, già siamo in
potenza: luce, sale, lievito.
Essere ben deste, nel
nostro oggi, vuol dire anzitutto, noi personalmente, lasciare che lo
Spirito del Signore ci attiri dall’esteriorità all’interiorità,
dall’“ego” al “sé” abitato da Dio.
Troppe volte anche noi
siamo prese nella “spira” del troppo fare. Un attivismo ansiosamente
segnato da stesura di programmi, di progetti (comunitari o meno) e
calcoli e indicazioni per imboccare le vie dell’efficienza che scivola
poi presto nell’efficientismo tipico di oggi. Invece l’urgenza
dell’attività pastorale oggi o è illuminata dall’urgenza di una “fede
operante nella carità” o è chiasso e pula al vento.
«Luce ai miei passi è
la tua Parola, Signore»
Si tratta dunque di
uscire dalle “derive” della fretta, del fare troppo e affannosamente o
troppo poco e in modo narcisistico.
Per avere luce e
diventare noi stesse luce là dove pastoralmente operiamo,
dobbiamo avere tempo di “ascolto” profondo, quieto, contemplativo
Non basta la fedeltà ai
momenti di preghiera comunitaria! Urgono scelte personali precise,
perché la nostra interiorità, nutrita di Parola di Dio, sia luce degli
insegnamenti di Gesù che diventano in noi un modo evangelico di pensare
e di agire.
Non è più tempo di
allestire musei e di erigere monumenti in onore dei nostri santi, ma
piuttosto di attingere allo spirito genuino del loro darsi perdutamente
a Dio e ai fratelli in risposta ai loro tempi.
E non basta neppure
“attingere”, perché bisogna “tradurre quello spirito” in linguaggi
recepibili oggi, in risposta alle esigenze che gridano da ogni
parte.
In un mondo di
“assonnati” perché troppo sazi di beni materiali o di disperati perché
nella miseria, la donna consacrata non può starsene nel suo buchetto di
tranquillo “perbenismo religioso”, in una nicchia etichettata di
pratiche devozionalistiche o culturalistiche o solo ripetitivamente
assistenziali. La luce, se c’è dentro, irradia nel sorriso nelle parole
nel gesto. È luce di Dio a cui teniamo rivolto il nostro cuore.
Il sale, se non
è scipito, brucia anche, ma poi dà sapore; è il primo vero condimento
delle vivande. Il sale è quello della sapienza del vivere
da cui veniamo plasmati alla luce della Parola ascoltata e pregata con
viva fede e speranza e amore.
E il lievito, il buon
lievito che fa fermentare la massa, non è forse proprio la nostra
femminilità che immerge i suoi doni d’intuizione di tenerezza di
tolleranza di pazienza di apertura al servizio e al dono, nel cuore del
mistero pasquale?
Ecco, vorrei ora
semplicemente ricordare a me e a voi, sorelle, come concretamente
vivere da “sveglie” la forte metafora della luce, del sale e del
lievito. Come vivere perché, noi spiritualmente deste, possiamo
risvegliare attorno a noi tanta gente assonnata e confusa e
dolorosamente farneticante in un sonno di morte. E come destare in noi e
negli altri una gioia diffusiva.
Anzitutto essere luce
Cerco uno spazio di
tempo di quiete e di silenzio. In camera, in chiesa o in giardino. Ma mi
persuado che questo spazio-tempo mi è indispensabile. Com’è
indispensabile al sole un cielo liberato da spessa copertura di nubi.
Gesù ha detto: «Io sono
la luce del mondo». E io mi pongo dentro lo spazio della sua luce.
Luce di Parola: della
sua Parola centellinata assorbita lentamente trasformata in preghiera.
Respiro e assorbo la sua Parola nel silenzio. Un grande
filosofo esistenzialista ha scritto: «Nello stato attuale del mondo, la
vita intera è malata. Se fossi medico e uno mi chiedesse una medicina,
risponderei: cerca il silenzio, conduci l’uomo al silenzio»2.
Contenitore della luce
di Dio (luce della Parola, luce delle ispirazioni, luce del
discernimento) è dunque il silenzio.
In passato, forse, è
stato presentato più come indispensabile ascesi, disciplina dello
spirito. E lo è anche. Ma è ben di più: un’iniziazione al Mistero, un
quieto inoltro a scorgere la luce che è Gesù, a lasciarsi persuadere che
lui e i suoi insegnamenti sono il centro, il senso, la salda roccia su
cui poggia la mia esistenza, un riposo di tutta la mia realtà
fisiopsichicospirituale, un rigenerarmi, un essere vivificata.
Essere sale
«Soltanto attraverso
uomini toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini» ha detto
Benedetto XVI nel discorso tenuto a Subiaco il 1 aprile 2005, poco tempo
prima di essere eletto Papa.
In fondo, in modo
imprevisto, ci troviamo a vivere la situazione dei primi cristiani.
Nell’ambito del grande impero romano in epoca di decadenza, i primi
cristiani potevano essere tali solo attraverso una fede matura, in cui
il “sale” della concezione evangelica della vita poteva imporsi al non
senso imperante di tante divinità concorrenziali tra loro.
Anche oggi si tratta di
rendere “credibile” il Dio di Gesù Cristo con una mentalità di fede a
tutta prova. Salata col sale delle “beatitudini” in un mondo in cui il
nichilismo è pervasivo e imperante, io sono consacrata per difendere la
vita e difendere la speranza e far strada all’amore. In un mondo
omologato conformista e materialista, io vivo da consacrata il sale
della sapienza che è innanzitutto una vera, tonificante e
lieta umiltà.
Per questo non ho
l’aria di voler sedere in cattedra o di imporre giudizi consigli e
ricette moraleggianti, ma piuttosto di voler seminare ciò che è consono
alla pace e fa crescere in cuore la serenità, la voglia di vivere in
consonanza con quel che Dio vuole, solo perché ci ama.
Quanto importa dunque
avere un volto da persona salvata, un sorriso facile e benevolo, una
parola del tipo di quelle che S. Francesco di Sales consigliava alla sua
primogenita figlia spirituale: S. Francesca di Chantal: «Che le tue
parole siano sobrie, soavi, sante, discrete e pronunziate a tempo»3.
Per difendere la vita,
dire la speranza e accendere un gran fuoco di carità nell’egoismo
imperante, non occorre un “dire” e un “fare” altisonanti, ma la presenza
semplice di chi, in prima persona crede spera e ama, perché tutta la sua
sapienza di vita è la continua ricerca di unione a Gesù e il suo
vangelo. Il resto – anche opere nuove! – viene di conseguenza.
Essere lievito
Ne basta un pizzico per
far fermentare tutta la massa. Proprio così: basta un pizzico di vera
femminilità intrisa della tenerezza di Dio (che è anzitutto la sua
misericordia!) per svegliare e far crescere vita, pace, gioia.
Una consapevole
femminilità grondante dell’acqua viva dello Spirito Santo rigetta ogni
atteggiamento di potere per dare spazio all’autorevolezza della vera
donna che, perché appartiene a Dio, si dà tutta ai fratelli. Così la sua
ottica femminile di guardare alle problematiche di oggi, al
discernimento da esercitare, alle decisioni da prendere, completa e
molto amabilmente corregge l’ottica e la decisionalità maschile.
Il lievito di una
femminilità intrisa di vangelo
che fa fermentare la
massa diventa flessibilità contro ogni forma di rigidezza, chiusura,
sterile fissità nel passato, paura del nuovo, conflittualità
competitiva.
Davvero il lievito di
una presenza femminile innamorata di Cristo che vive il vangelo nel
quotidiano fa fermentare la massa di un’umanità nuova, perché il
suo specifico è proprio il “prendersi cura”, il dare comprensione,
misericordia, tenerezza, insomma un generare amore.
Conclusione
La gioia in noi nasce
continuamente nel vivere sempre più da risvegliate alla semplice
consapevolezza dell’Amato che è in noi e con noi e ci sospinge sui
sentieri dell’oggi. E questa gioia cresce mentre crediamo che intorno a
noi la vita si ridesta nel soffio dello Spirito
È il Regno di Dio, il
suo grande Amore che dilaga sull’uomo, sulla donna, sull’anziano e sul
giovane che contattiamo dentro il nostro quotidiano, vissuto fuori da
stagnazione e malumore.
Se solo il Regno di Dio
noi cerchiamo (il Regno di Dio e la sua giustizia), non solo
sperimentiamo in noi gioia pace e amore, ma questo, proprio questo
vedremo “destarsi” attorno a noi.
Essere luce, sale e
lievito nell’oggi
della nostra consacrazione sostanzialmente è appunto un “essere”, ben
più che un “fare”. È vivere e comunicare a chi ci è attorno la
convinzione che «quanto è più esigente è anche più bello, e che l’amore,
anche se è la cosa più difficile, si rivela leggera: un giogo soave. Sì,
l’amore è qualcosa che, in fin dei conti, nonostante tutte le
resistenze, compiamo più volentieri di qualsiasi altra» (Von
Balthasar).
Non è questo il vivere
da “svegli”, in attesa del Giorno Eterno?
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