n. 9
settembre 2006

 

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CARITÀ E GIUSTIZIA
nella Deus caritas est

di Tonio Dell'Olio*

 

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All’esordio del pontificato del Papa che proveniva dalla Congregazione per la Dottrina della Fede erano stati molti a temere un tempo di rigida attenzione all’osservanza dei dogmi e alla perfezione dell’ortodossia. È innegabile che una tale preoccupazione è a tal punto parte integrante del percorso di vita e di fede di Papa Ratzinger che riserva una forte attenzione alla retta dottrina. Detto questo bisogna ammettere che la prima enciclica del suo papato spiazza molti perché Benedetto XVI non rintraccia il nucleo essenziale del cristianesimo in un dogma definito dagli antichi concili, né da una definizione ex cathedra… ma più semplicemente nell’Amore. È questa la roccia su cui costruire la casa della comunità cristiana e dell’umanità intera, è questa la linfa che dobbiamo lasciar scorrere nelle vene del mondo, è questo il senso del vivere e del morire, del credere e dell’agire, del nostro essere nel mondo. Pertanto l’intenzione dell’enciclica è essenzialmente di evangelizzazione.

L’aver puntato decisamente sull’Amore, conduce anche la stessa comunità cristiana a spogliarsi di orpelli superflui per recuperare le sorgenti ultime del proprio esistere, il motivo fondante per cui il Cristo l’ha pensata e partorita al mondo. «Abbiamo creduto all’amore di Dio» – così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita – si legge nell’introduzione dell’Enciclica –. All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva. Nel suo Vangelo Giovanni aveva espresso quest’avvenimento con le seguenti parole: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui .... abbia la vita eterna» (3,16)... Nello stesso tempo il Papa propone questa verità a tutto il mondo perché lo stesso possa accoglierne pienezza di senso e di significato. In questo modo l’Enciclica non è un arido esercizio accademico o teologico, al contrario ha un impatto concreto e forte sulla vita del mondo. Lo dichiara lo stesso autore nell’introduzione: «In un mondo in cui al nome di Dio viene a volte collegata la vendetta o perfino il dovere dell’odio e della violenza, questo è un messaggio di grande attualità e di significato molto concreto. Per questo nella mia prima Enciclica desidero parlare dell’amore, del quale Dio ci ricolma e che da noi deve essere comunicato agli altri».

È interessante a questo punto scoprire che persino un commentatore molto laico e lontano da simpatie verso la Chiesa Cattolica come Eugenio Scalfari arrivi ad affermare: «In un’epoca nella quale i fondamentalismi avanzano, anche quelli dichiaratamente cristiani o quelli che usano il cristianesimo come ‘instrumentum regni’, il richiamo di Ratzinger alla centralità dell’amore, alla passione per l’amore, all’identificazione tra amore e ‘caritas’, alla sua forza e alla sua mitezza, configura una posizione fermissima di resistenza contro ogni chiamata alle armi in nome del Dio unico e comune delle tre grandi religioni monoteistiche e in particolare del messaggio evangelico del cristianesimo e della Chiesa cattolica e apostolica». Leggendo l’enciclica sembra davvero di riascoltare don Tonino Bello, il vescovo profeta che fondava la riflessione sulla sua Chiesa del grembiule e il proprio tenace impegno per la pace e per gli ultimi, direttamente nel cuore stesso della Trinità. Don Tonino Bello sviluppa nei suoi scritti una serie di considerazioni sull’affermazione del Concilio Vaticano II, che presenta la Trinità di Dio come «causa esemplare della Chiesa e della comunità umana». Era riuscito a «lasciarsi possedere» dal mistero trinitario. Non solo riusciva agevolmente a renderlo parente stretto di cose assolutamente umane come le relazioni tra le persone, lo proponeva come principio fondativo dell’etica adottando una semplice formula matematica che tendesse a spiegarne il mistero. Uno più uno più uno è uguale a tre, – diceva – ma non è questa operazione addizionale che spiega il mistero della Trinità, quanto l’operazione di moltiplicazione di uno per uno per uno, ovvero il vivere ciascuno per l’altro in senso assolutamente oblativo. Soltanto uno per uno per uno dà come risultato uno! Quel per è l’Amore che rende significativo e dà senso alla vita intratrinitaria e deve diventare fondamento etico, guida, modello per l’umanità. Essa sarà una cosa sola, bandirà definitivamente la guerra dal vocabolario della storia, cancellerà la fame da ogni geografia umana… solo quando finalmente non vivremo più né uno contro l’altro, né uno più l’altro, ma solo uno per l’altro! A me pare che anche l’Enciclica di Benedetto XVI possa ritrovarsi in questa felice intuizione di don Tonino Bello che fa eco al Vangelo di Cristo e al Concilio Vaticano II.

A questo punto l’attività caritativa della Chiesa a più pieno titolo discende dalla volontà di Dio. Un mondo in cui ogni persona veda riconosciuta la propria dignità, affermati i propri diritti, soddisfatti i propri bisogni… è un mondo in cui si realizza il sogno di Dio per l’umanità. Noi credenti in questo senso siamo chiamati a farci collaboratori, operatori di questo sogno di Dio, ad affrettarlo, a realizzarlo, ciascuno e ciascuna secondo il carisma della propria chiamata, ciascuno e ciascuna nella misura dei doni che il Padre ha riversato nella nostra vita… Nessuno può sottrarsi, delegare, sfuggire a questo compito. Ci riguarda tutti. In questo l’enciclica entra nel dettaglio e precisa un rapporto intimo e nuovo tra Carità e Giustizia. Anzitutto precisa che la competenza e il dovere di attuare la giustizia è dello Stato e appartiene all’identità della politica. Ma descrive la Chiesa come voce profetica e critica della società degli uomini e delle donne in cui vive: «non può e non intende prendere nelle sue mani la battaglia politica e mettersi al posto dello Stato. E tuttavia non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la giustizia».

 

Valore aggiunto

In quest’azione c’è un valore aggiunto che i governi delle nazioni non possono offrire e che rende di fatto la giustizia di per sé insufficiente a soddisfare la domanda profonda degli uomini e delle donne: l’amore. In questo il Papa intravede l’apporto indispensabile della comunità cristiana. Ed è qui che Benedetto XVI chiede alla Chiesa di vegliare affinché i responsabili politici non siano inquinati dalla ricerca del potere e del proprio interesse. Inoltre chiede di contribuire alla realizzazione del bene comune con una carità creativa che si esprime concretamente nella creazione di servizi idonei. Tali servizi devono caratterizzarsi per la prontezza nel rispondere ai bisogni nuovi, per la competenza professionale, per il senso di umanità – il Papa lo chiama ‘l’attenzione del cuore’ – e per la disponibilità di quanti operano nella carità a coordinarsi, evitando così il rischio di creare dei doppioni nei servizi e di lasciare dei vuoti nella risposta ai bisogni. Mi piace sottolineare con quanta dovizia di indicazioni il Papa tratta questo aspetto, quasi a far comprendere che questo passaggio è significativo perché l’Amore di Dio riflesso nell’azione della Chiesa sia sale in grado di dare sapore al vivere e con-vivere umano.

L’ultimo aspetto dell’apporto della Chiesa riguarda il compito dei fedeli laici, impegnati sotto la propria responsabilità a costruire una società animata dai valori dell’uguaglianza, della solidarietà, della pace. Anche qui non siamo di fronte ad un passaggio dovuto ma a una scelta precisa del servizio da rendere. L’analisi che il Papa fa del tempo che viviamo è tale da suggerirgli i temi dell’uguaglianza, della solidarietà e della pace come elementi indispensabili di cui i laici credenti devono farsi portatori e testimoni. Questo è il grembiule che sono chiamati a indossare. Benedetto XVI conclude il suo messaggio richiamando i fedeli laici a vivere la carità come profezia. «Spetta loro nell’agire politico, di aprire nuove strade alla politica. A me sta particolarmente a cuore però sottolineare che la giustizia non può mai rendere superfluo l’amore. Solo l’amore da un’anima alla giustizia». Quel che segue è l’attuazione, il cantiere, il laboratorio dell’innovazione cui così autorevolmente ci viene chiesto di dare avvio perché l’Amore colori il mondo di una speranza nuova capace di dare concretezza al sogno del creatore.

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