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All’esordio del
pontificato del Papa che proveniva dalla Congregazione per la Dottrina
della Fede erano stati molti a temere un tempo di rigida attenzione
all’osservanza dei dogmi e alla perfezione dell’ortodossia. È innegabile
che una tale preoccupazione è a tal punto parte integrante del percorso
di vita e di fede di Papa Ratzinger che riserva una forte attenzione
alla retta dottrina. Detto questo bisogna ammettere che la prima
enciclica del suo papato spiazza molti perché Benedetto XVI non
rintraccia il nucleo essenziale del cristianesimo in un dogma definito
dagli antichi concili, né da una definizione ex cathedra… ma più
semplicemente nell’Amore. È questa la roccia su cui costruire la casa
della comunità cristiana e dell’umanità intera, è questa la linfa che
dobbiamo lasciar scorrere nelle vene del mondo, è questo il senso del
vivere e del morire, del credere e dell’agire, del nostro essere nel
mondo. Pertanto l’intenzione dell’enciclica è essenzialmente di
evangelizzazione.
L’aver puntato
decisamente sull’Amore, conduce anche la stessa comunità cristiana a
spogliarsi di orpelli superflui per recuperare le sorgenti ultime del
proprio esistere, il motivo fondante per cui il Cristo l’ha pensata e
partorita al mondo. «Abbiamo creduto all’amore di Dio» – così il
cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita – si legge
nell’introduzione dell’Enciclica –. All’inizio dell’essere cristiano non
c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un
avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con
ciò la direzione decisiva. Nel suo Vangelo Giovanni aveva espresso
quest’avvenimento con le seguenti parole: «Dio ha tanto amato il mondo
da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui .... abbia
la vita eterna» (3,16)... Nello stesso tempo il Papa propone questa
verità a tutto il mondo perché lo stesso possa accoglierne pienezza di
senso e di significato. In questo modo l’Enciclica non è un arido
esercizio accademico o teologico, al contrario ha un impatto concreto e
forte sulla vita del mondo. Lo dichiara lo stesso autore
nell’introduzione: «In un mondo in cui al nome di Dio viene a volte
collegata la vendetta o perfino il dovere dell’odio e della violenza,
questo è un messaggio di grande attualità e di significato molto
concreto. Per questo nella mia prima Enciclica desidero parlare
dell’amore, del quale Dio ci ricolma e che da noi deve essere comunicato
agli altri».
È interessante a questo
punto scoprire che persino un commentatore molto laico e lontano da
simpatie verso la Chiesa Cattolica come Eugenio Scalfari arrivi ad
affermare: «In un’epoca nella quale i fondamentalismi avanzano, anche
quelli dichiaratamente cristiani o quelli che usano il cristianesimo
come ‘instrumentum regni’, il richiamo di Ratzinger alla centralità
dell’amore, alla passione per l’amore, all’identificazione tra amore e ‘caritas’,
alla sua forza e alla sua mitezza, configura una posizione fermissima di
resistenza contro ogni chiamata alle armi in nome del Dio unico e comune
delle tre grandi religioni monoteistiche e in particolare del messaggio
evangelico del cristianesimo e della Chiesa cattolica e apostolica».
Leggendo l’enciclica sembra davvero di riascoltare don Tonino Bello, il
vescovo profeta che fondava la riflessione sulla sua Chiesa del
grembiule e il proprio tenace impegno per la pace e per gli ultimi,
direttamente nel cuore stesso della Trinità. Don Tonino Bello sviluppa
nei suoi scritti una serie di considerazioni sull’affermazione del
Concilio Vaticano II, che presenta la Trinità di Dio come «causa
esemplare della Chiesa e della comunità umana». Era riuscito
a «lasciarsi possedere» dal mistero trinitario. Non solo riusciva
agevolmente a renderlo parente stretto di cose assolutamente umane come
le relazioni tra le persone, lo proponeva come principio fondativo
dell’etica adottando una semplice formula matematica che tendesse a
spiegarne il mistero. Uno più uno più uno è uguale a tre, – diceva – ma
non è questa operazione addizionale che spiega il mistero della Trinità,
quanto l’operazione di moltiplicazione di uno per uno per
uno, ovvero il vivere ciascuno per l’altro in senso assolutamente
oblativo. Soltanto uno per uno per uno dà come risultato uno! Quel
per è l’Amore che rende significativo e dà senso alla vita
intratrinitaria e deve diventare fondamento etico, guida, modello per
l’umanità. Essa sarà una cosa sola, bandirà definitivamente la guerra
dal vocabolario della storia, cancellerà la fame da ogni geografia
umana… solo quando finalmente non vivremo più né uno contro
l’altro, né uno più l’altro, ma solo uno per l’altro! A me
pare che anche l’Enciclica di Benedetto XVI possa ritrovarsi in questa
felice intuizione di don Tonino Bello che fa eco al Vangelo di Cristo e
al Concilio Vaticano II.
A questo punto
l’attività caritativa della Chiesa a più pieno titolo discende dalla
volontà di Dio. Un mondo in cui ogni persona veda riconosciuta la
propria dignità, affermati i propri diritti, soddisfatti i propri
bisogni… è un mondo in cui si realizza il sogno di Dio per l’umanità.
Noi credenti in questo senso siamo chiamati a farci collaboratori,
operatori di questo sogno di Dio, ad affrettarlo, a realizzarlo,
ciascuno e ciascuna secondo il carisma della propria chiamata, ciascuno
e ciascuna nella misura dei doni che il Padre ha riversato nella nostra
vita… Nessuno può sottrarsi, delegare, sfuggire a questo compito. Ci
riguarda tutti. In questo l’enciclica entra nel dettaglio e precisa un
rapporto intimo e nuovo tra Carità e Giustizia. Anzitutto precisa che la
competenza e il dovere di attuare la giustizia è dello Stato e
appartiene all’identità della politica. Ma descrive la Chiesa come voce
profetica e critica della società degli uomini e delle donne in cui
vive: «non può e non intende prendere nelle sue mani la
battaglia politica e mettersi al posto dello Stato. E tuttavia
non può e non deve neanche restare ai margini nella lotta per la
giustizia».
Valore aggiunto
In quest’azione c’è un
valore aggiunto che i governi delle nazioni non possono offrire e che
rende di fatto la giustizia di per sé insufficiente a soddisfare la
domanda profonda degli uomini e delle donne: l’amore. In questo il Papa
intravede l’apporto indispensabile della comunità cristiana. Ed è qui
che Benedetto XVI chiede alla Chiesa di vegliare affinché i responsabili
politici non siano inquinati dalla ricerca del potere e del proprio
interesse. Inoltre chiede di contribuire alla realizzazione del bene
comune con una carità creativa che si esprime concretamente nella
creazione di servizi idonei. Tali servizi devono caratterizzarsi per la
prontezza nel rispondere ai bisogni nuovi, per la competenza
professionale, per il senso di umanità – il Papa lo chiama
‘l’attenzione del cuore’ – e per la disponibilità di quanti operano
nella carità a coordinarsi, evitando così il rischio di creare dei
doppioni nei servizi e di lasciare dei vuoti nella risposta ai bisogni.
Mi piace sottolineare con quanta dovizia di indicazioni il Papa tratta
questo aspetto, quasi a far comprendere che questo passaggio è
significativo perché l’Amore di Dio riflesso nell’azione della Chiesa
sia sale in grado di dare sapore al vivere e con-vivere umano.
L’ultimo aspetto
dell’apporto della Chiesa riguarda il compito dei fedeli laici,
impegnati sotto la propria responsabilità a costruire una società
animata dai valori dell’uguaglianza, della solidarietà, della pace.
Anche qui non siamo di fronte ad un passaggio dovuto ma a una scelta
precisa del servizio da rendere. L’analisi che il Papa fa del tempo che
viviamo è tale da suggerirgli i temi dell’uguaglianza, della solidarietà
e della pace come elementi indispensabili di cui i laici credenti devono
farsi portatori e testimoni. Questo è il grembiule che sono chiamati a
indossare. Benedetto XVI conclude il suo messaggio richiamando i fedeli
laici a vivere la carità come profezia. «Spetta loro nell’agire
politico, di aprire nuove strade alla politica. A me sta particolarmente
a cuore però sottolineare che la giustizia non può mai rendere superfluo
l’amore. Solo l’amore da un’anima alla giustizia». Quel che segue è
l’attuazione, il cantiere, il laboratorio dell’innovazione cui così
autorevolmente ci viene chiesto di dare avvio perché l’Amore colori il
mondo di una speranza nuova capace di dare concretezza al sogno del
creatore.
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