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«Lasciando da parte gli esempi dei tempi antichi veniamo agli
atleti che sono stati più vicini a noi. Mettiamoci davanti agli occhi gli esempi
eroici della nostra generazione». Non è un invito di oggi, anche se potrebbe
sembrarlo. Fu scritto nientemeno che da San Clemente I, papa, «terzo dopo gli
apostoli» al dire di Ireneo di Lione, verso la fine del I secolo. È preso dalla
celebre Epistola ai Corinzi scritta da lui alla comunità di Corinto,
appunto, in occasione di forti lacerazioni interne.
Ed è un invito validissimo ancora oggi, epoca di martiri e
di santi, di eroismi conosciuti da molti, come quello di don Andrea Santoro, di
sr. Laura Mainetti delle Figlie della Croce o sr. Teresilla Barillà delle Serve
di Maria Riparatrici, oppure semplicemente ignoti ai più, o noti soltanto, ma
proprio soltanto, al Dio che ci scruta e ci conosce.
Prendiamo questa affermazione di san Clemente perché il 23
giugno u.s. alle 12, nella Sala della Conciliazione del Palazzo Apostolico
Lateranense, il Card. Camillo Ruini, Presidente CEI e Vicario del papa per la
diocesi di Roma, apriva la fase diocesana del processo di beatificazione e
canonizzazione del servo di Dio Eduardo Francisco Pironio, un ‘esempio eroico
della nostra generazione’. La sua biografia corre, infatti, dal 3 gennaio 1920
al 5 febbraio 1998.
Lo ricordiamo anche perché egli è stato per nove anni, su
nomina di Paolo VI, Pro-Prefetto di quel Dicastero che allora si chiamava
Congregazione per i Religiosi e gli Istituti secolari, e oggi Congregazione
Istituti Vita Consacrata e Società di Vita Apostolica. Un ‘personaggio’ che ha
amato la Chiesa dedicando ad essa le luci e le intuizioni, la scienza e la
sapienza di una mente illustre, le fatiche di una vita totalmente e gioiosamente
dedita e, pur senza essere religioso, ha amato nella Chiesa quella porzione di
popolo di Dio che fa parte alla sua stessa identità e della sua missione: la
vita consacrata.
Alcune caratteristiche fanno da sfondo a tutta la sua
esistenza: la devozione mariana, la speranza, la gioia, la missionarietà, la
fede coraggiosa che sa fidarsi di Dio anche quando, nei disegni misteriosi della
sua Provvidenza, Egli consente la prova.
È stato un cantore di Maria. Nato e vissuto – anche se non
sempre geograficamente - all’ombra della basilica-santuario nazionale Nostra
Signora di Lujàn, patrona del suo paese natale, l’Argentina, scriveva nel suo
testamento: «Ringrazio il Signore perché mi ha fatto capire il mistero di Maria
nel mistero di Gesù e perché la Vergine è stata sempre presente nella mia vita
personale e nel mio ministero. Debbo tutto a Lei. Confesso che debbo a Lei la
fecondità della mia parola. E che le grandi date della mia vita – di croce e
di gioia – sono sempre state ricorrenze mariane». Non riecheggia qui il “totus
tuus” di Giovanni Paolo II?
È stato un cantore della speranza e della pace, e della
gioia. Perché la speranza e la gioia cristiana stanno bene insieme. L’una non
può stare senza l’altra. Sono sempre in osmosi. La speranza, soprattutto la
speranza escatologica, rende vivi. E in tempi particolarmente difficili,
soprattutto per l’America Latina, ma non solo, quando la teologia della
liberazione e i vari e plurimi governi dittatoriali e le molte e variegate
frange rivoluzionarie mettevano in continua agitazione e strattonavano
popolazioni intere, la sua parola scritta od orale era sempre opportuna, calda,
convincente, pacata e densa, speranzosa. Una parola mai aggressiva, puntuale
sempre, anche quando partecipava a riunioni e assemblee di religiosi, a capitoli
generali, allora, in piena rivoluzione post-conciliare, particolarmente
difficili.
È stato un cantore della evangelizzazione, della Chiesa
missionaria, della Chiesa-comunione. Contemporaneamente è stato cantore della
storia. Perché l’annuncio o lo si fa nella storia del proprio tempo con gli
accorgimenti appropriati o non è annuncio. Dopo che Giovanni Paolo II ebbe
lanciato ai vescovi della Conferenza Episcopale Laltino-americana (8 marzo 1983)
l’urgenza di una ‘nuova evangelizzazione’ egli commenta: «È una evangelizzazione
che ci porta a una nuova lettura della storia, a un lettura evangelica e
contemplativa dei segni dei tempi. Significa saper discernere ciò che Dio chiede
con la fame, la miseria, il terrorismo, con la violenza e con la guerra, con la
fame e con la sete di Dio che prende la nostra gioventù. In mezzo la secolarismo
che è caratteristico del nostro tempo vi è fame e sete di Dio nei giovani e
questo è uno dei migliori segni dei tempi. Dobbiamo saper leggere
evangelicamente la storia per impegnarci con essa a partire dal messaggio di
salvezza… Nuova evangelizzazione è una penetrazione più profonda, più concreta
fatta con l’esperienza della parola di Dio che è Cristo».
Nel ticchettio del pendolo
della quotidianità che può diventare uggioso o stancante, e a volte sembra
travolgere anche i momenti più semplici, saper tessere con pace il presente e
offrire motivazioni forti di speranza per il futuro è essere costruttori di
storia e di umanità nuova, matura e feconda; è compiere opera di vera
evangelizzazione. Nella possibile tensione quotidiana, offrire spazi alla
relazionalità gratuita, al servizio disinteressato è porre le tessere del
mosaico che contribuiranno alla costruzione di una storia nuova, concreta, pur
piccola. Ma ciò richiede, esige sempre serenità e libertà del profondo, richiede
aggancio alla ‘grazia’ che da Dio parte e, raggiungendo l’umanità, la trasforma,
la rinvigorisce, la rilancia a mete più alte. Gli uomini e le donne di oggi
richiedono donne e uomini nuovi che, nella semplicità evangelica, nella
speranza, sullo stile di quella del card. Pironio, non si accontentano del
ripetitivo, ma scoprono e colgono l’inedito di Dio nascosto dietro ogni realtà.
È proprio da questa quotidianità o in questa quotidianità che si forgiano i
santi, gli eroi di tutti i tempi.
La Redazione
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